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Giuseppe Donati ed Umberto Calosso esuli antifascisti a Malta
La necessità di potenziare le iniziative scolastiche e culturali italiane a Malta era illustrata in un pro-memoria inviato al sottosegretario agli Esteri Dino Grandi il 22 marzo 1928 dal giornalista Guido Puccio, reduce da un soggiorno maltese, durante il quale aveva condotto un’inchiesta sulle condizioni della lingua italiana.1
Anche il Direttore Generale per l’Europa ed il Levante, Raffaele Guariglia (futuro Ministro degli Esteri del Governo Badoglio nel 1943), concordava sull’opportunità di difendere l’italianità di Malta non affidandola solo agli “attacchi violenti ed ingiuriosi” della stampa italiana (in particolare della “Tribuna”) al leader del partito Costituzionale maltese e capo del governo Gerald Strickland, tenace avversario dell’uso dell’italiano; consigliava quindi di incoraggiare il console italiano a trovare in Malta un giornale disposto a svolgere propaganda italiana “senza entrare nelle polemiche locali”; di svolgere un’attività culturale a Malta, inviandovi “di tanto in tanto qualche serio conferenziere, nell’attesa di creare localmente qualche nostra istituzione di penetrazione culturale”.
Proposte che Grandi accoglieva favorevolmente, postillando di suo pugno con le parole: “Approvo le proposte dell’Ufficio, e prego dare ad esse esecuzione” l’appunto inviatogli da Guariglia, che riprendeva quasi alla lettera le proposte del promemoria di Puccio in precedenza fatto pervenire a Mussolini.2
Con questi progetti italiani di una “Kulturkampft” a Malta contrastava il proposito di Strickland di istituire un collegio inglese; proposito che, superate le difficoltà iniziali, si avviò rapidamente a conclusione.
Il vice console Mazzone riferiva le voci correnti a Malta sull’ostilità vaticana all’idea del collegio cattolico inglese, sebbene, secondo quel che riferiva il “Daily Malta Chronicle”, il Segretario di Stato, cardinal Gasparri, ed il Primate d’Inghilterra, cardinal Bourne, appoggiassero questo piano.3
Quasi contemporaneamente l’ambasciatore a Londra, Bordonaro, dava invece notizia del favore vaticano al progetto e della conseguente promessa di fornire la più ampia collaborazione per attuarlo, potendosi pure contare sulla cospicua somma di 100.000 sterline, offerta da lady Strickland. Gli amministratori del Collegio avrebbero dovuto essere il cardinale Bourne, il Ministro delle Colonie, Amery, ed il Governatore di Malta.4
Dopo qualche giorno però lo stesso Bordonaro segnalava il rifiuto opposto da vari ordini religiosi alla richiesta avanzata da Strickland e Bartolo di assumere la gestione del collegio; si erano manifestati disponibili soltanto sacerdoti secolari.5
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Anche il “Times” del 18 dicembre dava notizia del progetto dell’Istituto, informando i lettori del memorandum presentato all’Assemblea legislativa maltese dal ministro dell’Istruzione, Bartolo, per la creazione di un istituto che assicurasse la formazione di una coscienza britannica nei giovani maltesi, escludendo però che si volesse così snazionalizzare l’isola. Era necessaria questa opera di formazione dei giovani, ponendo fine all’inerzia britannica di fronte all’intensa attività di Mizzi a favore della lingua e cultura italiana. Si citava come esempio il programma di lord Lloyd per scuole inglesi in Egitto ed in seguito si ricordava come nella folta comunità di Tunisi, che si diceva anglo-maltese, quasi nessuno conoscesse l’inglese. La conclusione del “Times” era: “It is in the highest interest of the British Empire that they important outpost should be British in other senses that it flies the British flag”.6
Non mancò l’appoggio concreto del governo inglese, che cedette i locali dell’ex ospedale militare della Cottonera. Anzi, secondo il segretario particolare di Mussolini, Alessandro Chiavolini, che citava una segnalazione “pervenuta da fonte meritevole di considerazione”, le 100.000 sterline donate da lady Strickland sarebbero state in realtà una sovvenzione dello stesso governo.7
Il 18 gennaio 1929 fu firmato l’atto di fondazione dell’Istituto, che ebbe il nome di “St. Edward’s English College” e che, quale che fosse l’origine del finanziamento, inaugurò la sua attività con l’anno scolastico 1929-1930. Ne dava notizia al Ministro degli Esteri il console Villarey, precisando che i 32 allievi erano tutti figli di seguaci di Strickland e che il Collegio San Luigi dei gesuiti italiani aveva ben poco risentito della concorrenza del nuovo istituto, perdendo solo qualche allievo.
L’inaugurazione avvenne nel momento in cui il contrasto fra Strickland e la Chiesa cattolica era particolarmente acceso, per cui, nonostante il Primate britannico cardinal Bourne, fosse uno degli amministratori dell’Istituto, il vescovo di Malta rifiutò di benedire i locali, come lo stesso Strickland lamentava nel suo intervento alla Camera dei Lords il 3 marzo 1931.
L’organico dell’Istituto era formato, oltre che dal direttore e dal vice direttore, da 2 professori inglesi e da 2 maltesi, uno dei quali insegnava l’italiano, non essendosi trovato un insegnante di madre lingua.8
Questo vuoto dell’organico fu presto colmato. Chiavolini, nella stessa lettera al capo-gabinetto del MAE, già citata, comunicava che l’insegnamento dell’italiano, obbligatorio per il “pari passu”, che imponeva l’insegnamento contemporaneo dell’italiano e dell’inglese, era stato affidato al “sig. Giuseppe Donati, fuoruscito e noto antifascista, già direttore del giornale “Il Popolo” di Roma, organo del Partito Popolare Italiano. L’impressione, fra la laboriosa colonia italiana di Malta, è stata di disgusto e di riprovazione. Si prevede una recrudescenza nella lotta contro l’Italia ed il Fascismo. Il sig. Donati dovrebbe essere giunto a Malta in questi giorni”.9
Ancor prima di questa lettera di Chiavolini, il console Silenzi aveva segnalato al Ministero degli Esteri l’arrivo di Donati, collegandolo alle voci insistenti corse a Malta della imminente pubblicazione, ad opera di un “eminente italiano antifascista residente a Londra, di un libro sui rapporti segreti intercorsi tra i nazionalisti maltesi ed i fascisti italiani, intitolato: “Malta ed i fascisti”. Voci già riferite dal Console a Grandi, divenuto ministro degli Esteri, con il suo rapporto in data 4 ottobre 1930.10
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La notizia di tale pubblicazione, ritenuta imminente, aveva destato un certo allarme negli ambienti ministeriali, sia degli Esteri che degli Interni. Per cui si era sollecitato il console a fornire più precise notizie ed ad inviare, quando fosse stato pubblicato, 2 copie del libro.11
A queste sollecitazioni il console rispondeva col rapporto dell’8 novembre 1930, riferendo l’ipotesi che l’autore del libro fosse Angelo Crespi, secondo l’opinione diffusa presso i nazionalisti maltesi, per altro poco preoccupati, poiché ritenevano che il libro non sarebbe uscito.12
A questo rapporto Silenzi ne faceva seguire un altro il 15 novembre, confermando l’ipotesi che l’autore fosse Angelo Crespi, che già aveva pubblicato vari articoli contro Mizzi sul “Malta Chronicle”.
Era nota l’amicizia che legava Donati a Crespi, che si era pure adoperato, unitamente ad altri illustri esuli a Londra, don Sturzo e Carlo Sforza, per fare avere all’amico la cattedra nel collegio di Strickland. Da questo a supporre che Donati fosse venuto a Malta per realizzare in combutta con Crespi misteriosi piani antifascisti, il passo era breve, dato il clima di rancoroso sospetto che circondava gli esuli antifascisti. E difatti così scriveva Silenzi al MAE in questo rapporto del 15 novembre: “Si sospetta altresì che la venuta a Malta del fuoruscito antifascista dott. Giuseppe Donati, chiamato a insegnare l’italiano nel Collegio St. Edward’s, fondato da lord Strickland, possa avere attinenza con la pubblicazione del libro in questione. Della presenza a Malta del Donati ho già informato codesto Ministero, ed è certo che egli non è stato chiamato in quest’isola per il solo scopo dell’insegnamento della nostra lingua”. Il rapporto si concludeva con l’impegno a fornire altre eventuali notizie sul libro e sull’attività di Donati a Malta. 13
Il libro atteso con tanta trepidazione non uscì, né Donati era venuto a Malta per dedicarsi a tesser congiure antifasciste.
