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Silvano Tomasi – Gianfausto Rosoli Migrazioni moderne IntraText CT - Lettura del testo |
III
Fu allora, o signori, che, in Dio fidando e nella sua Provvidenza, osai tentare qualche cosa. E poiché i guai della nostra emigrazione, a parte quei moltissimi inerenti alla emigrazione in se stessa, derivano dall’abbandono in cui è lasciata e si riassumano in questi: perdita della fede per mancanza di istruzione religiosa, oblio della nazionalità per mancanza di stimoli che tengano vivo quel sentimento, ruina economica perché facile preda alla speculazione, fondai due società che mirassero a diminuire e a distruggere, se fosse possibile, quei mali: due società, una composta di sacerdoti, l’altra di laici; una, religiosa, l’altra civile; due società che si aiutano e si completano a vicenda. È la prima una Congregazione di Missionari, che mira principalmente al benessere spirituale dei nostri emigrati, la seconda principalmente al loro benessere materiale. Quella raggiunge il suo scopo fondando Chiese, scuole, orfanotrofi, ospedali per mezzo di Sacerdoti uniti come in una famiglia coi voti religiosi di castità, di obbedienza e di povertà, pronti a volare - dovunque sono mandati, apostoli, maestri, medici, infermieri secondo il bisogno. Questa dissuadendo l’emigrazione, quando sia avventata, vigilando l’opera degli agenti, perché non passi i limiti della legalità, consigliando agli emigranti e indirizzandoli a buona meta, quando altro non possono.
Impresa certamente colossale per chiunque, ma più per me, o signori, sfornito qual sono di mezzi e di capacità all’uopo. Io pensavo - ed il fatto ha comprovato il mio pensamento - che l’indifferenza nostra era dovuta a mancanza di iniziativa, e ad ignoranza dello stato delle cose e, se si vuole, all’aver la patria nostra perduta l’abitudine di certe opere, più che a mancanza di buona volontà: pensavo, che se una voce, ispirata solo a sentimenti di Religione e di patria carità si fosse levata a scuotere i sonnolenti o gli ignavi, non avrebbe risuonato nel deserto; pensavo che una volontà risoluta contro tanti mali avrebbe trovato anime altrettanto risolute a lottare: pensavo, che l’Italia, che dà sacerdoti eroici alle Missioni, che portano la luce del Vangelo e della civiltà fra le contrade più inospiti e chiamano a piè della Croce i popoli barbari; l’Italia che dà largamente l’obolo suo e la sua influenza alla abolizione della tratta dei negri, non poteva restare indifferente, o peggio sprezzante di fronte alla tratta dei bianchi e a quest’opera di redenzione religiosa, patriottica ed economica, dei nostri fratelli emigrati.
M’era cagione a sperar bene lo spettacolo commovente dato in più occasioni dalla carità cristiana dell’Italia nostra, ogniqualvolta la sventura era venuta col suo dito di fuoco a segnare qualche parte del nostro
paese. Se per asciugare le lacrime di un’ora, i ricchi e i poveri d’Italia gareggiarono, dando i primi, e largamente, il superfluo; levandosi gli altri il pane di bocca; oh che non faranno, quando vengano a sapere esservi laggiù un pianto che dura da anni, e durerà, se non si provvede, di generazione in generazione? quando sapranno esservi laggiù tanta miseria religiosa e morale fra i nostri fratelli da farci credere dagli stranieri una nazione di inerti e di pezzenti? noi, il primo popolo del mondo? Allorché infatti la prima volta io raccolsi il grido di dolore dei nostri poveri espatriati, e chiamai l’attenzione del pubblico sull’opera nefanda dei trafficanti di carne umana, fu un coro di voci, che fecero eco alla mia.
Quando pensai di istituire per gli emigranti queste società, trovai mani plaudenti, cuori aperti, anime generose, volontà energiche pronte all’azione fino al sacrificio.
Primo fra tutti mi è grato ricordare il Sommo Pontefice Leone XIII, nel cui cuore apostolico si ripercuotono tutti i dolori dei suoi figli, che non solo volle accordare all’opera la sua protezione, ma si degnò altresì encomiarla e benedirla, dandole così il più valido appoggio che per me si potesse desiderare. E col Sommo Pontefice, la S. Congregazione di Propaganda, l’Episcopato Italiano, la Congregazione del tanto benemerito D. Bosco, l’Associazione Nazionale di soccorso per i Missionari italiani, l’Episcopato Nord-americano preceduto dall’Arcivescovo di New York, la pubblica stampa d’ogni colore, innumerevoli laici e non pochi di voi, o Signori.
