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Il problema di Malta nei dibattiti parlamentari italiani degli anni ’30
Una commissione reale d’inchiesta era stata inviata dal governo di Londra a Malta nell’aprile del 1931 per indagare sulle condizioni socio-culturali e politiche dell’isola ed in particolare sulle ragioni del violento contrasto che aveva opposto il governo maltese di lord Strickland alle autorità religiose locali, coinvolgendo poi nella disputa il Foreign Office ed il Vaticano: contrasto nato dall’opposizione di lord Strickland all’allontanamento di un religioso francescano, padre Micallef, richiesto dal superiore padre Carta.
La commissione concluse i suoi lavori a Malta nel giugno dello stesso anno e la sua relazione finale fu pubblicata dopo circa otto mesi, nel febbraio 1932.
In essa si attribuiva la responsabilità della crisi politica maltese a Strickland, definito “aggressivo ed accentratore, con modi intesi a causare irritazione e disturbo e con metodi di polemica e d’attacco atti a suscitare personale animosità e a dividere l’isola in fazioni acerbamente in contrasto”.
Si proponeva il ripristino integrale della Costituzione del 1921, senza tener conto delle proposte di emendamento avanzate da Strickland; il ritorno ad un governo parlamentare a seguito di elezioni politiche da tenere al più presto. Si escludeva qualsiasi rischio di irredentismo filo-italiano, riconoscendosi la lealtà dei maltesi verso l’Inghilterra, anche di quelli che sostenevano l’uso della lingua italiana.
Sin qui la commissione aveva deciso all’unanimità; si divise invece sulla proposta di eliminare l’insegnamento dell’italiano nelle scuole elementari, limitandolo alla scuola secondaria ed all’università, poiché era giudicato troppo gravoso per i bambini lo studio contemporaneo di tre lingue (maltese, inglese, italiano). Si raccomandava comunque al governo di Londra di prendere misure in campo linguistico solo dopo le elezioni, tenendo conto dell’opinione che i maltesi avrebbero espresso in quella occasione.
Questa proposta relativa all’insegnamento linguistico passò a maggioranza, con il voto favorevole del presidente lord George Ranken Askwith e di uno dei due componenti, sir Walter Egerton; si dissociò l’altro componente, sir John Francis Charles de Salis.
Le accoglienze riservate al rapporto della commissione da parte italiana furono, al suo apparire, favorevoli. L’incaricato d’affari a Londra, Mameli, riferendosi ai problemi che più interessavano il governo italiano, cioè i rapporti con il Vaticano ed il problema linguistico, osservava il 12 febbraio 1932: “Ambedue tali parti mi sembrano in generale ad una prima lettura concepite e formulate in termini sufficientemente obiettivi e moderati”.1
Giudizio ribadito a breve distanza di tempo dall’ambasciatore Bordonaro, che il 18 febbraio trovava la relazione moderata ed obiettiva: la Santa Sede usciva molto bene dalla polemica con Strickland ed il Foreign Office, i seguaci del primo ministro maltese apparivano “perplessi e seccatissimi”; anche la questione linguistica era stata trattata in modo equilibrato, per cui in essa non c’era “alcuna frase che possa darci noia o ombra”.2
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Ma noie ed ombre non tardarono a manifestarsi, di lì a pochi giorni.
Il 2 marzo 1932, il ministro delle Colonie, Cunliffe Lister, rispondendo ai Comuni ad alcune interrogazioni, faceva propria la proposta della commissione di eliminare l’insegnamento dell’italiano nelle scuole elementari ed annunciava che avrebbe proceduto subito in tal senso, senza attendere, come la commissione stessa aveva suggerito, l’esito delle elezioni.
Immediata la protesta che Bordonaro presentò al Foreign Office il 5 marzo, preannunciandola al MAE con suo telegramma del giorno 4.3 Con successivo telespresso del 6 marzo Bordonaro chiariva il retroscena della decisione britannica di adottare subito i provvedimenti contro l’italiano: era la risposta al grande comizio nazionalista svoltosi a Malta il 28 febbraio a sostegno dell’uso dell’italiano.
Vivo risentimento destò a Malta la decisione del governo britannico. “Il popolo maltese, anche quello della campagna e dei villaggi, che fino a poco tempo fa si interessava assai poco della questione della lingua, sente ora che gli si vuol togliere a forza qualche cosa che forma parte del suo patrimonio nazionale”: così scriveva nel suo rapporto del 15 marzo al MAE il console Silenzi.4
Voci di dissenso sulla politica inglese per Malta si levarono anche in Gran Bretagna: il “Times” del 2 agosto 1932 pubblicava una lettera di W. D. Roberts che definiva i provvedimenti di Cunliffe ingiustificati ed autoritari.
