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Silvano Tomasi – Gianfausto Rosoli
Migrazioni moderne

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MEMORIALE PER LA COSTITUZIONE
DI UNA COMMISSIONE PONTIFICA
PRO EMIGRATIS CATHOLICIS
(1905)

 

L’istanza alla Santa Sede per l’istituzione di un organismo unitario e centrale che provveda all’assistenza degli emigrati di ogni nazionalità emerge per la prima volta nella lettera di Scalabrini del luglio 1904 a Pio X, durante la visita alle missioni del Brasile. Nel marzo dell’anno successivo il Segretario di Stato, cardinale Raffaele Merry del Val, esprime al vescovo di Piacenza delle riserve su tale iniziativa: il Pontefice vorrebbe una delineazione più precisa del programma e l’indicazione delle persone che dovrebbero costituire la commissione. Scalabrini risponde a queste perplessità con il memoriale del 4.5.1905. Forte dell’esperienza personale e di quella dei suoi missionari, Scalabrini parla di milioni di immigrati che hanno perduto la fede per la mancanza di un’assistenza spirituale, mentre invece rifiorisce la pratica religiosa in popolazioni intere per l’opera di una generosa azione missionaria. Gli stati europei, nella colonizzazione, assistono i loro connazionali all’estero; la Chiesa deve fare altrettanto organizzando l’apostolato tra i migranti delle singole nazionalità e sviluppando la scuola. Il clero sia della stessa etnia o almeno parli la medesima lingua.

Scalabrini spiega la necessità di un organismo coordinatore unitario e centrale, inedito per la Chiesa, perché fenomeni nuovi, come i movimenti migratori, devono essere affrontati con istituti nuovi. La commissione dovrebbe essere costituita dai rappresentanti ecclesiastici competenti delle nazioni che danno il maggior contributo all’emigrazione, e diventare il punto di riferimento per i sacerdoti che intendano assistere i migranti e per i vescovi che richiedano sacerdoti per lo stesso scopo. Sono delineati in modo dettagliato i compiti della nuova istituzione, alle cui esigenze economiche dovrà provvedere una questua annuale in tutto il mondo. L’inserimento della Commissione nei dicasteri vaticani darebbe a milioni di emigranti la certezza che il Papa, Padre comune, si interessa di loro. Scalabrini, riportando alcune espressioni del presidente americano Teodoro Roosevelt,


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si mostra sensibile a tutte le confessioni religiose che devono concorrere a salvare l’emigrante.

In una successiva lettera al card. Merry del Val, due settimane prima della morte, il vescovo di Piacenza afferma che la Commissione si potrà creare con facilità se ci si rivolgerà di preferenza ai religiosi impegnati nell’assistenza ai loro connazionali all’estero. Propone la presenza di tre missionari della congregazione di S. Carlo e di altri religiosi che si trovano a Roma.

 

E.mo Principe

Ho l’onore di presentare all’alto senno di V. E. alcune considerazioni e proposte riguardanti le condizioni presenti e future del Cattolicesimo nelle due Americhe.

Osservazioni e proposte sono il frutto di lunghi studi fatti nei luoghi e più della esperienza di benemeriti missionari e di illustri prelati i quali alla diffusione del cattolicesimo in quelle regioni hanno consacrato tutta la loro vita.

Mai come ora, nell’atto di scrivere di tale argomento, mi sono sentito compreso da maggior commozione ed ho invocato con maggior intensità di affetto i lumi del Cielo e la grazia di quella eloquenza, che viene dallo splendore della parola  materiata di cifre e di fatti per poter trasfondere negli altri gli intimi convincimenti miei su questo importantissimo argomento.

Quello che io vidi ne’ miei viaggi attraverso gli Stati Uniti del Nord e del Brasile mi sta dinnanzi come fosse presente e le emozioni che provai non si cancelleranno più mai dal mio cuore.

Ho visitato popolose città e collettività nascenti, campi fecondati dal lavoro e immensi piani non tocchi dalla mano dell’uomo, ho conosciuto emigranti che avevano toccato il fastigio della ricchezza, altri che vivevano nell’agiatezza, e più l’oscura immensa falange dei miseri, che lottano per la vita contro i pericoli del deserto, le insidie dei climi malsani, contro la rapacità umana, soli in un supremo abbandono, nell’inopia di tutti i conforti religiosi e civili e di ogni cosa; ho sentito i cuori palpitare all’unisono col mio quando io parlava loro col linguaggio patrio in nome della fede comune.