L’esule italiano arrivò a Malta il 6 ottobre 1930, nel momento forse più difficile della sua vita: compromesso per i rapporti che con ingenuo entusiasmo aveva allacciato con agenti
provocatori fascisti che si erano infiltrati nelle legioni garibaldine di Ricciotti Garibaldi e nella redazione del “Corriere degli Italiani” da lui fondato a Parigi nel 1926; amareggiato per i
contrasti con gli altri esuli antifascisti circa il giudizio da dare sui Patti Lateranensi del 1929, da lui ritenuti in parte positivi perché ponevano fine alla “questione romana”, anche se erano vantaggiosi per il fascismo; espulso a seguito di tali contrasti dall’associazione dei giornalisti italiani “Giovanni Amendola” e dalla “Lega per i diritti dell’Uomo”, aderente alla “Concentrazione antifascista”; minato nel fisico dal male che entro breve tempo l’avrebbe condotto alla tomba (morì a Parigi il 16 agosto 1931); costretto a vivere in condizioni di grande disagio economico, tirando avanti con gli aiuti ricevuti da Sturzo e Salvemini, che gli affidava qualche ricerca, con lezioni private e con il lavoro di cameriere presso il ristorante dell’amico Giuseppe Stragliati a Parigi.
La cattedra a Malta fu quindi accettata di buon grado: in mezzo a tante difficoltà costituiva un’ancora di salvezza. Donati non ebbe comunque vita facile a Malta. Lo assillava il timore della sorveglianza che potevano esercitare su di lui sia la polizia sia il consolato italiano.
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Un fuoruscito antifascista chiamato ad insegnare nell’istituto del nemico capitale dell’italianità a Malta doveva naturalmente dare adito a molti sospetti. La prevenzione e l’ostilità delle autorità italiane nei confronti dell’istituto di Strickland trovavano ulteriore conferma nel rifiuto opposto a distaccare un insegnante italiano per ricoprire la cattedra d’italiano al “St. Edward’s”.
Esiste quanto meno una testimonianza in tal senso del direttore generale della SIAE, Francesco Fedele, recatosi a visitare l’agenzia di Malta, che il 30 gennaio 1931 così scriveva al presidente della stessa SIAE, Roberto Forges Davanzati: “nel collegio “St. Edward’s” si impartisce un insegnamento orientato a spiriti inglesi” e “l’unico insegnante di italiano (mancato malauguratamente, per non so quali difficoltà politiche o burocratiche, l’insegnante governativo che era stato richiesto in Italia) pare sia ora un giornalista ed ex deputato popolare
Così Donati esprimeva il suo stato d’animo e le sue angosce, scrivendo da Malta il 3 febbraio 1931 all’amico Sturzo: “Siamo perfino ossessionati dall’incubo che tutta la corrispondenza venga manomessa e controllata, perché, in vero, la polizia è sempre troppo ben informata dei nostri casi personali come in Italia. E, certo, se si deve detestare la politica di violenza che fa Mussolini in Alto Adige, non si può essere edificati da quella che fa qui codesto Ministero delle Colonie. A meno di non avere due pesi e due misure…
Ciò nondimeno, tra i due litiganti rimango di parer contrario ad entrambi! Questi e quelli per me pari sono. Un secolo e passa di dominazione militare - affidata l’amministrazione ad una scadentissima burocrazia – hanno messo in piedi e in campo una razza di partitanti mezzo mafiosi e mezzo fascisti che fa orrore. E la libertà? E la legalità? Me le saluti!”15
Sempre rivolgendosi a don Sturzo, nella successiva lettera del 4 marzo 1931, Donati lamentava il carattere retrivo del cattolicesimo maltese (“Ti avverto che perfino i libri qui sono di fatto soggetti alla censura clericale, che è severissima”) per cui temeva l’accusa di modernismo. Dava pure un giudizio molto severo sui partiti politici, tutti soggetti alle pressioni della Chiesa, compresi i laburisti, alleati di Strickland: “Tieni presente che questi laburisti sono di origine democratica, passati al laburismo dopo esser stati alleati dei “nazionalisti” maltesi; ma di laburisti non hanno che il nome…Sono rappresentati da elementi amorfi medio-borghesi che capeggiano gli operai dei depositi e dell’arsenale.
E’ un partito di piccoli malcontenti, che sta generalmente col più forte, per averne qualche favore”.
Denunciava ancora privilegi del clero, proprietario di due terzi dei beni immobiliari, aggiungendo: “A questa situazione di privilegio, corrisponde l’ignoranza, l’ozio e la corruzione, che invero non salvano nemmeno le più elementari apparenze”.
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Ce n’era per tutti, anche per i nazionalisti e gli stricklandiani: “D’altra parte c’è la questione della cultura e lingua italiana, nella quale mi sembra che gli stricklandiani abbiano torto marcio; quantunque io sia disposto a regalare senza ringraziamenti i nove decimi dei cosiddetti italianofili di qui, per i quali l’italianismo non è che una etichetta su cose del più svariato contrabbando”.
Avvertiva bene, Donati, la difficoltà della sua situazione, ma si proponeva comunque di mantenere ad ogni costo la propria indipendenza di giudizio: “…sono sotto certi aspetti che tu comprendi handicappato, come si dice, dalla mia duplice situazione di esule e di impiegato in una istituzione considerata stricklandiana. Io ho promesso e farò il possibile ben volentieri per non lasciarmi agganciare da nessuno, ma per questo devo andare col piede di piombo.”16
E sulle difficoltà incontrate a Malta insisteva ancora nella lettera inviata alla moglie Vidya il 13 giugno 1931: “Io faccio e farò tutto il possibile per durare a questo posto, benché il clima si dimostri avverso in ogni senso alla mia salute e la mia situazione sia moralmente delle più difficili. Gl’Inglesi non sono, purtroppo, come i Francesi, che comprendono gli effetti delle lotte politiche e non cercano di farteli pesare addosso; gl’Inglesi disprezzano gl’Italiani e non si astengono dal farlo sentire, talvolta anzi con rozzezza. Se mi salvo è dunque solo perché sono ben deciso e vigile a far valere la mia superiorità inghiottendo tutto. E quando questo non basta, penso alle passerette che aspettano a bocca spalancata il boccone mensile, e tiro avanti.17
Ed a Malta aspirava di tornare, negli ultimi giorni della sua esistenza, come scriveva da Parigi ancora alla moglie il 14 luglio 1931, nonostante le amarezze e le difficoltà che aveva incontrato nell’isola, poiché su ogni altra considerazione prevalevano le esigenze familiari: “Naturalmente io non mi preoccupo che di poter tornare a Malta a fine settembre, che se questo non potessi farlo, sarebbe davvero una rovina”.18
Forse anche per il risentimento dovuto alle umiliazioni subite da parte inglese, nonostante la scarsa considerazione nutrita per gli “italianofili”, che giudicava contrabbandassero sotto l’etichetta dell’italianismo le merci più svariate, Donati si accostò ai nazionalisti, collaborando assiduamente al “Malta” su cui pubblicò, ovviamente non firmandosi, numerosi articoli sul problema linguistico”.19
Era un gesto indubbiamente coraggioso per chi viveva dello stipendio pagato da lord Strickland, che non dovette supporre nulla su questa innaturale confluenza di posizioni tra i suoi avversari nazionalisti e l’esule antifascista, ovvero preferì far finta di nulla.
Ne era perfettamente al corrente, invece, il console Silenzi, che si affrettava a segnalare al Ministero, in tono tra lo scandalizzato ed il compiaciuto, questa attività giornalistica di Donati, nel suo rapporto del 28 aprile 1931, già citato, primo di una lunga serie.
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Al rapporto il console allegava l’articolo “La questione linguistica e la realtà”, pubblicato dal “Malta” come editoriale lo stesso giorno 28 aprile. Il console indicava in Donati l’autore dell’articolo: “Di ciò ne sono stato informato dall’onorevole Mizzi, il quale, sempre in cerca di collaboratori per il suo giornale, si dimostra ben felice di aver trovato chi gli scrive articoli di fondo sulla questione che gli sta più a cuore, poco curandosi e preoccupandosi del passato politico dello scrittore”. Il contatto fra Donati ed i nazionalisti era stato stabilito grazie al Prof. Arnaldo Fabriani, insegnante del liceo maltese, che, lamentava il console, “malgrado la censura ricevuta e tutti i miei ammonimenti e consigli” si ostinava “nel suo piano di far collaborare il Donati alla causa dell’italianità di Malta”.
