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Silvano Tomasi – Gianfausto Rosoli Migrazioni moderne IntraText CT - Lettura del testo |
I
Uno dei fatti più importanti della moderna vita italiana è la sua emigrazione; importante per il numero, per i quesiti sociali che involge, per il malessere economico di cui è sintomo. Secondo i calcoli della statistica, gli italiani emigrati che vivono ora nelle Repubbliche Americane sorpassano i due milioni: più di un milione nelle Repubbliche del Sud, 400 mila e più nel Brasile, e il resto nelle vaste parti d’America e soprattutto al Nord. La sola città di New York ne novera 85 mila. Nel decennio 1880-90 uscirono dai confini del Regno due milioni di abitanti - un milione per la emigrazione temporanea, vero flusso e riflusso di viventi che dà ai lavori d’Europa la mano d’opera intelligente e solerte dei nostri operai e riporta in patria lode e denaro; e un milione alla emigrazione permanente ossia gente che se ne va al di là dell’oceano colla speranza, quasi sempre delusa, di far ritorno, e si sparge fra le giovani Repubbliche americane, al Sud e al Nord, nelle città popolose, fra le pampas deserte e le vergini foreste, portando ovunque un’attività sempre apprezzata e stimata.
(Segue una breve statistica dell’emigrazione nei vari paesi d’Europa dell’anno 1887-1888).
Queste cifre non hanno bisogno di un lungo commento. Esse dicono chiaramente e rigorosamente: che nel biennio 87-88 uscì maggior numero di cittadini dal Regno d’Italia, che non dalla Francia, dai Paesi Bassi, dalla Spagna, dal Portogallo, dall’Austria, dal Belgio, dalla Danimarca, dalla Svizzera unite insieme: dicono che la nostra emigrazione è quattro volte tanto quella della Russia, il triplo della Germania - che pure ha una larghissima emigrazione e di qualche migliaio superiore a quella del Regno Unito che ha colonie fiorentissime ed affari in tutte le parti del mondo.
E notate, o Signori, che gli emigranti di quasi tutte le altre nazioni si trovano in condizioni molto migliori dei nostri, poiché gli Inglesi, i Francesi, i Portoghesi, gli Spagnoli, gli Olandesi fuori dei loro confini trovano vaste regioni ove la loro bandiera nazionale sventola sovrana, e la legge patria è la tutrice del diritto; trovano insomma nelle colonie politiche dei loro paesi un’altra patria con ciò che ha di più caro questo nome: religione, leggi, lingua, costumi, trovano almeno altre patrie, ove si parla la lingua che cullò i sogni della loro infanzia, che sorrise loro col primo sorriso della madre. Ma purtroppo nessuna di queste benedizioni, che sollevano lo spirito, e gli danno forza e coraggio nella lotta, trovano i nostri poveri connazionali, abbandonati, come sono, alla loro intelligente attività veramente ammirabile, e tale da ispirare in noi un legittimo orgoglio.
Le cifre esposte sono imponenti, ma il fenomeno migratorio, o Signori, pare non abbia raggiunto il suo apogeo, poiché malgrado le difficoltà frapposte dalla legge voluta due anni or sono, e che limita l’opera degli agenti di emigrazione; malgrado i disinganni e le grida di dolore che di tanto in tanto, attraversando l’Atlantico, ci fanno fremere ed arrossire, malgrado infine le proibizioni governative, l’esodo doloroso continua. Gli è, o signori, che l’emigrazione italiana, che fu ed è aumentata per le tristi condizioni nostre specialmente agrarie, che fu ed è stimolata fuor misura dagli agenti di emigrazione e dalla necessità di braccia da sostituire agli schiavi liberati del Brasile, risponde nel suo insieme ad un vero bisogno del popolo italiano, ed è in rapporto coll’aumento annuale della sua popolazione. Non si tratta quindi, o signori, di un fenomeno transeunte, ma di un fenomeno che ha tutti i caratteri di un fatto permanente. L’italiano è uno dei popoli che ha maggior aumento annuale di popolazione. Aumenta in ragione dell’1 e 12 per mille, in ciò superato solo dall’olandese che vanta una eccedenza dei nati sui morti del 13 per mille.
Quindi è che malgrado la ingente emigrazione, la popolazione del Regno aumenta, e fra pochi anni, le nostre belle contrade avranno una massima di densità.