Ho veduto, spettacolo doloroso, la fede spegnersi in milioni di anime per mancanza di alimento spirituale, e anche purtroppo!, per indegnità de’ suoi ministri.

Ho veduto rifiorire in intere popolazioni, come una primavera delle anime, sotto il soffio di un santo apostolato, le pratiche della vita cristiana e le ineffabili speranze della religione.


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Ho veduto, in una parola, che se la Chiesa di Dio non ha in quelle regioni maggior importanza di quella che ha ora, sia nella direzione della vita collettiva, sia in quella individuale; se le anime si perdono a milioni, lo si deve in gran parte, più che all’attività, pur grande, dei nemici della viva fede, alla mancanza di un lavoro religioso bene organizzato e bene adatto ai singoli ambienti e alla deficienza del clero, e mi sono fatto la ferma convinzione che è urgente di provvedere e che è grave errore, per non dir colpa, di tutti noi preposti al governo della Chiesa di lasciare che si prolunghi uno stato di cose, causa di tanta iattura alle anime e che sminuisce in faccia ai nemici di Dio l’importanza sociale della Chiesa Cattolica.

Uno dei fatti della storia moderna di indole politico-sociale e quindi religiosa (poiché i fatti umani, nella loro infinita varietà, rispecchiano sempre l’unità psichica, da cui emanano) è certamente la presa di possesso, da parte delle nazioni europee, di tutti i continenti abitati da razze, ritenute o tardigrade o refrattarie alla civiltà e appartenenti, in fatto di religione, alle forme più  basse dell’idolatria.

E per tenermi nell’argomento di queste mie considerazioni, la conquista delle Americhe sulle razze indigene fu ne’ suoi effetti politici, sociali e religiosi veramente sorprendente.

L’America, tutti lo sanno, è uno dei continenti più vasti del mondo: si estende per 40 milioni di chilometri quadrati, cioè quattro volte l’Europa e si protende nei due emisferi quasi divisa a metà dall’equatore, toccando al Nord il circolo polare e giungendo al sud fino al 60° grado di latitudine; in modo che ha tutti i climi dal torrido a quello gelato, passando per le zone subtropicali e temperate, e di tutti i climi ha i prodotti e le ricchezze.

Bagnata da tre grandi Oceani, ricca di tutto quanto la fertilità della terra e la industria umana può dare, l’America ha nella sua configurazione, ne’ suoi golfi, nelle sue baie così ampie e così sinuose, ne’ suoi grandi fiumi navigabili per milioni di chilometri, i posti e le vie naturali preparate ai popoli dalla Provvidenza, la quale volle serbata per ultimo alla umanità civile questa culla, ove le diverse stirpi potessero avviarsi come a comune terra promessa e dove fondarvi, moltiplicarsi e progredire a loro vantaggio e a maggior gloria di Dio.

Attualmente l’America ha 18 Stati indipendenti, retti a repubblica e diversi possedimenti coloniali appartenenti a Stati europei con una popolazione di circa 150 milioni; ma dando a quel vasto continente la diversità della popolazione d’Italia (anche sottraendo dal computo le zone equatoriali e polari), esso potrà contenere più di 2.500 milioni di abitanti, cioè un terzo di più di quanti ne sono ora sparsi in tutta la superficie della terra.


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Tutti i popoli hanno contribuito a formare queste nazionalità e coi computi statistici si potrebbe stabilire in qual misura il sangue di ciascun popolo europeo entra a formare il tipo americano.

Così agli imperi primitivi degli Incas, degli Atzechi, dei Quichnos, dei Guarany, alle tribù vaganti dei Pellirossa del Nord e alle innumeri, che scorrazzavano nel Sud, senza nome e senza sedi fisse, sono ora successe genti civili e popolose città.

Le forme della immigrazione europea in America, dopo il periodo breve e bellicoso della conquista, sono affatto diverse da tutte le altre immigrazioni registrate dalla storia.

