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Silvano Tomasi – Gianfausto Rosoli
Migrazioni moderne

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Presentazione

 


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Questo volume antologico è importante soprattutto perché consente riflessioni su testi suggestivi di un protagonista di eccezionale statura, il vescovo Giovanni Battista Scalabrini. Si evince, infatti, da queste pagine il valore che l’autore attribuisce alla Patria ed al rapporto tra essa ed i migranti italiani nel mondo, non solo per la tutela dei loro diritti, ma anche per la diffusione della nostra lingua e cultura all’estero e per la crescita civile e religiosa degli stessi migranti. Ma quel che più emerge dal testo è la misteriosa ragione che ha indotto il presule di Piacenza a farsi carico degli emigranti, e cioè cogliere le occasioni per incontrare Cristo in ognuno di loro, particolarmente nei più emarginati, nuovi “schiavi” dei “mercanti di carne umana” (così Scalabrini definiva i “caporali” che li reclutavano e li sfruttavano anche all’estero) a cui veniva persino impedito di entrare nelle chiese perché malvestiti ma, soprattutto, per il fatto che non avevano la possibilità di dare offerte. Per i migranti il vescovo fu contemplativo itinerante nelle più desolate regioni del mondo, nei tuguri e sui luoghi di lavoro, cioè nel contesto delle sue scelte spirituali e per rispondere al progetto di Dio a lui riservato, per cui percorse speditamente l’itinerario verso la santità.

Spirituale e grande protagonista dell’Italia del suo tempo, conciliatorista per la convinzione che la soluzione della cosiddetta “questione romana” avrebbe assicurato la pace e stabilito un comune impegno per salvaguardare dignità e giustizia nel mondo dell’emigrazione. Il servizio di Scalabrini all’Italia, al mondo, alla Santa Sede ed, ovviamente, ai migranti, è stato vigoroso, alieno da ogni finalità egemonica, reso saldo della spiritualità, proteso all’unità della amata patria; unità territoriale, indispensabile per una reale evoluzione del paese. Il suo è stato un sano nazionalismo, giammai proteso a suscitare miti o a giustificare scelte ideologiche aberranti, ma come mezzo di unità e fautore di una etica che esalta le tradizioni della patria per vivificare e rinsaldare la comunità, non come fatto emotivo e tanto meno volto a fomentare sterili campanilismi o insanabili dissidi.


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Le tematiche trattate dal vescovo, le esortazioni, i rilievi, le denunce da lui coraggiosamente pronunciate e tante altre suggestioni che si hanno accostandosi a questo libro, sono state prese in considerazione in alcuni studi importanti, dal volume biografico di Mario Francesconi, Giovanni Battista Scalabrini vescovo di Piacenza e degli emigrati (Roma 1985) al saggio dello stesso Autore, Giovanni Battista Scalabrini. Spiritualità d’incarnazione (Roma 1989), agli atti del convegno piacentino Scalabrini tra vecchio e nuovo mondo, del dicembre 1987 (Roma 1989), agli studi di Gianfausto Rosoli e di altri. Sono lavori, questi, importanti che hanno impegnato nella ricerca e nelle riflessioni critiche i maggiori studiosi di storia contemporanea del nostro paese o biografi, come Francesconi, che si sono ben guardati dall’omettere fatti o scritti per analisi apologetiche, ma che, al contrario, con rigore scientifico hanno atteso con serenità alla ricostruzione del passato, della vita e delle opere dello Scalabrini evitando quelle forzature “agiografiche” che sono all’antitesi della buona metodologia.

La pubblicazione di questo volume, così come le Lettere pastorali di Scalabrini, accolte in questa collana “I contemplativi nel mondo” (edizione integrale a cura di O. Sartori, Torino 1994) e il Carteggio Scalabrini Bonomelli (a cura di C. Marcora. Introduzione di F. Fonzi, Roma 1983), ha, soprattutto, il fine di richiamare l‘attenzione degli studiosi sul vescovo piacentino, e in particolare sul suo pensiero e le sue realizzazioni, non per finalità celebrative, ma per contribuire ad una reinterpretazione di fondo della storia sociale e religiosa dell’Italia e del mondo, considerati i moli e le realizzazioni scalabriniane che ebbero un’incidenza in molti territori del mondo.

