IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
La “Dante Alighieri”, il mondo cattolico ed il problema linguistico di Malta agli inizi del ‘900
Tra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX la guerra nel sud Africa aveva comportato seri problemi di politica estera per la Gran Bretagna, che venne a trovarsi pressoché isolata sulla scena internazionale. Le simpatie andavano difatti generalmente al piccolo e valoroso popolo boero, che teneva fieramente testa alle soverchianti forze britanniche. Faceva eccezione il governo italiano, che confermava la tradizionale amicizia per l’Inghilterra, che risaliva al periodo risorgimentale, sebbene alcuni settori dell’opinione pubblica, in particolare quelli radicali e quelli cattolici, anche se con diverse motivazioni si schierassero nel fronte antibritannico.
Nei rapporti anglo-italiani cominciava ad avvertirsi quindi qualche scricchiolio, dovuto anche al crescente interessamento per il problema della lingua italiana a Malta, colpita dai provvedimenti emanati nel marzo 1899 dal Ministro delle Colonie, Joseph Chamberlain, che prevedevano la graduale sostituzione, entro 15 anni, dell’inglese all’italiano nei procedimenti giudiziari.
Una significativa testimonianza delle preoccupazioni italiane per la situazione linguistica di Malta si ebbe nel X Congresso Nazionale della “Dante Alighieri”, svoltosi a Messina dal 24 al 26 ottobre 1899.
Già nella sua relazione introduttiva il presidente, Pasquale Villari, aveva ricordato “Malta, così strettamente legata a noi dalla natura e dalla storia. Non si riesce a capire perché gli inglesi vogliano ad un tratto, e senza nessuna ragione, vietarle ora l’antichissimo uso ufficiale della lingua italiana”.
Un delegato di Acireale, Gaetano Platania, era ritornato sull’argomento, asserendo che l’italiano era la lingua di cultura a Malta, perché “i Maltesi sono in essenza italiani”. Una ulteriore dimostrazione, secondo Platania, era data dal fatto che molti dei 12.000 emigrati maltesi in Tunisia avrebbero voluto frequentare le scuole italiane. Proponeva quindi di insistere nel tentativo di creare a Malta un comitato della “Dante”, come inutilmente aveva cercato di fare il console italiano.
Augusto Franchetti, delegato di Firenze, trovava poco amichevole il decreto di Chamberlain e chiedeva che il congresso esprimesse un voto per sollecitare un’azione diplomatica italiana intesa ad ottenere la revoca del decreto stesso.
Ulteriori interventi intesi a sollecitare un’azione diplomatica italiana contro il decreto di Chamberlain erano svolti dai delegati Leonardo Ricciardi di Palermo e Giacomo Venezian di Costantinopoli.
A conclusione del dibattito i delegati Franchetti e Ricciardi, cui si univano altri due delegati fiorentini, Piero Barbera e C. Mario Gigliucci, presentavano questo ordine del giorno: “il X congresso della Dante Alighieri dichiara che l’ordinanza del governo inglese circa l’uso ufficiale della lingua italiana in Malta sembra un atto non conforme alle tradizioni
- 2 -
liberali e amichevoli di quella nazione verso l’Italia, ed invita pertanto il Comitato Centrale a fare i passi opportuni a difesa della lingua italiana a Malta”.
Il presidente Villari intervenendo sull’ordine del giorno proposto rilevava che “neppure a Malta fanno questione di italianità, ma di lingua, della lingua che essi parlano”; consigliava di eliminare la definizione dell’atteggiamento inglese come non amichevole, raccomandando, “che non si introduca nemmeno la più lontana apparenza di politica.”
Un delegato di Roma, Federico Garlanda, trovava invece inopportuno il riferimento a “tradizioni liberali” non rispettate, asserendo che Malta era un problema interno della Gran Bretagna. Il delegato di Fermo, Serafino Nicolini, sosteneva la necessità di meglio conoscere i sentimenti dei maltesi e di creare un comitato della “Dante” a Malta.
Nella sua replica Augusto Franchetti rassicurava i delegati sull’inesistenza di mire annessionistiche, poiché non si voleva creare a Malta “un avamposto nazionale” e insisteva nel proporre il suo O.D.G., che, messo ai voti, era approvato senza modifiche con 23 voti a favore e 19 contrari.
L’argomento Malta era ancora affrontato nel successivo congresso della Dante, l’XI, tenutosi a Ravenna nel settembre 1900.
Nel suo discorso introduttivo, il 27 settembre, il presidente Villari comunicava che una commissione maltese aveva rivolto alla “Dante” un appello per ottenerne l’appoggio e si dichiarava fiducioso in una soluzione del problema senza ricorrere a proteste e polemiche clamorose.
“L’Inghilterra” asseriva Villari, “è un paese libero, la pubblica opinione ha in essa una gran forza, e noi abbiamo ragione di credere che, richiamando l’attenzione sui fatti, con una chiara esposizione di essi, alla causa del giusto diritto non mancherà l’aiuto efficace di autorevoli personaggi del Parlamento inglese”. 1
Ricordate le tradizioni culturali italiane di Malta ed i timori britannici per le agitazioni politiche che potevano derivarne, Villari giudicava disastrosi i risultati dell’insegnamento contemporaneo dell’italiano e dell’inglese, il cosiddetto “pari passu”, per cui gli alunni finivano con l’ignorare sia l’inglese che l’italiano. A conferma di tale giudizio, citava il fatto che nel 1896 solo 7 su 120 candidati baccellieri erano stati promossi.
Si augurava poi Villari che presto si potesse avere a Malta un comitato della Dante, dopo il felice esito della conferenza organizzata a Malta per illustrare gli scopi della società: “la conferenza”, affermava Villari, “venne fatta con grande concorso di popolo, e con la presenza delle autorità…”2
La conferenza era stata tenuta nel mese di settembre del 1900 dalla marchesa Zina Centa Tartarini sul tema “la cultura moderna, specie italiana” e il leader nazionalista Fortunato Mizzi aveva presentato l’oratrice.
In seno alla Dante si nutrivano grandi speranze nella possibilità di creare presto un comitato a Malta: il segretario generale della “Dante”, Arturo Galanti, scriveva a Villari il 26 febbraio 1900: “ho fatto oggi stesso la comunicazione ai giornali, dicendo quasi assicurata la fondazione di un comitato della Dante Alighieri a Malta”.3
- 3 -
Ed ancora il 12 luglio 1900 riferiva a Villari sulle assicurazioni date dal maltese Nicolò Roncali, che dava per certa la costituzione del Comitato della Dante.4
In realtà un Comitato della “Dante” a Malta fu fondato nel 1912 e per le gravi difficoltà insorte fu sciolto dopo solo un anno, nel 1913.
C’è pure da dire che non da tutti i maltesi la marchesa Tartarini ottenne una benevola accoglienza, come con tinte troppo rosee delineava nel suo discorso a Ravenna, Villari, che pure non si nascondeva l’intricata situazione di Malta, dove i Gesuiti, in opposizione ai protestanti inglesi, sostenevano sì la causa della lingua italiana, ma restavano fieri avversari dell’Italia, al punto di impedire che si svolgesse nella Cattedrale della Valletta un rito funebre in memoria di Re Umberto I: la questione romana continuava a pesare come un macigno.
L’ostilità di una parte almeno dei maltesi all’iniziativa della Dante è testimoniata dal resoconto che un giornale di chiara tendenza clericale fece della conferenza della marchesa Tartarini, definita con acida ironia “sedicente mandataria d’una Società Dante Alighieri, e d’un signore molto serio Pasquale Villari!, presidente della prefata Società”.5
Ma la testimonianza più significativa sul contrastato esito della conferenza della Tartarini ci proviene dal rapporto del console italiano a Malta, Paolo Grande, in data 20 novembre 1900: “…la Signora Marchesa Tartarini mandatavi per invito di questi irredenti nazionalisti, che vedono la Monarchia Sabauda come la polvere negli occhi, e che detestano il governo d’Italia, come il peggiore dei governi, e come quello che tuttora tiene in vincoli il Santo Padre, mandatavi dalla società Dante Alighieri a tenervi una conferenza. Non mai fu errore come quello in cui cadde la Società, né la trattazione del soggetto fu appropriata alla circostanza…svelando le nostre miserie, ch’era meglio tacere , in un paese estero”.6
Le miserie che era meglio tacere, secondo il console, erano gli accenni della marchesa alla necessità “di educare, educare, educare la caterva immensa degli arretrati di sviluppo morale, che vive dentro e fuori d’Italia e ne segna la stigma d’inferiorità e di vergogna.”
Ma la preoccupazione maggiore per il console Grande era costituita dall’intreccio fra problemi linguistici e mene clericali a Malta, come a chiare lettere illustrava nello stesso rapporto del 20 novembre : secondo la sua opinione i nazionalisti maltesi da un lato erano “strumento dei biechi fini di Preti e Frati, i quali predicano l’odio contro l’Italia, Governo e Monarchia, mentre dall’altro si tengon forti al governo Inglese, per fini materiali ed economici, cercando strappargli…maggiori privilegi e vantaggi”. Ed il console concludeva esprimendo il timore che “la questione della lingua…, uscendo dal vero e cadendo nell’esagerato, sappia di ostile e di avverso al Governo Inglese”, compromettendo gli interessi degli italiani residenti nell’isola, gli scambi commerciali, i buoni rapporti fra il Consolato ed il Governo locale.
- 4 -
Non era la prima volta che il Console prospettava questa tesi della intesa tra Gesuiti e nazionalisti. Appena due giorni prima, il 18 novembre 1900 aveva scritto al ministro Visconti Venosta: “la questione della lingua, oltre di avere l’aspetto proprio, cioè quello storico, ne ha un altro recondito ed occulto, il quale, se si va ad esaminare, si riscontra in fondo l’elemento gesuitico; ed ha lo scopo di far nascere rivalità ed antagonismo fra l’Italia e l’Inghilterra, sperando con ciò di poterne trarre vantaggio alla sua causa. Ed è, tale elemento clerico-gesuitico, l’ispiratore del partito Nazionale Maltese, il quale sogna la irrealizzabile utopia di una lega delle Nazioni Latine con a capo il Papato. Ed è perciò che la stampa Vaticana sostiene ed appoggia i reclami e le speranze dei Nazionali maltesi”.7
Ed ancora dopo nel rapporto al nuovo Ministro degli Esteri Prinetti, il console Grande il 5 aprile 1901 ribadiva il suo giudizio negativo sui nazionalisti maltesi, asserendo che in occasione della manifestazione indetta per il 7 aprile per protestare contro l’eccessiva pressione fiscale e contro le misure linguistiche, alla “sprezzante calma” di Strickland faceva riscontro “la profonda indifferenza della gioventù studentesca di Malta, senza cuore e senza mente”.8
Giudizi certo eccessivi, dettati forse anche dal malumore di veder compromessa la propria tranquillità se si fossero guastati, come accennato nel rapporto del 20 novembre 1900, i rapporti tra consolato e governo locale: Fortunato Mizzi, sempre sulla breccia, non poteva certo essere accusato di tiepidezza e di voler soltanto servire gli oscuri interessi dei Gesuiti.
Al di là dei malumori consolari, esisteva comunque in alcuni momenti una obiettiva convergenza di interessi tra clericali e nazionalisti.
Ed è pure indubbio che questi ultimi erano animati da una profonda fede religiosa, che non può esser senz’altro identificata con una tendenza clericale antitaliana.
Ma non era solo il console Grande ad esprimere questo giudizio negativo sul sentimento di italianità dei Maltesi. L’incaricato d’affari francese a Roma nel suo rapporto del 25 agosto 1901 segnalava l’interesse con cui in Italia era seguita la questione maltese ed il crescente malumore per le imposizioni linguistiche britanniche ai Maltesi, legati agli Italiani da vincoli di sangue.
Così proseguiva il diplomatico francese : “à la verité, ces liens s’étaient depuis longtemps fort rêlachés et la population maltaise, avec les races diverses qui la composent, ne paraissait pas se soucier, outre mesure d’échanger son sort présent contre les avantages douteux d’un retour à la famille latine. Mais la mesure intempestive prise par le Ministre des Colonies de Londre a changé cette situation et donné une vie nouvelle à des sentiments qui, n’ayant jamais été bien vifs, s’émoussaient de jour en jour”.9
- 5 -
Presto però il console Grande ebbe modo di doversi ricredere sul conto dei Maltesi, così telegrafando al Ministro Prinetti riguardo alla manifestazione del 6 maggio 1901: “Ieri comizio per protestare contro la lingua inglese e tasse fu imponentissimo per personaggi di molto riguardo e popolazione circa 30.000 intervenuti procedette con molta calma senza disturbi. Oggi, studenti università, liceo abbandoneranno scuole girando per le vie protestando contro la imposizione di lingua inglese, obbligando istituti privati a chiudere le scuole…”10
Ad un mese di distanza dal rapporto del 5 aprile dello stesso anno, il console Grande doveva constatare come la gioventù maltese, “senza cuore e senza mente” si fosse trasformata, riempiendo le vie e le piazze di Malta con una grandiosa manifestazione. Grande si limitava ad annotare il fatto, senza dare altri giudizi. C’è da dire che in realtà i maltesi erano soggetti a sbalzi repentini di umore, passando dall’apatia all’entusiasmo traboccante, senza un’apparente giustificazione, forse anche per la mancanza di organizzazioni che ne incanalassero l’azione: il partito nazionale non aveva le strutture di un partito modernamente inteso ed era attraverso il “Malta”, soprattutto, che filtravano le parole d’ordine.