Non orde di popoli barbari, che seminano stragi e rovine, ma falangi di pacifici lavoratori, che cercano in paese altrui fortuna e oblio. Non più l’impeto di una fiumana che tutti travolge, ma il dilagare placido delle acque che fecondano. Non più soppressioni di popoli, ma fusioni, adattamenti, nei quali le diverse nazionalità si incontrano, si incrociano, si ritemprano e danno origine ad altri popoli sui quali, pure nella dissomiglianza, come a tipo di una stessa gente, predominano caratteri determinati e determinate tendenze religiose e civili.

Una tale emigrazione rispecchia una legge di natura. Il mondo fisico come il mondo umano soggiacciono a questa forza oscura che agita e mescola, senza distruggere, gli elementi della vita, che trasporta gli organismi nati in determinati punti e li dissemina per lo spazio, trasformandoli e perfezionandoli in modo da rinnovare in ogni istante il miracolo della creazione.

Ed è in forza di questa legge che l’America è diventata da un secolo il gran crogiuolo delle vecchie nazioni europee e pare destinata ad esercitare un’alta influenza sui destini dell’umanità.

Questo fatto grandioso economico e politico, che ebbe principio nel secolo XIX e che si prolunga nel XX, spiega il grande interesse che i Governi europei dimostrano nel seguire ciascuno la sua emigrazione nei diversi Stati americani e nel sussidiare società di protezione, di previdenza, di beneficenza, di istruzione, istituti di collocamento, osservatori commerciali, nell’incoraggiare insomma tutte quelle istituzioni, che trasformano la emigrazione di un paese, da informe aggregato in un organismo vivente, nel quale palpita il sentimento nazionale degli espatriati e pel quale si mantiene viva la simpatia per la patria di origine nelle propaggini americanizzate.

La Chiesa Cattolica è chiamata dal suo apostolato divino e dalla sua tradizione secolare a dare la sua impronta a questo grande movimento sociale, che ha per fine la sistemazione economica e la fusione dei popoli cristiani.


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Come sempre e dovunque essa, anche in questo grande conflitto di interessi, ha una bella e nobile missione da compiere, provvedendo prima all’incolumità della fede, alla sua propagazione e alla salvezza delle anime, per assidersi poi, madre comune e regina, fra i diversi gruppi, smussando gli angoli delle singole nazionalità, temperando le lotte di interessi delle diverse patrie, armonizzando, in una parola, le varietà delle origini nella pacificatrice unità della fede.

Nessuno può contendere alla Chiesa quel posto di madre e moderatrice di popoli, che le spetta per diritto divino e per consenso universale, poiché tutti i cattolici credono e tutti i non cattolici di buona fede ammettono la verità dell’assioma che ove è la Chiesa, ivi è l’opera immutabile di Dio misericordioso: Immortale Dei miserentis opus, quod est Ecclesia...

Le considerazioni, i fatti e le cifre citate ci portano naturalmente a porre il quesito: Che deve fare la Chiesa per tener vivo ed alacre il sentimento religioso e salda la fede cattolica in quei popoli, ai quali si apre, ricco di tante promesse, l’avvenire e ai quali annualmente i popoli cattolici di Europa mandano un così largo contingente di emigranti?

La domanda è semplice, ma non così la risposta, la quale per essere adeguata, deve essere varia e comprensiva a un tempo, generale e particolare; generale cioè, per la autorità da cui emana, particolare e varia a seconda degli ambienti in cui deve applicarsi, ai diversi bisogni, ai quali intende provvedere, alle leggi, ai costumi dei singoli paesi e, sarei per dire, delle singole collettività cristiane, che si vanno formando.

Procurerò di esser breve, esponendo il mio pensiero in forma sintetica.

La Chiesa, fin dai primi tempi della scoperta, esercitò nell’America il suo apostolato, frenando la cupidigia e crudeltà dei conquistatori e civilizzando gli indigeni. Valga per tutto la lotta sostenuta dal clero in difesa dei medesimi e le collettività cristiane create fra i Guarany nelle missioni del Paraguay, vasto impero politico religioso, ammirato anche da scrittori poco teneri del Cattolicesimo e non a torto chiamato la repubblica dei Santi.

