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Silvano Tomasi – Gianfausto Rosoli Migrazioni moderne IntraText CT - Lettura del testo |
I.L’idea della nazionalità
L’idea della nazionalità non è un’idea convenzionale, ma reale. Vari elementi concorrono a concretarla: tradizioni storiche, comunanza di razza, affetto al luogo natio, tradizioni locali o di famiglia, glorie e dolori comuni, ecc.
L’idea della nazionalità è conforme ai bisogni dell’uomo, e non senza una potente ragione Dio divise gli uomini in nazioni diverse, ed ai popoli e alle nazioni assegnò confini.
Per il progresso morale e materiale dell’umanità era necessaria cotesta divisione. La differenza del genio delle varie stirpi, l’ammirabile varietà di tendenze, di aspirazioni, di affetti che distinguono un popolo dall’altro contribuiscono a creare quel grande movimento intellettuale
che fa progredire l’umanità e soddisfa ai bisogni nuovi di tempi e di luoghi.
La separazione degli uomini in varie schiatte, in varie nazioni ingenera l’emulazione, fonte prima dell’attività morale, intellettuale e materiale del genere umano.
Senza dubbio le lotte e le gelosie fra nazione e nazione producono errori e spesso anche ingiustizie; ma queste lotte meschine, queste condannabili cupidigie non escludono che la grande emulazione fra popolo e popolo, la corsa affannosa verso il meglio, ove ognuno cerca di precedere il vicino e l’avversario, non sieno fautrici di vero e reale progresso, e quindi di bene.
Parlando delle nazionalità non si può a meno di osservare una cosa, e cioè che esse non possono essere e non furono mai un ente artificiale, ma risposero sempre a certi bisogni specificati, a certe cause contingenti che ne determinarono l’esplicazione.
È possibile il creare un grande impero tagliando e frastagliando territori, isole e continenti. I conquistatori agirono sempre così, ma se l’opera loro fu gloriosa e ricca di conseguenze, essa non creò ex se una nazionalità, perché il fondere elementi vari, e talvolta disparati, non è impresa di un giorno, ma di secoli, non frutto dei prodigi di una spada fortunata, ma conseguenza di un lungo e lento lavoro di assimilazione.
Le odierne nazionalità sono il risultato di cotesta paziente operazione, che si è compiuta in molti secoli, procedendo con criterii positivi, non con capricciosi espedienti. E però oggimai sarebbe impossibile formare una nuova nazionalità, a meno che il mondo tornando nel caos ove lo piombarono i grandi suoi rivolgimenti non si prestasse a nuove combinazioni, a nuove fusioni, come accadde allorché i barbari vennero a sconvolgere l’impero romano.
Questo non era a propriamente parlare una nazione, ma un’agglomerazione di nazioni, e doveva la sua potenza e al vigore della razza dominante e conquistatrice, e al sapientissimo suo regime verso i vinti, che, come ognuno sa, consisteva nell’imporre il proprio regime politico, pur rispettando le tradizioni, le abitudini proprie e perfino la Religione dei popoli vinti. Ché anzi Roma pagana, nel dar diritto di cittadinanza alle nazioni che aveva legate al suo carro, si appropriava anche i loro Dei, che vedevano sorgere tempî anche nell’Urbs per eccellenza dove nessun idolo di paese annesso era straniero.
I barbari vennero a sconvolgere il mondo antico, invadendone il territorio ed accampandosi in Italia, in Ispagna, nelle Gallie, in
Oriente, nel Nord dell’Africa ecc. Poco alla volta le orde invaditrici si assestarono sulle terre conquise, si mescolarono agli aborigeni ed ai coloni romani, s’incrociarono fra loro, e questo fu il punto di partenza e come il seme delle nuove nazionalità, le quali non si raggrupparono che lentamente, s’incrociarono poi di nuovo per le migrazioni frequenti di varii popoli, fra le quali primeggiarono gli arabi, gli ottomani, gli slavi, i tartari, i normanni, i germani, i francesi, gli spagnuoli.
Più ci allontaniamo dal medio evo, e meno si producono le migrazioni, perché le nazionalità si vanno formando e delineando con maggior precisione, e a grado a grado che si formano presentano più compatta ed efficace resistenza agli elementi eterogenei, rappresentati dalla conquista e dalla migrazione.
I tre ultimi secoli hanno per così dire compiuto l’opera della formazione definitiva e dell’assetto stabile delle nazionalità, ed ecco perché io dico che a meno di un grande sconvolgimento mondiale, impreveduto ed imprevedibile, a meno cioè di nuove migrazioni della forza e del carattere di quelle dei Barbari e dei mussulmani, l’attuale divisione nazionale del mondo, e specialmente dell’Europa, non si muterà.