Il Fabriani comunque, osservava il console, per il suo comportamento non poteva essere senz’altro oggetto di più gravi misure disciplinari, come l’espulsione dal Fascio, perché occorreva tener conto della difficile situazione maltese. Donati godeva infatti della considerazione e della simpatia dei capi nazionalisti maltesi, che lo incontravano spesso e vedevano in lui “un assertore e difensore dell’italianità della loro patria”. Malgrado la sua
diffidenza ed ostilità, il console non taceva il fatto che Donati, pur insegnando nell’istituto fondato da lady Strickland, aveva rifiutato di incontrare il marito e che “svolgeva in quell’istituto un’ attiva propaganda in favore della lingua italiana”. Non poteva affermare se
Donati agisse così per secondi fini: gli risultava comunque che non si era mai espresso contro il regime fascista e che non svolgeva attività politica. Per saperne di più, sarebbe stato opportuno farlo pedinare ed a tal fine il console rinnovava la richiesta, di cui si è già detto, di un piccolo fondo di un migliaio di lire. Silenzi avanzava comunque il sospetto che Donati avesse voluto crearsi simpatie “sia per scopi personali, sia per mettere in cattiva luce il Fascismo”. Citava pure l’informazione avuta da Arnaldo Mussolini che, di passaggio a Malta poco tempo prima, gli aveva detto del ritiro di Donati dalla lotta politica, a causa di dissensi con il Centro antifascista di Parigi, da cui era stato espulso.
Ritornava poi il console sul caso Fabriani, di cui il segretario del Fascio di Malta, Fusco, aveva proposto l’espulsione alla Segreteria generale dei Fasci all’Estero.
Il console conveniva che in linea di principio si sarebbe dovuto procedere a tale espulsione, ma esprimeva molti dubbi sulla sua opportunità. Fabriani era considerato da tutti, italiani e maltesi, “uno dei migliori e più attivi difensori della cultura italiana in Malta”. Concordava in tale giudizio e sottolineava che Fabriani agiva, “a rischio della sua posizione e della sua carica di insegnante in una Scuola Governativa”. Non era quindi il caso di farne una vittima, tanto più che si sarebbe potuto facilmente difendere, adducendo che suo scopo era stato quello di sottrarre Donati all’antifascismo e farne un campione dell’italianità di Malta.
Silenzi si lasciava poi andare ad uno sfogo contro il segretario del Fascio maltese: “Tutto questo non sarebbe accaduto se a capo di questo Fascio vi fosse una persona di tatto e di esperienza e che soprattutto non fosse guidata nelle sue azioni da rancori personali e da spirito megalomane”. Il giudizio finale del console era comunque di condanna per Fabriani “i cui
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scopi, benché in sé (sic) stessi non riprovevoli, non possono certamente venir giustificati, poiché non sanzionati dalle superiori Autorità gerarchiche”.20
Sul caso Donati il consolato italiano a Malta mantenne un fitto carteggio con il Ministero, allegando ai numerosi rapporti inviati gli articoli del “Malta” sulla questione linguistica, man mano che venivano pubblicati.21
Donati faceva propri tutti i motivi della tesi nazionalista. Trovava infondati i timori di lord Strickland circa il surmenage intellettuale dei ragazzi maltesi costretti a studiare maltese, italiano ed inglese, osservando che in tutti i paesi del mondo si riceve un’istruzione trilingue, poiché oltre al dialetto si è costretti a praticare la lingua nazionale ed una lingua straniera largamente diffusa. E Donati sottolineava poi l’aspetto politico generale della questione linguistica a Malta: “Nel suo aspetto positivo il problema linguistico di Malta non può e non deve essere considerato che nei seguenti termini: “Malta può e deve rappresentare, sotto l’aspetto intellettuale, un punto di incontro e di scambio tra la lingua inglese e quella italiana”. E pertanto, concludeva, “l’accordo mediterraneo tra Roma e Londra passa oggimai per Malta: peggio per chi non lo vuol capire”.22
Sull’importanza di Malta nel quadro dei rapporti italo-inglesi e della questione del Mediterraneo Donati insisteva ancora, affermando l’importanza dell’amicizia italiana per l’Inghilterra, che in Malta poteva trovare un fattore di conferma o di rottura: “Malta può essere un pegno dell’amicizia anglo-italiana ovvero divenire pomo della discordia assassina”.23
Era esclusa categoricamente ogni tendenza all’irredentismo, che sarebbe potuto nascere solo se si fosse abolito l’uso dell’italiano, compromettendo così i buoni rapporti italo-inglesi, a discapito della Gran Bretagna, nel momento in cui la presenza italiana, sia commerciale che politica, si era sempre più affermata “nel bacino di quel Mediterraneo orientale, di cui Malta è l’ombelico strategico”.24
E Malta poteva mantenere la sua identità storica solo attraverso l’uso dell’italiano, il maltese era insufficiente a tale scopo ed il favore delle autorità britanniche per quello che era soltanto un dialetto costituiva in realtà un attacco all’italiano, dopo la cui eliminazione sarebbe scomparso pure il maltese, sostituito dall’inglese.25
Riconosciuta la necessità dell’uso dell’inglese ai fini amministrativi, restava però indiscusso che “nella lingua italiana convergono e vivono tutti gli altri fattori etnici, storici, sociali, geografici, giuridici, culturali e religiosi, in cui consiste la nostra individualità nazionale”.
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Pertanto, “nella lingua italiana Malta ha, in ultima analisi, la difesa più potente di ogni sua autonomia e forse delle stesse sue libertà civili più elementari”.26
Sui limiti del maltese Donati tornava più diffusamente in un articolo successivo, attenuando alcune asprezze di linguaggio e riconoscendo l’interesse che a livello scientifico poteva rivestire il suo studio: ma era ribadita categoricamente la sua insufficienza espressiva.
Il maltese, scriveva il nostro, era un dialetto “rispettabilissimo quanto ogni altro e a noi carissimo come tutte le buone e vecchie cose di famiglia, ma troppo limitato sia nell’uso (è ovvio) che nell’espressione; perciò tributario, per lessico e sintassi, d’altre parlate più sviluppate e più ricche ( libico-berbero o italo-siculo specialmente); scarso ( e diciamo poco) di tradizioni proprie, poiché i pochi saggi di componimenti letterari in maltese che fin’ora possediamo appartengono appena alla seconda metà del secolo scorso, e sono imitazione di modelli stilistici generalmente italiani, ossia a cose pensate in Italiano e trascritte in… Malti Safi; mancanti, infine, delle necessarie opere di cultura e perciò incapace di corrispondere con propri mezzi neppure alle esigenze elementari di una istruzione media”. Pertanto, era questa la conclusione di Donati, il maltese non doveva essere studiato nella scuola elementare, a discapito dell’apprendimento di lingue di cultura come l’italiano o l’inglese; poteva invece costituire un utile sussidio filologico, a livello superiore e scientifico, per meglio apprendere l’arabo.27
L’uso dell’italiano si era affermato a Malta sin dai tempi di Federico II, come aveva riconosciuto nel volume “Malta and Gibraltar” (Londra, MacMillan editore 1915, pp. 53-63) lo stesso Augusto Bartolo, che aveva poi sostenuto falsamente che solo nel periodo risorgimentale, con l’arrivo dei patrioti in esilio, si era diffusa la lingua italiana.28
I maltesi costituivano “una entità nazionale italiana nell’unità dell’impero britannico”29 ed avevano sempre avvertito e manifestato questa appartenenza ancor prima dell’avvento del fascismo: “quando l’Italia seguiva una politica del piede di casa, assorbita dai problemi interni e tormentata senza tregua dalle minacce austriache; quando la vicina Penisola non era che una “espressione geografica”, forse che Malta non si sentiva italiana od era men gelosa e men fiera di adesso della sua storia, della sua cultura, della sua lingua, in una parola, della sua nazionalità? E forse non esisteva fra noi un movimento politico nazionalista, che lottava già perché Malta fosse dei maltesi, cioè autonoma nel suo governo e nella sua amministrazione?”
L’avversione di Strickland verso l’Italia, osservava Donati, risaliva a molto prima dell’avvento del Fascismo.30
Era questo l’articolo dove Donati si esponeva forse di più, non solo attaccando frontalmente fin dal titolo lo stesso Strickland, cui doveva la sua cattedra; ma spingendosi quasi fino ad una difesa del fascismo, che veniva implicitamente ad esser assolto dall’accusa di ordire trame antibritanniche per impadronirsi di Malta, dato che il sentimento di italianità si era affermato nell’isola ancor prima della nascita del regime.