Le reazioni italiane a questi provvedimenti erano riassunte nella lettera che il capo Gabinetto del MAE, Ghigi, inviava, in assenza del ministro Grandi e del sottosegretario Fani, all’ambasciatore Bordonaro, il 22 marzo 1932. Si citava anzitutto come imminente un’interrogazione di cui era primo firmatario il senatore Pietro Fedele (in realtà l’interrogazione non fu poi presentata); si ricordava poi la risoluzione votata su proposta di Ugo Ojetti dall’Accademia d’Italia, il 17 marzo, per invitare il governo di Londra a non rompere, dopo secoli, una tradizione di civiltà dall’Inghilterra sempre amata e rispettata; una analoga mozione era stata votata dalla “Dante Alighieri”. Inoltre, c’era stato un incontro informale tra Grandi e l’ambasciatore britannico Ronald Graham. Ghigi attribuiva particolare importanza ad interventi amichevoli e non ufficiali perché l’Inghilterra, come era avvenuto nel 1902 e nel 1911, modificasse la sua politica a Malta. Suggeriva pertanto di ricorrere ai buoni uffici di qualche personalità amica, come ad esempio sir Rennel Rodd, che, da ambasciatore a Roma, era intervenuto per Malta, su richiesta del marchese Antonino di San Giuliano, che nel 1911 era ministro degli Esteri.5
Suggerimento fatto proprio dal sottosegretario Fani, che in un telegramma del luglio successivo all’ambasciatore Bordonaro, oltre a quello di sir Rennel Rodd, faceva il nome, come patrono della causa maltese, dell’ex governatore lord Plumer, che si era molto adoperato perché Malta ottenesse la Costituzione del 1921.6
I colloqui fra Grandi e l’ambasciatore Graham, ricordati da Ghigi, si svolsero l’8 ed il 24 marzo 1932. Ebbero un carattere puramente interlocutorio: Graham nel 1° incontro riconobbe che i provvedimenti erano forse eccessivi e diede qualche speranza che potessero esser mitigati, ma nel successivo incontro del 24 marzo rinviava ogni decisione a dopo le elezioni, il cui esito, se vittorioso per Strickland, avrebbe lasciato le cose immutate. Se invece avessero prevalso i nazionalisti, si poteva pensare a modifiche legislative. 7
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L’ambasciatore Bordonaro era della stessa opinione circa l’opportunità di evitare passi ufficiali, che avrebbero fatto il gioco di Strickland, fornendogli il pretesto per denunciare l’ingerenza italiana negli affari maltesi.8
Con lettera privata, priva di data, ma riferibile al marzo 1932, Bordonaro si rivolgeva a Raffaele Guariglia, responsabile della Direzione Europa-Levante del MAE, per proporgli di incontrare Adrian Dingli, il fidato consigliere dell’ambasciata italiana a Londra per gli affari maltesi, “per la conoscenza che ha, quale maltese, della situazione nell’isola”.9
Dell’incontro Guariglia ha lasciato un appunto per Grandi, datato 2 aprile 1932, che riassumeva le valutazioni ed i suggerimenti di Dingli:
1) la campagna di stampa e le reazioni italiane in genere avevano avuto effetto e le autorità inglesi ne erano rimaste più colpite di quanto non avessero fatto credere.
2) Occorreva insistere e chiedere che ogni decisione fosse rinviata a dopo le elezioni, che quasi sicuramente i nazionalisti avrebbero vinte.
3) Negli ultimi anni si era creato “un piccolo irredentismo maltese, prima inesistente”, costituito da una frazione dei nazionalisti, circa il 10% del Partito.
Guariglia aveva replicato che in fondo Strickland aveva lavorato per la causa italiana e, a richiesta di Dingli, aveva promesso finanziamenti per scuole private, laiche e religiose, che assicurassero l’insegnamento dell’italiano a Malta.
Guariglia concludeva il suo appunto suggerendo a Grandi di proporre a Mussolini di incontrare l’ambasciatore inglese per chiedergli in via amichevole di rinviare le misure a dopo le elezioni. L’incontro non avrebbe causato inconvenienti politici: il tono amichevole avrebbe attutito “anzi gli effetti contrari delle escandescenze dell’on. Giunta”.10
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Non mancarono però iniziative politiche ufficiali, molto più clamorose dell’amichevole colloquio riservato che Guariglia aveva consigliato nel suo appunto. L’interrogazione di Fedele al Senato, preannunciata da Ghigi nella sua lettera a Bordonaro del 22 marzo, sfumava nel nulla, ma il 19 aprile 1932 veniva presentata alla Camera dei Deputati ed iscritta all’ordine del giorno
un’interrogazione al Ministro degli Affari Esteri “per conoscere quali passi il Regio Governo abbia creduto di fare presso l’amico Governo d’Inghilterra per la conservazione dell’insegnamento della lingua italiana nelle scuole inferiori a Malta”.
Primo firmatario era Francesco Ercole (col rimpasto del 20 luglio divenne ministro dell’Educazione Nazionale ed in seguito fu Presidente della Regia Deputazione per la Storia di Malta); fra gli altri che sottoscrissero l’interrogazione spiccavano i nomi di Ezio Maria Gray, di Carlo Del Croix, del dalmata Alessandro Dudan, che nel dicembre 1933 fu a sua volta primo firmatario di un’altra interrogazione, mai svolta, sul problema linguistico a Malta.
L’interrogazione di Ercole ebbe invece regolare svolgimento il 6 maggio 1932 in un’aula gremita di parlamentari e di un folto pubblico.
L’eccitazione era nell’aria: è annotato nel resoconto della discussione che Grandi prese la parola per rispondere all’interrogazione tra “segni di viva attenzione”.
Rispettoso di uno stile di impassibile correttezza diplomatica, Grandi esordì con questa affermazione: “A questa domanda io non posso naturalmente, come ministro degli Esteri, che rispondere nella seguente maniera: nessun passo ufficiale è stato fatto dal Governo italiano presso il Governo inglese in merito ad una questione che appartiene alla politica interna dell’impero britannico”. Ma, dismessi i panni del diplomatico, il ministro si affrettava ad aggiungere: “Detto questo, ed assolto così il mio dovere di Ministro degli Esteri, non posso fare a meno di dire alla Camera come il Governo Fascista partecipi al sentimento unanime della Nazione italiana, dolorosamente colpita dalla notizia di provvedimenti intesi a diminuire nell’isola di Malta la lingua italiana, nella quale sono state sempre educate generazioni che hanno dato per più di un secolo all’Impero britannico dei sudditi fedeli”. Ricordava quindi come i provvedimenti contro l’italiano fossero stati ritirati nel 1902, pur non essendo allora l’Italia alleata dell’Inghilterra, “né tanto sangue era stato insieme versato, per quattro anni, da italiani e da inglesi” (il resoconto parlamentare annota a questo punto: “vivissimi prolungati applausi”).