La pubblicazione nel volume della lettera apostolica di Leone XIII a Scalabrini (25 novembre 1887) è significativa in particolare per l’alto assenso alla iniziativa del presule, in forza dell’ufficio apostolico, per la promozione di “un istituto di ecclesiastici che mostrino la decisa intenzione di trasferirsi in territori lontani, specialmente dell’America, per portare il sostegno del sacro ministero alla moltitudine di cattolici italiani che, spinti dalla necessità di emigrare fuori della patria, si sono stabiliti in quelle regioni”. Era questo, l’atto ufficiale che conferiva il “mandato” apostolico volto, non solo all’annuncio del Regno, ma ad assicurare aiuti ai diseredati tra i più emarginati della terra costretti ad un duro esodo con imprevedibili conseguenze sociali e religiose. Come non considerare a questo punto la approvazione un atto di grande portata più che filantropica, cristiana, in sintonia con le più nobili tradizioni degli istituti di vita consacrata antiche e meno antiche? Non era forse un “sigillo” pontificale ad una azione di solidarietà, ma in particolare di vero amore, di autentica carità per un mondo, quello degli emigranti, che né i governi,


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né le tradizionali organizzazioni filantropiche prendevano in considerazione quasi che non fossero esseri umani?

Questi testi, quindi, mentano l’attenzione della storiografia alfine di cogliere, persino tra le “pieghe” del discorso e nello stesso linguaggio, tutto ciò che in vario modo ha una sua utilità per far luce sul passato e sul pensiero e le opere dei protagonisti anche minori. Sono documenti, inoltre, da cui emerge — come rileva Silvano Tomasi nella premessa — sulla dimensione contemplativa della vita missionaria [...] strutturata da mons. Scalabrini attorno ad alcuni punti essenziali: la fede, l’unione con Dio, il mistero della croce, l’imitazione di Cristo, Ia gloria di Dio [...]; una spiritualità incarnata nella quotidianità del servizio pastorale per cui i punti di riferimento diventano la povertà, l’unione con i fratelli, il vescovo e il papa, l’obbedienza ai Superiori religiosi e la generosità nel ministero verso i migranti. Le osservazioni del Tomasi confermano la valenza del rapporto santità-spiritualità-azione sociale e religiosa che ha consentito opere rilevanti per l’evoluzione della società, anche con una supplenza che si è rivelata indispensabile per la sopravvivenza dei diseredati a cui nessuno prestava attenzione e per il rinsaldarsi della comunità dei credenti protesi in una tensione spirituale ed operativa verso i fratelli emarginati, come gli emigranti. Di tutto ciò Scalabrini era convinto anche se, con grande rammarico, annotava: “ciò che più rattrista... è il pensiero che la maggior parte dei mali religiosi, morali, economici, ai quali si espone la nostra emigrazione potrebbero evitarsi o impicciolirsi d’assai, qualora le classi dirigenti in Italia fossero consce dei doveri che le legano ai fratelli espatriati; poiché o signori, le immense contrade d’America non sono così malsane da non poter offrire alla nostra emigrazione un angolo tranquillo”. E, con forza, annunciava: “la oppressione del povero, la negata mercede agli operai sono qualificati come peccati che gridano vendetta al cospetto del Signore” e non v’è dubbio — rilevava il vescovo — che svegli, il divino maestro, povero così che non ha dove posare il capo, si aggira sempre fra le turbe più misere e rivolge di preferenza tesoro de’ suoi insegnamenti divini e il beneficio de’ suoi miracoli alle donne in lagrime, ai lebbrosi abbandonati, ai miseri, ai fanciulli derelitti, ai quali spetta il regno celeste, e da la preferenza al povero obolo della vedova sulla offerta opulenta del fariseo”.

Gli scritti di questo volume sono in sintonia con i passi citati; essi attestano innanzitutto la grande forza interiore del presule, resa salda dalla contemplazione; una ricchezza nascosta ma vivificante che lo ha indotto a realizzazioni di alto valore apostolico e sociale da divenire di fatto vescovo del “mondo”, laddove i suoi figli condividevano con gli emarginati la povertà, operando quotidianamente per l’avvento della giustizia, per lenire sofferenze di ogni genere. Se Scalabrini non avesse posseduto


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questa ricchezza spiritualità nascosta ma visibile nelle opere, ben difficilmente avrebbe potuto assumere posizioni di grande coerenza e di lealtà, anche ecclesiale, nei confronti dei “potenti” della terra, dello stesso pontefice, dei suoi confratelli nell’episcopato, di tutti coloro che per mere finalità egemoniche ostacolavano la sua opera. Egli era ben consapevole di dover assolvere un compito che Dio gli aveva affidato, soprattutto — come ha scritto — insegnare “ai diseredati, coi precetti del Vangelo e coll’esempio dei santi, che la povertà, all’occhio della fede, è tutt’altro che un disonore ed un male”. Fu un vero contemplativo nel mondo.

Pietro Borzomati

 

 

 




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