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E sull’inesistenza dell’irredentismo, poiché i maltesi aspiravano soltanto all’autonomia, si pronunciava esplicitamente Donati: “….l’Impero britannico, pur rimanendo arbitro senza contestazione della funzione strategica mediterranea della nostra Isola, lasci tuttavia, quanto al resto, che i maltesi abbiano il diritto di governarsi da sé e di commerciare liberamente”.31
Le rivendicazioni per l’uso dell’italiano restavano dunque secondo Donati nei limiti culturali ed erano anche una garanzia per le tradizioni cattoliche di Malta, che potevano essere insidiate da una totale affermazione della cultura inglese, in cui prevalevano tendenze anglicane ed erano frequenti le polemiche anticattoliche: “…noi maltesi ci sentiamo attaccati alla lingua italiana anche come cattolici”.32
Con linguaggio molto più acceso Donati ribadiva il carattere “blasfemo” della propaganda contro Malta “italiana” e “romana” (da intendersi nel senso di “cattolica, apostolica e romana”): “quando gli avversari di Malta italiana, naturali nemici di Malta romana, restino pure, coi loro 39 falsi testimoni, alla olla pollidra di mercimonio, dove sobbollono i detriti e gli essudati della pseudo erudizione idiota, impotente, blasfema: vi troveranno presto la loro mercede”.33 Non lesinava certo gli aggettivi pesanti, Donati, rivolti “agli avversari di Malta italiana”. E fra questi si poteva annoverare l’amico Angelo Crespi.
Crespi, da Londra, dove insegnava italiano al Birkbeck College della locale Università, aveva difatti inviato una lettera al Direttore del “Daily Malta Chronicle”, affermando che nessun liberale italiano, né Cavour, né Garibaldi, né Mazzini, avevano mai pensato ad una Malta italiana: “Noi siamo perfettamente consapevoli che non vi sono ragioni né geologiche, né storiche, né filologiche per cui Malta possa essere seriamente rivendicata all’Italia da studiosi bene informati”. L’unico problema reale, concludeva Crespi, era che Malta potesse godere di quelle libertà civili, politiche, religiose, culturali, che in Italia erano negate alle minoranze linguistiche e religiose.34
L’esigenza polemica antifascista portava Crespi su posizioni opposte a quelle dell’amico Donati, negando che esistesse una qualsiasi motivazione storica e culturale per rivendicare Malta all’Italia.
L’affermazione però della necessità di garantire a Malta la sua libertà culturale, assieme a quelle politico-amministrative, suonava come un implicito riconoscimento della specificità culturale dell’isola, su cui non poteva negarsi l’influenza italiana, attestata da tradizioni secolari.
Il solco che divideva i due amici, intemperanze polemiche a parte, era quindi meno profondo di quanto possa apparire ad una prima lettura.
La persona che fu più vicina a Donati in questo ultimo periodo della sua vita trascorso a Malta e che lo sostenne con la sua amicizia fu Arnaldo Fabriani, divenuto per questo l’oggetto dei sospetti e dei rimbrotti del console e del segretario del Fascio di Malta: un antifascista come
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Donati, quali che fossero le sue idee sulle tradizioni italiane di Malta, andava isolato come un lebbroso, secondo gli ortodossi del regime.35
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C’è da chiedersi se l’atteggiamento di Donati nei confronti della questione maltese possa considerarsi un cedimento di fronte al fascismo. L’ipotesi appare del tutto improbabile.
Dalla sua campagna di stampa sul “Malta” Donati non ricavò alcun vantaggio sul piano economico: morì a Parigi nella più triste quanto onorata povertà. Alle più urgenti necessità della vedova e della sue “passerette” in attesa del “boccone mensile”, come aveva con struggente immagine di tono pascoliano definito le figlie, fece fronte una colletta fra gli amici, cui contribuì anche lord Strickland con 20 sterline. Il ricavato sarebbe stato consegnato alla vedova, che si diceva trasferita a Francoforte, dal prof. Herbert Kissler, insegnante di tedesco nel liceo di Malta, che una nota del Ministero degli Esteri qualificava come “il messaggero degli antifascisti maltesi”.36
Un’altra iniziativa per soccorrere la vedova fu presa dal fedele amico Fabriani, che il 12 settembre 1931 le scriveva da Malta consigliandole di inviare subito domanda al luogotenente governatore per ottenere un posto di insegnante di italiano nella scuola secondaria femminile di Valletta.
Avrebbe potuto arrotondare con lezioni private lo stipendio mensile di 8 – 10 sterline. Fabriani si augurava che non ci sarebbero state difficoltà per ottenere il passaporto, di fronte ad una richiesta proveniente da Malta.
Ma l’offerta di Fabriani non si concretò, o per la mancata concessione del passaporto o per altra ragione. 37
E sul piano morale vi fu una “damnatio memoriae”: anche dopo la morte, esser stato amico di Donati costituiva un titolo di demerito.38
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A parte il caso di Arnaldo Fabriani, bisogna ricordare che il maltese prof. Inglott, già addetto stampa del governo nazionalista maltese, rimasto disoccupato dopo lo scioglimento del governo decretato dalle autorità britanniche nel novembre 1933, aveva scritto direttamente a Mussolini il 4 dicembre 1933, chiedendo di poter insegnare inglese in una scuola italiana.39
Nella sua informativa al Ministero, il console Guglielmo Silenzi ricordava il 10 febbraio 1934: “Mi si dice che fu intimo amico del fuoruscito Donati durante il tempo in cui questi fu in Malta, e che ha frequentato anche individui di sentimenti antifascisti”. Tanto bastava perché Inglott, nonostante la sua militanza nazionalistica, senza che gli fossero contestati concreti trascorsi, fosse bollato dal console come uomo senza carattere, opportunista, “individuo poco raccomandabile”.40
Ed in un altro suo rapporto, lo stesso Silenzi si sentiva in dovere di segnalare al Ministero che la prof. Emma Masci, insegnante di italiano presso la “Secondary School for young ladies” era stata “amica del defunto prof. Donati oltre che del prof. Arnaldo Fabriani”.41
Tanto accanimento, anche post mortem, non sembra potersi spiegare altrimenti che con l’intransigenza mantenuta da Donati di fronte al fascismo fino all’ultimo, pur fra tante difficoltà, restando coerente con quanto aveva scritto sul “Popolo” del 17 febbraio 1924: senza farsi incantare dalle strumentali aperture del fascismo, come l’insegnamento religioso nelle scuole, aveva lucidamente scritto: “come si è introdotto nelle scuole elementari il catechismo cristiano, si è pure instaurata nella vita pubblica una specie di statolatria nazionale impregnata di spirito pagano e si è proclamata legittima nei rapporti tra i partiti l’intolleranza e la violenza contro le leggi umane e divine della fratellanza e della carità”.
Il fascismo come anticristo: ed ancora, durante l’esilio, dopo la condanna dell’ “Action française” da parte della Santa Sede, avvenuta nel 1926, Donati denunziava la statolatria monopolizzatrice di Mussolini e Maurras in un articolo che fin dal titolo enunciava chiaramente la sua posizione: “Conflitto insuperabile”.42
Conflitto insuperabile proprio perché ideologico, e non legato a contingenti episodi politici. Conflitto affrontato da Donati senza timori e con molta determinazione, come quando non aveva esitato a denunziare le responsabilità di Italo Balbo nell’assassinio di don Minzoni.
La posizione assunta da Donati sulla questione maltese, certamente non in linea con quella degli altri antifascisti, fra cui l’amico Crespi, sembra nascere dalla sua indipendenza di giudizio, per cui non si faceva condizionare da posizioni preconcette, riconoscendo legittime, almeno in alcuni casi e sotto certi aspetti, le ragioni proprie degli avversari.
Era la stessa indipendenza di giudizio che l’aveva portato a dare una valutazione tutto sommato positiva del Concordato mussoliniano del 1929: valutazione che gli era costata l’espulsione dalla Concentrazione antifascista.
Ma tant’è: “gesta Dei per Francos”. In una visione provvidenziale della storia, come in una concezione laica che ammetta l’eterogenesi dei fini, anche soggetti che restano avversari irriducibili possono divenire strumenti utili per il conseguimento di un risultato positivo.
E tale era per Donati l’aver posto fine all’annoso contrasto fra Stato e Chiesa in Italia, quali che fossero stati gli scopi reconditi ed interessati della politica di Mussolini .
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E così per la questione maltese Donati sposò con slancio una causa che pure non aveva conosciuto prima del suo arrivo nell’isola. Non rimase condizionato né da sentimenti di riconoscenza per Strickland, che gli aveva pur dato quel lavoro di cui aveva disperato bisogno; né da complessi reverenziali nei confronti della Chiesa di Malta, di cui denunciava, lui cattolico, senza mezzi termini l’angustia morale e culturale nelle sue lettere all’amico Sturzo.
Morto Donati, toccò ad un altro antifascista, il socialista Umberto Calosso, succedergli nell’insegnamento dell’italiano nel collegio di Strickland.