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Avviandosi alla conclusione, Grandi si richiamava alle tradizioni liberali britanniche che avevano consentito “la libera e leale convivenza di tanti popoli” ed esprimeva l’augurio che il governo di Londra volesse riconsiderare il problema di Malta, tenendo conto “dei sentimenti generali e spontanei che l’anima italiana ha manifestato in questa occasione”.
Conclusione accolta con scene di frenetico entusiasmo, così descritte: “Vivissimi, generali, prolungati applausi – Grida di Viva Malta! – Il capo del Governo, il Presidente, i Ministri e i deputati sorgono insieme – Nuovi vivissimi prolungati applausi”.
Quando fu possibile contenere queste travolgenti manifestazioni, prese la parola, come primo firmatario, Francesco Ercole per la replica. Ringraziato il Ministro per la sua risposta e reso omaggio alle tradizioni italiane di Malta, Ercole manifestava la sua sorpresa per l’abolizione dell’italiano nelle scuole elementari, che sembrava dar soddisfazione a Strickland, che era stato invece apertamente sconfessato dalla Commissione Reale d’inchiesta. Ricordava poi come Malta non fosse mai stata un motivo di contrasto fra l’Italia e l’Inghilterra, e come i Maltesi non meritassero di esser “ridotti alle condizioni di coloni africani” a causa della privazione delle loro secolari tradizioni culturali italiane, che non potevano cancellarsi con un decreto governativo.
Seguiva la conclusione, che era un ammonimento: “nella grave e oscura ora” che volgeva nei rapporti internazionali la solidarietà anglo-italiana era preziosa e si augurava quindi che Malta non divenisse “un fomite di dissenso tra due grandi nazioni” e tornasse ad essere “come pur mostrò per oltre un secolo di poter essere, un veicolo di cordiale collaborazione fra esse”.
Conclusione accolta dal caloroso consenso dell’assemblea di Montecitorio: “Vivissimi prolungati applausi – Grida di: Viva Malta – Nuovi prolungati applausi”. A stare a questa didascalia, all’onorevole Ercole mancò solo la “standing ovation” che la Camera, con la partecipazione del suo Presidente, del Duce e dei Ministri, aveva riservato al Ministro degli Esteri.11
Il discorso di Grandi fu riportato da molti giornali britannici, che si limitarono, tranne poche eccezioni, ad un resoconto infiorato da qualche nota di colore per le scene di entusiasmo filo-maltese verificatesi in quell’occasione, oggetto di qualche ironico commento.
Il “Morning Post” del 7 maggio si limitava alla cronaca intitolando la corrispondenza da Roma “Signor Grandi on Malta. British decision criticised.( “Il signor Grandi su Malta. Criticata la decisione Britannica”).
In pari data il “Times” pubblicava la sua corrispondenza “Signor Grandi’s statement – Fascist hopes” (“Il giudizio del signor Grandi. Le speranze fasciste”) e manifestava qualche preoccupazione perché Ercole nella sua replica aveva espresso la speranza che nessun contrasto sorgesse a causa di Malta tra Italia e Inghilterra, il che poteva far pensare che qualcuno nutrisse sentimenti bellicosi: “ma le sue parole hanno insinuato che alcuni ambienti in Italia sono decisi a mantenere aperta la questione linguistica” (“but his words suggested that certain quarters in Italy are determinated to keep the language question open”).
Il “Daily Telegraph” del 7 maggio (“Signor Grandi and Malta – Ban of Italian deplored” – “Il signor Grandi su Malta – Deplorato il bando dell’italiano”) sottolineava invece che lo stesso Mussolini si era associato alla manifestazione filo-maltese, che il “New Chronicle” in pari data commentava tra l’ironico e l’indignato, come può desumersi fin dal titolo “Grandi’s out burst. Malta language “blow” (“L’esplosione del signor Grandi. La lingua di Malta “si gonfia”) e da quanto scriveva: “Scene stupefacenti sono state riscontrate oggi alla Camera dei Deputati a seguito di una interrogazione sulla soppressione della lingua italiana nelle scuole elementari di Malta”
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(“Astonishing scenes were witnessed in the Chamber of Deputies to day following a question regarding the soppression of the Italian language in the elementary schools of Malta”).
L’ironia serpeggiava pure nel titolo del “Manchester Guardian” del 7 maggio: “Languages of Malta – Appeal to Britain – Surprising scenes in Rome” (“Lingue di Malta – Appello alla Gran Bretagna – Scene sorprendenti a Roma”), ma seguiva una nota politicamente più significativa, a commento dei dispacci delle agenzie Reuters e Central News, che ricordava le minacciose dichiarazioni fatte poco tempo prima da Giunta a Malta, già ampiamente riportate sul “Times” del 26 marzo e sullo stesso “Manchester Guardian” del 29 marzo: “l’Inghilterra non deve tirare troppo la corda, poiché, se lo farà, si strapperà e tutti i cannoni del mondo, le flotte e il denaro non riusciranno ad arrestare l’ascesa di un popolo” (“England must not pull the cord too hard, for if she does it will snap, and all the cannons in the world, the fleets and the money will not succed in staying the rise of a people”). All’interrogazione di Ercole avrebbe dovuto seguire al Senato quella di Pietro Fedele: non fu mai presentata, ma se ne conserva il seguente testo presso l’archivio storico-diplomatico del MAE:
“Chiedo di interrogare il Ministro degli Affari Esteri per conoscere se il Governo Italiano abbia fatta qualche comunicazione al Governo Britannico circa le recenti decisioni del Segretario di Stato per le Colonie relativi (sic) all’abolizione dell’insegnamento dell’Italiano nelle scuole elementari a Malta e dell’uso della lingua italiana nelle corti penali”.12
L’interrogazione di Francesco Ercole fu l’unica ad essere svolta in aula ottenendo una risposta del Ministro degli Affari Esteri.
