CAPO 14 -- Il modo stesso come vengono
i vostri dei rappresentati nelle tradizioni letterarie e trattati nei loro riti,
ne dimostra la inesistenza.
[1] Anche i vostri riti voglio passare in rassegna. Non dico
come vi comportate nel sacrificare, quando solo animali mezzi morti e
putrefatti e rognosi immolate, quando di quelli ben grassi e sani non troncate
che tutte le parti inutili, teste e unghie, che in casa vostra anche avreste
destinati agli schiavi o ai cani; quando della decima, sacra ad Ercole, nemmeno
la terza parte collocate sul suo altare. Loderò anzi, piuttosto, il vostro buon
senso, che almeno una parte sottraete a quello che va perduto.
[2] Ma se mi volto alla letteratura vostra, da cui alla saggezza
e al compimento dei doveri liberali venite educati, che specie non trovo di
ridicolaggini! Dei che, a causa di Troiani e Achei, come paia di gladiatori,
sono venuti a zuffa tra loro e a combattimento; Venere dalla saetta di un uomo
ferita, perché il figlio suo Enea, in procinto di essere ucciso, al medesimo
Diomede sottrarre voleva;
[3] Marte quasi morto durante tredici mesi di prigionia, Giove,
liberato dal subire la stessa violenza per parte degli altri Celesti, per opera
di un mostro: ed ora in atto di piangere la morte di Sarpedone, ora
vergognosamente in fregola verso la sorella, mentre le amiche precedenti
ricorda non così ardentemente amate.
[4] Continuando, quale poeta, di su l'esempio del suo capo,
disonoratore non si rivela degli dei? Questo Apollo al servizio mette del re
Admeto, per pascolarne le greggi; quello il lavoro da muratore di Nettuno al
salario pone di Laomedonte.
[5] V'è anche un famoso fra i lirici (voglio dire Pindaro), che
Esculapio canta giustiziato col fulmine per colpa d'ingordigia, perché la
medicina disonestamente esercitava. Malvagio Giove, se a lui il fulmine
appartiene; empio verso il nipote, invidioso verso il professionista.
[6] Codesto nè essere tramandato doveva, se fosse vero, nè, se
falso, inventato tra persone religiosissime. Nemmeno i tragici o i comici di
raccontare omettono nei prologhi le disgrazie o gli errori di qualche membro
della famiglia di un dio.
[7] Mi taccio dei filosofi, e mi accontento di Socrate, che, in
disprezzo degli dei, per la quercia giurava, per il capro, per il cane. 'Ma
Socrate per questo fu condannato, perché distruggeva gli dei'. - Certo da un
pezzo, voglio dire da sempre, la verità è odiata.
[8] Vero è che avendo gli Ateniesi, pentiti della sentenza, gli
accusatori di Socrate più tardi punito e una statua di lui in bronzo in un
tempio collocato, l'annullamento della condanna all'incolpabilità di Socrate
rese testimonianza. Ma anche Diogene si prende non so qual gioco di Ercole, e
il cinico romano, Varrone, trecento Giovi introduce o Giuppitri, se così s'ha da
dire, senza testa.
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