Ma la borghesia colta e filo-italiana di Malta trovò presto un centro di aggregazione nel circolo “La Giovine Malta” (nome chiaramente ispirato dalla mazziniana “Giovine Italia”, anche se non mancò da parte degli avversari un ironico riferimento al movimento dei “Giovani Turchi”), che un giovane avvocato, Arturo Mercieca, destinato a percorrere tutti i gradi della carriera giudiziaria, fino alla suprema carica di Presidente della Corte d’appello, fondò alla fine del 1901.
Come presidente effettivo del circolo (presidente onorario era Fortunato Mizzi), Mercieca pronunciò il 19 dicembre un infocato discorso d’inaugurazione, riaffermando solennemente la fedeltà alla religione cattolica e l’irrinunciabilità all’uso della lingua italiana a Malta, “solo linguaggio che le è naturale”.
Il circolo soddisfaceva l’esigenza dei maltesi di un centro di aggregazione e di elaborazione culturale, che si era pensato di trovare nel Comitato della “Dante”, che non si era potuto costituire per l’avversione del clero e di larga parte dell’opinione pubblica, contrari ad un’organizzazione ritenuta massonica e sostenuta dal governo italiano, accusato di usurpare i diritti della Chiesa.
Malgrado il prudente riserbo del governo italiano e le amichevoli dichiarazioni verso l’Inghilterra fatte il 9 febbraio 1900 al Senato dal Ministro degli Esteri, Visconti Venosta, il governo di Londra nutriva serie preoccupazioni per la possibilità che gli venisse a mancare il tradizionale sostegno italiano. Fu questo uno dei motivi che spinsero Chamberlain a recarsi a Malta per discutere direttamente con i capi nazionalisti
Il viaggio di Chamberlain si svolse nel novembre 1900; non portò a cambiamenti di linea politica, ma fu comunque utile sul piano umano: Chamberlain difatti non fece concessioni alle richieste maltesi, ma esaltò la fedeltà dell’isola durante la guerra boera. A Malta in effetti si erano svolte significative manifestazioni, specialmente quando si era diffusa la notizia della liberazione di Lady Smith, caduta prigioniera dei boeri.
- 6 -
Bandiere ovunque, sfilata di bande musicali, staccati i cavalli della carrozza del governatore, portata a braccia dalla popolazione festante.
Di questa atmosfera non era rimasta alcuna traccia in occasione della visita del Ministro britannico. Secondo quel che riferiva il “Corriere della Sera” (9 novembre 1900 “La protesta muta dei maltesi contro le aspre dichiarazioni di Chamberlain” ) la popolazione dell’isola assistette in un gelido silenzio alla fiaccolata in onore di Chamberlain. Così commentava il quotidiano milanese, riprendendo dall’ “Italia” il seguente giudizio amaramente deluso: “C’eravamo abituati a vedere negli inglesi i romani moderni, apportanti ovunque la civiltà coi loro commerci e con le loro industrie, lasciando ai popoli conquistati l’intero beneficio delle loro usanze, dei loro costumi, della loro lingua e dei pregiudizi religiosi”.
Dello stesso tenore il commento apparso sulla “Tribuna” (8 novembre 1900, articolo di fondo “La provocazione all’irredentismo”). Chamberlain, imponendo ai maltesi l’uso dell’inglese, tradiva la tradizione liberale inglese, per cui “ognuno, qualunque fosse la sua origine, era libero non soltanto di commerciare, ma di parlare, di pensare, di credere cosa voleva”. Grazie a questa politica “un’isola posta ad una estremità d’Europa ha quasi rinnovato l’impero di Roma ed è diventata il centro volontario dello sviluppo umano”. Neanche gli irredentisti italiani “più caldi” si erano gran che occupati di Malta né i maltesi avevano fino ad allora dimostrate “per la nuova Italia simpatie eccessive”; ma “cominceranno ora a volgere lo sguardo verso quel regno italiano che rappresenta la loro nazionalità e la loro lingua”. D’altro canto, proseguiva la “Tribuna”, “ora il grido dei maltesi troverà eco fra noi non meno del grido di altri italiani soggetti ad altri popoli”.
E tutto ciò, concludeva la “Tribuna”, poteva forse sfuggire a Chamberlain ma non al primo ministro lord Salisbury, né al nuovo titolare del Foreign Office, il marchese Lansdowne.
Ma Chamberlain si rese conto che il bandolo della matassa da sciogliere poteva trovarlo forse più facilmente a Roma che non a Malta.
Con decisione improvvisa, quindi, sulla via del ritorno fece scalo a Napoli, proseguendo per Roma, dove giunse inaspettato, mettendo in difficoltà Visconti Venosta, che riteneva inopportuno un incontro ufficiale perché avrebbe dovuto dirgli cose spiacevoli sul problema della lingua italiana a Malta.
Su proposta del solerte corrispondente del Times, Steed, Visconti Venosta accettò comunque un invito a pranzo di lord Currie, ambasciatore britannico a Roma, nella quale occasione avrebbe potuto incontrare Chamberlain.
All’incontro conviviale, svoltosi il 21 novembre 1900, partecipò anche Sidney Sonnino, di madre inglese e quindi perfettamente bilingue. Ma, conoscenza dell’inglese a parte, Sonnino
- 7 -
era particolarmente qualificato per partecipare all’incontro, dato che si era interessato della diffusione della lingua italiana nel mondo, prescindendo però da ogni fine politico.11
Non si ebbero nell’immediato risultati concreti. Ma l’incontro fu senz’altro utile per alleggerire la tensione ed a più lunga scadenza si rilevò pure fruttuoso.
Nell’accomiatarsi Chamberlain chiese a Steed, nel caso perdurassero i malumori italiani, di segnalarli con un telegramma al Times; avrebbe pensato lui stesso a provocare un’interrogazione parlamentare, cui avrebbe risposto in modo tale da dare qualche soddisfazione al governo italiano.
Le cose però andarono diversamente. Dopo qualche settimana Steed mandò il telegramma come richiesto, ci fu l’interrogazione alla Camera dei Comuni, ma la risposta di Chamberlain non era certo soddisfacente per il governo italiano. Chamberlain confermava le disposizioni del 7 marzo 1899, secondo le quali vi doveva essere parità nell’uso dell’italiano e dell’inglese nei tribunali, arrivando alla completa eliminazione dell’italiano entro 15 anni.
Nel corso del dibattito, svoltosi ai Comuni il 10 dicembre 1900, l’opposizione non mancò di ricordare a Chamberlain che l’Italia era una potenza amica, ma il ministro a sostegno dei suoi provvedimenti confermava che Malta era “a British colony which is also a British fortress” (“Una colonia britannica, che è anche una fortezza britannica”. Parliamentary Debates (4th Series). LXXXVIII – London, Wyman and Sons Ltd, 1900, p. 345-346).
Con perfetto, anche se involontario, sincronismo, lo stesso 10 dicembre 1900 erano svolte alla Camera italiana alcune interrogazioni relative alla questione maltese. L’on. Fradeletto chiedeva conferma dell’esattezza dei resoconti del discorso di Chamberlain ai membri dell’assemblea legislativa maltese, pubblicati sui giornali italiani. Politicamente più significative le altre interrogazioni: l’on. Alessio chiedeva se la perdita dello status di lingua ufficiale nei tribunali per l’italiano rappresentasse solo un atto di politica interna, ovvero implicasse un cambiamento nei rapporti anglo-italiani; l’on. Roberto Galli chiedeva invece di conoscere i motivi per cui “una potenza liberale ed amica” combatteva l’uso dell’italiano a Malta, “con offesa del principio di nazionalità”; l’on. Luporini infine interrogava sia Visconti Venosta che il Presidente del Consiglio sull’azione che intendevano svolgere “circa l’imposizione di lingua straniera alla popolazione italiana a Malta”.
- 8 -
Nel rispondere, Visconti Venosta si dimostrò molto prudente: smentì anzitutto, rispondendo a Fradeletto, i resoconti giornalistici italiani sull’incontro di Chamberlain con i rappresentanti maltesi:in quell’occasione si erano discussi problemi costituzionali di carattere generale, senza trattare la questione linguistica. Ed alle altre interrogazioni rispose che si rendeva conto della “impressione penosa” suscitata dalle misure di Chamberlain contro l’italiano. Concludeva però che non c’era spazio per un intervento del governo italiano: “…un atto di legislazione interna di uno Stato estero, in quanto non offende il diritto positivo di un altro Stato, non dà titolo per un intervento ufficiale, che, in simili casi, non saremmo disposti per parte nostra ad ammettere”.
Nelle loro repliche gli interroganti si dichiararono insoddisfatti della risposta avuta: l’on. Galli, in particolare, sottolineava l’importanza per l’Inghilterra dell’amicizia dell’Italia, “gettata come un molo in mezzo al Mediterraneo”, per garantirle le comunicazioni con i suoi possedimenti. E ricordava pure come nei recenti, difficili momenti l’Italia si fosse dimostrata amica dell’Inghilterra (trasparente l’allusione alla guerra Boera). Collegava pure il problema di Malta alla situazione generale, lamentando l’azione antitaliana della Francia in Corsica, a Nizza ed in Tunisia; la crescente influenza austriaca nell’Adriatico e tedesca in Tripolitania, e così concludeva: “dappertutto adunque si invoca la nostra amicizia, e dappertutto si insidia la nostra influenza”.
L’on. Luporini, dal canto suo, ricordava che il Piemonte aveva consentito l’uso del francese in Savoia, affermando che la libertà linguistica era un diritto naturale, per cui, pur comprendendo la prudenza che spingeva Visconti Venosta a dichiarare l’incompetenza del governo italiano ad intervenire, riteneva che in modo amichevole, ma franco, si sarebbe potuto far presente all’Inghilterra la penosa impressione suscitata in Italia dai provvedimenti di Chamberlain, che non giovavano certo a rinsaldare l’amicizia tra i due Paesi (Atti parlamentari – Camera dei Deputati – legislatura XXI – discussioni – vol. II – p. 1277-79).
Se Governo, Parlamento ed opinione pubblica italiana erano insoddisfatti per la risposta di Chamberlain ai Comuni, il malcontento a Malta era sempre più vivo, tanto da far temere attentati e gesti di violenza da parte dei nazionalisti maltesi con la partecipazione anche di elementi italiani.
Il console Grande inviava difatti al Ministro Prinetti un telegramma il 25 settembre 1901, comunicando che la polizia gli aveva segnalato il timore che si volesse “giungere da alcuni male intenzionati ad adoperare mezzi violenti mediante esplosivi od altri di simile natura, servendosi di gente estera che essa sospetta siano italiani”. Si era pertanto disposto un severo controllo all’arrivo dei piroscafi, prevedendo l’arresto immediato per chi fosse stato trovato in possesso di esplosivi e l’espulsione per i sospetti. Il console sembrava condividere tali timori, chiedendo di sorvegliare nei porti italiani l’imbarco di persone sospette per segnalarli al Governo locale, mettendone al corrente il Ministro degli Interni ( Documenti diplomatici italiani – 3° serie (1891-1907), vol. V (16 febbraio 1901-31 dicembre 1901), telegramma 2375, p. 477, documento 838).
Il giorno successivo, 26 settembre 1901, lo stesso console Grande inviava al Ministro un rapporto riservato per comunicare che il segretario reggente del Governo di Malta, Vella, gli aveva manifestato timori per i contatti che i nazionalisti maltesi avrebbero avuto con l’avvocato Merlino, noto esponente anarchico napoletano, al fine di attentare alla vita del governatore e di Strickland, primo segretario di governo ed irriducibile avversario dell’uso dell’italiano.
- 9 -
Vella confermava che era stato disposto un attento servizio di sorveglianza per i passeggeri in arrivo a Malta e chiedeva che un’analoga sorveglianza fosse disposta in Italia per i passeggeri in partenza per Malta. Stavolta però il console si mostrava scettico sulla reale fondatezza di tali timori, poiché non credeva i nazionalisti maltesi capaci di un gesto simile e concludeva così il suo rapporto: “Forse un soverchio timore da parte del Conte Strickland, principale autore delle due ordinanze della lingua e delle tasse, dà corpo a ciò che la sua mente immagina”.12
Anche se i timori di gesti violenti si dimostrarono presto infondati, sotto la pressione congiunta del malcontento maltese e delle complicazioni diplomatiche italiane, la posizione di Chamberlain cominciava ad essere meno inflessibile.
Già il 7 ottobre 1901 un nuovo “order in Council” portava da 15 a 20 anni il termine entro cui l’inglese avrebbe dovuto sostituire l’italiano nei tribunali.
Determinante risultò poi il deciso atteggiamento del ministro Giulio Prinetti che aveva sostituito Visconti Venosta agli Esteri e che non usava mezzi termini nell’esprimersi, tanto da esser definito dallo Steed “un rinoceronte tra le porcellane”.13
Venne così maturando in Chamberlain la decisione di compiere un gesto distensivo.
Rispondendo ad un’interrogazione presentata ai Comuni dal deputato liberale irlandese Ronald sul divieto di tenere a Malta manifestazioni contro gli aumenti fiscali e contro l’uso dell’inglese nei tribunali, Chamberlain il 28 gennaio 1902 replicò con un discorso molto abile.
- 10 -
Premesso che, nonostante tutto i maltesi si mantenevano fedeli alla Gran Bretagna, affermava che le agitazioni non erano ammissibili in una piazzaforte militare e che oltretutto l’italiano, compreso da un maltese su sette, non poteva essere considerato la lingua nazionale di Malta, come confermato anche dal fatto che con la libera scelta circa l’80% dei genitori aveva preferito per i propri figli l’insegnamento dell’inglese a quello dell’italiano. Proseguiva criticando l’ostruzionismo dei membri elettivi nel consiglio di governo; se fosse continuato, paralizzando l’amministrazione, il governo avrebbe dovuto adottare severi provvedimenti, arrivando fino a sopprimere la Costituzione.