Le misure britanniche contro l’italiano a Malta proseguirono a ritmo serrato ed arrivarono a disporne l’abolizione nella toponomastica, nell’attività giudiziaria, nell’uso veicolare per l’insegnamento universitario e ad imporre anche gravi limitazioni alle iniziative culturali italiane, fino alla chiusura dell’Istituto San Francesco di Casal Paula e della scuola Montessori di Palazzo Spinola (ordinanza del governatore del 1° luglio 1934); mentre per l’Istituto Umberto I le iscrizioni erano limitate ai ragazzi italiani nati in Italia: erano esclusi quelli nati a Malta da genitori italiani, in quanto considerati cittadini britannici, prevalendo lo “Ius loci” sullo “Ius sanguinis”.
Il culmine di queste misure contro le istituzioni italiane a Malta fu toccato il 4 luglio 1936, quando fu imposta la chiusura dell’Istituto Italiano di Cultura.
Ci furono vivaci reazioni culturali e giornalistiche da parte italiana contro questi provvedimenti;13
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ma esse non ebbero uno sbocco parlamentare: sebbene diverse interrogazioni fossero state presentate o preannunciate, sia alla Camera che al Senato, nessuna fu svolta in aula o ebbe una risposta scritta del governo.
La prima, in ordine cronologico, fra queste interrogazioni fu presentata alla Camera dei Deputati da un deputato dalmata, il conte Alessandro Dudan. L’11 dicembre 1933 l’on. Verdi, uno dei segretari di Montecitorio, dava lettura di questo testo, firmato anche da Gabriele D’Annunzio e da Marcello Orano: “I sottoscritti chiedono d’interrogare il Ministro degli affari esteri sui fatti avvenuti recentemente nello Stato di Malta in odio all’insegnamento della lingua italiana e all’esercizio professionale in quelle isole dei cittadini del Regno, con evidente violazione delle consuete norme di reciprocità internazionale”.
Il Presidente della Camera, Giurati, disponeva che questa interrogazione, assieme alle altre presentate su vari argomenti, fosse iscritta all’ordine del giorno e discussa a suo turno.14
Ma questo turno non arrivò mai e dell’interrogazione si perse ogni traccia.
Vero è che si era ormai alla vigilia della fine della 28° legislatura, conclusasi il 18 gennaio 1934 e si potrebbe perciò ritenere che fosse mancato il tempo per dare una risposta all’on. Dudan.
Ma il tempo lo si trovò per svolgere con grande celerità il 13 dicembre due interrogazioni presentate lo stesso giorno di quella di Dudan, l’11 dicembre: l’interrogazione dell’on. Caprino (per l’aumento del fondi destinati agli scavi archeologici in Sardegna) e quella dell’on. Gray (per lo sdoppiamento della sovrintendenza artistica del Piemonte e della Liguria).15
Né ebbero miglior sorte le interrogazioni su Malta presentate nella successiva XXIX legislatura.
In un appunto conservato presso l’Archivio storico-diplomatico degli Esteri, su carta intestata del Ministero e con la data 27 settembre 1934, sotto il titolo “Interrogazione che sarà presentata al Senato”, si preannunciava l’iniziativa di Cesare De Vecchi di Val Cismon e di altri 360 senatori.
L’interrogazione era rivolta al Ministero degli Affari Esteri “per conoscere il suo pensiero sui provvedimenti del Governo britannico contro la lingua italiana a Malta ed in particolare sulla soppressione dell’italiano quale lingua di amministrazione della giustizia”.16
Per fare il pieno delle adesioni a questa interrogazione ci fu una mobilitazione generale dei senatori.
Secondo firmatario era il sen. Pietro Fedele, lo stesso che avrebbe dovuto presentare nel giugno 1932 un’interrogazione al Senato, che rimase semplicemente preannunciata, senza esser neppure comunicata all’assemblea.
Dal lontano Uruguay, la legazione italiana a Montevideo segnalava il 13 novembre 1934 al MAE, perché ne fosse data comunicazione alla Presidenza del Senato, che il senatore Giampiero aderiva “all’interpellanza (sic) presentata da S.E. De Vecchi su Malta e che, di ritorno a Roma il 3 dicembre, l’avrebbe firmata”.17
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E proprio il 3 dicembre 1934 il sen. Guido Biscaretti, nella sua qualità di segretario, comunicava l’interrogazione all’Assemblea 18: non si andò oltre.
Eppure De Vecchi si era coscienziosamente preparato al dibattito. Presso l’Archivio degli Esteri è conservato il discorso che avrebbe dovuto pronunciare come replica alle dichiarazioni fatte dal Governo a seguito della sua interrogazione.
Tra le altre affermazioni, De Vecchi avrebbe dovuto fare le seguenti: “”Tutta la storia di Malta è storia di italianità e dimostra donde ne nasca e discenda la lingua; e non è mai stato possibile sopprimere la storia con delle disposizioni legislative…Sono convinto che le parole franche e chiare siano le più utili a rinsaldare le amicizie vere e secolari com’è cordialmente quella fra il nostro e il popolo inglese.