Ma in seguito, colpa dei tempi, l’azione del clero si confuse troppo coll’azione politica, e il potere politico coloniale nella America latina era tutto ciò che si può immaginare di sgoverno stoltamente tirannico e rapace non solo verso gli indigeni, ma anche verso le propaggini americanizzate. Il detto che un ciabattino europeo aveva diritto di governare una colonia più di qualunque anche illustre creolo, diventò un assioma di quei governi coloniali, i quali parevano costituiti a bella posta per alienare dalla madre patria quelle nascenti popolazioni e


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destare un senso di ostilità per tutto ciò che sapesse di europeo. E il divorzio morale andò accentuandosi, finché degenerò in aperta ribellione. E questo stato di animosità e di ribellione politica si rifletteva sulla religione, poiché nella mente dei più il clero era confuso, e spesso lo era di fatto, col potere politico. Si aggiunga a questa causa la scarsezza delle chiese e del clero, e si dovrà necessariamente concludere che il Cattolicismo in quelle regioni era più di nome che di fatto con poco vantaggio morale e religioso sia dei governi sia dei popoli.

Colla emigrazione poi passarono l’Oceano anche molti sacerdoti, ma, purtroppo, salvo rare eccezioni, erano tutto ciò che il clero offriva di avariato in fatto di costumi e là, quasi senza freno colla vita scandalosa e col mercimonio delle cose sante, gettarono il discredito sulla religione e rovinarono popolazioni intere.

Ora si tratta di restaurare anche là ogni cosa in Gesù Cristo.

Molto si è fatto all’uopo; ma è ben poca cosa, di fronte al moltissimo che rimase a farsi.

Le emigrazioni delle varie nazionalità hanno tutte bisogno, dal lato dei pericoli religiosi, della cura vigile e matura della Chiesa. I Polacchi tormentati dallo scisma, i Canadesi in perenne agitazione contro l’autorità episcopale, i Tedeschi del Sud (ove non sono i P. Gesuiti, come a Riogrande do Sul) reclamanti sacerdoti loro connazionali, i Ruteni e gli Italo-greci colla ardente questione del celibato de’ loro preti e con quella dei loro Riti, i Siriani ed altre minori emigrazioni sparse un po’ dappertutto e abbandonate o quasi ecc. ecc.

Ma l’emigrazione italiana, la più insidiata dalle sette protestanti al Nord e al Sud, merita speciale attenzione.

Gli spagnuoli e i portoghesi trovano un largo territorio in cui si parla la loro lingua; gli inglesi e gli irlandesi e i tedeschi hanno colà nei territori britannici una seconda patria, almeno per quanto riguarda la lingua. Solo gli italiani vivono colà, dove non vi sono missionari, abbandonati a se stessi; e vi fu un tempo non lontano nel quale per intolleranza erano mal sopportati perfino nelle chiese!

Nei recenti miei viaggi per quelle regioni ho, torno a ripeterlo, assistito a spettacoli di fede che fanno piangere di commozione ed ho raccolti fatti e aneddoti che mi fanno arrossire in qualità di italiano e di vescovo al pensiero che l’abbandono in cui furono lasciate tante anime abbia potuto verificarsi e che per moltissimi anche oggi perduri!

Non mi dilungherò a toccare questi mali, perché sono noti a tutti; e d’altra parte è vivo nell’Eminenza Vostra, come nel cuore del nostro S. Padre, il desiderio di provvedere.

Permetta, E.mo, che sinteticamente accenni ora anche ai rimedi che a me sembrano più efficaci.


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E, secondo me, il primo rimedio sta’, come sopra accennai, in una sapiente, organizzazione del lavoro di apostolato appunto la’ nelle Americhe, e questa organizzazione dovrebbe emanare dalla S. Sede, autorità non solo indiscussa e indiscutibile, presso tutto il clero cattolico, ma di natura sua universale, e che abbraccia per conseguenza tutte le nazionalità.

Bisogna far in modo che ogni colonia o comunità, ove è densa l’emigrazione, abbia il proprio sacerdote, il quale, vivendo nel centro della colonia, possa opportunamente e periodicamente compiere il giro di missioni nel territorio assegnatogli.

E questo lavoro religioso dev’essere completato con quello della scuola, nella quale i figli degli emigrati possono apprendere, insieme ai rudimenti del leggere, dello scrivere e del conteggio, la lingua del paese che dev’essere la loro nuova patria, e la lingua della patria d’origine, poiché un elemento attivissimo della conservazione della fede è appunto la conservazione della lingua d’origine. Qual ne sia la ragione arcana non è il luogo di investigarla; ma la esperienza quotidiana ci dice che sino a che un individuo, una famiglia, una colonia conserva la propria lingua, difficilmente muta la propria fede.