Fatte queste intransigenti dichiarazioni, che erano per altro un atto dovuto, per non dare l’impressione di un cedimento vergognoso, ecco il “coup de théâtre”: Chamberlain, cambiato radicalmente tono ed atteggiamento, rassicurava Maltesi ed Italiani, con i quali s’erano creati malintesi, asserendo che l’annunziata sostituzione dell’inglese all’italiano nei tribunali voleva essere solo un avvertimento e non costituiva un atto irrevocabile che impegnasse il governo.
Con toni ispirati ricordava l’amicizia per gli Italiani aiutati dalla Gran Bretagna “nella sublime lotta per l’unità e nei loro sforzi per mantenerla”. Inoltre, l’ “order in council” oggetto della discordia non colpiva l’insegnamento dell’italiano.
Minimizzate così le ragioni di contrasto, si passava al gran finale: per far cosa gradita “ai nostri buoni alleati italiani”, concludeva Chamberlain, l’ “order in council” sull’uso dell’inglese nei tribunali era revocato con effetto immediato e senza condizioni.
Da consumato politico, Chamberlain si teneva però sempre aperta una uscita di sicurezza: in termini volutamente dimessi, dopo i precedenti voli pindarici, aggiungeva che “se l’avvenire mostrerà che la grande maggioranza del popolo comprende l’inglese e non l’italiano, sarebbe assurdo se i procedimenti delle Corti si facessero in una lingua che il popolo non comprenderebbe”.
In Italia il discorso di Chamberlain ebbe una vasta eco.
Il “Giornale d’Italia” del 30 gennaio 1902 ne riportava con grande evidenza il resoconto e lo stesso giorno Pasquale Villari scriveva ad Ernesto Nathan, ricordando che fin dal congresso della “Dante” tenutosi a Messina nel 1899 egli aveva sostenuto che l’Inghilterra si sarebbe convinta delle giuste ragioni dei Maltesi. Per manifestare a Chamberlain tutta la riconoscenza della “Dante” chiedeva a Nathan se fosse il caso di chiedere ai presidenti di tutti i comitati della società di inviare al ministro inglese i propri biglietti da visita, in segno di omaggio. Con una punta di vigile autocritica il Villari però aggiungeva: “Non vorrei aver l’apparenza di far qualcosa di teatrale”.14
E difatti Villari rinunciò a questo omaggio corale a Chamberlain come annunciava in una successiva lettera indirizzata sempre a Nathan il 17 febbraio 1902, chiedendo se non fosse più opportuno inviargli una lettera, da rendere pubblica sui giornali. Osservava pure che erano fondate le lamentele dei maltesi, perché nei primi 3 anni delle elementari gli scolari studiavano solo l’idioma locale, restando esclusi sia l’italiano che l’inglese. 15
Villari non fece ricorso neanche a questa lettera aperta, ma ebbe comunque un nutrito scambio epistolare con Chamberlain.
- 11 -
Già in precedenza, con la data del 22 novembre 1900 (proprio nei giorni in cui il ministro inglese incontrava a Roma Visconti Venosta e Sonnino) era pervenuta a Villari una lettera di cui non si conosce l’autore, ma che appare ispirata da Chamberlain stesso. In detta lettera si giudicava eccessivo il rumore suscitato in Italia dalla questione maltese e si ribadiva che questa era un affare interno britannico che non ammetteva ingerenze straniere. Esclusa l’origine fenicia del maltese, lo si definiva “a bastard Arabic”, mentre “Italian has only been used as a judicial and official language” (“L’italiano è stato usato soltanto come lingua giudiziaria ed ufficiale”). La lingua italiana era usata a Malta solo dalla classe colta e dagli avvocati, concludeva la lettera facendo questa strana distinzione fra classe colta ed avvocati, che “are making a great commotion and trying to enlist the simpaty of Italy” (“stanno suscitando una grande emozione e cercando di attirarsi le simpatie dell’Italia”).16
Dopo il discorso ai Comuni di Chamberlain, Villari gli scrisse una prima lettera il 5 febbraio 1902, preannunciandogli che in qualità di Presidente della “Dante” gli avrebbe inviato una lettera pubblica, con una proposta di soluzione del problema linguistico a Malta.17
A stretto giro di posta, l’8 febbraio 1902, Chamberlain rispondeva ringraziando per l’offerta, ma dicendo di preferire una discussione privata.18 Sonnino, cui Villari aveva dato in visione questa lettera di Chamberlain, conveniva sull’opportunità di discutere in privato ed insisteva sulla proposta, da lui già formulata con un articolo sul “Giornale d’Italia” del primo febbraio 1902, di far scegliere lo studio di due lingue fra maltese, italiano ed inglese, che così non sarebbe più stata una scelta obbligata. “Chamberlain” , scriveva il Sonnino, “è un uomo puntiglioso e pieno di combattività, ma credo che, preso pel suo verso, sia disposto a cedere anche per dimostrare di possedere quella generosità d’animo che i suoi avversari politici gli contestano. Ma bisogna facilitargli il modo di cedere con dignità”. Occorreva quindi insistere con una corrispondenza privata “e al momento opportuno”, concludeva furbescamente Sonnino, “sia per agevolare le concessioni, sia per strapparle a forza, riaprire la discussione in pubblico”.19
La lettera di Chamberlain in data 8 febbraio si era incrociata con quella spedita da Villari il 7 febbraio.
Questa lettera passò attraverso due fasi di elaborazione (venne scritta in italiano e poi tradotta in inglese). La prima stesura partiva da una constatazione politica di carattere generale: l’indebolimento dell’Inghilterra sarebbe stato un danno per tutti, in particolare per l’Italia dove essa godeva di tante simpatie.
Riconosceva pure Villari che l’italiano era la lingua soltanto delle classi colte e che la conoscenza dell’inglese era indubbiamente utile: ma non si poteva sezionare la popolazione maltese, riservando l’italiano alla borghesia colta e costituendo inglese e maltese le lingue delle classi popolari. La soluzione ideale sarebbe stata l’insegnamento congiunto di italiano e
- 12 -
di inglese (era il “pari passu”, che Villari aveva giudicato disastroso nel suo discorso introduttivo al Congresso della Dante a Ravenna, il 27 settembre 1900: si era dovuto ricredere al riguardo dopo l’introduzione della “libera scelta” fra italiano ed inglese, che andava a tutto vantaggio del secondo) sull’esempio dell’insegnamento contemporaneo dell’italiano e del francese praticato in Val d’Aosta.
Evocava poi lo spettro della rivolta cattolica, se si fosse abolito l’italiano, lingua tradizionale della Chiesa di Malta e negava un valore assoluto alle statistiche citate da Chamberlain, che andavano interpretate: significava pure qualcosa il fatto che i Maltesi scegliessero l’inglese per il suo valore pratico, ma poi si recavano in massa alle dimostrazioni in favore dell’italiano.
Trovava un’inutile perdita di tempo far studiare per 3 anni il maltese a bambini che l’avevano già appreso dalla madre, definendo il maltese “un linguaggio che non ha libri, né giornali, che nessun altro popolo capisce, che è quindi come una prigione intellettuale”. Avanzava quindi la proposta, seguendo le indicazioni di Sonnino, di non imporre il maltese come lingua obbligatoria, lasciando poi la scelta fra italiano ed inglese; ma di far studiare 2 lingue a scelta fra maltese, inglese e italiano, osservando che “forse abbandonerebbero il dialetto che sanno e preferirebbero l’italiano e l’inglese”. Il maltese avrebbe potuto essere lingua veicolare per lo studio delle altre materie.
In ogni caso, concludeva Villari, la scuola obbligatoria sarebbe dovuta durare più dei 3 anni allora previsti ed esprimeva la fiducia di una rapida diffusione dell’inglese, aiutata da “mille potentissimi interessi materiali e morali”. I Maltesi bilingui sarebbero stati “un anello di congiungimento fra Italiani ed Inglesi, cosa egualmente grata ai due popoli”.20
Si deve osservare che Villari negava qualsiasi possibilità di sviluppo culturale al maltese, condannato ad una perpetua posizione ancillare di dialetto. E non si capisce poi come, confinato entro questi limiti, il maltese, affidato solo alle labbra materne e non studiato a scuola, potesse divenire lingua veicolare per l’insegnamento delle altre materie.
Nella seconda e definitiva stesura di questa lettera21 Villari non esitava più fra insegnamento non obbligatorio del maltese e la sua abolizione: proponeva senz’altro che scomparisse come materia d’insegnamento.
Chamberlain replicò che riteneva contraria ai principi di libertà un’abolizione autoritaria dello studio del maltese. A sua volta Villari osservava che era lesivo della libertà anche l’imporre lo studio del maltese; al che Chamberlain ribadiva la necessità di studiarlo, in quanto era l’unica possibile lingua veicolare per i bambini all’inizio della carriera scolastica, ma prometteva di esaminare la possibilità di ridurne l’insegnamento ad un solo anno.
E Chamberlain fu di parola: appena un mese dopo, l’8 aprile 1902 comunicava a Villari che, fatte le opportune ricerche sia a Malta che nel Galles, dove pure c’era un’istruzione bilingue, aveva disposto che lo studio del maltese fosse limitato alla prima classe elementare.22
- 13 -
Questa ulteriore concessione lasciava però insoddisfatti, almeno in parte, gli interlocutori italiani. E difatti alla richiesta di Villari di esprimere un parere su queste lettere di Chamberlain, così rispondeva Sidney Sonnino: “anche a me pare che egli tiri a canzonarci, ma non conviene mostrare troppo di essercene accorti, per mantenerlo sempre sul terreno delle concessioni; dato il quale si può forse a poco a poco tirarlo più in là di quanto egli da principio non vorrebbe andare. Bisogna forse prendere atto della riduzione del maltese a un anno solo; lei dice che di fatto ce ne restano ancora due; è questo un punto che occorre mettere in chiaro”.23
Ma queste riserve e queste preoccupazioni non uscivano, almeno in quel momento, dal chiuso di una corrispondenza privata tenuta segreta: le reazioni della stampa, dell’opinione pubblica, degli stessi politici italiani nelle loro dichiarazioni ufficiali furono improntate ad entusiasmo ed a stupore per una decisione che giungeva inattesa.
Ostili si dimostrarono invece i nazionalisti maltesi, che reagirono chiedendo “la supremazia assoluta della lingua italiana nelle scuole maltesi” e boicottando i lavori del Consiglio di Governo con il negare l’approvazione dei bilanci.
Si giunse così ad un gesto di forza da parte di Chamberlain, che il 23 maggio 1903 annunciò alla Camera dei Comuni la revoca della Costituzione del 1887, in base alla quale i membri elettivi formavano la maggioranza del Consiglio di Governo (14 su 20). Si tornava alla Costituzione del 1849: 10 membri nominati dal governatore ed 8 eletti, con l’importante novità che gli ecclesiastici non erano eleggibili.
A questo giro di vite britannico non corrispose una decisa presa di posizione da parte italiana.
Si reagì quasi con rassegnazione, prendendo atto dei rapporti di forza esistenti.
“ La sempre più limitata influenza italica nelle plaghe mediterranee è conseguenza di fatti d’ordine politico ormai compiuti: ne derivano difficili condizioni per il nostro idioma, imperocché l’influsso e il dominio politico altrui esercitano una potente attrazione verso altre culture e altri più diffusi linguaggi. L’accordo generale anglo-francese, lasciando in Egitto la mano libera all’Inghilterra, inevitabilmente rendeva più sparuto quel resto d’influenza italiana nel basso Nilo. Del resto l’incontestata amicizia britannica per noi non ha impedito, anche testè, al Governo inglese di proclamare giustificata la durezza di Chamberlain verso l’elemento italiano a Malta.”24
In queste parole di Bonaldo Stringher, direttore generale della Banca d’Italia, pronunciate nel discorso d’apertura da lui tenuto quale vice-presidente della Società Dante Alighieri in occasione del Congresso svoltosi a Napoli dal 23 al 27 settembre 1904, si condensa tutta l’amarezza che avevano suscitato nell’opinione pubblica italiana gli avvenimenti maltesi e la stretta di freni bruscamente impressa da Chamberlain alle aperture rappresentate dalla revoca dei proclami del 1899 e del 1901 che stabilivano la sostituzione dell’inglese all’italiano nei tribunali.
Ed oltre a far discendere la diffusione di una lingua direttamente dall’influenza politica di una nazione, nella stessa occasione lo Stringher sottolineava pure il peso che l’importanza economica di un paese poteva esercitare per la diffusione della sua lingua: “il francese
- 14 -
è considerato come linguaggio internazionale da tutti i levantini, segnatamente dai Greci; e nel grande commercio anche l’inglese e il tedesco vengono adoperati assai più che l’italiano, a cagione della grande diversità de’ rapporti economici e di scambio fra paese e paese.”25 Nel misurato linguaggio dello Stringher il risentimento, seppur vivo, era espresso in modo politicamente sfumato. E per un momento almeno, anche tra i nazionalisti maltesi ed il governo britannico si smorzarono i toni della polemica, in occasione della morte di Fortunato Mizzi, sopraggiunta il 18 maggio 1905.