E’ per ciò che da questo seggio, dichiarandomi soddisfatto della risposta avuta alla mia interrogazione dal Governo Fascista, con la chiarezza abituale alle Camicie Nere debbo dichiarare che con la linea seguita verso la nostra lingua a Malta il Governo Inglese ha compiuto atti che hanno toccato nelle corde più sensibili il popolo italiano”.19
Lo stesso copione si ripeteva puntualmente alla Camera dei Deputati. L’On. Carlo Del Croix, seguito come secondo firmatario dall’on. Fani, sottosegretario agli Esteri fino al 20 luglio 1932, il cui nome spiccava nella folta schiera dei 350 deputati aderenti all’iniziativa, presentava un’interrogazione così concepita, comunicata il 10 dicembre 1934 all’Assemblea dal segretario on. Marcucci: “I sottoscritti chiedono di interrogare l’onorevole Ministro degli Affari Esteri, per conoscere che cosa il Governo italiano intenda fare in difesa della lingua e della cultura italiana a Malta, così gravemente colpite dai provvedimenti del Governo britannico contro l’insegnamento dell’italiano ed il suo uso quale lingua di amministrazione della giustizia”.
A richiesta del Governo, lo svolgimento dell’interrogazione fu rinviato a data da destinarsi20: e questa data non arrivò mai.
Sorte ben diversa ebbe l’interrogazione sul trattamento dei maestri elementari distaccati ad insegnare nei corsi secondari di avviamento professionale, comunicata all’Assemblea solo qualche giorno dopo l’interrogazione Del Croix, il 14 dicembre, e, con velocità fulminea,
Anche il testo dell’interrogazione Del Croix si trova nell’Archivio del Ministero degli Esteri, conservato nello stesso fascicolo dell’interrogazione De Vecchi, che custodisce inoltre il testo della risposta che un rappresentante del governo (con ogni probabilità il sottosegretario Suvich) avrebbe dovuto dare non si sa bene a quale delle due interrogazioni.
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In questo discorso mai pronunciato si asseriva fra l’altro: “Ora io tengo a dichiarare nella maniera più formale che un irredentismo italiano verso Malta non è mai esistito e non esiste.
Sono state pronunciate delle frasi in Italia e a Malta che, nel calore della polemica, possono anche avere ingenerato qualche equivoco: ma - lo ripeto – questo non è il pensiero mio né del governo né del popolo italiano”.22
Una prudenza analoga il governo italiano l’aveva dimostrata già nella primavera del 1932, quando, pubblicata la relazione della Commissione reale d’inchiesta su Malta e ridata una Costituzione che escludeva l’italiano dalle scuole elementari, si preparavano le elezioni che avrebbero affidato per breve tempo il governo dell’isola ai nazionalisti.
Nell’aprile di quell’anno il Presidente della “Dante Alighieri” chiedeva all’on. Giunta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’autorizzazione perché i comitati locali del regno potessero organizzare conferenze su Malta, che avrebbero dovuto “naturalmente rivestire un carattere di rivendicazione linguistica-culturale”, esclusa ogni mira irredentistica. Giunta, dopo aver trasmessa il 2 maggio la richiesta a Mussolini, il giorno 9 rispose affermativamente, ribadendo però la necessità, proprio lui che nel recente marzo aveva movimentato le cronache politiche con le sue intemperanze a Malta, che le conferenze avessero un carattere esclusivamente culturale. Forte di tale approvazione, la Presidenza della “Dante” diramò il 19 maggio 1932 una circolare ai Presidenti dei Comitati d’Italia perché organizzassero le conferenze, raccomandando che gli oratori tenessero “un discorso misurato” (si portava come esempio la conferenza che a Roma aveva tenuto il prof. Giglioli) e di evitare fin nel titolo “ogni e qualsiasi allusione irredentistica per Malta”.
Ma tanta prudenza non fu sufficiente a rassicurare alcuni prefetti, come quelli di Padova e di Torino, che telegrafarono al Gabinetto del Ministero dell’Interno per avere direttamente un superiore nulla-osta, che fu loro concesso. Il prefetto di Firenze si oppose all’iniziativa della “Dante”, affermando, come il segretario del comitato fiorentino informava il Consiglio Direttivo della “Dante”, che il Ministero dell’Interno, d’intesa con quello degli Esteri, era contrario all’iniziativa.
A questo punto intervenne direttamente la Presidenza del Consiglio, avocando a sé ogni decisione, come risulta dalla circolare inviata il 1° giugno 1932 ai prefetti dal Ministero dell’Interno, che comunicava il parere favorevole di Mussolini e rinviava i prefetti per ogni ulteriore chiarimento alla Presidenza del Consiglio, cui era stata affidata la pratica.