Calosso aveva raggiunto Malta direttamente da Londra, dove già si trovava nell’estate del 1931, senza riprendere servizio presso l’Istituto tecnico di Alessandria, pur mantenendo la cattedra di italiano e storia in quell’istituto.
Della sua attività a Malta si interessò la Direzione Italiani all’estero (DIE) del MAE, che il 6 maggio 1932 comunicava alla Direzione Generale della P.S. del Ministero dell’Interno di essere stata informata fin dal 26 settembre 1931 che “il noto fuoruscito prof. Luigi (sic: corretto a matita “Giuseppe”) Donati, deceduto nell’agosto a Parigi”, sarebbe stato sostituito nel collegio S. Edoardo di Malta dal prof. Umberto Calosso, di cui si ricordavano i precedenti: aveva fatto propaganda “antinazionale” a Messina (in quella città aveva iniziato come supplente la sua carriera di insegnante) ed a Belveglio, suo paese natale. Ottenuta la cattedra di ruolo ad Alessandria, aveva mantenuto “contegno riservato, ma pur mostrando di seguire le direttive del Governo Nazionale, il suo atteggiamento non era creduto sincero e non dava affidamento. Il Ministero dell’Educazione Nazionale giudicava il Calosso appena sufficiente sul piano didattico e di scarsa consuetudine di studi. Per tali ragioni – proseguiva l’appunto della D.I.E. – questo Ministero credette nel 1930 di escludere il Calosso dal concorso per le scuole medie all’estero, al quale egli aveva partecipato, presentando fra l’altro una dichiarazione politica di attaccamento al Regime”. 43
Grazie a questa dichiarazione e “poiché conveniva osservare l’atteggiamento che il professore avrebbe preso nell’isola, prima di procedere contro di lui; questa Direzione – era affermato sempre in tale appunto – pregava il Ministero dell’Educazione Nazionale di soprassedere a qualsiasi provvedimento disciplinare contro il Calosso per il suo abusivo abbandono della scuola” ed invitava il console italiano a Malta ad esortarlo “a mantenersi in una linea rigidamente nazionale”. Alternando le blandizie alle minacce, il console aveva promesso a Calosso che, se si fosse attenuto a tale consiglio, il MAE sarebbe intervenuto presso il Ministero dell’Educazione Nazionale evitandogli le sanzioni per aver lasciato la scuola di Alessandria senza aver ottenuto prima alcuna autorizzazione. Al che Calosso aveva fatto presente che aveva presentato domanda per ottenere un anno di aspettativa e che la sua partenza per Malta era stata improvvisa e fortuita, avendo letto sui giornali londinesi l’offerta della cattedra al St. Edward’s College.
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Su Calosso si appuntavano molti sospetti: gli si attribuiva la collaborazione a giornali antifascisti come “La libertà” edita a Parigi dalla Concentrazione Antifascista ed il “Daily Malta Chronicle”. In particolare si credevano suoi l’articolo “I successi imperiali del fascismo: l’impero …romano a Malta” e la lettera “Lo spettro di Donati”, entrambi pubblicati su “La libertà” del 17 marzo 1932.
Inoltre, da un esame calligrafico risultava esser sua una lettera anonima, fortemente antifascista, inviata il 22 marzo 1932 a Francesco Ercole, che si trovava a Malta per tenere alcune conferenze presso l’Istituto Italiano di Cultura.
Tutto faceva pensare che il professore volesse tornare in Italia dove aveva parenti ed aveva mantenuto il posto di ruolo nell’istituto tecnico di Alessandria. In vista di tale rientro egli manteneva una condotta tranquilla. Si erano pertanto date istruzioni al console perché lo sorvegliasse e comunicasse un suo eventuale rimpatrio: in tal caso sarebbe stato deferito alla Commissione per inviarlo al confino.44
Nell’articolo de “La libertà” del 17 marzo 1932 si addossava al “programma imperialista e parolaio del “duce” la responsabilità dei provvedimenti restrittivi dell’uso dell’italiano.
Strickland aveva pilotato la campagna antifascista, ma questa era condivisa dai maltesi estranei al suo partito: “Gli isolani – praticamente tutti – furono impauriti di una possibile (?) conquista italiana, che ridurrebbe quest’isola ad una semplice Pantelleria, poiché l’isola vive della guarnigione e della flotta…Qui realmente non esiste la minima traccia di irredentismo: l’unione con l’Inghilterra è un interesse e una volontà di tutti, costituzionali e nazionalisti. L’italianità è soltanto un fatto culturale, un blasone di antica civiltà europea, un fiore all’occhiello che sta a dimostrare che l’uomo maltese appartiene a un giardino e non al Sahara…E naturalmente quei quattro fessi del fascio locale, tutti impegnati a perseguitare gli antifascisti e a costruire l’impero romano, erano incapaci di capire i più elementari termini del problema maltese…”.
Descritta così la situazione, si tornava a criticare la politica fascista per Malta. Mussolini non poteva reagire alle misure contro l’italiano perché la sua posizione era indebolita dalla repressione contro le minoranze linguistiche d’Italia e contro le popolazioni dei territori conquistati: “Ha sulla coscienza i Tedeschi, gli Slavi, i Rodesi, gli Arabi della Cirenaica, che al primo starnuto potrebbero passare all’ordine del giorno…Dopo un’alleanza di guerra e 600.000 morti (percentuale quasi eguale a quella inglese e superiore a quella dell’impero) non potrà ottenere quello che Visconti-Venosta e il sordo-muto Sonnino ottennero 8 anni dopo Adua”.45
Ironica la conclusione: la Commissione reale d’inchiesta su Malta aveva proposto i provvedimenti contro l’italiano, ma aveva riconosciuto che erano italiane le tradizioni culturali e linguistiche dell’isola ed aveva pure elogiato i capi nazionalisti ed il loro precedente governo: “Evidentemente gli Inglesi sono degli ingenui. Non hanno ancora imparato dal “duce” come si costruiscono gli imperi. Pare invece che se ne intendano di vasellina”.
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Non meno feroce era il tono della lettera “Lo spettro di Donati”, pubblicata di fianco all’articolo. Era messa in luce la perdita di prestigio del fascismo dopo i provvedimenti contro l’uso dell’italiano: “Qui tutti lo dicono, e i nazionalisti - che Mussolini ricevette palesemente ancor pochi mesi fa come grandi amici – sono delusi e ripetono sulla faccia del console: Ma che roba è, questo duce?”.
Per darsi un contegno i giornali italiani affermavano che il problema maltese era solo culturale e che l’Italia non poteva intromettersi negli affari interni inglesi. Contro queste rivendicazioni culturali aveva polemizzato il “Malta Chronicle” ricordando il rifiuto del governo italiano a mandare un professore d’italiano al St. Edward’s College, dove fu poi chiamato ad insegnare Donati.
E la persecuzione dell’esponente popolare era così rinfacciata al fascismo: “E’ vero o no che questa “cultura” a cui ci si vorrebbe forzare impedì alla moglie e ai bambini di Donati di raggiungerlo morente per ferite riportate in guerra?”.
Nel nome di Donati, così si concludeva la lettera: “è certo che in questa piccola isola, dove tutto echeggia largamente, il caso Donati acquista in questo delicato momento un’importanza straordinaria: c’è uno spettro…”.
Con i suoi precedenti e con queste infuocate polemiche antifasciste attribuitegli, Calosso non poteva certo avere vita facile a Malta, dove si sentiva oppresso dall’ambiente dei “fascio-preti” e dalla sorveglianza cui era sottoposto dal Consolato.
Manteneva comunque rapporti con gli esuli antifascisti, che potevano in qualche misura temperare il fastidio dell’ambiente maltese.
Carlo Rosselli gli trasmetteva da Parigi una lettera confidenziale, datata 4 maggio 1934, inviatagli da Giorgio Casolani, pubblicata da “The Malta Herald”, che faceva una decisa professione di fede antifascista (giudicava rovinosa per l’impero britannico l’adesione di alcuni maltesi al fascio locale) e chiedeva l’opinione di Rosselli “sui diversi fasci: italiano, inglese, austriaco, ecc..”, pregandolo di non pubblicare su “La libertà” la lettera, per prudenza. Rosselli inviava a Calosso, perché fornisse a Casolani i chiarimenti richiesti, questa lettera, su cui annotava a penna in margine, con la data 18-5-35, questo affettuoso rimprovero: “Tanto io che Cianca siamo indignati per il tuo silenzio!Almeno un rigo potevi mandarlo. Contavamo che il primo numero del giornale potesse portare un contributo tuo”.46
Il silenzio affettuosamente rimproverato da Rosselli non significava comunque un venir meno dell’impegno antifascista da parte di Calosso. Nonostante la necessità di non scoprirsi troppo, non esitava difatti a zittire l’attore Febo Mari, che la sera del 21 aprile 1933 commemorava l’anniversario del Natale di Roma con toni che a Calosso non erano andati giù. Non tardò ad arrivare la reazione a questo suo gesto: il 29 aprile il direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, Arturo Stanghellini, scriveva a Calosso per contestargli il “deplorevole incidente” e
comunicargli di “considerarsi come dimissionario da questo Istituto”.