Era consuetudine che nel Consiglio di governo fosse commemorata soltanto la scomparsa dei membri in carica. A quella data Mizzi non lo era, ma il luogotenente generale e primo segretario di governo, Merewether, volle derogare a tale consuetudine e nel corso della seduta del Consiglio di Governo svoltasi il 26 maggio 1905 lo ricordò con parole di ammirazione e rimpianto: “Voglio dichiarare che il governo ammette senza riserve che Fortunato Mizzi era veramente sincero nel manifestare le sue idee, e che in tutta la sua coscienza egli non pensò mai a trarre alcun vantaggio personale dalla sua posizione e che egli anzi fece tutto ciò che riteneva onestamente essere di beneficio al paese. Per quanto la malferma salute non glielo consentisse, il Dr. Mizzi seguitò fino all’ultimo a interessarsi vivamente della cosa pubblica. Noi deploriamo vivamente la Sua dipartita, e desideriamo tributare il nostro omaggio di ammirazione alla sua devozione ai principi di cui è sempre stato tenace assertore”.
Era l’onore delle armi tributato ad un leale avversario, della cui integrità non si poteva dubitare.
Morto Mizzi, con il nuovo leader nazionalista, Francesco Azzopardi, si mitigò l’intransigenza dei nazionalisti, che posero fine al boicottaggio parlamentare e ripresero a partecipare ai lavori del consiglio di governo.
La distensione nei rapporti anglo-maltesi trovò conferma nella visita di Winston Churchill, sottosegretario alle colonie, a Malta (2-5 ottobre 1907). L’uomo politico britannico elogiò il nuovo responsabile atteggiamento dei nazionalisti maltesi e si spinse a promettere una possibile revisione della condizione politica di Malta: “The door is not closed upon the Constitutional question” (“La porta non è chiusa sul problema Costituzionale”).
Ed il colonnello Seely, subentrato a Churchill come sottosegretario alle colonie, nel suo discorso ai Comuni del 27 luglio 1909 affermava: “It is our duty to attend to the representations of the people of the Island” (“E’ nostro dovere prestare ascolto alle proteste del popolo dell’isola”).
A conclusione di questo processo di riavvicinamento, si ebbero le lettere patenti del 7 dicembre 1909, che disponevano che nel Consiglio Esecutivo, il governo maltese, entrassero due membri elettivi dell’Assemblea Parlamentare, il cosiddetto Consiglio di Governo.
Lo stesso leader nazionalista Azzopardi accettò di far parte del consiglio esecutivo. I nazionalisti intransigenti perciò lo attaccarono duramente e si arrivò ad uno scioglimento del Consiglio di Governo, essendosi dimessi in massa i membri elettivi.
Nelle elezioni del 1911 Azzopardi non fu rieletto e prevalse così l’ala intransigente dei nazionalisti.
- 15 -
In questa situazione si venne affermando la presenza politica di Enrico Mizzi, le cui tendenze filo-italiane, ereditate dal padre Fortunato, erano state rese ancor più radicali dalla lunga permanenza in Italia, dove aveva fatto i suoi studi, laureandosi in legge, e aveva stretto vincoli di amicizia con i nazionalisti, primo fra tutti Luigi Federzoni, assimilandone concetti e metodi di azione politica.
Con gli uomini politici e con i giornalisti italiani che si erano occupati di Malta, in particolare con Ugo Ojetti, autore di corrispondenze apparse sul Corriere della Sera del novembre 1900, Enrico Mizzi polemizzò aspramente, ritenendoli troppo tiepidi nel sostenere la causa dell’italiano a Malta. Faceva eccezione solo per il marchese Adriano Colocci, che a più riprese si interessò delle questioni maltesi e che fu sempre al suo fianco, soprattutto nella costituzione del Comitato maltese della “Dante Alighieri”.
Ma l’interesse per Malta non era in Italia solo del Colocci: il 4 ottobre 1906 fu aperta nell’isola la filiale del Banco di Roma, con grande solennità.
Il discorso inaugurale fu tenuto dall’avvocato Arturo Mercieca, il presidente del circolo “La Giovane Malta”, che faceva pure parte del comitato organizzatore della cerimonia inaugurale e del Comitato di vigilanza del Banco.
L’aver affidato il compito di tenere il discorso di inaugurazione proprio al presidente de “La Giovane Malta”, sembrava corrispondere ad una significativa affermazione del “Corriere d’Italia”: “…non è chi non veda come la nostra azione commerciale e bancaria debba integrare i lodevoli sforzi che facciamo per mantenere l’italianità dell’idioma e della cultura” (“La sede del Banco di Roma a Malta – Le impressioni della colonia italiana”, 6 ottobre 1906).
La sinergia fra le attività culturali e quelle economico-finanziarie veniva pure messa in luce, non senza qualche enfasi, da “L’economista italiano” (Genova, 19 ottobre 1906, p. 644 – “Il Banco di Roma a Malta”): “certamente una succursale di un Banco italiano a Malta, così solennemente battezzata dall’augurio di tutte le autorità di tutte le nazioni europee, non è un semplice fatto di cronaca: è un’affermazione di italianità in un paese nel quale gli italiani abbondano”.
E la difesa dell’italianità, in particolare della lingua italiana, in quegli stessi anni si veniva accentuando: sintomatico al riguardo il dibattito sviluppatosi intorno al problema delle insegne commerciali in lingua straniera, che si era svolto anche nei congressi della “Dante Alighieri”, tenuti a Genova nel 1906, a Cagliari nel 1907, a l’Aquila nel 1908 e soprattutto in quello di Brescia del 1909, cui partecipò anche il leader nazionalista Luigi Federzoni, autore di una lunga serie di articoli pubblicati con lo pseudonimo di Giulio de Frenzi (28 ottobre 1908 e poi giugno-luglio 1909; gli articoli furono poi raccolti in volume col titolo “Per l’italianità del Garda-See”, pubblicato nel 1909 dall’editore Ricciardi di Napoli).
Venivano così maturando le condizioni perché tornasse di attualità la costituzione di un comitato della Società Nazionale “Dante Alighieri” a Malta dopo il tentativo del 1900, fallito per l’opposizione di quanti ritenevano la “Dante” una emanazione della Massoneria.
Enrico Mizzi spinse al massimo perché si realizzasse tale progetto, ma in realtà le antiche diffidenze ed ostilità non erano scomparse e non tardarono a venire alla luce, trovando spazio perfino nell’organo ufficiale dei nazionalisti, il quotidiano “Malta”, diretto dal fratello di Enrico Mizzi, Giuseppe.
- 16 -
Le spaccature tra le varie anime del partito nazionalista, che abbiano visto diviso tra un’ala intransigente ed una moderata, si manifestarono con violenza polemica anche attorno alla costituzione del comitato della “Dante”. Il “Malta” diede ospitalità agli uni ed agli altri, anche se in fondo conduceva una sorda lotta contro Enrico Mizzi.
E così il giornale nazionalista riprendeva dalla stampa cattolica la vecchia accusa alla “Dante” di essere profondamente infiltrata da influenze massoniche, portando come prova il discorso d’apertura del congresso di Milano del 1897, pronunciato dall’allora presidente Pasquale Villari, che aveva dichiarato che la “Dante” non avrebbe aiutato le scuole che non celebravano la ricorrenza del XX settembre, data che segnava la fine del potere temporale del papa e che il “Malta” riteneva una ricorrenza “notoriamente massonica”.
Ed il “Malta” citava pure l’affermazione di Ernesto Nathan, autorevole socio della “Dante”, oltre che sindaco di Roma e Gran Maestro della Massoneria, secondo il quale la Società nazionale “Dante Alighieri” corrispondeva agli ideali massonici.
Il “Malta” si dichiarava quindi ostile alla “Dante”, accusandola di avere “obliqui intendimenti” ed affermando di volersi sempre mantenere “eminentemente cattolico”.26
Lo stesso giornale a distanza di qualche giorno pubblicava la replica del segretario del comitato maltese della “Dante”, Antonio Dalli, che affermava esservi nella società spazi per tutti: le più alte cariche della “Dante” erano affidate a cattolici, come il Presidente Paolo Boselli ed il vice-Presidente Donato Samminiatelli. Ed inoltre, Dalli affermava che tutti i maltesi, soci della “Dante” compresi, erano senz’altro difensori della fede cattolica, in quanto “elemento integrale” dell’identità nazionale e “barriera contro l’assorbimento straniero”.27
Professione di fede che non era comunque valsa a vincere le ostilità del clero cattolico. A breve distanza di tempo sempre il “Malta” pubblicava una lettera del vescovo Pace, secondo il quale, pur non esistendo una formale condanna da parte della chiesa, visti i documenti pubblicati sulla Società, non conveniva “ad un buon cattolico di esservi ascritto o prendervi parte in qualunque modo”.28 Al che ancora Antonio Dalli replicava con immediatezza che la “Dante” esisteva ormai da 25 anni ed era significativo che mai la Chiesa aveva pronunciato una condanna formale.29
Lo stesso Mizzi non nascondeva la diffusa ostilità contro il neonato comitato. Già il 9 aprile 1913 scriveva al segretario generale della Dante, Zaccagnini, ricordando ottimisticamente l’appoggio di quasi tutta la stampa locale, ma aggiungendo subito dopo: “Temiamo però delle sorprese dalla Curia, legata a filo doppio col Governo inglese”.30
Timori confermati ed accentuati nella successiva lettera di Mizzi a Zaccagnini del 13 maggio: erano numerosi gli attacchi della stampa, basati sull’accusa di massoneria (svanito l’ottimismo della precedente lettera sull’appoggio dei giornali). Per controbattere tali accuse Mizzi chiedeva “un elenco dei più autorevoli cattolici ed ecclesiastici che formano parte della “Dante”.
- 17 -
Accusava il governo inglese di nascondersi dietro la Curia per orchestrare questi attacchi ed aggiungeva sconfortato: “La polemica contro la “Dante” è stata – caso curioso e sintomatico - iniziata da mio fratello che dirige il “Malta”. A quanto pare egli è stato messo in sacco dai gesuiti e dal governo”.31
Non per questo veniva comunque meno la fiducia degli organi centrali della Società nel comitato maltese ed in Mizzi, che difatti il 20 giugno 1913 scriveva a Zaccagnini ringraziandolo perché il contributo di 500 lire da lui richiesto nella lettera già citata del 9 aprile era stato raddoppiato, portandolo a 1000 lire.32
Appare poi bellicoso il tono della successiva lettera a Zaccagnini, in data 30 giugno: “La lotta continua: noi usiamo la massima prudenza, non disgiunta però da coraggiosa fermezza”.
Nonostante le calunnie degli avversari, i soci della “Dante” aumentano. Il Governo inglese e la Curia solleticano “gli istinti più bassi della massa ignorante”; ma “fortunatamente non pochi sacerdoti – i più sinceri – sono con noi e difendono la lingua italiana e, malgrado le persecuzioni curialesche, aiutano di sottomano la nostra propaganda”.33
Più smorzati i toni della lettera inviata sempre allo Zaccagnini il 15 luglio 1913: afferma di seguire una “tattica intesa a non urtare alcuno e, possibilmente, a rassicurare tutti in questa piazzaforte del clericalismo più intransigente e papalino”. La tattica sembra riuscita: i soci aumentano; solo suo fratello Giuseppe, il direttore del “Malta” si è dimesso. Non si fa soverchie illusioni su di un suo ripensamento né sulla costanza di certi soci, i quali si lasciano attorniare da gente politicamente equivoca e clericalmente fanatica ed intransigente.
“A fine anno si vedrà quanti confermeranno l’iscrizione.” 34
La Presidenza della “Dante” continuava a dare fiducia a Mizzi. Il vice-presidente Samminiatelli comunicava il 4 agosto al Presidente Boselli di essersi lamentato col redattore del “Corriere della Sera”, Forges Davanzati, perché il corrispondente dal Vaticano aveva dato spazio “ai malinconici appunti antimassonici dell’arcivescovo maltese”, ottenendo la promessa “di cogliere la prima occasione per rimediare al mal fatto”.35
Rinfrancato forse da questo sostegno, Mizzi scriveva a Zaccagnini il 15 agosto che la vittoria elettorale dei nazionalisti era dovuta in gran parte all’azione del Comitato della “Dante”, grazie al quale si sarebbe aperta a Malta nel prossimo ottobre una scuola elementare, cui il Governo italiano avrebbe dato un finanziamento di 4000 lire e materiale scolastico del valore di 2000 lire. Anche la locale società di beneficenza “Umberto I” avrebbe dato il suo appoggio. Chiedeva però l’istituzione di una scuola media, con un finanziamento di 17.000 lire, , poiché riteneva insufficiente avere solo una scuola elementare, la cui frequenza avrebbe dovuto essere assicurata anche ai ragazzi maltesi, oltre che agli italiani.36
Uno strumento efficace per consolidare la presenza della “Dante” a Malta fu la rivista “Malta letteraria”, fondata da Arturo Mercieca nel maggio 1904, le cui pubblicazioni mensili dall’inizio del 1913 furono poste sotto gli auspici della Società, i cui fini e metodi di azione
- 18 -
erano così presentati sul numero 105-106 del gennaio-febbraio 1913: “…la “Dante Alighieri”, per i suoi gagliardi propositi, per le sue virtuose affermazioni, per il suo spirito di sacrificio non ha più nulla da invidiare alle maggiori e più forti Società straniere di propaganda linguistica”. Negata ogni rivendicazione politica e confermato il rispetto per la tradizionale religiosità maltese, così proseguiva la presentazione. “Desiderio della “Dante” è che gli italiani sotto ogni lembo di cielo, entro e fuori i confini politici o naturali del Regno, sappiamo di non essere dimenticati mentre essi operano efficacemente per mantenere salda l’impronta della stirpe”. Alle continue schermaglie fra sostenitori ed avversari della “Dante” seguì rapidamente lo scontro frontale e risolutivo, a seguito del XXIV congresso della Società, tenutosi a Pallanza dal 31 agosto al 4 settembre 1913.
