Capitolo
Undicesimo - Ortolana
Ortolana dei Fiumi, vedova di Faraone,
avrebbe desiderato per le propie figlie un onorato matrimonio. Per ognuna aveva
preparato, nel grande palazzo di pietra del Subasto, un cassone di biancheria
ricamata a punto umbro. IN un altro cassone, cosparsa di pepe contro le tarme,
serbava la lana più soffice, comprata nel fondaco di Pietro di Bernardine.
Ma ora le figlie, ad una ad una, seguendo l'esempio di Chiara, erano uscite di
casa, lasciando sola, a guardia di tutta quell'inutile ricchezza.
Chiara, Agnese, Beatrice avevano scelto tesori che la ruggine non poteva intaccare
e le tarme non potevano rodere. I cassoni, nel palazzo cittadino, sembravano
arche di morte, mentre, a San Damiano, l'assoluta povertà spandeva profumo di
vita santa. E un giorno, anche la vedova di Faraone distribuì ai bisogni i
corredi gelosamente conservati; fece rinunzia del suo stato sociale; abbandonò
il suo palazzo e a piedi nudi uscì dalla Porta.
Scese per la viottola tra gli olivi, bussò al convento di San Damiano e chiese
alla propia figlia di accoglierla come una figlia.
Chiara divenne così la madre della propia mamma. Una madre premurosa e
servizievole, ma insieme inflessibile nei riguardi della Regola.
Ortolana, per quanto anziana, al confronto di Chiara sembrava una bambina
impacciata. Nel mondo aveva contratto abitudini e preconcetti che a quando a
quando le riaffioravano sotto il velo.
Chiara la metteva dolcemente in guardia contro il risorgente orgoglio o la
rinascente ambizione di gentildonna.
Annesso al convento si trovava un piccolo appezzamento di terreno. "E quel
terreno - diceva la Regola - non si coltivi se non come orto per il bisogno
delle suore". Ortolana fu addetta a quel terreno. Divenne ortolana di
fatto, ella che era stata nel mondo Ortolana di nome. Le sue mani
aristocratiche s'indurirono di calli, il suo delicato s'incosse al sole, ma tra
le rughe, come tra i solchi dell'orto, anche per la vecchia signora, fiorì la
letizia dell'anima finalmente in pace. A volte Ortolana s'inquietava per una
pianticina uccisa dal gelo o per un ramo stroncato dal vento, ma Chiara la confortava
a fidarsi della Provvidenza.
Nell'orto si rinnovava continuamente il miracolo della creazione, e nel
convento altri miracoli avvenivano, provocato dala fede assoluta che Chiara
aveva nella diretta assistenza del Signore.
Un giorno già era sonata l'ora della cena e in convento non si trovava che un
solo pane. La suora addetta al refettorio non si decideva a scuotere la
campanella. Chiara domandò il perché di quel ritardo.
Stasera faremo digiuno - le rispose la suora Non abbiamo che un solo pane. Non
basterà neppure ai due frati che stanno fuori.
Va'figliuola mia, disse Chiara - e rompilo. Metà dallo ai frati e dell'altra
metà fanne cinquanta pezzi quante noi siamo.
Com'e possibile sminuzzare mezzo pane in cinquanta pezzi? rispose la
dispensiera. Non ne toccherebbe una mollica per una.
Ma Chiara, sicura di sè, ripetè l'ordine. Va', figliola mia, fa' quello che ti
ho detto, e abbi buona confidenza nella Provvidenza di Dio.
E mentre la dispensiera spezzava il pane, Chiara pregava, e il pane aumentava,
diventando sufficiente alla fame delle cinquanta suore digiune. Fuor del
convento, mandati da francesco e scelti tra i più sicuri dei compagni,stavano
sempre alcuni frati alla questua.
Frate Bentivenga era il più assiduo. S'affacciava al muro dell'orto e chiedeva
se avevano bisogno di nulla.
siamo senz'olio - gli disse un giorno Ortolana.
Preparatemi l'orciolo e mettetelo sul muro. Passerò più tardi a toglierlo.
Chiara stessa pensò a preparare il recipiente, passandoci cenere e acqua
bollente. Pose, con le sue mani, l'orciolo sul muri.
Di li a poco Fra Bentivenga ripassò a prender l'orciolo. Fece per toglierlo di
sul muro, ma lo sentì più pesante del solito.
Vi guardò dentro. L'orciolo era pieno d'olio finissimo e limpido. Una
fogliolina d'olivo vi galleggiava sopra, verde, sul liquido verdastro.
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