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Se lo riteneva opportuno, poteva “farsi rimborsare dal Segretario la somma versata per essere socio”.47
Calosso si rivolgeva allora al governatore di Malta. In una sua lettera del 19 maggio 1933, ricordava l’incidente del 21 aprile al Teatro Reale e faceva presente che l’attore Mari aveva dato al suo discorso un tono politico, ricordando “l’Impero della Madre Roma” che aveva avuto tanti legami con Malta.
Questo esplicito sostegno all’irredentismo italiano non poteva essere imposto a spettatori venuti per assistere ad una commedia ed alla dizione di versi: da ciò il suo invito “passiamo alle poesie”.
Dopo questo episodio il direttore della scuola italiana “Umberto I”, Franceschini, aveva convocato alcuni italiani e maltesi che l’avevano frequentato, diffidandoli dal mantenere tali rapporti.
Anche l’esclusione dall’Istituto di Cultura era dovuta al bando inflittogli da Franceschini: era, affermava Calosso, una pena medievale che il direttore della “Umberto I” gli aveva inflitto arbitrariamente, usurpando i legittimi poteri delle autorità britanniche, cui pertanto si rivolgeva, ricordando che anche Donati era stato vittima di un analogo bando, che avrebbe potuto colpire ogni italiano contrario agli ideali irredentisti maltesi.48
Ma proprio il principale esponente dell’irredentismo, Enrico Mizzi, aveva avuto con Calosso rapporti di viva simpatia. Il 15 marzo 1933, Mizzi inviava difatti a Calosso una sua lettera autografa in risposta a quella indirizzatagli il 13 delle stesso mese. Non conosciamo la lettera di Calosso, ma a giudicare dalla risposta di Mizzi il professore doveva essersi lamentato delle sue condizioni di lavoro nel Collegio di Strickland.49 Il ministro nazionalista (e filo-fascista) esprimeva in questi termini la sua solidarietà all’esule antifascista: “Chiarissimo professore, ho ricevuto stamane la sua lettera del 13 c.m. spedita per errore all’Auberge d’Aragon invece che all’Auberge de France (la sede del mio ufficio). La sua lettera mi ha vivamente commosso. Un uomo di tanta cultura e di così nobili sentimenti di italianità, come quelli che Ella mi esprime, non può non sentire tutto lo straziante dolore di un crudele destino che, in quest’estremo lembo d’Italia, lo costringe a prestare la sua opera ad un Istituto creato dalla politica snazionalizzatrice dei tiranni di fuori e dei rinnegati di dentro. La prego, però, di non perdersi d’animo. Anche in quel malaugurato Istituto Lei può servire la santa causa opponendo il controveleno della cultura italiana al veleno di quanti tendono a corrompere e imbastardire i figli di questa terra italianissima. Sursum corda! Con ossequio. Enrico Mizzi”.50
Mizzi era piuttosto spregiudicato nella scelta delle sue amicizie, dimostrando al riguardo una piena autonomia rispetto alle autorità fasciste, come era già avvenuto in precedenza quando si era legato a Donati, che sul “Malta” aveva pubblicato tutta una serie di articoli sulla questione linguistica, che esprimevano un punto di vista identico a quello dei nazionalisti: legame che
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aveva indispettito il console Silenzi. Nel caso di Calosso non ci fu una coincidenza delle sue posizioni con quelle nazionaliste, come era avvenuto per Donati. Acquista quindi un valore morale ancora maggiore la simpatia espressagli da Mizzi, che non può esser ritenuta strumentale.
Nella sua umanità il leader nazionalista dovette provare un moto istintivo di simpatia per chi, avversato e vilipeso dalle autorità del proprio Paese, continuava comunque a propagarne lingua e cultura, seppure da posizioni ben diverse da quelle nazionaliste.
Un riconoscimento della funzione svolta da Calosso a vantaggio della cultura italiana doveva del resto provenirgli ancora anni dopo dallo stesso console, che il 24 marzo 1938 scriveva: “…egli si rende utile per la divulgazione della nostra lingua”, ricordando però subito dopo: “Permane di idee nettamente antifasciste e frequenta persone e ambienti ostili all’Italia ed al Regime”.51
Sul riconoscimento delle benemerenze di Calosso per la causa della cultura italiana a Malta dovevano comunque prevalere le considerazioni dettate dall’irriducibile antifascismo del professore. E difatti la Divisione Polizia Politica del Ministero dell’Interno comunicava il 19 giugno alla Divisione Affari Generali e Riservati dello stesso Ministero di aver disposto l’iscrizione di Calosso nella rubrica di frontiera perché, in caso di rientro in Italia, fosse perquisito e arrestato, “essendosi raccolte prove documentali dell’attività antinazionale colà svolta, d’accordo con gli esponenti della concentrazione antifascista”. Nonostante l’amicizia con Mizzi ed il suo impegno didattico utile alla diffusione dell’italiano, si rimproverava al professore di avere aderito “alla corrente snazionalizzatrice dell’Isola”. Di queste attività antinazionali di Calosso il MAE aveva informato il Ministero dell’Educazione Nazionale, che
aveva sospeso il ribelle antifascista dalla cattedra di Alessandria ed avviato le pratiche per una sua definitiva radiazione dall’insegnamento.52
Al console, che gli aveva notificato i provvedimenti a suo carico adottati dal Ministero dell’Educazione Nazionale, Calosso indirizzava un’aspra lettera il 7 luglio 1933, irridendo fra l’altro agli insuccessi della diplomazia italiana che non riusciva a tutelare l’insegnamento dell’italiano a Malta.
“Constato intanto con (sic: sta per “non”) senza fierezza italiana, che questo ridicolo provvedimento, come anche la mia espulsione dall’Istituto di Cultura (?) Italiana (?) e il “bando” dal fascio locale, coincide con un grave, radicale disastro della cultura italiana in Malta: di modo che gli stessi uomini, i provocatori, i partigiani, i traditori dell’azione Mazziniana d’Italia, sono responsabili delle due cose alla pari.
Visconti-Venosta e Sonnino trent’anni fa riuscirono a far tornare indietro tutti i provvedimenti linguistici; e adesso, dopo una gran guerra, la diplomazia italiana megalomane, provocatrice e incapace, non riesce a conservare l’italiano…facoltativo fuori dall’orario di Scuola e fuori dalle aule scolastiche!!!!”.53
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Erano gli stessi argomenti polemici adoperati nell’articolo su “La libertà” del 17 marzo 1932, con l’aggiunta dei sarcastici punti interrogativi che mettevano in dubbio la dignità culturale e l’italianità dell’Istituto e dei non meno pungenti punti esclamativi che sottolineavano lo scacco subito con il divieto dell’insegnamento facoltativo dell’italiano nelle scuole elementari.
Era come aggiungere benzina al fuoco, con il risultato che può desumersi da questa breve e secca comunicazione inviata l’11 gennaio 1934 dalla prefettura di Alessandria al Ministero dell’Interno: “Con riferimento a precorsa corrispondenza, si comunica a codesto on. Ministro
che il noto prof. Calosso Umberto fu Giuseppe con recente provvedimento del Ministero dell’Educazione Nazionale è stato dispensato dall’insegnamento per “atti di turpe antitalianità”.54
Né si limitò a questa misura la persecuzione contro il professore reo di antifascismo.
Resasi vacante la cattedra di letteratura latina presso l’Università di Malta, Calosso ambiva ad ottenerla: ma contro la sua candidatura ci fu una vera mobilitazione da parte delle autorità italiane.
Il 3 marzo 1933 il console Silenzi scriveva che per il concorso alla cattedra di letteratura latina bisognava eliminare Calosso e Martinelli e cercare di farla assegnare ad un candidato di proprio gradimento: era necessario trovarne uno che avesse titoli adeguati per contrastare quelli di un agguerrito concorrente, il prof. Pfleger.55
Il 20 marzo il MAE comunicava al console che si era trovato il candidato adatto: era il professor Umberto Moricca, libero docente di letteratura latina, già incaricato nell’Università di Cagliari, specialista in letteratura cristiana antica. Con tali titoli si sperava potesse risultare vincitore e si invitava comunque il console a seguire le vicende del concorso “con particolare attenzione”.56
Il concorso era difatti piuttosto affollato e non mancavano concorrenti che potevano contare su appoggi autorevoli: Cosimo Mariano era raccomandato dal Gran Maestro dell’Ordine di Malta e dal vescovo di Gozo, il prof. Zuccoli da Guglielmo Marconi.57
Alla fine Moricca, che indubbiamente vantava titoli adeguati, prevalse ed ottenne la cattedra: si distinguerà per le oltranzistiche prese di posizione filo-fasciste.