Il congresso si svolse in un clima di eccitazione nazionalista. Già nel discorso inaugurale del Presidente Boselli risuonava quasi una chiamata alle armi per la difesa della lingua italiana.
Chiedeva infatti Boselli a se stesso, prima ancora che all’uditorio: “E perché, dove è minacciosa l’invasione di altre lingue estirpatrici della lingua nostra, non imitano gli italiani le falangi che promuovono altrove simili conquiste? Perché non imitano quei messaggeri diuturnamente insidiosi e pugnaci? Perché non apprestiamo noi più pronti, più copiosi, più energici i ripari?”.37
Inoltre, se nel congresso di Brescia del 1909 Luigi Federzoni aveva sostenuto un ruolo di primo piano, presentando una controrelazione sulle insegne commerciali in lingua straniera, in questo congresso protagonista di spicco fu l’altro leader nazionalista, Enrico Corradini, che vi prese parte come delegato del comitato di Boston.
Corradini prese la parola nella seconda seduta, il 1° settembre 1913, e, incurante dell’ordine del giorno dei lavori, che prevedeva la discussione sulla relazione della commissione libri, svolta dal consigliere Arturo Galanti, riprese il tema delle insegne in lingua straniera, strappando gli applausi dell’uditorio con un veemente linguaggio che deplorava come per interessi commerciali si rinunciasse alla dignità nazionale.
Esaurita poi la discussione sulla relazione Galanti, Corradini da primo firmatario presentò una mozione contro “l’invasione delle lingue straniere nei commerci, nelle insegne e in molte manifestazioni della vita pubblica”, auspicando l’emanazione di una legge per assicurare “un rigoroso uso della lingua italiana…sopprimendo tolleranze servili”.38
Seguì un animato dibattito, che registrò interventi per lo più favorevoli alla proposta di Corradini.
- 19 -
Gualtiero Castellini, anche lui esponente nazionalista della prima ora e firmatario con altri della mozione Corradini, proponeva che la legge vietasse l’uso delle lingue straniere nelle insegne commerciali su tutto il territorio nazionale. L’archeologo Evaristo Breccia, delegato di Alessandria d’Egitto, si dichiarò favorevole alla mozione proposta da Corradini, aggiungendo che gli studiosi italiani non avrebbero dovuto partecipare ai congressi internazionali in cui l’italiano non fosse tra le lingue ufficiali.
Trompei proponeva di aggiungere il divieto alle scuole straniere presenti in Italia di escludere fra i vari insegnamenti linguistici quello dell’italiano, come avveniva in molti istituti, specialmente in quelli tenuti da religiosi. E il delegato di Nizza, Targhetta, si associava alla proposta, lamentando pure l’uso del francese in Val d’Aosta.
La mozione Corradini venne alla fine approvata, senza però l’aggiunta sull’insegnamento dell’italiano nelle scuole straniere, proposta dal Trompei, in quanto ritenuta “non strettamente connessa” alla proposta, rimanendo comunque “consacrata nei verbali del Congresso”, come si espresse il Galanti.39
Quello che non aveva ottenuto Federzoni nel congresso di Brescia del 1909, l’ottenne così Corradini con l’approvazione della sua proposta, rimasta comunque senza un seguito legislativo: con lo scoppio della prima guerra mondiale ben altri problemi si imposero e si dovette quindi attendere l’avvento del fascismo per italianizzare le insegne commerciali.
Al centro della terza seduta, svoltasi il 2 settembre 1913, avrebbero dovuto essere due relazioni, che non si svolsero per l’assenza dei relatori, l’On. Rava, che avrebbe dovuto parlare sul tema “La Dante Alighieri e i nuovi problemi democratici ed economici”; e l’On. Leonardo Bianchi, che avrebbe dovuto trattare la “Necessità della diffusione della lingua italiana nella sezione del bacino mediterraneo orientale”. A questo secondo tema si riconnetteva la relazione sulla “lotta per la lingua italiana e le scuole italiane a Malta”, che, in assenza del prof. Romano, fu tenuta dal delegato di Palermo, Siragusa.
- 20 -
Ma prima della relazione si ebbe l’intervento del marchese Colocci, presidente onorario del comitato maltese, che ricordò l’attaccamento dei maltesi alla lingua italiana e la loro lotta “per difenderla non contro l’Inghilterra, antica ed autentica maestra di libertà al mondo, ma contro gli atteggiamenti ostinatamente avversi di alcuni suoi funzionari”.40 Fatta questa diplomatica distinzione, per cui i contrasti con l’amministrazione britannica venivano ridimensionati al livello di casi individuali, Colocci passava poi ad illustrare la richiesta, formulata da Enrico Mizzi in un suo memoriale, di istituire a Malta una scuola media italiana, assicurando che sotto questa proposta non si celava alcuna idea di irredentismo.
Seguì la relazione del prof. Siragusa, che affrontò il tema dell’italianità di Malta, affermando che essa risultava dalla tradizione storica, dalla posizione geografica, dalla consuetudine linguistica e criticando le politiche snazionalizzatici di quegli Stati che non rispettavano l’identità dei loro sudditi: non era espressamente citata l’Inghilterra, ma era trasparente l’allusione. Compito della “Dante”, asseriva Siragusa, era quello di difendere questa identità minacciata, “senza occuparsi di politica o di irredentismo”. Proseguiva inviando al Comitato maltese “un vivo saluto” a nome del congresso. Rifacendosi poi all’intervento del Colocci, sottolineava l’importanza della scuola per “la difesa della lingua nativa” e ricordava ancora l’ostilità dei “clericali”, che ci teneva a distinguere dai “cattolici”, citando la disapprovazione del vescovo di Malta per i credenti che volessero aderire alla “Dante” e la vecchia calunnia,
già energicamente da lui confutata, di essere la “Dante” un’associazione di stampo massonico. Calunnia che il Congresso doveva respingere “in toto”. Presentava quindi un ordine del giorno che invitava il Consiglio centrale a studiare “accuratamente il problema della istruzione nell’isola di Malta” e ad adottare, “mentre le disposizioni del Governo inglese sembrano tanto favorevoli”, i provvedimenti necessari per istituire a Malta una scuola media italiana per migliorare gli istituti già esistenti per tutelare e diffondere la lingua e la coltura di nostra gente nell’isola tradizionalmente italiana”.41
L’ordine del giorno fu approvato senza alcun contrasto e rappresentò l’inizio della fine per il Comitato di Malta.
Difatti si levarono subito alte voci di protesta. L’organo stesso dei nazionalisti, il “Malta”, fu ancora una volta in prima linea in questa offensiva, affermando che “date le buone intenzioni del Governo locale, ammesse dallo stesso Congresso della “Dante Alighieri” in Pallanza, si commetterebbe una grave imprudenza se il Governo italiano dovesse, proprio in questo momento di transizione, ingerirsi nelle cose nostre”. E si chiedeva poi: “dal momento che il Governo locale si è persuaso della necessità dello studio della lingua italiana in Malta, che bisogno c’è di rivolgersi al Governo italiano per lo stabilimento di una scuola italiana in Malta?” Denunciava poi l’irredentismo , se non del Colocci, di altri soci del Comitato maltese della “Dante”, fortemente sospettata pure di tendenze massoniche. Citava ancora il comunicato emesso il 10 settembre dalla Direzione della scuola elementare “Umberto I” (era una istituzione privata), che ci teneva a precisare la sua assoluta estraneità alla “Dante”. E concludeva con l’accusa di verticismo alla “Dante” maltese, poiché all’infuori del Comitato direttivo nessuno sapeva di questa proposta di istituire a Malta una scuola media italiana, che era “ un pio desiderio di pochi individui”.42
- 21 -
Né le proteste si arrestarono a queste polemiche giornalistiche, anzi dilagarono all’interno dello stesso Comitato maltese. Sollecitate addirittura, a quel che sembra, dallo stesso Console d’Italia, Carrara, succeduto al Barilari e come questi ostile al Mizzi.
Ci furono le dimissioni di un nutrito gruppo di soci, che nella lettera inviata a Mizzi denunciavano il mancato rispetto “ai diritti sovrani” dell’Inghilterra, auspicando un intervento della Presidenza centrale della “Dante Alighieri” per “rendere in Malta alla patriottica istituzione la sua caratteristica prettamente italiana, degna pertanto di tutta la simpatia e non della diffidenza delle autorità inglesi e degli indigeni, che le importune, inesatte ed ambigue affermazioni intervenute al Congresso potrebbero pienamente giustificare”.43
A questa presa di posizione replicava sul “Corriere della Sera” del 16 settembre 1913 il prof. Siragusa, asserendo che gli interventi svolti da lui stesso e dal marchese Colocci non erano stati fatti a nome del Comitato maltese, nominato semplicemente per inviargli un saluto.
Ribadiva la distinzione già fatta fra clericali e cattolici, ricordava che sia lui che Colocci avevano riconosciuto le buone disposizioni britanniche verso la lingua italiana. Proseguiva rivendicando la legittimità di opporsi “con mezzi onesti e legali” ad ogni tentativo di snazionalizzazione e concludeva rivendicando l’italianità di Malta: “…i confini naturali delle regioni furono posti da Dio; la tradizione, la lingua, la storia sono quelle che sono, né la politica o la diplomazia potranno mutarle. Malta è e sarà sempre isola italiana”.44
Il Siragusa rivendicava con tanta decisione l’italianità di Malta, ma l’imbarazzo in seno agli organi centrali della “Dante” era notevole: anche se sostenevano ancora Mizzi, una certa irritazione traspariva chiaramente. Mizzi scriveva a Zaccagnini l’11 settembre, asserendo che il Console Carrara aveva attaccato la “Dante”, spingendo alle dimissioni 5 soci del Comitato maltese per far piacere al Governo inglese ed alla Curia. Gli attacchi sul “Malta”diretto dal fratello Giuseppe erano ispirati da ragioni personali.45
Zaccagnini a sua volta scriveva, dopo pochi giorni, al Presidente Boselli: “Da Malta il Mizzi scrive e riscrive. Bisogna lasciarli friggere e sbollire: lui e il Console Carrara che dà, ma non accetta consigli. Conobbi questo Carrara, nipote del Biancheri, anni fa a Pera. E allora era uno sconsigliato”.46
Se Mizzi era molto assiduo nello scrivere, non era minore l’insistenza del Colocci, che arrivava a scrivere al Vice-Presidente Samminiatelli due volte nella stessa giornata del 12 settembre. Nella prima lettera manifestava l’opinione che il console volesse abbattere il Comitato maltese della “Dante” per crearne un altro formato da elementi di sua fiducia.47
- 22 -
In preda ad un’ evidente agitazione, aggiungeva nell’altra lettera che l’ordine del giorno votato a Pallanza e fonte delle polemiche era stato concordato tra il consiglio direttivo del Comitato maltese, Boselli, Samminiatelli e Capel Cure “che possiamo considerare come un…fiduciario del governo inglese”. Riteneva che la situazione fosse frutto di “una manovra stroncatoria delle autorità locali per dividere e portare a rovina la “Dante” o forse di una manovra del vescovo di Malta o ancora di “una vendetta…siciliana di qualche furente bocciato al Congresso di Pallanza”.48 L’allusione ultima era riferita allo stesso Siragusa, che aveva tenuto al Congresso di Pallanza la relazione sulla situazione maltese e che non era stato rieletto nel Consiglio centrale della “Dante”. Il Capel Cure ricordato nella stessa lettera era un giornalista inglese, che risiedeva proprio a Pallanza, autore con lo pseudonimo di Gian della Quercia di molti articoli sulla stampa inglese favorevoli all’Italia, pubblicati particolarmente in occasione della guerra libica.49
Non pago, Colocci scriveva il 30 settembre 1913 al Presidente Boselli, attaccando duramente il console Carrara: la causa della lingua italiana a Malta era stata compromessa “dall’opera barbina di un Console spaventato, irriflessivo, precipitoso e dissolvente”.50
Né era solo Colocci a prendersela con il Console. Quasi contemporaneamente, il 22 settembre, il vice-presidente Samminiatelli scriveva addirittura al ministro degli Esteri, marchese Antonino di San Giuliano, confermando quanto il Colocci gli aveva ricordato: che l’ordine del giorno sulla scuola a Malta era stato concordato con la Presidenza della “Dante” e con il giornalista inglese Capel Cure, che si era offerto come “intermediario ufficioso” col governo britannico, contando importanti amicizie nel mondo politico di Londra. Samminiatelli criticava il Console per la precipitazione con cui aveva agito; se si fosse meglio informato, preferibilmente con lo stesso Presidente Boselli, avrebbe capito che l’ordine del giorno votato a Pallanza non voleva essere ostile verso la Gran Bretagna.51
Ma nella stessa giornata del 22 settembre Boselli scriveva a Samminiatelli (le due lettere venivano ad incrociarsi), consigliandogli appunto di scrivere al Ministro degli Esteri e cominciando prudentemente a prendere le distanze sia dal Console che da Mizzi: “Non so bene cosa abbia detto quel Console. In ogni caso, non a lui ma al Ministro degli Esteri scriverei per informare il nostro Governo e perché persuada quel Console ad altra opportunità e ad altra forma di linguaggio. Ma, ripeto, non so bene le cose di colà. E pare che il Mizzi impersoni una corrente massonica che guasta le ragioni nostre.”52
Cominciava così a delinearsi lo “sganciamento” della “Dante” e Mizzi sembrava quasi rendersene conto, insistendo disperatamente nell’accusare il vice-console Mazzone, corrispondente del “Corriere della Sera” e de “l’Ora” di Palermo, di calunniarlo, come faceva pure per ragioni personali il suo stesso fratello Giuseppe sul “Malta”. Rinfacciava pure al Console Carrara di aver compiuto un inspiegabile voltafaccia, dato che aveva preliminarmente approvato il piano per l’istituzione di una scuola italiana a Malta.53
- 23 -
E sempre Mizzi ripeteva ancora in una lettera del 9 ottobre 1913 a Zaccagnini le solite argomentazioni, accusando il vice-console Mazzone ed il fratello Giuseppe di condurre per ragioni personalistiche la campagna contro di lui e contro la “Dante”.54
Interveniva nel frattempo il giornalista inglese Capel Cure, che il 30 settembre scriveva a Samminiatelli, accusando il Console di aver agito senza informarsi prima. Rassicurava il Samminiatelli circa la scarsa importanza data all’incidente dai giornali inglesi, che avevano pubblicato succintamente la notizia, senza una riga di commento. Il governo inglese dal canto suo aveva fatto finta di niente e quindi la cosa più saggia era il silenzio.55
A sua volta Samminiatelli trasmetteva a Boselli il 7 ottobre la lettera di Capel Cure e nella sua lettera di accompagnamento accusava il Console di aver agito per timore della concorrenza che la scuola italiana proposta da Mizzi poteva esercitare alla “iniziativa sua della scoletta elementare per regnicoli di Malta”. E consigliava di inviare a Malta il barone Scotti, che era uno dei revisori dei conti, “perché il Consiglio Centrale, ben informato, possa giudicare imparzialmente”.56
E la proposta di inviare un proprio osservatore denotava chiaramente come si fosse incrinato il rapporto di fiducia con Mizzi. A far precipitare la situazione intervenne poi la lettera inviata il 29 ottobre dal Console Carrara al Presidente Boselli. Con una durezza di linguaggio insolita per un diplomatico il Console scriveva che i dirigenti della “Dante” a Malta non avevano “nessuna rispettabilità morale” ed avevano un “disonesto contegno di pubblicisti menzogneri”. Si trattava “di una mezza dozzina al più di non onesti e disprezzati elementi maltesi”.57
Boselli rimase turbato da questi giudizi così aspri e si affrettò a rispondere il 9 novembre 1913, chiedendo maggiori informazioni. Scriveva Boselli : “Il nostro Sodalizio può essere rappresentato da persone di qualunque pensiero politico e di qualunque convinzione religiosa; non mai da gente disonesta”. Prometteva che si sarebbe indagato, dando queste assicurazioni: “E se risulterà - la S.V. ci renderebbe servigio segnalato dandomi riservatamente le informazioni opportune e precise - che la “Dante” è in mani non degne, stia pur certo che non si tarderà a provvedere”.58
A questa richiesta di Boselli il console rispondeva con sua lettera del 25 novembre 1913 informandolo di aver fornito i chiarimenti necessari all’emissario della “Dante”, il barone Scotti, che si era reso conto non trattarsi di uno dei consueti e inevitabili pettegolezzi coloniali, ma esclusivamente della dignità e del prestigio della “Dante”.59
Dal canto suo Mizzi, presagendo l’avvicinarsi della fine del Comitato maltese, insisteva nel chiedere che il Colocci potesse partecipare al Consiglio centrale che avrebbe esaminato la situazione maltese, tempestando di lettere Zaccagnini.60
- 24 -
Nell’ultima di queste lettere datata 27 novembre 1913, accennava all’incontro avuto il giorno precedente con l’osservatore della “Dante”, il barone Scotti, lamentando di averlo potuto incontrare troppo brevemente; cronometrava con pignoleria i tempi: dalle 10,00 alle 11,30 il mattino; circa 15 minuti (“un quarticello”) il pomeriggio.
