Capitolo
Ventiduesimo - I Saraceni di Federico II
Assisi non era stata soltanto la culla della
povertà francescana, ma era stata anche il nido della superbia ghibellina.
Si diceva, non si sa quanto a ragione, che sull'antica fonte di granito, nel
vecchio Duomo d'Assisi, fosse stato battezzato, dopo di Francesco, figlio di
Pietro di Bernardone, Federico, figlio di Enrico e nipote dell'imperatore
Barbarossa.
Non solo. Il giovane principe tedesco sarebbe stato lungamente ospite nella
Rocca d'Assisi, sotto la protezione del Papa.
Infatti il Papa aveva avuto una grande tenerezza per quel tenero e debole
virgulto della dinastia sveva. L'aveva dai nemici, lo aveva allevato
gelosamente, lo aveva fatto istruire accuratamente e infine era riuscito a
farlo incoronare a soli diciotto anni di età. Ma il giovanissimo sovrano,
travolto dall'ambione, non fi nè riconoscente nè rispettoso verso il Papa.
Appena gli fu possibile si volse contro la Chiesa. Divenne scismatico, eretico,
infedele.
Egli era intelligentissimo. Fu grande letterato e poeta amoroso. I suoi
ammiratori lo chiamavano il "chierico grande". Era anche coraggioso e
valoroso, quant'era ambizioso e prepotente. I suoi nemici lo chiamavano il
"martello del mondo".
Di sangue tedesco, ma innamorato dell'Italia, sogno un grande Regno del sole,
nella parte meridionale della penisola, della Puglia alla Sicilia: una potenza
ghibellina; uno stato nel quelle la sua volontà fosse legge e il suo piacere
fosse sacro. Un esercito di ventimila Saraceni era pronto al suo cenno; un
esercito di guerrieri disciplinatissimi e crudeli. Infedele al vero Dio, ma
fedelissimi all'Imperatore, essi univano alla crudele freddezza dei
settentrionali la sanguinaria ferocia dei meridionali. Denti bianchi, occhi
celesti, carnagioni olivastra, barba rada; altezza di statura, snellezza di
membra; non c'erano guerrieri più temibili dei Saraceni, che Federico II
spingeva dalla Sicilia verso Roma e oltre. Quando, verso il 1240, giunse ad
Assisi la notizia che i Saraceni di Federico II risalivano la valle spoletana,
la città fu percorsa da un lungo brivido di terrore.
Le porte vennero chiuse precipitosamente, dopo il passaggio affannoso di tutti
coloro che, abitando fuor dalle mura, cercavano riparo in città. Dalla Rocca le
scolte vigilavano, esplorando con lo sguardo l'ampia vallata. Soltanto le
"povere donne" di Chiara erano rimaste in San Damiano, senza nessuna
difesa.
Prima d'investire le mure d'Assisi i Saraceni di Federico sarebbero passati su
quel povero convento sperduto tra gli olivi, senza nessun rispetto per il luogo
santo e per le devote abitatrici.
I Saraceni erano guerrieri infedeli d'un sovrano scismatico. Non c'era dunque
da aspettarsi nessun riguardo nè da sperare nessuna pietà. Sul fianco del
Subasio, la città, chiusa dalle mura di pietra calcarea, sembrava più pallida
del solito.
Nella campagna spopolata, la fronda dell'olivo pareva più cinerea del consueto.
Il terrore dei Saraceni di Federico II si diffondeva dovunque, e dagli animi
spaventati si rifletteva sul paesaggio spaurito.
All'orizzonte già s'innalzavano i fumacchi degli incendi, mentre giungevano le
tristi notizie di saccheggi, uccisioni e rubamenti.
Le "povere donne" di San Damiano, dentro il convento, pregavano e
digiunavano. Chiara, sul suo aspro letto, giaceva gravemente malata, quando le
fu annunziato l'arrivo dei Saraceni.
Tra il pallido variare degli olivi si scorgeva il balenio degli elmetti ogivali
e lo svettare delle picche barbariche.
Già qualche volto olivastro, con gli occhi freddi e le labbra carnose,
s'affacciava al muro dell'orto. Grandi colpi scotevano la porta del convento, e
Chiara, quasi svegliandosi, chiese che cosa fossero.
Le risposero, con la voce strozzata, che erano i Saraceni di Federico II.
S'alzò a fatica, dicendo che le fosse portata una teca d'avorio e d'argento,
dentro alla quale era tenuta l'Ostia consacrata. Si fece, con quella in mano,
alla grande finestra che dava sul sacrato, e dal vano mostrò, alto levato, Gesù
Eucaristico, ai guerrieri infedeli del' esercito anticristiano.
E intanto diceva:
-Pregoti, Signor mio, che ti piaccia che queste tue poverelle serve non vengano
alle mani e alla crudeltà d'infedeli e pagani.
Diceva ancora:
-Pregoti, o Signor mio, que guardi anche questa città e le persone le quali per
tuo amore sì ci aiutano e sostentano la vita nostra.
Dala teca d'avorio e d'argento uscì allora una voce, quasi di bambino:
-Io per tuo amore guaderò te e loro sempre. Passò qualche tempo. Dopo di che i
volti dei Saraceni sparirono d'intorno al convento. Tra gli olivi si spensero i
bagliori degli elmetti e le scintille delle lance.
Le scolte d'Assisi attesero a lungo l'assalto dei Saraceni, sotto le loro mura.
La notte non fu turbata da nessun grido di guerra.
E la mattina dopo, le porte poterono essere nuovamente riaperte. La gente uscì,
entrò, sostò tranquillamente.
Una mano, dall'alto, certo in virtù delle preghiere di Chiara, aveva distolto i
capitani di Federico II dall'assedio di Assisi e aveva condotto l'esercito dei
Saraceni per altre vie, lontano dal convento di San Damiano.
|