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S. Chiara d'Assisi
Fioretti

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  • Capitolo Nono - Il Bacio alla Servigiale
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Capitolo Nono - Il Bacio alla Servigiale

Tornata a San Damiano, Chiara continuò a far luce attorno a sè.
Scendevano a salutarla le sue amiche della città. Ella ripeteva loro le parole di Francesco: -Povertà calca ogni cosa coi piedi; ella, dunque, di tutto è regina.
Molte restavano a San Damiano, con lei.
Vi restò pacifica di Guelfuccio, che l'aveva accompagnata la notte della Domenica delle Palme alla porziuncola. Era tornata poi in città, ma da quella notte non ebbe più pace, finché non s'unì a Chiara e Agnese.
Poi fu la volta di altre due giovanissime sorelle : Benvenuta e Filippa, figlie di Leonardo di Gislerio : anch'esse nobili, anch'esse ricche, anch'esse belle. A loro s'unirono Illuminata, Angeluccia, Cristiana, Lucia, Benedetta, Beatrice.
Tutte le migliori famiglie d'Assisi vivevano in ansia. Le fanciulle più care al mondo non resistevano al richiamo di San Damiano. Regalavano la loro dote ai poveri, si scalzavano, offrivano i loro capelli al taglio delle forbici, s'incarceravano nel conventino. Al di là di quelle mura, nella povertà più assoluta, provavano la letizia invano cercata nei conviti; trovavano la pace negata dal mondo. Si sentivano felici.
Vivevano come sorelle, o come allora si diceva, "suore", senza invidie e senza gelosie.
Francesco le aveva chiamate " povere donne ", ma già il popolo le chiamava diversamente: "Damianite" oppure "Clarisse". Chiara era infatti la loro guida. Da lei veniva il buon esempio in ogni cosa. A un certo momento, però, Francesco volle che anche le "povere donne" avessero la loro Regola di vita, e che Chiara assumesse l'autorità d'Abbadessa. Per tre anni, sentendosi troppo giovani, rifiutò di fare da superiora, ma quando toccò i ventun'anno, dovette cedere.
Trovò il modo di convertire la sua autorità in un aumento di sacrificio.
Impose alle sorelle di farsi servire da lei, a mensa e in dormitorio. E valendosi della sua facoltà, s'alzava prima delle altre,spazzava, lavava. Curava le ammalate, vegliando la notte quelle più grava. I servizi più umili e ripugnante erano di sua spettanza.
Come superiora, volle avere alcuni privilegi, che consistevano nel lavorare di più e nel mangiare di meno.
Per obbedienza imponeva alle suore di mangiare fino all'ultimo tozzerello di pane, quando l'elemosina era stata scarsa. Toccava a lei restar digiuna. Toccava a lei lavare i piedi alle cosidette "servigiali", alle suore cioè addette ai servizi esterni del convento.
Tornavano coi piedi scalzi o motosi o polverosi, e Chiara voleva che fosse riservato a lei il privilegio di lavarli.
S'inginocchiava dinanzi alle servigiali, compiva la lavanda in un piccolo bacile, asciugava i piedi tumefatti o screpolati con un panno di lino, poi li baciava di sopra.
Un giorno una servigiale, per vergogna, volle sottrarre il suo piede dell'Abbadessa. Con mossa brusca ritirò il piede, ma prese male le misure. Il piede sbattè violentemente sulla bocca di Chiara. Un filo di saliva sanguigna apparve fra le labbra di Chiara, mentre, per il dolore, due lacrimoni scaturirono prepotentemente dai suoi occhi.
La servigiale chiedeva perdono, e si sarebbe voluta gettare in ginocchio.
Ma Chiara sorrideva, nonostante le involontarie lacrime. Riprese il piede della servigiale, accarezzandolo. Poi vi avvicinò di nuovo le labbra; lo ribaciò, ma questa volta, di sotto, sulla pianta callosa.




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