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S. Chiara d'Assisi
Fioretti

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  • Capitolo Settimo - Madonna Povertà
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Capitolo Settimo - Madonna Povertà

Di lì a poco francesco tolse anche dal monastero di Sant'Angelo la sua seguace e la destinò alla clausura di San Damiano.
Nella chiesa quasi diruta di San Damiano, il Crocefisso aveva parlato a Francesco, dicendo:-francesco, và e ripara la mia chiesa che è tutta guasta e vien meno.
Il giovane aveva creduto che il comando valesse per le mura materiali.Le riparò, perciò, con pietre e calcina.
Poi capì
che il comando di Cristo valeva per altra cosa e che la chiesa era il corpo stesso di Gesù agonizzante sulla Croce.
Gettò ogni ricchezza, rinunziò ad ogni ambizione, si fece volontariamente umile e povero. Sposò-come egli diceva-Madonna Povertà. San Damiano era rimasto,anche restaurato dalle mani inesperte di Francesco, un luogo povero. La chiesa somigliava a quella di Santa Maria degli Angeli, piccola ,oscura, con la volta ad ogiva. Le costruzioni d'intorno potevano adattarsi a convento di poche donne, e più che altro di "povere donne".
A San Damiano così nacque il Secondo ordine francescano, quello femminile, che fu chiamato delle "povere donne".
"Povere donne", e basta, senza nessun'altra denominazione.
"Povere donne ", che vivevano d'elemosina, mangiavano pane accattato,e i più dei giorni digiunavano. Francesco aveva sposato volontariamente la povertà.Chiara volle essere la povertà stessa, la povertà in persona.
In questo senso ella si unì a Francesco, nell'assoluta povertà,voluta, accettata,perseguita per amore del grande povero,padrone signore dell'universo,Gesù.
La vecchia chiesa, dominata dal grande Crocefisso,venne ornata da grande mazzi di fiori campestri.
Dietro l'abside, il coro delle "povere donne", fatto di tavole rozze, neppure piallate.Infisso,tra le pietre dell'impiantito, un palo, attorno al quale girava il leggio rudimentale, illuminato da una lucerna ad olio. Una finestra inferriata dava sulla chiesa, e, attraverso le sbarre di ferro, come recluse, le povere donne ricevevano la comunione.
Da un piccolo chiostro, retto da pilastri senza capitelli, si passava al refettorio basso e scuro. Tavole grezze giravano attorno, senza tovaglia. Lì, ringraziando il Signore, le "povere donne"mangiavano quello che ricevevano in elemosina. Chiara preferiva i tozzarelli di pane.
Un pane intero le sembrava ricchezza troppo grande. Viveva di avanzi, chiedeva gli scarti.
Un pane intero era invece dono completo.
Un'unica camerata, al piano superiore accoglieva le " povere donne". Uno stanzone nudo e freddo, sotto le travi del tetto. Letto letto, un fascio di sarmenti. Per guanciale, un tronchetto di legno. Lenzuoli di canapa rustica e coperte di pezze imbastite.
Piedi nudi ogni stagione; vestiti grossi, legati con corda; testa rasa coperta da un panno bianco e un nero. Sotto le vesti, Chiara portava un cilicio, fatto di pelle di porco, con le setole contro la carne. Povere donne" come più povere non cene potevano essere. In San Damiano Chiara volle il primato della povertà: Non ci doveva essere al mondo un donna più povera di lei.
Nulla era suo; ogni cosa prestata; ogni dono volontario. Povertà volontaria, non solo accettata, ma desiderata come il più ambito dei privilegi. Povertà lieta, contenta di sè; povertà ilare, festosa, non ripugnante nè dolente.
Povertà priva di spine, ma che fioriva come la rosa: sorrideva, gioiva sotto il sole della Grazia. Nessun lamento, nessun sospiro si levava da San Damiano. La povertà, in quel tugurio non doleva , la penuria su quella mensa non faceva languire, il disagio su quei letti non tormentava.
Chiara voleva essere la povertà stessa. Era dunque contenta di sè quanto più povera si faceva; era lieta del suo stato quanto più povera si sentiva.




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