L’attenzione del consolato, al di là delle vicende accademiche e dell’esito di questo concorso, si manteneva sempre vigile su Calosso, sospettato di essere l’autore di una lettera antifascista prevenuta a Mussolini da Malta, firmata con un nome dimostratosi subito falso, G. Guidaglioni.58
Le disavventure universitarie di Calosso ebbero una replica alla vigilia della seconda guerra mondiale, quando si rese disponibile la cattedra di letteratura italiana nell’Università di Malta, fin allora tenuta dal prof. Carlo Laurenza. Calosso anche stavolta aspirava, senza fortuna, ad
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ottenerla. Scriveva il 9 aprile 1940 a Benedetto Croce: “….i fascio-papisti non mi vogliono e il governo inglese che mi desidera temo si lasci intimidire dai preti”.59 Al collegio “St. Edward’s” dove aveva ripreso ad insegnare, dopo la parentesi della sua partecipazione alla guerra di Spagna e di una grave malattia che gli aveva imposto il ricovero nell’ospedale “Blue Sisters” e la richiesta di esser sostituito nell’insegnamento, 60 era molto ben retribuito (500 sterline annue), ma l’impiego era pesante. Riteneva quindi preferibile passare all’Università, anche se lo stipendio era nettamente inferiore (220 sterline annue), per non esser oberato di lavoro. E sempre in questa lettera a Croce, Calosso lamentava pure di esser stato oggetto di un “attacco idiota” da parte del “Giornale di Politica e di Letteratura”.
Il “Giornale” gli aveva mosso attacchi molto pesanti: nel fascicolo del gennaio-febbraio 1940 pubblicava un articolo significativamente intitolato “Un nemico di Cristo e dell’Italia a Malta”, in cui si affermava che il saggio di Calosso su Vittorio Alfieri dimostrava “un certo squilibrio d’ingegno”.
E dopo lo studioso si attaccava ruvidamente l’uomo, reo di aver combattuto in Spagna a favore dei rossi, contro i giovani italiani che si battevano invece “per un alto ideale” e che in definitiva avevano salvato il Mediterraneo anche per l’Inghilterra. Ricordando poi l’aspirazione di Calosso ad ottenere la cattedra universitaria di italiano a Malta, sprezzatamente si concludeva: “…noi non crediamo che questa disprezzabile figura di uomo possa esser scelta in un paese, che oltretutto è in guerra, per affidarle l’educazione dei propri giovani”.
A rincarare la dose, nel successivo numero del “Giornale” si tornava alla carica. Il saggio di Calosso su Manzoni era definito “un frettoloso opuscolo di colloqui manzoniani, ammaniti come titolo dell’ultima ora per convalidare meno sconciamente la sua candidatura alla cattedra dell’Università di Malta”. L’opera era una “chiara testimonianza della insufficienza spirituale e morale di questo uomo”. L’anonimo autore di questo articolo si diceva pronto a documentare quanto fino allora “detto intorno a questa ignobile figura d’uomo, che transfuga dalla propria terra contro la quale ha preso le armi, detrattore della propria religione e di ogni morale, non può fare onore a nessuna terra e a nessun popolo che eventualmente lo accolgano”.61
Pure, nonostante le persecuzioni subite e le feroci polemiche con le autorità fasciste, Calosso e la moglie, Clelia Laiolo, mantennero fino al 1940 la cittadinanza italiana, rinnovando periodicamente i loro passaporti presso il Consolato italiano a Malta.
Di uno di questi rinnovi dava notizia il 25 maggio 1935 il MAE al Ministero dell’Interno, precisando che la validità dei passaporti era limitata a sei mesi e solo per recarsi in Italia e far ritorno a Malta. Si svelava pure la piccola furbizia di aver previsto il ritorno a Malta per non far sospettare a Calosso che sarebbe stato imprigionato in Italia, se mai ci avesse fatto ritorno.62
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Cosa che Calosso si guardò bene dal fare. Nel gennaio 1940 presentò domanda per essere naturalizzato cittadino britannico. Il provvedimento di naturalizzazione fu adottato dal luogotenente reggente di Malta J. W. Cocker in base al “British Nationality and Status of Aliens Act” del 1914 e fu pubblicato sul n. 8703 de “The Malta Government Gazette” del 26 aprile 1940.
La naturalizzazione era estesa alla moglie e come conseguenza comportò per Calosso la perdita del grado di ufficiale nel R. Esercito italiano;63 per una delle tante stranezze burocratiche, Calosso per il suo antifascismo era stato privato delle cattedra, ma non dei gradi militari.
Ma l’acquisto della cittadinanza britannica rappresentò anche un vantaggio per Calosso: a causa di questo mutamento, si ritenne opportuno disporre nella rubrica di frontiera non più il suo arresto, come era stato deciso fin dal 1933, ma soltanto il “respingimento”.64
Calosso era a Malta l’immagine dell’altra Italia, quella del “non mollare”, ben distinta da quella ufficiale, che pure ebbe le sue vittime, colpite dalle espulsioni inflitte dal governo britannico agli elementi più in vista della locale comunità italiana.
Espulsioni che furono affrontate con spavalderia patriottica, venata dall’immancabile retorica littoria. Già il 30 settembre 1935 ci fu una prima ondata di espulsioni: erano costretti a lasciare Malta l’ex vice-console Luigi Mazzone, corrispondente dell’agenzia di stampa Stefani e titolare dell’agenzia di navigazione Adria, con i figli Giovanni e Luigi; Gardenio Botti, ex segretario del Fascio di Malta, musicista e direttore della Filarmonica “La Valletta”, sospettato di pubblicare sulla “Tribuna” articoli antibritannici con lo pseudonimo “Italicus”; Leonardo Fusco, anche lui ex segretario del Fascio di Malta, ragioniere della filiale del Banco di Roma.
Gli espulsi, arrivati a Siracusa, si affrettarono a telegrafare a “S.E. Mussolini – Capo Governo” il 1° ottobre: “Colpiti decreto britannico espulsione da Malta toccando sacro suolo Patria inneggiano al Duce amatissimo”.65
Seguì a breve un’altra raffica di espulsioni, che colpivano 7 cittadini italiani, fra cui Nicola Parodi, direttore della filiale del Banco di Roma; Riccardo Naselli, comandante dell’idroscalo dell’ “Ala Littoria”; Emilio Ghilo, meccanico dell’ “Ala Littoria”; Salvatore Marsala, che era in procinto di partire volontario per la guerra d’Etiopia.
Era un’anticipazione delle misure più radicali che nel maggio 1940, nell’approssimarsi della guerra con l’Italia ormai ritenuta inevitabile, le autorità britanniche adottarono nei confronti dei cittadini italiani residenti a Malta, che furono espulsi, e dei maltesi che più si erano esposti con il loro atteggiamento filo-italiano, come il leader nazionalista Enrico Mizzi ed Arturo Mercieca, chief of Justice, deportati in Uganda.
ACS – CPC : Archivio centrale Stato – Casellario Politico centrale
ACS – SPD – CO: Archivio centrale Stato – Segreteria particolare del Duce – Carte Ordinarie
ASDE: Archivio Storico Diplomatico Esteri
DIE: Direzione Italiani all’Estero
Telespresso del MAE al console Silenzi, n. 6267/297, 8 novembre 1930.
Donati arrivava a Malta dipinto a fosche tinte dagli informatori dell’OVRA. In un appunto anonimo del 6 giugno 1930 si affermava che “il noto Giuseppe Donati” era “al servizio del Quay (sic)d’Orsay”, facendo la spia per conto del governo francese.
In un altro appunto anonimo (privo di data ma compreso fra il 1925 e il 1930, poiché si fa cenno alla sua residenza a Parigi), si ricordava la denuncia di Donati al Senato contro De Bono, prosciolto in istruttoria, per il delitto Matteotti e si tracciava questo ritratto: "tra le più equivoche figure del popolarismo italiano, egli può ben dirsi individuo prezzolato cui la malafede accoppiata ad una profonda scaltrezza sono norma costante di vita”. (ibidem).