L’ambiente e l’educazione creano generalmente il sentimento della nazionalità, sentimento provvidenziale che rende ognuno contento del proprio paese, e che impedisce per conseguenza che i cittadini di una contrada men dotata di tante altre aspirino ad abbandonare la patria per formarsene a capriccio un’altra in paese più ricco, di miglior clima, di più facile commercio.
A questa conseguenza provvidenziale dell’amor di patria mi fu dato spesse volte di riflettere nell’attraversare paesi infelici o per sterilità di terreno o per scarsa bellezza di luoghi o anche per un cumulo di circostanze che li rendono brutti ed uggiosi. Ovunque ho trovato gl’indigeni animati da affetto pel luogo natio e mi son detto: - Che fortuna! Che provvidenziale disposizione di Dio! Se costoro vedessero la patria loro cogli occhi coi quali la veggo io l’abbandonerebbero subito, ed allora avremmo contrade spopolate ed altre dove gli uomini si sgozzerebbero per occuparne il suolo: in uno stesso paese avremmo regioni deserte ed altre troppo popolate.
In quella vece le tradizioni di famiglia, di gioventù, l’ambiente morale e materiale, la parentela, le abitudini fanno dimenticare i più gravi inconvenienti, i quali non valgono non solo ad uccidere ma neppure ad affievolire l’amor di patria, il quale è il fondamento della teoria della nazionalità.
Certo guardando le cose in grande la Religione ha molta, anzi forse principale parte nel sentimento di nazionalità, ma non è sola a costituire
l’idea nazionale. È il complesso morale, religioso e materiale dell’ambiente patrio che costituisce cotesta idea, della quale si è visto dianzi il benefico e provvidenziale effetto per la pace del mondo e la felicità degli uomini.
La cultura di un popolo accresce in lui il sentimento nazionale, perché meglio lo determina nella sua mente. Onde noi vediamo che col progredire dei tempi l’avversione ad ogni dominazione straniera è divenuta irresistibile e che quegli stessi popoli, come l’italiano e lo slavo del Sud, che tanto sopportarono pel passato, si oppongono vigorosamente oggi a quello che più o meno tolleravano ieri.
Sull’influenza che il sentimento nazionale può esercitare sull’idea religiosa, o per meglio dire sulla Religione di un popolo e dei cittadini che lo compongono, molto si potrebbe dire. Basti il ripetere quanto dianzi è stato detto, e cioè che giacché l’ambiente, l’educazione e le tradizioni storiche e di famiglia sono potentissimi, anzi si può dire esclusivi fattori dell’idea nazionale, la Religione ha principal parte fra le cause onde nasce l’amor patrio e l’idea nazionale.
L’uomo ha due grandi affetti che lo accompagnano dovunque, l’amore di Dio e quello dei genitori e della famiglia. Ambedue formano, assieme a qualche altro elemento, l’idea della nazionalità. E però, fintantoché l’uomo rimane, ancorché passivamente, fedele alla Religione dei suoi padri, egli sente l’amor di famiglia e con esso l’amor di patria. L’uomo che abbandona la Religione, l’apostata abbandona anche il sentimento nazionale. Onde si deve concludere che la fedeltà alla Religione trae seco la fedeltà alla patria, a meno che un fatale conflitto, mettendo in urto i due grandi affetti di religione e patria, non spinga gl’illusi a sacrificare il primo al secondo, cosa che invariabilmente si produsse fin qui nel passato là ove il conflitto fu duraturo.
I grandi rivolgimenti religiosi ebbero questa origine. Lo scisma della Chiesa d’Oriente fu cagionato in grandissima parte dalla insofferenza degli Orientali di ubbidire a Roma. Non bastava a loro di sapere che da Roma poteva comandare un Pontefice Orientale come un Pontefice Occidentale. Il solo fatto che, per volere di Dio, la sede prima del cristianesimo era in Occidente li rese gelosi. Sembrò loro che la patria ne fosse umiliata, e quando sorse un ribelle l’errato amor proprio nazionale gli rese facile la via e gli permise di attuare il deplorevole scisma. Così si perdettero una dopo l’altra le Chiese Orientali, ed il fatto è tanto vero che Leone XIII l’ha riconosciuto quando per ricondurre coteste Chiese alla sospirata unità ordinò che se ne rispettassero i riti e le tradizioni antiche non difformi dalla dottrina cattolica e proibì formalmente che si latinizzassero i convertiti orientali affine
di far loro comprendere che nel cattolicismo tutti i popoli hanno diritto di cittadinanza e che, come religione universale, esso rispetta tutte le nazioni, i loro diritti, le loro legittime aspirazioni, il loro patriottismo.