Per le scuole si possono adoperare le suore, ed io le ho esperimentate con successo in alcune colonie del Brasile ed anche nei centri urbani.

E poiché, fra quelle giovani collettività, il bene non deve mai essere scompagnato dall’utile, sarà buona cosa in molti punti, di supremo abbandono, stabilire accanto alla chiesa e alla scuola, un dispensario farmaceutico, esercitato dalla suore stesse o dal missionario, che al mite prezzo di costo favorisca i preparati farmaceutici, di uso comune, ai sofferenti.

Così si concentrerebbe intorno al clero la moltiforme azione dell’assistenza religiosa, civile, materiale, e la Chiesa passerebbe  benedetta fra quelle popolazioni, e una volta di più si avvererebbe che, a somiglianza del suo divino Fondatore, ella pertransiit benefaciendo et sanando omnes.

Fin qui per l’America del Sud.

Per l’America del Nord, i pericoli di perdere la fede sono più grandi, poiché a quelli già accennati della mancanza di assistenza si aggiunge il proselitismo delle sette protestanti, colassù, più che altrove, attive, numerose, ricche di mezzi e potenti.

Le perdite fatte negli Stati Uniti, per mancanza di assistenza religiosa, sono immense. Secondo i calcoli statistici, due terzi della popolazione attuale di quegli Stati, cioè circa 50 milioni, proviene dalla immigrazione delle diverse nazioni di Europa e, cosa dolorosa, benché


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una buona parte di tale immigrazione venga da paesi cattolici, attualmente il Cattolicesimo non vi è rappresentato che da circa 12 milioni! Ora non v’ha dubbio che i cattolici degli Stati Uniti potrebbero essere assai più del doppio di quello che vi sono al presente, solo che si fossero conservati cattolici quelli che vi emigrano, e questi si sarebbero conservati tali, ove al loro arrivo avessero trovato o trovassero in seguito i necessarii soccorsi religiosi, poiché gli emigranti, in generale, conservano tenacemente tutto ciò che ricorda loro la patria d’origine e la fede avita.

Ma pur troppo il clero nord-americano è insufficiente per numero, ed ha per giunta la difficoltà della lingua, difficoltà doppia da parte degli immigrati, massime di stirpe latina per apprendere l’inglese, e difficoltà del clero anglo-sassone di apprendere le lingue neolatine.

Ora i rimedi, oltre a quello già accennato dell’invio di preti in numero sufficiente e ben preparati, sarebbero:

1. Istituzione di parrocchie a seconda delle singole nazionalità ogni qual volta i cattolici sieno in grado di sostenere le spese inerenti ad una tale istituzione, sia pel sostentamento del clero, sia per l’esercizio del culto.

La legge degli Stati Uniti è altamente e veracemente liberale e accorda i diritti civili a qualunque associazione parrocchiale senza distinzione di nazionalità.

La esperienza fatta in parecchie città della istituzione di parrocchie italiane, basterebbe a provare quanto valga questo mezzo semplicissimo a ravvivare la fede e il desiderio delle pratiche religiose anche in individui che ne parevano più alieni.

2. Nei centri ove coesistono diverse nazionalità, senza che nessuna di loro sia in grado di formare una parrocchia, si dovrebbe valersi di clero misto, collo stretto obbligo di impartire l’istruzione agli adulti e l’insegnamento catechistico ai fanciulli nella lingua di ciascuno.

3. Che il clero sia possibilmente della nazionalità dei parrocchiani, o almeno ne parli la lingua.

4. Che vi sia anche qui in ogni parrocchia una scuola, ove insieme alla lingua inglese e agli elementi della istruzione, si insegni la lingua d’origine.

L’istituzione di queste scuole parrocchiali è di prima importanza, non solo per valersi del sentimento pratico, vivissimo negli espatriati, a beneficio del religioso, ma anche per sottrarre i giovani all’influenza della scuola americana, la quale, per il suo metodo di perfetta indifferenza riguardo alla religione, assume il carattere di scuola ateistica.

E così io già ho tracciato gran parte di quello che dovrebbe formare


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lo studio e il lavoro della proposta Commissione o Congregazione centrale Pro emigratis catholicis.