Rimase comunque il divieto per organizzare la conferenza a Firenze, dove avrebbe dovuto parlare Annibale Scicluna Sorge, studente maltese molto vicino ad Umberto Biscottini. Ne dava notizia il capo-gabinetto della Presidenza del Consiglio, Beer, al segretario generale della “Dante”, Maino, precisando che si era dovuta fare questa eccezione alle disposizioni favorevoli previste dalla circolare del 1° giugno, perché il fatto che Scicluna-Sorge era
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maltese avrebbe fatto assumere alla conferenza “una fisionomia speciale in confronto alle altre e diversa dal carattere puramente linguistico e culturale che si vuol mantenere alla manifestazione…” 23
Dopo il rinvio a data da destinarsi, l’interrogazione Del Croix rimase a lungo ibernata. A distanza di circa 3 anni, il 20 novembre 1937, quando la legislatura si avviava ormai alla sua conclusione, il segretario generale della Camera dei Deputati scriveva per incarico del Presidente, Costanzo Ciano, al capo-gabinetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri per chiedere se dovesse essere mantenuta all’ordine del giorno l’interrogazione Del Croix, che a norma dell’articolo 94 del regolamento della Camera sarebbe dovuta decadere da tempo. La risposta non tardò: il 24 novembre il capo-gabinetto di Mussolini comunicava al segretario generale della Camera dei Deputati che, “presi ordini superiori” l’interrogazione Del Croix doveva esser mantenuta all’ordine del giorno.24
Al di là del rispetto del regolamento, importava maggiormente mantenere in vita, per ogni possibile evenienza, l’occasione per un dibattito parlamentare che costituisse la cassa di risonanza per dichiarazioni, che comunque non sarebbero state incendiarie, se si fossero uniformate a quelle escludenti ogni aspirazione irredentista, contenute nell’anonimo appunto per la risposta del governo all’interrogazione dell’on. Del Croix o a quella del sen. De Vecchi di Val Cismon, rimasto ad impolverarsi nell’archivio degli Esteri.
In seguito, ancora una volta l’attenzione si concentrò su Malta a causa delle espulsioni dall’isola degli italiani sospettati di spionaggio. Al problema avrebbe dovuto esser dedicata l’interrogazione dell’on. Paolo Orano più 170 deputati, di cui si conserva questo testo in un appunto datato 31 dicembre 1935, custodito presso l’Archivio del Ministero degli Esteri: “I
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sottoscritti chiedono di interrogare S.E. il Capo del Governo Ministro degli Affari Esteri, per conoscere quali provvedimenti il Governo abbia preso in conseguenza dell’espulsione di ventuno sudditi italiani residenti in Malta, che occupavano posizioni preminenti nelle istituzioni culturali, commerciali e professionali dell’Isola e godevano della pubblica estimazione”.
Insieme a questo testo è conservata nello stesso fascicolo la risposta che il governo si proponeva di dare. L’origine del problema era attribuita all’ “atteggiamento di sospetto e di intimidazione” assunto fin dall’autunno del 1935 dalle autorità britanniche nei confronti degli italiani residenti a Malta, che costituiva un aspetto della tensione nel Mediterraneo, causata dal rinforzo della flotta britannica. Pertanto le condizioni degli italiani a Malta dovevano essere inquadrate “nel complesso dei rapporti italo britannici in relazione al conflitto italo-etiopico”. Il governo italiano aveva richiamato l’attenzione di quello britannico “sul trattamento ingiustificabile usato ai connazionali di Malta”, denunziandone l’arbitrarietà. Si erano avute vaghe assicurazioni, ma le persecuzioni antitaliane erano continuate ed il governo italiano aveva comunicato a Londra di declinare ogni responsabilità per “eventuali deprecabili incidenti” e aveva annunciato “misure di ritorsione…nei riguardi dei sudditi britannici residenti nel Regno e nelle…colonie”.
Sempre nello stesso fascicolo si ritrova un comunicato per l’agenzia di stampa Stefani del Presidente della Camera, in data 8 marzo 1936, che annunciava l’interrogazione Orano, di cui non c’è alcuna traccia negli Atti Parlamentari.25
Può far luce su questa mancata presentazione un successivo caso analogo, riguardante lo stesso Orano, di cui resta la documentazione presso l’Archivio storico della Camera dei Deputati.
Il parlamentare aveva proposto un’interrogazione relativa al mandato britannico in Palestina, l’8 ottobre 1937, redatta in questi termini: “Mi pregio interpellare il Ministro degli Affari Esteri sul pensiero del Governo a riguardo della politica svolta in Palestina dalla potenza mandataria che, trasformando illegalmente il mandato ricevuto il 24 luglio 1922 in vero e proprio dominio, sta suscitando vasti minacciosi perturbamenti nel mondo Arabo a danno evidente degli interessi europei in genere e dell’Italia in particolare”.
Prudentemente, Costanzo Ciano, Presidente della Camera, senza por troppo tempo in mezzo, il 9 ottobre chiedeva al figlio Galeazzo, ministro degli Affari Esteri, il parere del governo su questa iniziativa di Orano. Con pari velocità il ministro, consultato addirittura Mussolini, inviava la risposta il giorno 11 ottobre: “…si ha il pregio di comunicare per i provvedimenti del caso, che il Duce non ritiene opportuno che l’interpellanza che l’on. Paolo Orano si riprometterebbe di fare, alla ripresa dei lavori Parlamentari, sulla politica inglese in Palestina, non abbia seguito”. 26
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Il Presidente della Camera provvedette subito ad informare Orano e la cosa morì lì.
L’episodio, oltre ad attestare, seppure ce n’era bisogno, quale fosse l’autonomia del potere legislativo in quell’epoca, può autorizzare l’affermazione che anche l’interrogazione progettata da Orano nel 1936 sulle espulsioni da Malta, come quella nel 1932 dal sen. Fedele sulle restrizioni apposte all’insegnamento dell’italiano, non furono presentate a causa di superiori direttive. Per la stessa ragione possiamo ipotizzare che non furono svolte quelle presentate dal sen. De Vecchi nel 1934, dall’on. Dudan nel 1933 e dall’on. Del Croix nel 1934.
Questo silenzio imposto ai volenterosi parlamentari sembra potersi attribuire al fatto che su Malta, al di là delle vociferazioni, il governo fascista non voleva ingaggiare un confronto troppo serrato con quello britannico, riservando il suo maggiore impegno ad altri problemi ritenuti prioritari, come il riconoscimento dell’impero italiano di Etiopia.
