CAPO 27 -- I Cristiani potrebbero
fingere di prestarsi ai riti pagani. Non lo fanno perché non vogliono rinnegare
nemmeno apparentemente la loro fede; e sacrificandosi per essa riportano sul
potere demoniaco la vittoria più splendida.
[1] Ma basti codesto contro l'accusa intentataci di lesa
divinità, per difenderci dalla parvenza di offendere una divinità, che abbiamo
dimostrato non esistere. Perciò invitati a sacrificare, ci rifiutiamo per
serbar fede alla nostra coscienza, in base alla quale con sicurezza sappiamo a
chi codesti servizi arrivino sotto le immagini esposte e sotto nomi di uomini
deificati.
[2] Ma alcuni reputano pazzia il fatto che, potendo per il
momento sacrificare e andarcene illesi, il nostro proposito nell'animo
conservando, l'ostinazione preferiamo alla salvezza.
[3] Voi, è chiaro, un consiglio ci date, con cui illudervi; ma
noi conosciamo onde codesti inviti provengano, chi tutto codesto diriga: e
come, ora con l'astuzia del persuadere, ora con la durezza dell'incrudelire,
lavori per abbattere la nostra costanza.
[4] è chiaro: è quello spirito di costituzione demoniaca e, a un
tempo, angelica, che, divenuto nostro nemico per la sua rivolta, e invidioso
per la grazia di Dio a noi concessa, contro di noi lotta servendosi delle
vostre menti, con occulta inspirazione regolandole e subornandole ad ogni
perversità di giudizio e iniquità di sevizie, come da principio abbiamo
premesso.
[5] E invero, sebbene sia a noi sottoposta totalmente la potenza
dei demoni, voglio dire di tali spiriti, tuttavia, come servi tristi, talvolta
alla paura mescono la ribellione e di offendere bramano quelli, che in altri
momenti temono. Ché anche la paura inspira l'odio.
[6] Senza dire che la loro condizione disperata, in seguito alla
condanna in precedenza pronunciata, considera un conforto quello di trarre
frattanto un profitto maligno dall'indugio del castigo. E tuttavia, messi alle
strette, soggiogare si lasciano e soggiacciono alla loro condizione: e quelli,
che da lontano combattono, da vicino supplicano.
[7] Pertanto, quando a mo' di quello che negli ergastoli
ribellantisi avviene o nelle carceri o nelle miniere o in stati di schiavitù
penale del genere, irrompono contro di noi, in cui potere si trovano, pur
sicuri di essere impari e perciò maggiormente disperati, di mala voglia
resistiamo loro come uguali, e per forza lottiamo persistendo in quello che
essi attaccano; ma di essi mai maggiormente trionfiamo, come quando per la
nostra fermezza nella fede veniamo condannati.
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