La necessità di una tale Commissione e i vantaggi che può apportare sono evidenti. A fenomeni nuovi, organismi nuovi, adeguati al bisogno. Le istruzioni e le disposizioni isolate, per quanto si vogliano sapienti, non bastano, poiché è umano che le une e le altre senza organismo che le faccia eseguire e le mantenga alacri, contano poco. Infatti istruzioni e disposizioni in questo senso furono di già emanate dalla S. Sede, e segnatamente dal Sommo Pontefice Leone XIII di s.a., ma la loro efficacia, per tante cause che qui è superfluo di enumerare, non fu pur troppo quale avrebbe dovuto essere.

Il fenomeno emigratorio è universale, e universale per l’autorità e centrale per posizione vuol essere la Commissione desiderata. L’azione dei singoli Vescovi, ignari gli uni di quello che fanno gli altri, si può risolvere in un disperdimento di forze.

Tutti i Governi europei hanno sentito il bisogno di creare nuovi organismi amministrativi per disciplinare in patria la emigrazione, per seguirla all’estero nelle sue varie direzioni, e più per proteggerla dagli agguati senza numero, che la lotta degli interessi tende ai miseri espatriati.

A più forte ragione, come ognun vede, deve la Chiesa pensare a dirigere e a tutelare i suoi figli, che, emigrando in paesi protestanti o in paesi affatto nuovi (ove manchi un’assistenza religiosa adeguata) perdono la fede.

Solo una Commissione, emanante dalla S. Sede potrà, senza gelosie dei Governi e dell’Episcopato americano, provvedere ai bisogni religiosi delle varie nazionalità, efficacemente contrastare l’opera deleteria delle sette protestanti, massime nei paesi ove queste hanno il predominio, ritornare con saggi provvedimenti i Polacchi scismatici al seno della Chiesa e pacificare le altre nazionalità.

Come dovrebbe essere costituita questa Commissione?

La Commissione dovrebbe essere, a parer mio, costituita dai rappresentanti delle diverse nazionalità che danno il maggior contingente all’emigrazione; cioè di tre italiani, da un polacco, da un tedesco, da un canadese ecc.

La scelta di questi rappresentanti, dovrebbe cadere su persone competenti, molto edotte delle condizioni, dei bisogni de’ rispettivi connazionali emigrati e che sappiano parlare la lingua italiana per facilitare la comunicazione de’ membri con chi sarà chiamato a presiedere la Commissione; e i rapporti con le S. Congregazioni, alle quali dovranno riferire. Ciò si potrebbe facilmente ottenere, rivolgendosi di preferenza alle Congregazioni religiose, che si sono dedicate al servizio dei loro connazionali emigrati.


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Quale dovrebbe essere lo scopo e quale il compito della Commissione?

Suo scopo dovrebbe essere quello di provvedere all’assistenza spirituale degli emigrati nelle svariate contingenze e nei periodi vari del fenomeno, specialmente nelle Americhe, e di tener viva così nel loro cuore la cattolica fede.

Suo compito:

Studiare il complesso e gravissimo problema della emigrazione, preparando anzitutto un questionario  intorno al medesimo e tenendosi bene informata del movimento cattolico migratorio.

Pur rispettando le lodevoli iniziative private, sorte in questo campo, caldeggiare la istituzione di Comitati, interparrocchiali cattolici.

Eccitare a favore dei medesimi lo zelo dei Vescovi e dei parroci e suggerir loro i mezzi pratici per aiutarli, specialmente al momento della partenza dalla patria e dell’arrivo in terra straniera.

Rispondere ai quesiti che le venissero fatti in ordine ai provvedimenti presi o da prendere e appianare le difficoltà che potessero sorgere riguardo all’emigrazione tanto in patria che nei paesi esteri.

Adoperarsi perché gli emigranti abbiano un sacerdote che li accompagni durante il viaggio e soprattutto perché di buoni e zelanti missionari sieno provvedute le colonie, e via dicendo.

Credo utile qualche parola di schiarimento intorno ai tre ultimi punti.

Non tutti i sacerdoti che si dedicano alla cura spirituale degli emigranti, sono forniti delle doti necessarie di zelo, pietà e abnegazione, quali si convengono ad un buon missionario. Molti anzi prostituiscono il loro sacro ministero, diventando veri incettatori di oro, anziché di anime.

