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Quinto Settimio Florente Tertulliano
Apologetico

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  • CAPO 18 -- Divina missione dei profeti del popolo ebreo; e della Santa Scrittura.
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CAPO 18 -- Divina missione dei profeti del popolo ebreo; e della Santa Scrittura.

[1] Ma, affinché più completamente ed a fondo sia alla conoscenza di Lui, che delle sue disposizioni e volontà arrivassimo, il mezzo Egli aggiunse del documento scritto, qualora uno intorno a Dio indagare voglia e, indagatolo, trovarlo e, trovatolo, credere e, credutolo, servirlo. [2] E invero fin dai primordi uomini mandò nel mondo per la loro intemerata giustizia degni di conoscere e manifestare Dio, di spirito divino inondati, affinché predicassero che un Dio unico esiste, il quale l'universo creò e l'uomo fabricò di terra (questo infatti è il vero Prometeo che il mondo con determinate disposizioni e successioni di stagioni ordinò);

[3] inoltre, quali segni della maestà sua giudicatrice abbia con piogge e fulmini manifestato, quali leggi fissate per bene meritare di Lui, quali retribuzioni destinate all'ignoranza, al disconoscimento e all'osservanza di queste: come Colui che, compiuta codesta età, sarà per giudicare i suoi cultori, retribuendoli con la vita eterna, gli empi con il fuoco ugualmeate perpetuo e continuo, dopo avere risuscitati, rinnovati e passati in rassegna tutti, quanti dall'inizio del mondo sono morti, per valutarne il merito e il demerito.

[4] Anch'io ho riso un tempo di ciò. Provengo dai vostri. Cristiani si diventa, non si nasce.

[5] Quei predicatori, di cui ho parlato, dal loro ufficio di predire si chiamano profeti. Le parole loro e, del pari, i prodigi che compivano per far fede della loro missione divina, si conservano nel deposito della letteratura; nè questa è nascosta. Il più erudito dei Tolomei, quello che sopranominano Filadelfo, perspicacissimo conoscitore di ogni letteratura, emulando, penso, Pisistrato nella passione delle biblioteche, fra gli altri documenti storici, con cui veniva raccomandata alla fama o l'antichità o qualche curiosità, per suggerimento di Demetrio Falereo, fra i grammatici di allora lodatissimo, al quale aveva affidato un governo, richiese libri anche ai Giudei, documenti letterari propri e scritti nella loro lingua, che essi solo possedevano.

[6] Da essi, infatti, provenendo, ad essi, anche, sempre i profeti avevano parlato, vale a dire, come a un popolo della Casa di Dio, per grazia ottenuta dai loro padri. Prima d'ora si chiamavano Ebrei, quelli che ora Giudei; perciò ebrea la letteratura e la parlata.

[7] Orbene, perché non mancasse di quei libri la conoscenza, codesta anche fu dai Giudei a Tolomeo accordata, con la concessione di settantadue interpreti, cui anche Menedemo filosofo, assertore della Provvidenza, per la comunanza delle idee ammirò. Affermò a voi codesto anche Aristeo.

[8] Così quei documenti in lingua greca tradotti, nella biblioteca di Tolomeo oggi si esibiscono nel Serapeo, insieme con gli originali ebraici.

[9] Ma i Giudei anche li vanno publicamente leggendo. Libertà pagata con un'imposta: tutti comunemente vi si recano il sabato. Chi ascolterà (quella lettura) troverà Dio; chi anche si studierà di comprendere, si sentirà costretto a credere.




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