Comunque, da parte italiana le ritorsioni antibritanniche, minacciate nella risposta preparata alla mancata interrogazione Orano, in effetti ci furono, anche se piuttosto blande.
Due cittadini britannici, appartenenti alla comunità maltese di Tripoli, tali Ghislando e Psaila, furono condannati a 3 anni e 6 mesi di carcere per discorsi antitaliani.
Intervenne l’ambasciatore britannico Drummond presso il sottosegretario agli Esteri Suvich, di cui si conserva un appunto in data 16 aprile 1936, relativo a tale incontro. L’ambasciatore fece presente che il principale teste contro Ghislando era stato un meccanico che aveva litigato con l’imputato a causa di un pagamento inferiore al previsto: era quindi dubbio il valore di questa testimonianza. Psaila aveva forse qualche responsabilità, ma la sua condanna non sembrava basata su fatti concreti, poiché lo si era accusato, fra l’altro, di essere un seguace di Strickland.
I due non avevano fatto ricorso in appello e, per consiglio dello stesso ambasciatore, intendevano presentare domanda di grazia. Drummond chiedeva quindi di commutare la condanna di Ghislando in un decreto di espulsione e di ridurre la pena inflitta a Psaila, anche per evitare di inasprire i rapporti tra i due Paesi.27
Suvich diede ascolto a tali richieste e difatti il 29 maggio 1936 scriveva al Ministero delle colonie che, anche se esisteva un fondamento giuridico per la condanna dei due maltesi, date “le insistenti e pressanti premure di questo Ambasciatore d’Inghilterra per un provvedimento di grazia”; considerate “le ragioni di carattere politico generale fatte presenti dallo stesso ambasciatore”, cui facevano riscontro le segnalazioni dell’ambasciatore italiano a Londra sull’eco destata dalla condanna; esprimeva “con l’approvazione di S.E. il Capo del Governo” parere favorevole alla grazia, commutando per entrambi i maltesi la pena detentiva nell’espulsione”.28
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Non ci furono invece concessioni per gli espulsi italiani da Malta: l’ex vice-console Luigi Mazzone, costretto a lasciare l’isola assieme ai figli il 30 settembre 1935 con l’accusa di attività spionistica, aveva conservato nell’isola numerose attività, gestite attraverso un procuratore, l’avvocato Filippo De Bono. Morto il procuratore, Mazzone aveva una più urgente necessità di rientrare a Malta, per curare direttamente i suoi interessi. Il MAE nel gennaio 1939 chiedeva quindi all’Ambasciata a Londra di adoperarsi per ottenere, se non la revoca del decreto di espulsione, almeno un permesso di soggiorno temporaneo di 3 mesi per un figlio di Mazzone.29
Alcuni passi in tal senso erano già stati fatti nel dicembre 1938 ed altri seguirono nei primi mesi del 1939 da parte del MAE, dell’Ambasciata a Londra, del consolato a Malta, del Ministero delle comunicazioni (fra le sue varie attività Mazzone gestiva l’agenzia maltese della società di navigazione “Adria”).
Non ci fu alcun risultato: il Foreign Office informava il 15 marzo 1939 Grandi che le richieste italiane erano state “esaminate con simpatia dalle Autorità competenti, ma che, considerate “tutte le circostanze del caso” non era “possibile né di revocare gli ordini di espulsione contro alcuno degli Italiani interessati, né di permettere al Signor Luigi Mazzone di tornare temporaneamente a Malta”.30
La schiarita nei rapporti anglo-italiani, legata agli importanti accordi di portata generale stipulati negli anni 1937-39, non bastò a piegare l’inflessibilità britannica.
ACS – PCM: Archivio Centrale Stato – Presidenza Consiglio dei Ministri
ASDE: Archivio Storico Diplomatico Esteri
D.D.I. : Documenti Diplomatici Italiani
L’on. Francesco Giunta, citato da Guariglia nel suo appunto, era un fascista della prima ora. Volontario nella prima guerra mondiale, fu tra i promotori a Milano nel marzo 1919, dell’Associazione nazionale Combattenti, divenendone il delegato per la Toscana. Nel giugno 1919 ospitò presso la sede dell’Associazione a Firenze il primo congresso fascista, legandosi a Mussolini. Divenne poi segretario del Fascio per la Venezia Giulia e fiduciario di D’Annunzio per l’impresa di Fiume. Il 12 luglio 1920, appresa la notizia che a Spalato erano stati uccisi gli ufficiali della marina militare italiana Gulli e Rossi, incendiò l’hotel Balkan di Trieste, sede di organizzazioni slovene. Nel maggio 1921 fu capolista per la Camera a Trieste e fu eletto deputato. Il 28 ottobre 1922, in contemporanea con la marcia su Roma, si impadronì di Trieste alla testa di 3000 squadristi. Tappe successive della sua carriera politica furono la nomina a segretario del Gran Consiglio del Fascismo (gennaio 1923) e poi del P.N.F. (ottobre 1923). Rieletto deputato per la 27°, 28° e 29° legislatura, fu vice presidente della Camera (27° legislatura), divenendo in seguito sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (dal 21 dicembre 1927 al 20 luglio 1932). Ricopriva appunto quest’ultima importante carica, quando, diretto a Tripoli, fece scalo a Malta il 23 marzo 1932. Invitato presso la locale sede del Fascio, pronunciò un discorso che fece rumore, di cui l’ambasciatore Bordonaro dava notizia al MAE con telespresso 1353/540 del 29 marzo (ASDE – Affari politici 1931-45. Gran Bretagna. Busta 4, fascicolo 4 “Malta – Polemica Giunta (1932)”. L’ambasciatore riportava allarmato i resoconti apparsi sul “Times” del 26 marzo, sul “Malta Chronicle” del 27, sul “Manchester Guardian” del 29. Secondo il “Malta Chronicle” Giunta avrebbe rimproverato il console ed il segretario del Fascio perché non erano in camicia nera, definendoli “pecore”. Avrebbe fatto veder lui agli inglesi cos’era il Fascismo: Malta era posta sulla via maestra dell’impero italiano, era terra italiana. Il “Times” riportava poi che Giunta avrebbe detto che l’Inghilterra aveva tirato troppo la corda, che presto sarebbe tornato a Malta in altra veste, ricordando che da bambino rompeva a sassate i vetri degli uffici austriaci. Un vecchio lo aveva perciò ammonito, dicendo che la potenza austriaca era maggiore dell’italiana: eppure, nel giro di pochi anni l’impero austriaco era crollato e lui era stato eletto deputato a Trieste.