È questa una delle ragioni per cui molti Vescovi provano una specie di antipatia pel clero forestiero e della determinazione in cui vennero alcuni di far studiare le lingue ai sacerdoti indigeni per assegnarli poi alle colonie straniere.

Determinazione che praticamente non può dare buoni risultati; sia perché la cognizione delle lingue nazionali, in molti casi riesce insufficiente, quando non se ne conoscono anche i dialetti parlati dalle diverse province, sia perché con la cognizione di una lingua, non si acquista il carattere del popolo che la parla.

Di qui appare quanto sia importante la scelta del clero, cui si deve affidare la cura spirituale delle colonie.

La Commissione potrebbe facilmente provvedere a questo bisogno, se  a lei ricorressero tutti i sacerdoti desiderosi di recarsi in missione fra le medesime, ed i Vescovi, i quali abbisognassero di missionari per gli stranieri stabiliti nelle loro Diocesi.

Alla Commissione non riuscirebbe difficile l’assumere nuove sicure


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informazioni sugli aspiranti alla missione e il formarsi un giusto concetto delle loro attitudini, mentre i Vescovi richiedenti dovrebbero stimarsi fortunati di ricevere sacerdoti approvati e raccomandati.

Né si obbietti che a ciò provvede la S. C. del Concilio, almeno pei sacerdoti italiani, in forza dei noti recenti decreti. Essa non rilascia permessi di partenza, se il sacerdote non è munito antecedentemente di un attestato di accettazione rilasciato dal Vescovo, presso cui intende recarsi. Ed ecco come si solleva la diffidenza de’ Vescovi, i quali non possono tener calcolo di domande, inviate loro da preti che essi non conoscono.

A tutto ciò la Commissione potrebbe ovviare, quando essa si collocasse, come intermediaria, tra i sacerdoti aspiranti alla missione ed i Vescovi che avessero bisogno dell’opera loro.

È un fatto consolante il constatare come da qualche anno in qua i Vescovi si siano adoperati per provvedere di sacerdoti gli emigrati. Ma è altrettanto doloroso il pensare come essi abbiano per lungo tempo trascurato affatto gli interessi religiosi di tante centinaia di migliaia di anime.

Lo sanno i valorosi missionari, che primi accorsero a prestare l’opera loro alle colonie. Quante diffidenze dovettero vincere, con quanta freddezza vennero accolti, quante difficoltà ebbero a superare, quante volte l’opera loro fu respinta con sdegnoso rifiuto!

E anche oggidì, nonostante questo santo risveglio da parte dei Vescovi in generale, se si pensa a quanto ancora resta da fare, ben si vede quanto poco siasi fatto finora.

Toccherebbe alla Commissione il seguire le grandi correnti migratorie, classificare le colonie, dalle più grandi che contano le centinaia di migliaia di membri, alle più piccole; numerarne le chiese, i sacerdoti addetti alla loro cura, ed esigere che si provveda dove non s’è provveduto, venendo in aiuto dei Vescovi col consiglio, con le esortazioni, con l’inviar loro buoni sacerdoti, col sollecitare le congregazioni religiose a prestare il loro valido aiuto; con tutti quei saggi mezzi che la Commissione potrebbe trovare con uno studio assiduo, diligente, amoroso.

La Commissione manderà i suoi membri sui posti per accertarsi de visu sul modo con cui si provvede ai bisogni spirituali degli emigrati, e non si accontenti dei rapporti inviati dai Vescovi, rapporti che il più delle volte rivelano, non già le reali condizioni delle colonie, ma soltanto le buone intenzioni di chi li ha compilati.

Quanto alle difficoltà che insorgono così spesso e dovunque è da osservare, come queste derivino quasi sempre dalla diversità delle lingue, dalla differenza di carattere, di usi e costumi diversi e da cento


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altre cause. Difficoltà che non soppresse a tempo, sono causa di attriti, soprusi, ripicchi, discussioni; tutto a scapito del bene delle colonie e delle chiese, e a vantaggio delle sette dissidenti, che se ne valgono, come di arma, per denigrare la Religione cattolica e il clero.

E anche in questi casi i membri della Commissione, recandosi sul posto, potrebbero con facilità e sicurezza rendersi ragione della causa dei disordini, riferirne alla Commissione e prendere dei provvedimenti immediati.

