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Quinto Settimio Florente Tertulliano Apologetico IntraText CT - Lettura del testo |
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CAPO 35 -- Alle solennità in onore dei Cesari non prendono parte i Cristiani, perché si svolgono in forma scostumata e immorale. Del resto assai discutibile è la sincerità e la fedeltà di coloro che vi prendono parte. [1] Dunque per questo sono i Cristiani nemici pubblici, perché néonori vani, né menzogneri, né sconsiderati agl'imperatori dedicano; perché uomini di una religione vera, anche le solennità di quelli con omaggio interiore celebrano piuttosto che con la sfrenatezza. [2] Grande omaggio, si capisce, trarre in pubblico fornelli e divani, banchettare per quartieri, trasfigurare la città dandole l'aspetto di un'osteria, far rapprendere il fango col vino, scorrazzare in bande per abbandonarsi alle ingiurie, alla sfrontatezza, ai divertimenti libidinosi. Così la publica gioia col disonore pubblico si esprime? Ai giorni solenni dei principi si conviene quello che agli altri giorni non si conviene? [3] Quelli che la disciplina per riguardo a Cesare osservano, per causa di Cesare la violeranno? E la licenza del mal costume sarà pietà? E l'occasione di abbandonarsi alla lussuria si reputerà religione? [4] O noi meritamente degni di condanna! Perché infatti i voti e le dimostrazioni di allegrezza riguardanti i Cesari, casti e sobrii e probi compiamo? Perché in un giorno di allegrezza gli usci con allori non adombriamo, né il giorno con lampade superiamo? è cosa onorevole, quando una solennità publica lo esige, la tua casa rivestire del sembiante di un nuovo lupanare?. [5] Tuttavia anche nel campo di questa religione riguardante la seconda maestà, a proposito della quale di un secondo sacrilegio accusati veniamo noi Cristiani, perché insieme con voi le solennità dei Cesari non celebriamo in un modo che né la modestia né la verecondia né la pudicizia permettono di celebrare, alla cui celebrazione vi induce l'occasione di abbandonarvi alle voluttà, più che un giusto motivo: anche, dico, in questo campo provare vorrei la vostra sincerità e verità, se alle volte anche costi non si facciano cogliere come peggiori dei Cristiani coloro, che non vogliono che noi siamo ritenuti Romani, ma nemici dei principi romani. [6] Chiamo in causa proprio i Quiriti, proprio la plebe indigena dei sette colli, e domando se vi è un Cesare, cui quella loro lingua romana risparmi. N'è testimonio il Tevere e la scuola dei bestiarii. [7] Certo se la natura i petti di una qualche materia diafana ricoperto avesse, in modo da lasciar trasparire l'interno, si troverebbe egli un uomo, i cui precordi non presentassero scolpita la scena di un sempre nuovo Cesare, nell'atto di procedere alla distribuzione del congiario, anche proprio in quell'ora in cui acclamano: 'A te gli anni accresca, dai nostri togliendoli, Giove'?. Queste parole il Cristiano pronunciare non sa, al modo stesso che non sa il desiderio esprimere di un nuovo Cesare. [8] 'Ma si tratta del volgo' - dici. - Si, del volgo, tuttavia di Romani: né più accaniti accusatori dei Cristiani vi sono del volgo. Certo gli altri ordini, data la loro posizione elevata, sono religiosi sinceramente: nessun soffio di ostilità dalla parte proprio del senato, dei cavalieri, del campo, del palazzo stesso! [9] Onde i Cassii e i Negri e gli Albini? Onde coloro che fra i due laureti assediano Cesare?. Onde coloro che nell'arte della palestra si esercitano, comprimendogli la gola?. Onde coloro che armati nel palazzo irrompono più audaci di tanti Sigerii e Partenii?. Provengono dai Romani, se non m'inganno, vale a dire, dai non cristiani. [10] Che anzi costoro tutti, mentre la loro empietà era presso a prorompere, il rito sacro celebravano per la salute dell'imperatore, e per il suo Genio giuravano, altri palesemente, ben altri dentro di sé; e naturalmente ai Cristiani il nome davano di nemici pubblici. [11] Ma anche coloro che ora, tutti i giorni, complici o fautori si scoprono di partiti scelerati - raccolta di grappoli superstiti di una vendemmia di parricidi - di che freschissimi e ramosissimi allori gli usci adornavano, di che altissime e lucentissime lampade i vestiboli annuvolavano, con che elegantissimi e sontuosissimi divani lo spazio del foro si dividevano, non per celebrare il pubblico gaudio, ma per apprendere, in occasione di una festività altrui, voti pubblici diretti a sé, e inaugurare l'esempio e l'immagine che era nelle loro speranze, mutando in loro cuore il nome del principe. [12] Omaggi dello stesso genere pagano coloro che astrologhi e aruspici e àuguri e maghi consultano su la vita dei Cesari: le quali arti, perché dagli angeli disertori insegnate e da Dio proibite, i Cristiani non adoperano nemmeno quando si tratta di interessi loro. [13] Chi poi di scrutare ha bisogno intorno alla conservazione di Cesare, se non colui che qualche cosa contro di essa ha in mente o desidera, o spera e si attende quando essa sia venuta meno? Ché non con la stessa intenzione si fanno consultazioni circa i propri cari e circa i propri signori. Altrimenti sollecita è la preoccupazione del sangue, altrimenti quella della servitù.
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