Come da copione, seguirono le smentite da Roma e da Tripoli, dove Giunta si era poi recato. Smentite che Eden, sottosegretario al Foreign Office, prendeva per buone, rispondendo alle interrogazioni presentate dai laburisti Mac Donald e Wedgwood ai Comuni (“Times”del 12 aprile 1932 “Italian Minister’s speech in Malta”). Ma Guariglia, a giudicare dall’appunto per Grandi del 2 aprile, non le riteneva veritiere.
Va infine ricordato che, a seguito del rimpasto ministeriale del 20 luglio 1932, cioè pochi mesi dopo l’incidente di marzo a Malta, Giunta lasciò l’incarico di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
Non casualmente, forse, non ebbe altri incarichi di rilievo e concluse la sua brillante carriera politica come semplice componente del Consiglio delle Corporazioni, da rappresentante degli artigiani.
Quanto fastidio aveva potuto causare al MAE il suo exploit maltese può desumersi dalla raccomandazione rivolta dal capo Gabinetto Ghigi al console Silenzi: per non offrire un pretesto ad un nuovo rinvio delle elezioni “italiani regnicoli costì residenti si attengano massimo riserbo e rispetto loro doveri di ospiti” (ASDE – Affari politici 1931-45. Gran Bretagna. Busta 4, fascicolo 1 “Lingua italiana a Malta (1932)”. Telegramma 556/28 del capo Gabinetto Ghigi al console Silenzi – 6 maggio 1932).
Del testo esistono due diverse copie: una autografa, priva di data e non firmata, su carta per i telegrammi del MAE, con alcune correzioni formali riportate sull’altra copia dattiloscritta su carta non intestata, pur essa priva di firma ma che porta, con l’annotazione “minuta” la data 30-6-1932.
Lunga la gestazione di questa interrogazione (ne faceva menzione già il 22 marzo il capo di Gabinetto Ghigi nella lettera all’amb. Bordonaro); ma per quanto lungamente meditata, l’interrogazione non fu neanche presentata: si vollero evitare a Palazzo Madama scene analoghe a quelle verificatesi a Montecitorio in occasione dell’interrogazione Ercole?
Contemporaneamente affrontava lo stesso tema un filologo acutamente scaltrito come Giorgio Pasquali, autore del saggio “La lingua italiana a Malta”, apparso sulla rivista “Pan” il 1° dicembre 1934 (p. 594-599) e poi ristampato nel volume “Pagine meno stravaganti” (Sansoni, Firenze 1935; p. 37-49).
Pur astenendosi da ogni considerazione politica, entrambi gli autori rivendicavano la legittimità della tradizione linguistica italiana di Malta.
Lettera prot. 205 del Presidente della “Dante Alighieri”, Celesia, priva di data; riferibile all’aprile 1932, poiché il destinatario, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Francesco Giunta, passò un appunto a Mussolini con la data del 2 maggio e rispose il 9 a Celesia (minuta non classificata).
Circolare 379 del Presidente della “Dante” ai Presidenti dei Comitati – 19 maggio 1932.
Telegramma 25717 del prefetto di Padova, Mormino, al Ministero dell’Interno – Gabinetto, 29 maggio 1932.
Telegramma 25345 del prefetto di Torino, Ricci, al Ministero dell’Interno – Gabinetto, 29 maggio 1932.
Telegramma 12587 del capo-gabinetto della Presidenza del Consiglio, Beer, al prefetto di Padova, 30 maggio 1932.
Telegramma 12689 del capo-gabinetto della Presidenza del Consiglio, Beer, al prefetto di Torino, Ricci, 31 maggio 1932.
Lettera non classificata del segretario del Comitati della “Dante” di Firenze, Alberto Borgia, al Consiglio Direttivo della Società, 23 maggio 1932.
Circolare 1135-T-9 del Ministero dell’Interno – Gabinetto ai prefetti del Regno, all’alto Commissario di Napoli e p.c. alla Presidenza del Consiglio, 1° giugno 1932.
Lettera riservata, non classificata, del capo-gabinetto della Presidenza del Consiglio, Beer, al segretario generale della “Dante”, Maino, 9 giugno 1932.
Lettera riservata - urgentissima 802 del segretario generale della Camera dei Deputati, Aldo Rossi Merighi, al capo-gabinetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, prefetto Giacomo Bellazzi, 20 novembre 1937-XVI.
Lettera riservata, non classificata, del prefetto Bellazzi al segretario generale della Camera – 24 novembre 1937. Anno XVI.