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Silvano Tomasi – Gianfausto Rosoli Migrazioni moderne IntraText CT - Lettura del testo |
5. Il sentimento religioso, la religione e le migrazioni
Lo sradicamento dalla propria terra, i rischi e le sofferenze del viaggio e del primo insediamento in un paese straniero dettarono pagine traboccanti di compassione e di sdegno a Mons. Scalabrini e, occasionalmente, alla stampa e ai politici suoi contemporanei. Ma il Vescovo di Piacenza, oltre a passare ad un’azione efficace di informazione, di prevenzione e di protezione, si pone il problema del futuro delle comunità emigrate: l’integrazione, il legame con la patria di origine, la preservazione dell’identità religiosa, tema questo che motiva e guida senza limitarle tutte le sue forme di intervento. Imposta quindi un discorso culturale innovatore, che pur nel linguaggio e con i condizionamenti del tempo, apre delle prospettive originali per capire le esigenze dell’emigrato e darvi delle risposte adeguate. Il punto di partenza dell’analisi di Mons. Scalabrini è il tipo di emigrato che lasciava l’Italia post-unitaria, “gente zotica e ignorante” in cui i sentimenti primordiali giocavano un ruolo chiave. “Nel figlio della gleba il concetto di religione è inseparabilmente unito a quello del tempio e del sacerdote. Dove taccia ogni sensibile apparato religioso, esso dimentica a poco a poco i suoi doveri verso Dio e la vita cristiana del suo spirito illanguidisce e muore.”26 Il mondo contadino e rurale da cui proveniva la quasi totalità degli emigranti era ancorato a tradizioni plurisecolari dove famiglia, religione e comunità si interpenetravano
e creavano un modo di appartenenza socio-culturale e un mondo affettivo che definivano il senso d’identità della persona. Il frequente richiamo di Mons. Scalabrini all’interdipendenza del sentimento religioso e della nazionalità, intesa appunto come la convergenza di tradizioni storiche e di famiglia, comunanza di razza, affetto al luogo natio, glorie e dolori comuni e l’amore di Dio, non sembra essere altro che l’inculturazione della fede e la sua connessione con l’etnicità. La rottura provocata dall’emigrazione disturba antichi equilibri e il normale processo di socializzazione. Scrive Mons. Scalabrini: “Il popolo, che non pensa, e quindi è soggetto a minor varietà di sentimenti, è più tenace nelle tradizioni della persona colta, ma viceversa quando in lui si affievoliscono questi tradizionali sentimenti, questa memoria perenne del luogo natio, che si compendia nella casa paterna, nella Chiesa, nelle sacre funzioni, nel parroco, egli si trasforma radicalmente e si assimila all’ambiente nuovo, oppure perde ogni principio, e diventa un isolato, un uomo a sé, tutto dato alle materialità, senza ideali e senza principi sovrannaturali.”27 L’integrazione nel nuovo ambiente perciò non può prescindere dall’identità etnica e dalla sua dimensione religiosa. Data la condizione sociale e culturale degli emigrati, il passaggio da una identità etnica ad un’altra non potrà avvenire che sostenendo la prima attraverso forme di assistenza agli emigrati che tengano in considerazione “i loro costumi, il loro dialetto, la loro indole.”28 Ne deriva quindi la necessità in particolare di servizi e strutture pastorali specifiche adatte al momento culturale degli emigrati e alla loro esigenza di comunità per esprimere la propria identità con la quale appunto viene preservata anche la fede. Per questo Mons. Scalabrini insiste sul valore di insediamenti, di “colonie”, omogenei di emigrati in Brasile e sulle parrocchie etniche o nazionali negli Stati Uniti come su un clero che “sia possibilmente della nazionalità dei parrocchiani, o almeno ne parli la lingua.”29
Non poteva30 sfuggire però a Mons. Scalabrini che le dinamiche
demografiche e culturali dei paesi di accoglienza avrebbero portato attraverso un lungo e lento lavoro di assimilazione alla formazione di un nuovo popolo. Mentre ammetteva tale risultato per le grandi “migrazioni della forza e del carattere di quelle dei Barbari e dei mussulmani,” avrebbe voluto che nei paesi moderni costruiti dall’immigrazione, pur nella loro unità politica e religiosa, si conservasse la lingua e l’esistenza nazionale degli immigrati. La motivazione è sempre religiosa: “ Non v’ha dubbio che l’idea della nazionalità sia uno di quei sentimenti che sono chiamati ad esercitare larga e talvolta decisiva influenza sulla conservazione o la perdita della fede di un popolo.”31 Durante le sue visite pastorali toccando con mano la scelta definitiva degli emigrati di radicarsi nelle Americhe, Mons. Scalabrini modifica in parte il suo pensiero. Raccomanda agli emigrati: “Osservate i costumi del paese che vi ospita; conformatevi ad essi quanto vi è possibile. Imparate a parlar inglese, ma non dimenticate la vostra dolce lingua materna.”32 Scalabrini però non parla dell’evoluzione di un’identità italiana verso una nuova americana senza che per questo la fede di origine si perda, forse anche perché l’immediatezza del problema migratorio non gli consentiva di anticipare tale sviluppo. È probabile che la spiegazione stia nel suo capire la religiosità come espressione riassuntiva della cultura tanto che raccomandava agli emigrati negli Stati Uniti: “Siate religiosi e sarete veramente italiani.”33
Componente essenziale dell’identità etnica, la religione è sostegno e conforto spirituale, dà continuità all’esperienza del migrante e gli provvede quell’assistenza caritativa che lo Stato magari anche promette ma non adempie. Mons. Scalabrini vede poi la religione come garanzia di convivenza “smussando gli angoli delle singole nazionalità, temperando le lotte di interessi delle diverse patrie, armonizzando, in una parola, la varietà delle origini nella pacificatrice unità della fede.”34 Infine, gettando lo sguardo su un lontano futuro, non solo vede le migrazioni come una forma di espansione missionaria, ma anche un preludio della comunione dei santi nella storia, il compimento della “grande promessa dell’Evangelo: Un solo ovile, un solo Pastore.”35