L’eresia protestante fu essa pure sorretta dal sentimento nazionale male interpretato. Le tradizioni di Arminio, il desiderio di schiacciare il Papato, considerato come istituzione latina, e quindi quello che molti Tedeschi chiamano ancora “la malvagità latina”, non poté poco per spandere il protestantesimo non solo in Germania, ma nei paesi scandinavi e in Inghilterra. Dipinto il Papa come sovrano straniero, sebbene spirituale, gli aizzarono contro il sentimento nazionale e questo bastò a fortificare di gran lunga l’eresia. Noterò qua che le eresie che non poterono trovare in loro appoggio un sentimento patriottico male inteso non poterono né diffondersi né consolidarsi. Così fu degli Albigesi, degli Hussiti, di Gio. di Leyda e della sua setta e da ultimo dei giansenisti, che rimasero poco numerosi e sono tuttora pochissimi.
In Olanda l’abborrimento all’obbrobriosa tirannide spagnuola provocò l’apostasia della Nazione, e così in Inghilterra sotto Elisabetta minacciata da Filippo II, ed in parte pure in Scozia. Senza questa causa determinante dell’apostasia, il protestantesimo non si sarebbe generalizzato in quei paesi. Così pure se il cattolicismo rimane saldo in Irlanda ed in Polonia, si è perché l’Anglicanismo e lo scisma sono la Religione dei conquistatori stranieri e che il popolo vede nella Religione cattolica il Palladio della Patria. E però nei tempi andati, prima della emancipazione dei cattolici (1827), gl’inglesi col ferro e col fuoco vollero protestantizzare l’Irlanda, sicuri che abbandonata la Religione dei Padri loro gl’irlandesi avrebbero pure perso il sentimento nazionale.
Lo stesso fecero e fanno i Russi, senza maggior successo, in Polonia. Costoro non si credono sicuri perché veggono nel cattolicismo il caposaldo del sentimento patrio in Polonia, e pensano che schiacciato quello, questo verrebbe meno e la completa assimilazione fra conquistatori e conquistati si produrrebbe.
Con più politica, i prussiani fanno lo stesso nel ducato di Posen. Ed a questo tende in quel paese la propaganda protestante.
Dunque la Religione ha gran parte nel sentimento o idea di nazionalità. Un popolo che si crede osteggiato nei sentimenti nazionali dalla Religione, cerca purtroppo nell’apostasia un rimedio ed un baluardo. Per lo contrario un popolo conquistato da altro popolo di altra religione
non può conservare il sentimento nazionale se non conserva la Religione dei padri suoi.
E però quello che impedì l’annientamento del sentimento patrio nella Polonia russa e prussiana e nell’Irlanda fu l’incrollabile fedeltà di quei popoli al cattolicismo, nella stessa guisa che ciò che permise l’indebolimento e lo sgretolarsi della parte europea dell’impero turco fu l’impossibilità in cui si trovarono i conquistatori ottomani di convertire milioni e milioni di cristiani all’islamismo. Convertiti costoro, il regno della mezzaluna nei Balcani e al Nord del Mar Nero diveniva solido e duraturo, mentre ché bastò un po’ di debolezza del padrone maomettano per far rivoltare i cristiani. Solo alla Religione, la storia lo prova, si deve se si è mantenuto nei bulgari, nei serbi e nei rumeni, malgrado secoli di efferatissima oppressione, il sentimento nazionale.
L’idea nazionale dormì per quattro secoli in Rumenia e Serbia e per cinque secoli in Bulgaria. Erano popoli giovani, senza le grandi tradizioni Elleniche, ma la fede li salvò e dopo centinaia d’anni condotti dai loro Sacerdoti si liberarono dal dominio ottomano.
Dunque il sentimento religioso ha gran parte nell’idea della nazionalità, la mantiene intatta nei pericoli, la salva dal naufragio nelle catastrofi e sopravvive a qualsiasi disastro, conservando nel petto il seme che dopo anche vari secoli farà risorgere dalla tomba quella caduta nazionalità che non avrà apostatato.
Questo però quando non vi sia conflitto fra i due nobilissimi sentimenti di nazionalità e di Religione. Che se sciaguratamente il conflitto si produce, e si mantiene allo stato di malattia endemica, allora i popoli sono fatalmente trascinati ad abbandonare la Religione e si produce l’apostasia la quale piglia forme di scisma o di eresia nei tempi di fede viva o di facili dispute religiose, o di pratica apostasia, e cioè miscredenza, indifferenza ecc. nei tempi nostri, poco propensi alle nuove eresie.
Per evitar tanto male conviene dunque allontanare ogni causa di conflitto, massime permanente, fra religione e patria.