Aveva quindi potuto dirgli pochissimo. Attenuava poi la sua polemica con il console, che considerava in buona fede e che si era professato nazionalista, “anzi quasi irredentista”. “L’anima nera” era il viceconsole Mazzone; si dichiarava comunque disposto a conciliarsi con il consolato, se avesse smesso di attaccarlo.
Di rincalzo a questa martellante attività epistolare di Mizzi arrivava il Colocci, che il 29 novembre 1913, proprio alla vigilia della riunione del Consiglio centrale, svoltasi il 30, scriveva lungamente a Samminiatelli. Affermava che per la “Dante” era fondamentale la presenza a Malta e che, non rispettando le deliberazioni del Congresso, si sarebbe screditato il Consiglio centrale. Definiva “stolida” la pretesa che alla “Dante” potessero aderire solo i “regnicoli”: si erano ammessi i “rinnegati” che avevano rinunciato ad essere italiani, assumendo la nazionalità del Paese dove erano emigrati, e si volevano escludere i maltesi, che invece rivendicavano la loro italianità.
Trovava pure ingiusto ridurre tutto al caso di Mizzi, accusato di voler strafare. Era piuttosto da considerarsi un benemerito per il suo attivismo, di fronte all’inerzia degli altri. Lamentava ancora di non esser stato invitato a partecipare al Consiglio centrale e che Scotti si fosse trattenuto a Malta solo poche ore, incontrando Mizzi per un’ora appena.
Si raccomandava a Samminiatelli “per l’onestà della procedura”, minacciando interventi parlamentari alla Camera e “grandi polemiche”, se la “Dante” avesse ceduto proprio nel momento in cui si potevano ottenere risultati positivi grazie al suo accordo con Capel Cure.
E concludeva, quasi supplicando: “Lei però può impedire il trucco e difendere la causa giusta e l’interesse nazionale nostro. Lo faccia, Conte!”61
L’anno precedente, il 14 aprile 1912, c’era stato il naufragio del Titanic e le cronache riportano che l’orchestrina di bordo aveva intrattenuto i passeggeri fino a poco prima che la nave si inabissasse.
E quasi analogamente, se pure in circostanze molto meno tragiche, nel bel mezzo dell’imperversare delle polemiche che stavano per mettere fine alla sua esistenza, il Comitato maltese festeggiava il 26 settembre 1913 il primo anniversario della sua costituzione con una manifestazione al teatro Vittoria: si tennero un concerto ed una festa da ballo , si inaugurò il labaro sociale ed il prof. Carlo Suriano della Regia Università di Napoli declamò un suo canto dedicato a Dante.62
Nella sua seduta del 30 novembre 1913 il Consiglio centrale esaminò al 4° punto del suo ordine del giorno il problema maltese. La discussione fu rapida ed impietosa.
Il Presidente, ricordato che a seguito delle polemiche sorte dopo l’approvazione dell’ordine del giorno nel Congresso di Pallanza si era deciso di affidare al barone Cristoforo Scotti il compito di rendersi conto della situazione e di riferire, diede senz’altro la parola allo stesso Scotti.
- 25 -
Il verbale della seduta riportava così l’andamento dei lavori.
“Scotti. Legge la relazione, che dice aver precisione stenografica di colloqui da lui avuti con il prof. Laurenza, col Console e con il Presidente del Comitato locale; dopodiché dice che questi è per lo meno un esaltato, con poco seguito fra i suoi concittadini.
Barbero. Ritiene che la relazione Scotti fotografi con precisione ed evidenza la situazione, ricorda che il Console Barilari, predecessore dell’attuale, fu già contrario alla fondazione di un Comitato a Malta, specialmente se affidato al Mizzi, manifesta l’opinione che sia meglio lasciare alla Società di beneficienza (sic) Umberto I, che fa capo al consolato, e al Console stesso, di coadiuvare nella esecuzione del voto contenuto nell’ordine del giorno approvato a Pallanza; e per evitare dualismi e contrasti, che certo nuocerebbero ai fini sociali e al prestigio della “Dante” in quell’isola, crede che convenga sopprimere il Comitato di Malta.
Nathan. Si associa, dicendo che quel comitato non ha ragione di esistere, mentre è più opportuno ed utile sussidiare le istituzioni locali.
Il Consiglio approva all’unanimità lo scioglimento, essendo presente un numero di consiglieri maggiore a quello (sic) richiesto dallo Statuto per l’adozione di un siffatto provvedimento”.63
Toccò al Presidente Boselli l’ingrato compito di comunicare a Mizzi questa amara decisione del Consiglio centrale. E lo fece sollecitamente, due giorni appena dopo la seduta, il 2 dicembre 1913, rendendogli almeno formalmente l’onore delle armi e con qualche diplomatica inesattezza come l’affermazione che il Consiglio centrale “serenamente esaminò, sulla scorta dei documenti della S.V. inviati, la condizione di codesto Comitato”. In realtà il Consiglio prese la sua decisione soltanto sulla base della relazione del barone Scotti.
“Il Consiglio - proseguiva Boselli” – non può non esserle grato della sua buona volontà, ma non approvò le polemiche acerbe dibattutesi nella pubblica stampa e le ritenne dannose alla “Dante”, non solo perché trascesero in diatribe personali, ma perché valsero a suscitare sospetti intorno al carattere apolitico dell’azione sociale…Rivissero così nel Consiglio i gravi dubbi già affacciati il giorno che si consentì alla costituzione di un Comitato locale a Malta”.
Pur dando atto a Mizzi della sua solerzia, gli comunicava quindi che con parere unanime si era deciso di sciogliere il Comitato, anche perché con le dimissioni di tutti o quasi tutti i “regnicoli”, il Comitato risultava composto quasi esclusivamente da cittadini britannici, il che avrebbe dato “all’opera della “Dante”, l’importanza politica che non deve avere”.
Il Consiglio, concludeva Boselli, in conformità al voto del Congresso di Pallanza, aveva inoltre deciso di contribuire “col buon accordo delle autorità locali all’incremento delle istituzioni scolastiche e della cultura italiana dell’Isola”. Ed aggiungeva infine di confidare nella collaborazione di Mizzi.64
Nonostante la decisione avversa del Consiglio centrale, Mizzi non disarmava. Già l’indomani della seduta del Consiglio centrale e prima ancora di aver ricevuto la comunicazione ufficiale delle decisioni prese, fattogli dal Boselli con la suddetta lettera del 2 dicembre 1913, il segretario del Comitato maltese convocava per domenica 7 dicembre con una sua lettera circolare del 1° dicembre l’Assemblea generale dei soci per esaminare la proposta del
- 26 -
Consiglio direttivo del comitato stesso “di trasformare il Comitato maltese della Società nazionale “Dante Alighieri” in un’associazione autonoma, indipendente dal Consiglio centrale, che si proponga lo scopo e adotti i mezzi rispettivamente fissati dagli articoli 1 e 2 del regolamento interno del Comitato ed assuma il titolo di “Lega nazionalistica maltese Dante Alighieri”.65
La proposta fu approvata e Mizzi ne dava notizia a Boselli il 10 dicembre, rispondendo alla lettera inviatagli dal Presidente della “Dante” il 2 dello stesso mese.
Quali che fossero i suoi sentimenti, Mizzi ringraziava con fredda cortesia per l’apprezzamento della sua opera e si dichiarava disponibile a collaborare, pur rammaricandosi per lo scioglimento del comitato. Confidava comunque nell’appoggio, almeno morale, della “Dante” alla neonata “lega”, chiedendo che ad essa potessero restare i libri ed i mobili acquistati dalla “Dante” stessa.66
Mizzi doveva attendere con una certa ansietà la risposta di Boselli, dato che, tardando questa, la sollecitava con una sua lettera del 24 dicembre 1913. 67
La risposta, positiva, gli pervenne stavolta a stretto giro di posta, se già il 31 dicembre Mizzi scriveva a Zaccagnini per ringraziare della cessione dei beni della “Dante” all’omonima lega da lui costituita e dell’appoggio morale promesso. Nella lettera accennava alle trame dei suoi nemici fra cui asseriva celarsi spie del Governo locale, alle quali assicurava di opporsi “non deviando mai dalla linea di prudenza e di moderazione” impostasi, sino al punto di evitare perfino di dare troppa pubblicità alla “lega” per evitare attacchi e polemiche.68
Ma sugli equivoci che potevano nascere dalla omonimia tra la “Società nazionale Dante Alighieri” e la “Lega nazionalistica Dante Alighieri” Mizzi contava parecchio: può rivelarlo già il fatto che per le lettere a Boselli e Zaccagnini del dicembre 1913 continuava ad adoperare la carta intestata “Comitato maltese della Società nazionale Dante Alighieri”, ormai disciolto.
Ed ancora, assunta da Mizzi agli inizi del 1914 la Direzione della Rivista “Malta letteraria” in sostituzione di Arturo Mercieca, nel fascicolo n° 127 –128 del novembre-dicembre 1914 si tracciava il bilancio culturale di quell’anno (pp. 332-334) citando l’attività della “Dante
Alighieri” senza specificare che si trattava della “Lega nazionalistica” omonima e ricordando che il 20 settembre 1914 si era celebrato “il 2° anniversario della fondazione della “Dante” con un discorso del prof. Alfredo Bartoli della locale università per commemorare la fine dell’assedio turco a Malta, avvenuto il 7 settembre 1565: celebrare il 2° anniversario della fondazione del Comitato maltese della “Società nazionale Dante Alighieri”, come se nulla fosse stato e non avesse cessato di esistere, significava stabilire un’identità, più che una continuità, tra le due organizzazioni.