È vero che vi sono le S. Congregazioni incaricate per dirimere le questioni, che possono sorgere in simili casi. Ma la sapiente abituale lentezza, con cui si suole procedere nel disbrigo di questi affari, dovuta in gran parte alle enormi lontananze, la solennità che assumono queste questioni, quando vengono portate davanti ad esse, le difficoltà di avere pronte e sicure notizie, il non conoscere l’ambiente dove le questioni si svolgono, sono tutti incagli, che servono molte volte a mantenere a lungo uno stato di cose che pregiudica gravemente gli interessi delle parti contendenti.

La Commissione dovrebbe anche studiare con grande diligenza i mezzi per contrapporre un argine alla propaganda attiva, insistente che i protestanti fanno, in modo speciale, tra gli Italiani negli Stati Uniti, e non senza successo. Oh! quante cose dolorose si potrebbero metter in luce a questo proposito!

Un altro fatto doloroso che dovrebbe richiamare l’attenzione della Commissione è il moltiplicarsi delle Chiese, così dette indipendenti nelle colonie polacche.

Da quanto si è fin qui sommariamente esposto e  dal molto che ancora si potrebbe scrivere, quando si volesse studiare la questione con maggior profondità, è facile il comprendere quale vasto e pratico campo di azione sia riserbato alla Commissione che si sta progettando.

E niuno può dubitare della felicissima impressione che la costituzione di una simile Commissione, produrrebbe sull’animo di tanti milioni di poveri emigrati, nell’anima de’ quali ormai è entrata la scoraggiante persuasione, benché falsa, che il loro Padre comune, il Sommo Pontefice non si interessa della loro sorte.

Come rendere efficace la Commissione?

L’efficacia l’avrebbe già in sé, come dissi, per l’autorità che le verrebbe dalla S. Sede Apostolica, e l’aumenterebbe poi colla opportunità e sollecitudine de’ suoi provvedimenti, coll’insistere presso i Vescovi perché facciano eseguire quanto verrà prescritto, col richiedere ogni anno il resoconto di quello si sarà fatto in ordine al fine inteso, col mandare sul posto a quando a quando qualche speciale incaricato, coll’accordare ai più operosi qualche distinzione ecc.


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Si dovrebbe poi ordinare una questua annuale in tutte le chiese del mondo per costituire un fondo di cassa, prelevandone una parte per il retto funzionamento della Commissione stessa, e destinando il rimanente per l’assistenza degli emigrati.

Come Leone XIII s.m. la ordinò per la tratta dei negri, non potrebbe il regnante Pontefice ordinarla per la tratta dei bianchi?

Per questa certamente darebbero tutti e darebbero volentieri, perché qui il bisogno è più facilmente compreso e più sentito.

Sarebbe pur bene, secondo me, destinare per quest’opera di interesse generale, parte almeno dei proventi che si potrebbero ricavare dalle nuova edizioni riservate, per es. dei libri liturgici, del catechismo ecc. Nessuno ci avrebbe ragionevolmente a ridire.

Trattandosi del resto di un’opera intesa unicamente alla maggior gloria di Dio e alla salvezza di tante anime, potrebbe Dio non aiutarla?

Conchiuderò con le seguenti importantissime parole di Teodoro Roosevelt, tolte dall’ultimo fascicolo della Revue di Parigi:

«Per tutti è cosa grave e insieme pericolosa strapparsi dal suolo, dalla regione dei padri dove si erano fisse le radici della propria famiglia, e trapiantarsi in un paese nuovo. Bisogna che l’immigrante vi riceva tutto l’aiuto, che non può essergli più efficacemente fornito che da coloro i quali sono in condizione di accoglierlo in nome della fratellanza spirituale. Quindi meglio di ogni altro la Chiesa può concorrere all’elevazione e al progresso di tanta gente che arriva fra noi.

Io credo e sono convinto che il primo dovere della Chiesa è di vegliare perché l’immigrante, e specialmente l’immigrante del vecchio mondo (venga dalla Scandinavia, dalla Germania, dalla Finlandia, dall’Ungheria, dalla Francia, dall’Italia e dall’Austria) non sia spinto alla rovina, senza che una mano amica gli si protenda; senza che tutte le confessioni religiose concorrano a salvarlo e aiutarlo.

Di V. E. Rma

[Scalabrini Vescovo di Piacenza]

Piacenza 4 Maggio 1905




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