CAPO 20 -- Divinità della Scrittura
Santa, provata in base all'avverarsi delle profezie in quella contenute.
[1] Io offro ora di più in compenso di questa dilazione: la
maestà delle Scritture, se non la loro antichità; le provo divine, se se ne
pone in dubbio l'antichità. Né codesto più tardi o da altra fonte apprenderlo
occorre: davanti a noi sta quello che ce lo dimostrerà, il mondo, la
generazione e il compiersi degli eventi. [2] Quanto si fa, era preannunziato, quanto si vede si udiva: il
fatto che le terre divorano le città, che i mari involano le isole, che guerre
esterne e interne dilaniano, che i regni contro i regni cozzano, che la fame,
la peste e tutte le calamità locali e le mortalità spesso frequenti la
devastazione recano, il fatto che gli umili il posto prendono dei sublimi, i
sublimi quello degli umili; [3] che la giustizia si fa rara,
l'iniquità frequente, l'amore per tutte le buone discipline s'intorpidisce; il
fatto che gli uffici pure delle stagioni e le funzioni degli elementi sgarrano,
che da fatti mostruosi e prodigi l'aspetto della natura è sconvolto: tutto ciò
è stato scritto prevedendolo. Mentre lo subiamo, lo si legge; mentre ne
prendiamo conoscenza, ne abbiamo la prova. Testimonianza sufficiente, penso, di
carattere divino l'avverarsi della profezia. [4] Da ciò pertanto tra noi anche sicura diviene la credenza
dell'avverarsi del futuro, ormai - è chiaro - provato, in quanto predetto
veniva insieme con quei fatti che quotidianamente si verificano: le stesse voci
risuonano, la stessa scrittura lo annota, la stessa inspirazione lo pervade: uno
solo è il tempo per la profezia di predire il futuro; [5] tra gli uomini, se mai, viene
distinta, man mano che si avvera, mentre dal futuro il presente, indi dal
presente si separa il passato. Che torto abbiamo - domando a voi - se nel futuro
anche crediamo, noi che attraverso due gradi abbiamo già imparato a credervi?
|