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Le relazioni anglo – italiane del 1937 – 1939 ed una questione marginalizzata: Malta
Tra le tante interrogazioni parlamentari su Malta, effettivamente proposte o semplicemente progettate, soltanto quella presentata da Francesco Ercole alla Camera dei Deputati arrivò ad essere svolta, il 6 maggio 1932, dando luogo nell’aula stessa di Montecitorio a scene di “vibrante passione” per Malta. Il blocco di tutte le altre è un chiaro indizio di un interesse quanto meno tiepido, al di là delle dichiarazioni di facciata, per le vicende maltesi da parte del governo italiano.
Risalendo nel tempo, si può cogliere già all’inizio del novecento qualche testimonianza di questa tiepidezza: nel 1902 Giacomo Barzellotti aveva scritto sulla “Nuova Antologia”: “…l’interesse che noi abbiamo di star bene con l’Inghilterra è indiscutibilmente assai maggiore di quello che potremmo avere di esporci ai sospetti e alle antipatie inglesi per voler proteggere la lingua italiana a Malta, ove essa è parlata da poche centinaia di persone e nei Tribunali”. 1
E sulla stessa lunghezza d’onda si era in seguito posto Adrian Dingli, eminenza grigia dell’Ambasciata d’Italia a Londra per le questioni di Malta, che, nonostante fosse originario proprio dell’isola, aveva affermato con molta chiarezza: “Sarebbe assurdo concepire che Malta divenga soggetto di politica generale fra le due Potenze, o che l’Italia permetta che le eccellenti relazioni italo-britanniche venissero turbate per un dissenso politico riguardante Malta”. 2
Ed ancora lo stesso Dingli, nel controbattere le velate accuse di Enrico Mizzi di uno scarso impegno italiano per Malta, avanzate nel luglio 1937 dopo il deludente incontro a Londra della delegazione del governo nazionalista maltese con il ministro delle Colonie Cunliffe Lister, aveva sostenuto che l’Italia si era impegnata in ogni modo “particolarmente nelle
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questioni culturali e di razza”, ma i nazionalisti dovevano rendersi conto che non poteva oltrepassare certi limiti. 3
Negli uomini di governo italiani si poteva inoltre notare la tendenza a valutare in modo riduttivo i problemi maltesi, ricondotti a “meschine lotte di partito locale"” come si esprimeva con un certo fastidio il sottosegretario agli Esteri Fani, consigliando all’ambasciatore a Londra, Chiaromonte Bordonaro, di non compiere passi ufficiali, ma di agire “valendosi di tutta quella particolare simpatia e fiducia personali “di cui godeva negli ambienti politici di Londra, per chiarire le ragioni dell’interessamento italiano alla questione linguistica di Malta, cui “artificiosamente, e soltanto per sue ragioni di rancore personale, il signor Strickland” voleva “ridurre tutte le ben più complesse ragioni di conflitto”, che turbavano Malta”. 4
Bordonaro all’occasione agiva però con energia, senza limitarsi a sfruttare la “particolare simpatia e fiducia personali” come gli era stato consigliato da Fani. Comunicava difatti al Ministro degli Esteri, Grandi, il 4 marzo 1932, che avrebbe protestato col sottosegretario agli Esteri, Vansittart, contro il provvedimento appena annunciato, che aboliva l’italiano nelle scuole elementari e faceva presente l’utilità “che anche nei rapporti italo-inglesi a Ginevra fosse tenuto corto della situazione determinata da questo fatto nuovo”. 5
A Ginevra erano in corso i negoziati per il disarmo e, in base a questa indicazione dell’ambasciatore, si sarebbe agganciato il problema maltese ad una trattativa politica di grande importanza generale, anziché affidarlo soltanto ad amichevoli conversazioni di carattere privato.
L’incontro tra Bordonaro e Vansittart, piuttosto agitato, si svolse lo stesso 4 marzo.