Secondo calcoli esatti, aumentando la popolazione, come nello scorso ventennio, gli Italiani fra un secolo saranno 100 milioni dei quali, ammettendo pure, data una larga colonizzazione interna, di poterne ospitare tra i confini del regno altri 10 milioni e di raggiungere così i 45 o 50 milioni che tanti potrebbe capirne l’Italia, se tutte le sue regioni avessero la densità della popolazione della Lombardia - avremo sempre un immenso popolo di altri 50 milioni, che si spargerà, nel secolo venturo, pel mondo, sospinto da una forza a cui invano si resiste, la lotta per la vita; 50 milioni di Italiani, o signori, dispersi sulla faccia della terra come foglie rapite da un turbine! Ma anche ammettendo che il fenomeno migratorio si arrestasse e le nuove terre in Africa possano diventare per l’avvenire la culla prospera e felice - e sia dessa benedetta - ove il popolo italiano sgraverà il soverchio della sua popolazione, senza ricorrere all’ospitalità d’altri popoli, sempre troppo interessata e spesso crudele, ammesso tutto questo e non è che una pallida e lontana speranza anche così, come è oggi, l’abbandono completo della nostra emigrazione transoceanica, sarebbe un delitto di lesa Religione e di lesa Patria. Signori, l’Emigrazione è legge della natura intera, per cui un organismo, nato in un luogo, si propaga, si diffonde, si modifica e si perfeziona in un altro, ed i suoi fatti che parevano, mezzo secolo fa, capricci di essa natura, sono ora considerati come espressione vigorosa di quella legge imposta alle
cose dal Creatore. Signori, se l’Emigrazione considerata come espressione di una legge di natura, è un diritto inalienabile, considerata poi del punto di vista individuale e nazionale, può essere un bene od un male a seconda del modo con cui si compie.
È indubitatamente un bene, fonte di benessere per chi va e per chi resta, vera valvola di sicurezza sociale, sgravando essa il suolo del soverchio della popolazione, aprendo nuove vie ai commerci ed alle industrie, fondendo e perfezionando la civiltà, allargando il concetto di patria oltre i confini materiali, facendo patria dell’uomo il mondo; ma è sempre un male, e gravissimo, individuale e patriottico, quando la si lascia andare così senza legge, senza freno, senza direzione, senza efficace tutela: non forze vive e intelligenti, ordinate alla conquista del benessere individuale e sociale, ma forze cozzanti e spesso distruggentisi a vicende: e attività sfruttate a lor danno e vergogna; a danno e vergogna del paese di origine. Non acque atte a fecondare, ma torrenti senz’alveo, che perdono il tesoro delle loro acque fra i sassi e gli sterpi, quando non travolgono i campi già fecondati.
Vediamo ora, o signori, come si compie il fenomeno migratorio nella nostra Italia: vediamo ove fa capo questa fiumana di sangue, in qual parte si avvia questa gran massa di popolazione che ha toccati i 200 mila all’anno e l’anno scorso ha raggiunto la cifra di 204.000. La maggior parte di essa - è doloroso il dirlo - non sa dove vada. Per loro è l’America, il paese a cui si dirigono quelli che lasciano la patria in cerca di fortuna. Al Sud o al Nord, fra le zone temperate o le tropicali, in climi sani o pestilenti, su terre fertili o più sterili di quelle che abbandonano, in centri popolosi o in contrade deserte, essi non sanno. Vanno in America, e non di rado con l’aggravante di un contratto firmato in bianco che mette, se non la loro persona, il loro lavoro a disposizione di un padrone qualunque.
È così, che gli agenti di emigrazione hanno avviato un numero assai considerevole di emigranti al Brasile, a sostituire la mano d’opera già insufficiente ai bisogni dell’agricoltura, e resa affatto deficiente, come già dissi dall’abolizione della schiavitù. È così che a New York il cosi detto sistema dei padroni, condannato con un Bill del Senato degli Stati Uniti, agglomerò un numero sterminato di emigranti, attirati colà con mille promesse, sfruttati indegnamente e poi abbandonati, per lasciare il posto ai nuovi venuti, vittime nuove di turpi guadagni. È così, da ultimo, che nel Chili (Cile), per tacere di molti altri casi, trovano l’abbandono e la miseria più migliaia di nostri connazionali, allettati a recarvisi da ridenti menzogne. E come l’ignoranza e la povertà li rende qui in patria facili vittime degli agenti di emigrazione, così laggiù l’isolamento e la miseria li rende preda facilissima di speculazione,
sempre dovunque senza viscere di pietà, e laggiù più che altrove. Per tal guisa, invece di lavoro adatto e largamente retribuito, invece di abbondante e sano nutrimento trovano quegli infelici un rude lavoro, - quando lo trovano - una retribuzione che, misurata alle fatiche, ai pericoli, al rincaro dei generi di prima necessità, è una vera irrisione, trovano poi il poco miglioramento dietetico pagato a largo prezzo, con la privazione bene spesso di quanto significa vita civile.