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Silvano Tomasi – Gianfausto Rosoli Migrazioni moderne IntraText CT - Lettura del testo |
L'Italia
all'estero. SECONDA CONFERENZA SULLA EMIGRAZIONE
tenuta in Torino per l’Esposizione di Arte Sacra, 1898
(Torino, Tipografia Roux Frassati e C., 1899, pp. 5-26)
Nonostante il clima teso di scontro sociale di fine secolo la proposta di un gruppo di parlamentari, intesa a modificare la legge di emigrazione del 1888, ha progredito secondo le istanze di mons. Scalabrini. Nella lotta contro gli agenti di emigrazione, si associa anche Emilio Visconti Venosta, ministro degli Esteri nel governo Di Rudinì, che trova consenziente pure il successore Felice Napoleone Canevaro. Luigi Luzzatti si occupa della tutela delle rimesse degli emigrati; procede anche il dibattito per una revisione della normativa sulla leva militare. Scalabrini è al corrente di queste iniziative, che tenta di accelerare. La visita alla sezione dell’Italia all’estero, in occasione dell’Esposizione di Arte sacra a Torino nel settembre 1898, offre un’occasione propizia per parlare dei problemi dell’emigrazione, pur nell’amara constatazione che l’opera di assistenza ai migranti in Italia si trova ancora, purtroppo, “quasi nel completo abbandono” da parte della patria. Eppure l’emigrazione è uno dei fattori più importanti della vita italiana del tempo. Del resto il fenomeno è legge di natura; ha una valenza positiva: fa patria dell’uomo il mondo.
Scalabrini ritiene l’emigrazione interna incapace di assicurare posti di lavoro a una popolazione in continua espansione demografica; né pensa a quella militare, soprattutto dopo i disastri africani. Guarda all’emigrazione all’estero; ma assistita. La legge del 1888 va cambiata, perché autorizza facili arruolamenti e speculazioni. Il militarismo italiano, comprensibile forse in altri tempi, è giudicato anacronistico e dannoso nei confronti degli emigrati e anche degli aspiranti al sacerdozio. Osserva che la legge, trattando da disertori gli italiani che vivono all’estero, impedisce che i figli di connazionali visitino la patria avviando anche rapporti economici e commerciali. I tre anni di servizio militare imposti ai chierici privano di un aiuto prezioso le missioni dove l’Italia fa sentire pure la sua azione civilizzatrice.
Scalabrini conclude presentando come esempio di valida testimonianza missionaria la fondazione dell’orfanotrofio “Cristoforo
Colombo” a San Paolo del Brasile per opera di padre Giuseppe Marchetti, morto prematuramente nell’assistere gli emigrati italiani.
Signore e Signori,
Visitando la vostra bella Esposizione io mi soffermai con particolare compiacenza nella Sezione dell’Italia all’estero, ammirai i lavori delle scuole e i prodotti delle industrie de’ nostri connazionali stabiliti nelle diverse parti del mondo, e meco stesso mi rallegrai del loro progresso morale ed economico, e più del sentimento che li mosse a partecipare alla nobile gara del lavoro indetta dalla madre patria.
Io vorrei, o signori, che questo fatto non passasse quasi inosservato, come un episodio comune della nostra vita industriale, ma che valesse a richiamare l’attenzione de’ governanti e delle classi dirigenti su quello appunto che io chiamo “l’Italia all’estero”. Essa è andata formandosi a poco a poco, quasi nel completo abbandono della patria, ed ha saputo, in paesi stranieri, acquistarsi una posizione economica e morale distinta, e diventare uno de’ fatti più importanti della presente vita italiana; importante pel numero de’ cittadini che la compongono, pei quesiti religiosi e sociali che involge, pel malessere economico che la produce, pei commerci e le industrie e le istituzioni scolastiche e di presidenza che seppe attivare, per le correnti di simpatia o di antipatia che può attirare su di se stessa e sul nostro Paese.
Dalle statistiche ufficiali, e più da un pregevole studio «Colonie ed Emigrazione» pubblicato dal Ministero degli Esteri, tolgo i dati che confermano queste mie affermazioni.
Gl’italiani che vivono all’estero sparsi nel mondo, nelle varie città del Mediterraneo, del Sud o del Nord e della lontana Australia, negli arsi campi africani, come nelle praterie sterminate della Pampa e degli Stati Uniti, sono circa tre milioni. E questo immenso esercito di lavoratori è alimentato di anno in anno da una grossa corrente migratoria che tocca i 400.000. Sono circa 200.000 gli emigranti temporanei, vero flusso e riflusso di viventi, che forniscono ai lavori internazionali una mano d’opera intelligente ed operosa e riportano in patria un sudato risparmio e lode meritata: e quasi altrettanti sono quelli che formano la emigrazione permanente, sospinti lontano dalla lotta per la vita, e passano l’Oceano colla speranza di rapida fortuna, ma che finiscono nella gran maggioranza ad adagiarsi nel paese ospitale e a formare se non per se stessi, pei loro figli, una patria nuova.
Sono più di 700 le Società di Mutuo soccorso, di previdenza e di
beneficenza fondate dai nostri connazionali all’estero, con soci numerosissimi e grossi capitali risparmiati.
Sono circa 150 le scuole governative, religiose e coloniali, frequentate da ben 30.000 alunni che imparano da maestri italiani la storia e la lingua del nostro Paese.
Queste cifre, o signori, non hanno bisogno di lungo commento. Esse ci dicono che cosa è la emigrazione italiana e che cosa potrebbe diventare, quando fosse ben diretta, aiutata e difesa, e costituiscono nel loro insieme un conforto, un rimprovero e un ammaestramento. Se noi faremo sì che questa lezione non vada perduta e che non finisca in una sterile querela, ma sia principio di un’azione razionale e pratica della madre patria verso i suoi figli lontani, noi avremo compiuta un’opera altamente meritoria.
Ed è per questo, o signori, che io di buon grado accettai l’invito fattomi dal valoroso e benemerito Comitato dell’Associazione Nazionale a favore dei missionari cattolici italiani, di parlarvi dei bisogni della nostra emigrazione e dei nostri doveri verso la stessa, persuaso che le mie parole piglieranno forza e autorità dalla città forte e tenace nei propositi in cui sono dette, e da voi, o signori, che con benevolenza così gentile mi ascoltate.
E un altro sentimento mi mosse a parlarvi in questi giorni della nostra emigrazione, un sentimento formato di pietà e di sdegno. Il nefando delitto compiuto testé su una vittima augusta e innocente, già sacra alla sventura, da un senza patria cresciuto in Italia, ha dato pretesto in vari paesi a minacce e persecuzioni, a caccie all’italiano, da parte di plebaglie briache d’odio di razza e di malcelate ire contro lavoratori concorrenti, più abili e più apprezzati.
È bene che sappiano que’ nostri connazionali, costretti a vivere fra tanti pericoli, che l’occhio della patria li segue, che li sa, nella grandissima maggioranza, buoni ed operosi, che li apprezza e li ama come parte viva di sé e che non li confonde co’ pochi delinquenti che si annidano tra loro come serpe tra i fiori.
Innanzi di entrare in argomento, permettetemi, o signori, che io saluti, in nome mio e vostro, il venerando apostolo dell’Eritrea, Padre Michele da Carbonara, che vedo con gioia fra noi. Dio gli conceda e forza e vita per condurre a compimento i suoi nobili disegni a vantaggio della Religione e della Patria.