Senza adoperare mezzi termini, l’ambasciatore italiano esprimeva il risentimento per le misure preannunciate dal governo britannico, che riteneva uno sbaglio “dal punto di vista
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internazionale e delle relazioni italo-britanniche”.
Vansittart, secondo Bordonaro, appariva “piuttosto imbarazzato nel replicare che lo studio dell’inglese era utile ai maltesi che volevano emigrare e che studiare contemporaneamente tre lingue era troppo gravoso per gli alunni maltesi. Le misure disposte non erano, secondo l’uomo politico inglese, dirette contro l’italiano, che restava a parità di condizioni con l’inglese nelle scuole secondarie e nell’Università, frequentate dalle classi colte. 6
La proposta di Bordonaro di legare il problema maltese a discussioni di vasta portata politica, quali erano quelle in corso sul disarmo a Ginevra, rimase lettera morta, né trovò applicazione nei colloqui che Grandi, di lì a pochi giorni, ebbe con l’ambasciatore d’Inghilterra a Roma, Graham, l’8 e il 24 marzo 1932.
Nel primo incontro Grandi rivolgeva un accorato appello, dicendo di parlare “da amico” e chiedendo perché la Gran Bretagna volesse turbare l’amicizia italo-britannica con decisioni poco consone alla sua tradizionale saggezza politica. L’ambasciatore riconosceva che forse erano eccessive le decisioni prese ed accennava vagamente alla possibilità di mitigarle. 7
Ma questo spiraglio si richiuse subito nel successivo incontro del 24 marzo: Graham dichiarava che il governo inglese non poteva per il momento tornare sui suoi passi, rimandando ogni decisione a dopo le elezioni maltesi fissate per il prossimo giugno. Tutto sarebbe dipeso dall’esito elettorale: se avesse vinto Strickland, sarebbe rimasta l’esclusione dell’italiano dalle scuole elementari; nel caso invece di un successo dei nazionalisti, si sarebbe potuto riesaminare la situazione. La replica di Grandi consistè in una nuova mozione degli affetti, ricordando che Joseph Chamberlain nel 1902 aveva abolito le sue misure contro l’italiano, pur essendo a quell’epoca l’Italia alleata della Germania. 8
Ed ancora confinato nel limbo delle discussioni private ed amichevoli appare il problema di Malta in un appunto del Direttore generale degli Affari Politici del MAE, Gino Buti, per il Sottosegretario agli Esteri, Fulvio Suvich.
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Buti riteneva “assai problematiche” le speranze di una revisione dei provvedimenti contro l’italiano; pure suggeriva di confermare all’Ambasciata di Londra “le precedenti istruzioni, e cioè di svolgere tra gli inglesi ed a mezzo di inglesi un’opera utile e discreta di chiarificazione del nostro punto di vista”. 9
Preoccupato per la situazione maltese, che rischiava di compromettere i buoni rapporti anglo-italiani, si dimostrava l’ambasciatore britannico nell’incontro avuto con Suvich il 2 novembre 1932. Personalmente poteva ammettere che la questione maltese non era stata trattata “con la necessaria delicatezza”; ma l’Inghilterra non poteva restare insensibile alla minaccia di un irredentismo maltese. Al che Suvich replicava che non esisteva alcun irredentismo, ma che “la lotta per la difesa della lingua italiana a Malta, per considerazioni di razza e di cultura non potevano (sic) lasciare indifferente l’opinione pubblica italiana. 10
Una volta di più non si andava oltre le consuete schermaglie diplomatiche, senza arrivare a concrete trattative, per le quali sembrerebbe esserci stato qualche spazio. Il console d’Italia a Malta, Silenzi, telegrafava infatti al MAE il 15 novembre 1932 che correvano voci circa un intervento del Segretario del Foreign Office, Simon, presso il Ministro delle Colonie perché non fossero adottate le misure previste contro l’italiano nelle scuole elementari, poiché desiderava l’appoggio italiano in altri campi. 11
Inserire la questione maltese nel più ampio contesto dei rapporti generali anglo-italiani avrebbe in effetti potuto offrire margini di manovra più ampi, con la possibilità di compensazioni per l’Inghilterra da parte italiana, in cambio di una diversa politica linguistica a Malta.
