Capitolo Quindicesimo - Frate Egidio
A San Damiano le "povere
donne" potevano fare a meno delle visite di Francesco, ma non di quelle
dei sacerdoti, confessori e direttori spirituali. Dalla grata del rustico coro,
ogni mattina, le donne ascoltavano la Messa, e tra le sbarre delle mistiche
recluse passava il pane delle anime, l'ostia consacrata sull'altare, dalle mani
del sacerdote.
Francesco aveva cura di destinare al servizio divino di San Damiano i sacerdoti
più degni e i confessori più delicati.
Più tardi, dopo la morte del Padre, fu posto alla direzione spirituale delle
"povere Donne" un inglese di rara dottrina e di finissima intuizione
spirituale. Si chiamava Alessandro d'Ales, e portava nel suo limpido sguardo di
settentrionale la serena calma d'un'anima contemplativa.
Parlava in maniera ordinata e
tranquilla, con delicate immagini ed espressioni lucidissime, nel cui specchio
tersissimo si potevano riflettere le anime sensibili di Chiara e delle sue
compagne.
Quand'egli parlava, nell'oscura chiesetta di San Damiano, pareva che dalla
volta affumicata trasparisse il celeste del cielo, e i gigli dell'altare
emanassero profumi di paradiso.
L'accompagnava delle donne frate Egidio, un autentico contadino, che aveva
udito sul campo l'invito di Francesco e portava nel gruppo dei primi
francescani il rude buon senso dell'uomo della campagna.
Incolto, quanto Alessandro d'Ales era istruito; rude, quanto Alessandro d'Ales
era delicato, pareva che la coppia fosse stata scelta per mostrare come
l'ideale evangelico potesse accomunare due uomini di diversissima natura e di
varia educazione.
In una sola cosa erano uguali, se addirittura il contadino italiano, non
superava lo studioso inglese: nel fervore dell'anima, che in Alessandro d'Ales
si traduceva in un linguaggio delicato e compito; in frate Egidio invece si
traduceva in detti bruschi e in proverbi popolareschi.
Mentre l'inglese parlava, frate Egidio sene stava accoccolato in un angolo
della chiesa, con le gambe incrociate e la testa tonduta sulle ginocchia.
Pareva che dormisse, ma invece ascoltava e meditava. La parola melliflua di
Alessandro d'Ales aveva una dolcezza spirituale che riempiva di gaudio. Ma
appunto per questo, egli temeva che le donne, al di là della grata, ne
ricevessero troppa consolazione.
E allora lo interrompeva:
Cessa di parlare maestro, perché voglio parlare io!
S'alzava da terra, pesantemente, e con gesti goffi usciva in qualcuna delle sue
sentenze:
La via di andare in sù, e andare in giù. Oppure, con la sua aspra voce di
villano, diceva: Potessimo portare addosso una màcina pesante, che tenesse
chino sempre il nostro capo!
Altre volte diceva:
Quando uno litiga con te, se vuoi vincere, tu perdi. Perciò la strada per
vincere è quella di perdere.
E ancora, ricordando il suo antico stato di contadino: Questo mondo è una
campagna tale, che chi ha il podere più grosso ha il peggiore.
Rivolgendosi alle donne dietro la grata, gridava: La nostra carne è il bosco
dove il diavolo fa legna.
Alessandro d'Ales interrompeva umilmente il suo discorso, per ascoltare anche
lui le parole del contadino.
Qualche volta gli pareva frate Egidio, con la sua grossolana ma solida
saggezza, sgarrasse un po' come quando diceva:
Tra tutte le virtù, io sceglierei la santa castità.
Allora il dottore interveniva, discreto: Non e più grande virtù la carità? Il
contadino guardava il dottore con aria furbesca e ribatteva:
E quale cosa è più casta della carità?
Alessandro d'Ales sorrideva e abbassava la testa dinanzi alla irruenza dei
motti egidiani.
E la più bella lezione ch'egli lasciava elle "povere donne" di San
Damiano, era quella dell'umiltà, nel tacere al comando del contadino e
nell'annuire ai suoi detti pieni di semplicità, ma ispirati da una sapienza che
faceva dotti anche i più rozzi.
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