Fabriani, proveniente dalle file del partito popolare, sino all’arrivo di Donati a Malta non aveva dimostrato dissensi nei confronti del regime fascista. Nella sua qualità di presidente della sezione dell’associazione nazionale combattenti di Malta, il 25 febbraio 1930 scriveva direttamente a Mussolini: “Duce, questa Sezione Combattenti che ha elevato, in questo scoglio avanzato di italianità, il suo gagliardetto insieme a quello del Fascio, simbolo della rinnovata coscienza del Popolo Italiano e arra sicura delle future glorie della Patria nostra, umilia a vostra Eccellenza la preghiera di volerci donare una Sua fotografia che sarà gelosamente custodita insieme a quella di coloro che portarono l’Italia alla vittoria. Colle glorie del passato, la Sua effigie conforterà il nostro animo con le più liete speranze per l’avvenire”.
Con appunto 1271384 del 5 marzo 1930 la Segreteria Particolare di Mussolini disponeva che il Gabinetto del MAE inviasse la foto richiesta con la dedica: “Ai Combattenti Italiani di Malta – Roma – 2 marzo 1930 VIII Mussolini” (ACS – SPD – CO – busta 325 fascicolo 108520).
Molto più favorevole un successivo rapporto, inviato il 23 giugno 1937 dal Consolato a Malta al MAE e p.c. al Ministero dell’Interno; scriveva il console: “ritengo opportuno far presente che il Fabriani ha molto modificato il suo atteggiamento durante l’ultimo anno. Anzi nel periodo del conflitto etiopico e nei mesi successivi, egli ha mostrato atteggiamento di notevole fierezza e di consapevole orgoglio nazionale. In occasione del suo prossimo soggiorno in Italia, il Fabriani dovrebbe essere soltanto vigilato, in modo da riportare l’impressione di non esser ritenuto ancora avversario del regime…Mi risulta anche che egli, per il tramite di questo R. Ufficio, ha reso utili servigi nel campo culturale informativo scolastico, sulla questione della lingua italiana a Malta, ad alcuni esponenti della Direzione Generale degli Italiani all’Estero (prof. Umberto Biscottini)”. (Ibidem, telespresso riservato 683/182 del Consolato Generale d’Italia a Malta al MAE e p.c. al Ministero dell’Interno - Direzione Generale PS – Divisione Affari Generali e Riservati – 23 giungo 1937).
Il feeling di Fabriani con il regime segnò comunque una battuta d’arresto. Il console Canino segnalava difatti il 6 luglio 1939 che frequentava “elementi notoriamente avversi al regime, ma non” poteva “ritenersi….elemento veramente pericoloso o capace di iniziative personali”. Continuava però a rendersi benemerito per le sue attività culturali: “…si può ancora oggi riconoscere nell’azione scolastica ed extra-scolastica del Prof. Fabriani un indubbio attaccamento alla cultura italiana, che egli cerca di difendere, anche nell’attuale campagna promossa da queste Autorità contro tutto ciò che rimane della tradizione culturale in Malta. Anche quest’anno infatti ha organizzato accurate e molto applaudite recite in italiano di filodrammatici maltesi in questo Teatro Reale”. (Ibidem, telespresso riservato 10279 del console Mario Canino al Ministero dell’Interno – Direzione Generale PS – 6 luglio 1939 – XVIII).
Queste benemerenze fruttavano a Fabriani la definitiva cancellazione dalla rubrica di frontiera (ibidem, lettera n° 01668/38 della Regia Prefettura di Aquila al Ministero dell’Interno – Direzione Generale PS – CPC – 21 ottobre 1939 – XVII),ma non la fine della diffidenza che continuava ad esistere nei suoi confronti, per cui, rientrato in Italia allo scoppio della guerra, era sottoposto a sorveglianza, prima a Roma (ibidem, lettera 068212 – Gab. – Categ. A9 della R. Questura di Roma al Ministero dell’Interno – Direzione Generale PS – CPC e p.c. alla R. Questura di Aquila – 6 settembre 1940) e poi all’Aquila, dove Fabriani si era trasferito essendogli stata assegnata una cattedra nel locale Liceo Classico (ibidem, lettera 01668 della R. Prefettura de l’Aquila – Divisione PS al Ministero dell’Interno – Direzione Generale PS – CPC – 26 novembre 1940).
Le cose però cambiarono dopo pochi mesi. Difatti, la Prefettura de l’Aquila informava il Ministero dell’Interno il 2 giugno 1941 che Fabriani come ex combattente si era iscritto al fascio e che la anzianità della nuova iscrizione decorreva dalla data della precedente (3 marzo 1925). La sua condotta non aveva dato motivo a rilievi di natura politica, essendosi dimostrato favorevole nei confronti del governo fascista. Chiedeva pertanto la revoca della vigilanza: revoca accordata dal Ministero dell’Interno il 7 luglio 1941 (ibidem, lettera 01668 della R. Prefettura de L’Aquila al Ministero dell’Interno – Direzione Generale PS – Divisione Affari Generali e Riservati – 2 giugno 1941; nota 32821/124220 del Ministero dell’Interno – 7 luglio 1941).
Sembra poco attendibile che la vedova Donati si fosse trasferita a Francoforte, tenuto conto che non era in possesso di un passaporto per l’estero, negatole anche quando lo aveva richiesto per raggiungere il marito ormai morente a Parigi. Inoltre, dalle indagini disposte dallo stesso MAE risulta che il prof. Kissler che si sarebbe dovuto recare a Francoforte per consegnare la somma raccolta, non era stato visto né a Marsiglia, dove sarebbe dovuto sbarcare in provenienza da Malta, né a Francoforte (ACS – CPC – busta 1841 – fascicolo Giuseppe Donati – telespresso riservato 320622/8997 del MAE – servizio corrispondenza Ufficio III – al Ministero dell’Interno – Direzione Generale PS – Divisione Affari Generali e Riservati – 15 ottobre 1932: riferisce le informazioni ricevute dal consolato di Marsiglia; telespresso 5705/342 del consolato generale d’Italia a Francoforte – inviato al MAE – Segreteria Generale e p.c. alla Direzione Europa Levante - Ufficio I e al Ministero dell’Interno Direzione Generale PS – 29 ottobre 1932).
La lettera è da attribuirsi ad Arnaldo Fabriani, anche se manca il suo nome nella copia, in quanto come indirizzo del mittente appare Via Zecca 68, La Valletta, che era appunto quello del Fabriani.
“Aurelio” sosteneva che era falsa la notizia della morte di Donati diffusa ad arte per sviare le indagini della polizia italiana e per sottrarlo alla sua vigilanza. Secondo voci raccolte “da persona intima della famiglia dell’ex on. Giuseppe Donati”, questi si sarebbe trovato a Malta, “ove eserciterebbe, al soldo dei fuoriusciti, una tenace attività antifascista, che gli avrebbe, tra l’altro, procurato la protezione e l’amicizia del governatore di Malta, noto antitaliano e fra i più accaniti sostenitori dell’avvenuta abolizione della lingua italiana presso quel popolo”.
A sostegno di queste affermazioni l’informatore citava la presunta agiatezza in cui vivevano gli orfani e la vedova, che indossava “con quasi sfacciata ed equivoca letizia le gramaglie”. L’elevato tenore di vita era giustificato dalla vedova con le varie migliaia di lire ricevute mensilmente dal governatore di Malta “ex e caro amico del defunto marito”.
La vedova inoltre incontrava persone che diceva essere suoi cugini, ma che erano forse emissari del marito.
Il tocco finale era dato al rapporto dall’affermazione che si erano segnalati questi fatti per evitare che nemici del Regime e della Patria potessero immeritatamente beneficiare della generosità del duce.
La Direzione Generale PS chiedeva al questore di Roma di indagare sulle persone ricevute dalla vedova Donati e sui sussidi che avrebbe avuti da Malta.
Chiarificatrice la risposta della Questura di Roma: la signora Donati non riceveva estranei. L’unico a frequentarla era il cugino Sarri Francesco di Alberto. Durante l’estate, per circa un mese, aveva ospitato la sorella Ortensia con il marito Mario Rossi, residenti a Tunisi. Gli unici aiuti economici pervenuti erano quelli che appunto i coniugi Rossi erano soliti inviare alla vecchia madre che viveva con Vidja Donati. (ACS – Ministero Interno - Divisione Affari Riservati – cat. I – pacco 449 – fascicolo 66; appunto firmato “Aurelio” – non è indicato il destinatario – 18 novembre 1932.
Ministero Interno – Direzione Generale PS – Divisione Polizia Politica – lettera 500/25814 al questore di Roma – 29 novembre 1932.
Lettera 028877 U.P. – cat. A8 della Questura di Roma al Ministero dell’Interno - Direzione Generale PS – Divisione Polizia Politica -oggetto Morici Vidia (sic.) vedova Donati - 20 dicembre 1932).