E questa voluta ambiguità non sfuggiva all’attenzione del nuovo Console d’Italia a Malta, De Lucchi, che in un suo rapporto in data 8 maggio 1917 al Ministro degli Esteri,Sidney Sonnino, scriveva che Mizzi, malgrado la soppressione del Comitato maltese della “Società nazionale
- 27 -
Dante Alighieri” di cui era stato presidente “continuò a farsi passare in quella qualità presso alcuni giornalisti e parlamentari del regno”, sorprendendo la loro buona fede, come risultava anche da un precedente rapporto inviato dallo stesso consolato il 5 marzo 1914.69
L’altro personaggio profondamente implicato in questa vicenda era il marchese Adriano Colocci, che il 29 novembre 1913 aveva scritto al vice-presidente della “Dante” Samminiatelli minacciando interventi parlamentari e “grandi polemiche” se la “Dante” avesse preso provvedimenti contro il Comitato maltese.
Ben diverso il tono di una sua successiva lettera allo stesso Samminiatelli, custodita nel fascicolo dell’anno 1914 nell’archivio storico della “Dante”, che porta solo l’indicazione del giorno 15, senza precisare il mese. Dovrebbe probabilmente trattarsi del gennaio 1914, dato che si riferiva alle vicende legate allo scioglimento del Comitato maltese come ad avvenimenti recenti.
Potrebbe però trattarsi anche del 15 dicembre 1913 poiché la lettera è stata conservata con la stessa collocazione B 7 bis nel fascicolo 1914 dell’altra lettera dello stesso Colocci che è sicuramente del 29 novembre 1913, anche se erroneamente custodita nel fascicolo 1914. Problemi di datazione a parte, quel che può essere di maggiore interesse è che il Colocci, dismessi i toni polemici, si presentava in veste di paciere. Affermava infatti che la sua opera di convinzione “riuscì a far trangugiare la soppressione senza recriminazioni violente, né polemiche urtanti”, il che “dato il carattere insulare e la gravità della misura” era “molto”.
Comunicava che si era costituita la “Lega nazionale Dante Alighieri”, attribuendo l’iniziativa ad un suggerimento dello stesso Samminiatelli. La “lega”, asseriva Colocci, sarebbe stata “più agile, più spedita, non vincolata a riguardi di ufficiosità né di titubanze accademiche”. Si rammaricava ancora per lo scioglimento del Comitato maltese, annunciando il proposito di appellarsi all’Assemblea generale dei soci della “Società nazionale Dante Alighieri” contro queste misure.
Ricordava poi l’operosità del disciolto Comitato, commentando amaramente: “Tutto ciò un giorno sarà compreso anche da voi, che correste impulsivamente alla demolizione di un organo operoso” e concludeva infine che in futuro sarebbe stata apprezzata pure l’attività di Enrico Mizzi, cui era toccata “la sorte di Federzoni e di tutti i giovani fattivi di essere cioè avversati in sul primo apparire nella vita”.
A distanza di molti anni Colocci ritornò ancora su queste vicende, raccontandole però in modo ben diverso in un libro di memorie.70
Fra gli altri suoi ricordi citava i rapporti avuti con la “Dante Alighieri” a proposito di Malta, usando un linguaggio polemico acceso, infiorato di numerose inesattezze. Asseriva anzitutto di essere intervenuto nel 1902 per interessarlo alla questione maltese presso Pasquale Villari, “il quale con molte tergiversazioni (mi pare che avesse parenti inglesi) fece il diplomatico, l’astuto, lasciandomi una pessima impressione”.71
- 28 -
A parte la gratuita quanto inesatta allusione a parentele inglesi di Villari (era Sonnino ad esser nato da madre inglese), che avrebbero spiegato la sua tiepidezza per i problemi di Malta, bisogna sottolineare che da presidente della “Dante” Villari si era attivamente occupato di Malta fin dal 1899, in occasione del congresso di Messina, senza bisogno di sollecitazioni da parte di Colocci o di chiunque altro.
Ed ancora, Colocci affermava: “avvedutomi che da quella parte nulla c’era da sperare, mi contentai di quel poco che, in quelle circostanze, si poteva ottenere e feci nascere a Malta una sezione della Dante Alighieri italiana”:72 come se una sezione della “Dante” potesse nascere così, all’infuori o addirittura contro la volontà del Presidente e degli altri organi direttivi.
A parte queste volute inesattezze, l’inventiva del Colocci toccava il culmine quando sosteneva che, rimasta inascoltata una sua richiesta di finanziare la rivista “Malta letteraria”, avanzata al Samminiatelli con lettera del 23 giugno 1914, “come conclusione telegrafai al Mizzi di emanciparci dalla Dante. Rinunziammo ed (recte “ad”) essere una sezione della Dante italiana alla dipendenza da Roma e ci costituimmo in Circolo Dante Alighieri di Malta, autonomo ed indipendente. – E facemmo benissimo! -73
Non è necessario indugiare a mettere in risalto tutte le falsità di questa ricostruzione dei fatti. E’ già di per sé chiara la disinvoltura del Colocci nel manipolare ed alterare la verità storica dei fatti: non avrebbe senso una polemica anacronistica. Quel che può invece importare è chiarire quali e quanto grandi fossero le difficoltà create dagli stessi nazionalisti a chi si volesse occupare del problema maltese.
Ma non meno spinose erano le difficoltà causate dal mondo cattolico, sia italiano che maltese, arroccato in una arcigna e scorbutica opposizione all’Italia unita, pronto ad approfittare dei casi di Malta come di ogni altra occasione per polemizzare contro gli “usurpatori” italiani e contro la “massonica” “Dante Alighieri”.
Si sono già citate le prese di posizione del vescovo di Malta, Pace, contro la “Dante” . Ed un’ulteriore documentazione al riguardo può essere fornita dalla lettura della “Civiltà cattolica”.
Nell’annunciare l’imminente congresso della “Dante” a Catania (27-31 ottobre 1912), l’organo dei Gesuiti definiva lodevole l’intento di sostenere all’estero la lingua italiana, aggiungendo però subito: “non c’era bisogno poi della “Dante” per questi scopi patriottici:
tutte le missioni cattoliche all’estero, tutte le scuole pei vari gradi e gli istituti di educazione all’interno, hanno lavorato, lavorano più strenuamente della “Dante” per lo stesso fine”.74
- 29 -
Rivendicato così il primato del mondo cattolico per il sostegno alla lingua italiana, in un numero successivo la “Civiltà Cattolica” dava il rendiconto del congresso di Catania, biasimando gli interventi del Sindaco di Roma, Ernesto Nathan, e dell’on. Socialista Giuseppe De Felice, che avevano rivendicato le tradizioni laiche: “Simili espressioni…basterebbero a farci giudicare quali siano i veri scopi dell’associazione, e i veri muratori di tutto questo nuovo edificio”. 75
In Italia come a Malta, l’accusa di preferenza rivolta dai cattolici conservatori alla “Dante” era quella di essere un’associazione massonica.
Ancora maggiori l’attenzione e le attenzioni riservate dalla “Civiltà Cattolica” al congresso tenuto dalla “Dante” a Pallanza e soprattutto al dibattito in quell’occasione dedicato a Malta.
Già la pubblicazione dei documenti preliminari del congresso, avvenuta nel bollettino della Dante nel luglio 1913, forniva l’occasione per una drastica presa di posizione.
Si ricordava le lettera del vescovo di Malta per distogliere i fedeli dall’aderire alla “Dante” , “in cui si può ritenere certa l’infiltrazione massonica. Si aggiunga pure che in quell’isola i cattolici subito aderirono alla parola del loro Pastore, anche quelli che della lingua italiana fanno una bandiera di combattimento. I giornali italiani furono i primi in questa sottomissione, facendo vedere che si può benissimo essere tenero amante e difensore della lingua italiana senza alcun bisogno della Dante Alighieri. E l’esperienza l’ha dimostrato. Dopo la proibizione del vescovo il governo inglese è addivenuto a migliori consigli, il che la “Dante” non avrebbe mai ottenuto, anzi avrebbe impedito”.76
E sullo stesso numero, duplicando gli interventi, si ritornava sull’argomento, precisando quali fossero i “migliori consigli” del governo inglese: dopo la lettera del vescovo che sconsigliava l’iscrizione alla “Dante”, il 31 luglio 1913 il governo inglese aveva stabilito che gli atti giudiziari dovevano essere redatti solo in italiano, essendo questa lingua “tecnicamente più pratica agli avvocati maltesi”. Questa decisione britannica secondo la rivista dei gesuiti dimostrava che “la causa della lingua, dove ci sono i cattolici, non ha bisogno di altri difensori”.77
Ovviamente, non tutti erano disposti a riconoscere tale esclusività delle benemerenze verso la lingua italiana al mondo cattolico. A qualche anno di distanza, nel 1915, Carlo Paladini scriveva sulla “Voce”: “Quel po’ di bene che in fatto di lingua gli italiani poterono compiere finora, è quasi per intero dovuto alla “Dante Alighieri”, che alimentò e incoraggiò resistenze e fissò uno scopo di italianità intellettuale ben determinato: l’agitazione a favore della lingua italiana a Malta, fu incentivo per sollevare questioni di giustizia e di amministrazione…”78
- 30 -
La “Civiltà Cattolica”, dopo le anticipazioni sull’imminente congresso della “Dante” a Pallanza, non tralasciava poi d’informare i suoi lettori sull’andamento dello stesso, riconoscendo che vi era stato qualche aspetto positivo, come l’autocritica fatta nel denunciare la scarsa attenzione fino ad allora dimostrata nell’evitare che l’italiano “si imbastardisse… proprio in Italia. Opportunamente il congresso fu richiamato a questa cura, la cui mancanza era in contraddizione stridente con i suoi fini”. Lodava quindi la posizione del Corradini avversa alle insegne pubblicitarie in lingue straniere, lamentando però che non ci si fosse pure pronunciati “contro l’uso che han molti italiani di chiamare i loro bimbi e se stessi, i cavalli e i cani con nomi stranieri”.
Queste aperture, insolite vista la tradizionale accanita opposizione riservata alla “Dante” da parte della “Civiltà Cattolica”, possono spiegarsi con il fatto che nel 2° congresso nazionalista, svoltosi a Roma nel dicembre 1912, Corradini aveva sostenuto che con l’avvento del suffragio universale maschile, introdotto nel 1911, i nazionalisti erano obbligati a scegliere tra l’alleanza con i cattolici e quella con i socialisti: e l’indicazione fornita dallo stesso Corradini era di optare decisamente per l’alleanza con i cattolici. Nelle successive elezioni politiche, svoltesi poco dopo il Congresso di Pallanza della “Dante” , il 26 ottobre 1913 (il ballottaggio si ebbe il 2 novembre) Corradini si presentò nel collegio di Marostica con l’appoggio dichiarato dei cattolici, che non fu comunque sufficiente a farlo eleggere.
Fatto questo riconoscimento, che veniva incontro ai nazionalisti, la “Civiltà Cattolica” tornava poi puntualmente ad attaccare la “Dante”, asserendo che nella elezione degli organi direttivi si era affermata una forte presenza di elementi massonici, di cui faceva i nomi: “Stringher, Rava, Finocchiaro – Aprile, Nathan, ecc.”79
Ma il culmine in questa polemica antimassonica l’organo dei gesuiti doveva toccarlo alcuni anni dopo, annunciando in questi termini la morte di Nathan: “ Il 9 aprile moriva a Roma Ernesto Nathan, il cui nome fu come un simbolo di anticlericalismo settario. E fu infatti egli ruvidamente settario, quale soprattutto si rivelò allorché della Massoneria sostenne la suprema carica, e dal famigerato blocco massonico fu portato al Campidoglio, l’imposto Sindaco di Roma, esso ebreo, ateo, ed esponente massimo della setta”.
Proseguiva ricordando che era stato celebrato un funerale solo civile, escludendo ogni rito religioso “per cui quasi soltanto il trasporto di un cadavere umano differisce da quello di una carogna”. Dopo essersi espresso con questa finezza di linguaggio, l’autore dell’articolo concludeva affermando che per definire lo scomparso un uomo di carattere, occorreva “soprattutto quell’alta rettitudine morale che ci sarà stata in Nathan, ma che si può aver diritto di non riconoscergli, quando si pensi a quello che egli fu essenzialmente, vale a dire tipico e rumoroso rappresentante di quella fucina d’imprese fosche e losche, che è la malefica setta massonica.
In ogni modo la misericordia di Dio ha sì gran braccia, che si può non disperare delle sorti finali di nessuno, neppure di chi, oltre ad essere ateo ed ebreo, impersonava così spiccatamente lo spirito massonico”. 80
- 31 -
Un compendio delle prese di posizione cattoliche sul congresso di Pallanza e sulla “Dante” in generale si ebbe con la pubblicazione di un opuscolo che riportava citazioni giornalistiche, giudizi espressi da autorità religiose, documenti tratti anche da pubblicazioni della “Dante Alighieri” e della massoneria.81
Il leit-motiv è quello solito: la “Dante” è profondamente intrisa di spirito massonico e la prova regina è costituita dalla presenza nel Consiglio centrale eletto a Pallanza di numerosi massoni. Era ripreso ed arricchito l’elenco dei reprobi già pubblicato sulla “Civiltà Cattolica”, da cui derivava pure un atteggiamento antisemita oltre che antimassonico: “Massoni o ebrei o anticlericali. E i cattolici dovranno avere piena fiducia in questo consiglio?” Era questo il commento di Demofilo, che esortava ad avere invece fiducia nell’opera svolta dai missionari cattolici nel mondo, a sostegno dell’italianità: “Salesiani, francescani, domenicani, camillini, redenzionisti, assunzionisti, giuseppini, opera Scalabrini, ecc., ecc; sono migliaia e migliaia di persone che il nome, la lingua, i costumi della nostra patria italiana fanno conoscere nelle varie nazioni dell’Europa, nelle Americhe, nell’Asia, nell’Africa…”
A rinfocolare l’attenzione appassionata dei cattolici rivolta al congresso di Pallanza ed alla questione maltese valse pure il fatto che in quell’anno 1913 l’isola era al centro dell’interesse religioso, perché in essa si tenne dal 22 al 27 aprile il XXIV congresso eucaristico internazionale, cui parteciparono eminenti prelati e numerose delegazioni provenienti da molti Paesi.