Gli è con questi aiuti morali e un po’ anche materiali, e sopratutto con l’aiuto di Dio, che l’opera ha potuto prosperare.
Ecco ora brevemente il bilancio, dirò così, di quanto si è fatto in questi tre anni.
Si è fondato in Piacenza un Istituto intitolato a Cristoforo Colombo, Casa Madre della Congregazione (già a quest’ora non più adatta né sufficiente all’uopo) ove i futuri Missionari si raccolgono per disporsi al loro santo Apostolato con lo studio e con la preghiera. Partirono a varie riprese, e sono ora sul campo dell’Apostolato, 33 Sacerdoti accompagnati da 27 catechisti, ossia giovani laici, legati essi pure con voti religiosi, e applicati secondo la loro capacità all’assetto delle case, al servizio delle Chiese, delle Scuole, fratelli più che compagni dei Missionari coi quali convivono.
Sono, a quest’ora circa 300.000 gli Italiani affidati alle loro cure, divisi in varie Missioni, al Sud e al Nord d’America. Al Sud una Missione si è aperta in Valvanera nell’Argentina. Nel Brasile: una nel fertile altopiano di Curytiba con 18 Cappelle periodicamente funzionate dai Missionari stessi; tre nella Provincia dello Spirito Santo, ad
Anchietta, a Todos los Santos, e a Santa Teresa. Al Nord altre case e altre Missioni: Tre a New York, ove si sono aperte scuole ed un Orfanotrofio femminile - mercé l’aiuto di una gentildonna italiana colà residente - diretti, sì l’uno che le altre, da quelle sante e benemerite religiose che sono le Missionarie del Sacro Cuore. Ivi per cura dei Missionari si sta ora costruendo un Ospedale Italiano, sicché, mi gode l’animo a pensarvi, i nostri poveri connazionali non saranno più costretti d’ora innanzi a battere alla porta degli Ospedali Protestanti, con sì grave turbamento del loro spirito e pericolo della loro fede.
Spero inoltre in quest’anno di poter incoronare l’idea da tempo vagheggiata di un collegio o seminario per i figli dei nostri emigrati che volessero abbracciare la carriera ecclesiastica e sentissero in qualche grado almeno, il generoso istinto dell’Apostolato. Ben veggo di sobbarcarmi ad un nuovo gravissimo peso, ma la divina Provvidenza che veglia con tenerezza di Madre sulle opere da Lei ispirate, saprà risolvere Essa, anche questo per me arduo problema. Altre Missioni e Parrocchie abbiamo al Nord: New Haven, Providence, Boston, Pittsburg, Cincinnati, Buffalo, New Orleans, Bridgport, Cleveland, Kansas City, S. Luis, centri di attività religiosa, morale, nazionale, e altre se ne vanno preparando. Alle domande insistenti e commoventissime, che di là mi pervengono continuamente, risponderò coll’inviare i Sacerdoti raccolti nell’Istituto della mia Piacenza, facendo voti che Dio mi mandi dei santi e degli eroi. Taccio poi dei Sacerdoti che mercé la generosa cooperazione della benemerita società di navigazione, «La Veloce» si offrono di fare il viaggio in America per accompagnare gli emigranti al loro destino, intelligenti consiglieri, alleviatori, per quanto è possibile, delle mille miserie di bordo, confortatori di malati e di morenti, depositari di importanti interessi, fidi messaggeri di notizie desiderate tra quelli, che se ne sono andati e quelli che se ne sono rimasti in patria. Taccio di parecchi comitati di laici, che si sono già costituiti sotto la presidenza di uomini insigni d’ogni ordine e d’ogni grado, e degli altri che se ne vanno qua e là costituendo, ma tacer non voglio una parola di specialissimo encomio al Comitato sorto con tanta abnegazione in questa illustre Metropoli, dal quale mi venne il gentile invito di questa conferenza, e dall’opera sapiente ed efficace del quale mi riprometto non poco aiuto anche per l’avvenire.
Abbiamo pertanto in tre soli anni di lavoro, un nucleo di Sacerdoti, di catechisti, di suore e di laici formanti come un piccolo esercito di 400 e più persone, tutte intese con intelletto d’amore al benessere religioso, morale, civile ed economico dei nostri fratelli lontani. Ma che è mai tutto ciò, o signori, di fronte al bisogno? Restano ancora 1.800.000 italiani ai quali provvedere almeno l’assistenza religiosa;
1.800.000 italiani, numero che va ogni dì più aumentando; 1.800.000 italiani, centinaia dei quali da ogni parte d’America, quasi si fossero data una parola d’ordine, mi scrivono: Monsignore, abbiate pietà di noi, mandateci un prete, qui si vive e si muore da bestie!