Ospite d’onore fu Sua Grazia il duca di Norfolk, così esaltato da Mons. Farruggia, autore di una dettagliata cronaca dell’avvenimento: il “nome solo è il lustro più specioso dell’Inghilterra, essendo egli la prima persona della nobiltà inglese”. Il pio duca, come riferito sempre da Mons. Farruggia, faceva ogni giorno la comunione.82
Contrastavano col devoto atteggiamento del duca di Norfolk i supposti tentativi dei protestanti inglesi, denunciati nella stessa opera, di turbare la serenità del Congresso Eucaristico con la diffusione di alcuni scritti, che non sembra però che avessero molta fortuna, secondo le asserzioni di mons. Farruggia, che definiva i protestanti “i seguaci dell’impudico frate di Wittemberg”, ricordando un opuscolo del Clarke, stampato a Londra, che accusava i cattolici, specialmente quelli maltesi, di essere intolleranti, e che chiedeva al governo britannico di vietare lo svolgimento del Congresso. L’opuscolo, asseriva il Farruggia, ebbe scarsa diffusione a Malta, unicamente fra i parlamentari e gli alti funzionari britannici.
Sorte peggiore toccò ad un altro opuscolo, opera del rev. E.W.Moore, intitolato “The Eucharistic Congress: What does it mean”: Le copie messe in circolazione, affermava mons. Farruggia, furono consegnate “dai buoni Maltesi ai rispettivi Parroci: e servirono ad un grande falò per far divertire i ragazzi”.
Non tutti i credenti di altre religioni furono comunque ostili a questo avvenimento, importante per la chiesa cattolica e per Malta. Annotava compiaciuto l’autore di questa cronaca”: E’ degno di nota che anche il Club dei militari inglesi e la chiesa greco-scismatica furono anche illuminati con sommo contento dei Maltesi”.83
- 32 -
Ma il Congresso Eucaristico fu anche un’occasione per affermare l’importanza a Malta dell’italiano, usato per i loro interventi da numerose personalità, non soltanto maltesi o italiane. E difatti in occasione della sessione generale del 24 aprile, oltre ai maltesi mons. Farruggia (“L’Eucarestia a Malta”) e avvocato Gallea (“La liturgia della Messa”), parlò in italiano anche il vescovo di Namur, mons. Heylen, che nella sua qualità di Presidente del Comitato permanente dei Congressi Eucaristici tenne il discorso introduttivo.84
Ed anche in italiano parlò il futuro fondatore dell’Università Cattolica di Milano, il padre Agostino Gemelli (“Lourdes e l’Eucarestia”), sebbene il suo discorso fosse stato scritto in francese, venendo riportato in questa lingua nell’opera del Farruggia 85.
Lo stesso mons. Farruggia venne però incontro alle esigenze linguistiche dei maltesi: egli stesso attesta che nel riepilogare i discorsi tenuti in occasione della “sessione delle dame”, “…siccome, oltre le signore, trovavasi gran calca di donne popolane, credette proprio esporre nella lingua maltese le parti più salienti delle trattate materie”.86
Ed in italiano infine fu composto per l’occasione un inno sacro, rimasto tra i più noti della liturgia cattolica, “T’adoriam Ostia Divina”, opera di un sacerdote maltese, don Carmelo Psaila, che però con lo pseudonimo “don Karm” fu pure un fecondo autore di poesie in maltese.87
ASDE: Archivio Storico Diplomatico Esteri
Sulla sosta romana di Chamberlain il “Corriere della Sera”, pubblicava un trafiletto il 20 novembre 1900 dal titolo “Chamberlain trattenuto a Roma”, addebitandola ad una indisposizione della moglie ed alla stanchezza del viaggio. Dava notizia dell’attività turistica del ministro inglese e preannunciava il pranzo all’ambasciata britannica il giorno successivo. Sul pranzo ritornava il 21 novembre (“Chamberlain e Visconti Venosta. Una nota sulla questione della lingua a Malta”), descrivendo l’atmosfera di cordialità in cui si era svolto il colloquio. Per l’occasione si rettificava il resoconto dell’incontro svoltosi a Malta il 7 novembre 1900 tra Chamberlain ed i nazionalisti, pubblicato sul “Corriere” del 9 novembre (“La protesta muta dei maltesi contro le aspre dichiarazioni di Chamberlain”, già citato) precisando che non si era in quella occasione trattata la questione linguistica e che Mizzi e gli altri rappresentanti maltesi avevano chiesto soltanto maggiori poteri per i problemi locali.
Un commentatore politico italiano, Primo Levi, dava sul “cattivo carattere” di Prinetti un giudizio analogo a quello dello Steed, nell’articolo “L’on. Prinetti Ministro degli Affari Esteri”, pubblicato su “La Rivista Moderna Politica e Letteraria” (febbraio 1903, p. 3-12): “la sua persona non è, anzitutto di quelle che inspirano e godono larghe simpatie; a ciò, osta il suo carattere, il quale soleva prima, e suole ancora, esprimersi con modi che, nei paesi parlamentari, non sono i più propizi alle fortune politiche, meritate o no che esse siano” (p. 3-4). Ed ancora era ricordata “la niuna malleabilità, che sembrava renderlo meno indicato ad un ufficio in cui la malleabilità è di prammatica, secondo l’opinione di molti, di troppi”(p.4).
Il Levi riconosceva però che con i suoi modi bruschi Prinetti, aveva ottenuto risultati positivi, quali non si erano avuti in precedenza con il “buonismo”: “e poiché la troppa bontà non giova alle Nazioni più che agli individui, tutti si sarebbero sentiti disposti ad approfittare ancora della bontà nostra, senza preoccuparsi del corrispettivo cui avevamo diritto.
Le dichiarazioni dell’ on. Prinetti, per quanto alcuni le ritenessero spostate, rimisero le cose a posto. Si sa quale eco esse ebbero in tutto il mondo, e specialmente in Inghilterra, dove finalmente si incominciò a comprendere
- ed a riconoscere – l’importanza dell’alleanza italiana, e dove perciò non vi furono parole abbastanza severe per lord Salisbury, e per lord Currie, che l’avevano compromessa. Né si trattò di sole parole e di un effetto fuggevole e vano” (p. 6).
Ibidem, B 22 bis, lettera dell’11 novembre.
Ibidem, B 23 bis, lettera del 18 novembre.
Ibidem, B 10, lettera del 27 novembre.
Si può ricordare come esempio che il ministro degli Affari Esteri, conte Nicolas di Robilant, per rafforzare le posizioni della lingua italiana a Smirne aveva provveduto ad inviarvi le Suore dell’Immacolata Concezione, dette Suore di Ivrea. Nel 1896 l’Associazione Nazionale per i missionari italiani, accogliendo l’invito del Ministero degli Esteri, assunse direttamente la gestione delle scuole femminili di Smirne, su cui sventolò la bandiera italiana. Nel 1903 furono cedute all’Associazione anche le Regie scuole maschili di Smirne, che furono affidate ai Salesiani. E sempre in Turchia, nel 1913 la scuola italiana maschile di Adalia fu affidata pure ai salesiani e quella femminile alle figlie di Maria Ausiliatrice.
Queste iniziative erano orgogliosamente rivendicate nel capitolo “L’operosità dell’Associazione nazionale nell’Asia Minore”, contenuto nell’opuscolo “L’Italia e l’Asia Minore” – Pubblicazione della Associazione nazionale per i missionari italiani. San Benigno Canadese. Scuola tipografica don Bosco 1918.Nello stesso
opuscolo Roberto Paribeni elogiava l’opera dei missionari italiani in Albania, Turchia, Palestina, Egitto, ove avevano fondato scuole, ospizi, ospedali, orfanotrofi, ricordando: “Non solo, ma per opera dell’Associazione numerose case religiose italiane che si trovavano sotto la protezione straniera chiesero ed ottennero la protezione italiana. In tutte le stazioni dell’Associazione Nazionale domina un vigoroso senso di italianità, di fierezza patriottica, di retto e ben inteso decoro… Le scuole sono generalmente oltremodo fiorenti, e vi si apprende ad amare e venerare l’Italia”. ( “Memorie e diritti d’Italia nel Mediteraneo Orientale”. Conferenza tenuta a Torino il 10 febbraio 1918 da Roberto Paribeni, direttore del Museo Nazionale Romano e della Missione Archeologica Italiana in Asia Minore”, p. 23).
Non mancò comunque una decisa opposizione laica a questa cessione delle scuole statali all’estero agli ordini religiosi. In occasione del 3° convegno degli insegnanti italiani all’estero, svoltosi a Torino nel 1911, Luigi Ambrosini si occupò diffusamente del problema sulla “Voce”(“Il 3° convegno degli insegnanti italiani all’estero”, n. 38,39,40 del 21 e 28 settembre, 5 ottobre 1911), elogiando la politica di Crispi, che nel 1888 aveva istituito scuole statali italiane nei Paesi del Mediterraneo: “Largamente liberali e laiche, queste scuole erano aperte non solo ai connazionali, ma anche agli stranieri, senza distinzioni di nazionalità e di religione, e in questo spirito di tolleranza e di rispetto per tutte le credenze, dovevano distinguersi nettamente dagli istituti delle altre nazioni europee, che erano in quel tempo, tutti o quasi, confessionali o congregazioniste”.
Da ciò derivavano le simpatie degli insegnanti italiani per Crispi, a prescindere da fattori politici di carattere generale.
Anche Giuseppe Lombardo Radice si era espresso a favore della laicità delle scuole italiane all’estero in un suo articolo apparso sul n. 24 del 27 maggio 1909 della “Voce” (L’articolo fu poi ristampato con altri scritti nel volume “Scuole italiane all’estero”. Bonanno editore, Ortona a Mare 1910). In questo articolo Lombardo Radice scriveva che le scuole volute da Crispi erano state “benevolmente accolte dalle nostre colonie e dagli indigeni che nel carattere aconfessionale non trovavano ostacolo alle loro credenze e al loro sentimento politico”. Ma poi “…Tittoni le infeudò ai Salesiani e ai preti d’ogni razza e, quando apertamente non poté adottò il sistema di farle intisichire, di avvilirle, abbandonandole indifese alla formidabile concorrenza di tutte le altre nazioni, per potere poi dal loro fallimento trarre legittimi motivi di esplicito abbandono in altre mani”.
Proseguiva il suo atto d’accusa, Lombardo Radice, accomunando come responsabili la burocrazia ministeriale e, a sorpresa, Nathan, esponente di primo piano della massoneria italiana. “Ma la vera colpevole è la inetta e incredibilmente colpevole burocrazia del reparto scuole che sta alla Consulta”. (all’epoca era la sede del Ministero degli Esteri).
Il maggiore responsabile era per Lombardo Radice l’ispettore generale delle scuole italiane all’estero, “il fratello del vescovo, comm. Angelo Scalabrini, caro a massoni e a preti (ricordiamoci che il G…: M…..: Nathan ebbe a dire una volta che in oriente le scuole dei frati dovevano essere incoraggiate!)”.
Scalabrini, proseguiva implacabile il grande pedagogista, assumeva i docenti con criteri clientelari, senza garanzie di carriera, preferendo i precari per poterli ricattare. I locali erano scelti in località periferiche ed infelici, non si curava la conoscenza delle tradizioni culturali del Paese dove sorgevano le scuole, che dipendevano “dai Regi Agenti, anche se esperti solo nel commercio della passolina di Grecia e dei fichi secchi…”.
La rete di scuole costruita sotto Crispi iniziò ad essere pertanto smantellata con il governo di Rudinì , disponendosi nel 1891 la chiusura di circa 50 istituti. Una ripresa con il nuovo governo Crispi nel 1894 si rivelò effimera e, come scriveva l’Ambrosini in uno degli articolo citati, “la scuola dello Stato si riduceva a un termine nei compromessi fra lo Stato e il clericalismo. Il terreno fu ceduto a pezzi e bocconi alle organizzazioni congregazioniste. L’ispettorato centrale delle scuole all’estero divenne una potenza protettrice delle scuole private”. (“La Voce”, n. 38, 21 settembre 1911, p. 655-656).
Ed in un successivo articolo l’Ambrosini rincarava la dose delle accuse all’ispettore Scalabrini condannando senza possibilità di appello il suo operato: “L’opera e la persona del comm. Angelo Scalabrini sono considerate oggi dalla totalità dei maestri come perniciose all’avvenire della scuola italiana di Stato all’estero…L’ispettore generale Scalabrini non ha più non dico il favore, ma nemmeno la stima dei suoi dipendenti”. (“La Voce”, n. 40- 5 ottobre 1911, p. 663). Sulle scuole italiane all’estero interveniva pure Stefano Iacini in un suo articolo pubblicato sempre sulla “Voce”, dedicato al 2° congresso degli italiani all’estero (“La Voce”, anno III, n. 26 – 29 giugno 1911- “Il 2° congresso degli italiani all’estero”, pp. 600-601), commentando invece con favore la gestione degli istituti affidati ai religiosi: “Notevole, per quanto riguarda la scuola, l’assoluta mancanza di anticlericalismo preconcetto o di esigenze angustamente statali. Troviamo discusso il problema della scuola italiana all’estero, nel suo triplice aspetto, secondo cioè che s’impianti in colonie di diretto dominio, in paesi di “capitolazione” od in istati esteri propriamente detti…”