E le occasioni non sarebbero mancate, dato che tra Italia ed Inghilterra si svolsero trattative al più alto livello, che sfociarono nel Patto mediterraneo (detto pure “Gentlemen’s Agreement”) del 2 gennaio 1937 e nei successivi accordi del 16 aprile 1938 (noti anche come “gli accordi
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di Pasqua”), confermati poi nell’incontro tra Mussolini e Neville Chamberlain, svoltosi a Roma nel gennaio 1939.
Mancò invece una politica di ampio respiro, che non si riducesse ad occasionali quanto sterili proteste, alla commossa rievocazione della tradizionale amicizia anglo-italiana o, come avvenne in occasione del colloquio svoltosi il 3 novembre 1933 tra il sottosegretario Suvich e l’ambasciatore britannico a Roma, sir Eric Drummond, ad una contrattazione spicciola, da mercatino rionale, sul numero massimo di alunni britannici all’istituto italiano “Umberto I” 12, che il governo di Londra consentiva a lasciare immutato rispetto a quello dell’ano 1932. La questione era complicata dal fatto che in base allo “ius loci”, prevalente a Malta sullo “ius sanguinis”, erano considerati cittadini britannici anche i ragazzi nati a Malta da genitori italiani, cosa che limitava molto le possibilità di iscrizione alla scuola italiana.
Le continue frizioni che si verificavano a causa dei problemi maltesi con il governo britannico erano considerate quasi con fastidio dalla diplomazia italiana. Il Direttore generale degli Affari Politici, Buti, in un appunto per Suvich, stilato il 3 gennaio 1934, si lasciava andare a queste considerazioni: “La situazione oggi esistente a Malta non solo contrasta con tutto l’assieme dei rapporti italo-britannici, ma rappresenta di per sé un episodio in ogni caso spiacevole; ed esiste ogni motivo perché tale situazione migliori secondo ragione e secondo le nostre legittime richieste”. Non si andava al di là di una dichiarazione di intenti; e l’azione da svolgere, secondo Buti, era tutta ripiegata sulla difensiva: in vista di un prossimo incontro a Londra di Suvich col ministro degli Esteri britannico, Simon, Buti si limitava a suggerire che da parte italiana si desse assicurazione dell’inesistenza a Malta di una rete spionistica italiana, sostenuta da elementi locali irredentisti, come sospettava l’Ammiragliato britannico. 13
In un successivo appunto, anonimo e privo di data, opera forse dello stesso Suvich, reduce dai colloqui con Simon a Londra, erano annotati i timori britannici, emersi dagli incontri romani
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e londinesi, per la possibilità che le scuole e le organizzazioni giovanili italiane potessero favorire l’irredentismo maltese e che la scuola italiana di Casal Paola, sita vicino all’Arsenale, fosse in realtà una base di spie. L’autore dell’appunto si dedicava poi a minuziosi calcoli di percentuali e di statistiche sul numero degli alunni delle scuole italiane, proponendosi l’obiettivo di ottenere che gli iscritti all’ “Umberto I” potessero arrivare a 295 alunni, più 55 della scuola materna, con un totale quindi di 350.
Per favorire la formazione di un migliore clima di fiducia e di comprensione, ancora una volta si suggeriva che si lavorasse a Londra tra gli inglesi ed a mezzo di inglesi e che la questione linguistica fosse sottratta alle controversie locali maltesi, trasferendola nel quadro dei rapporti generali tra Italia e Gran Bretagna. 14 Obiettivo che rimase sempre allo stato di semplice proposta.
L’inserimento di Malta in una visione globale dei rapporti fra i due Paesi sembrava esser fatta propria dalla Gran Bretagna, ma in negativo: scriveva difatti al MAE il console Silenzi in data 15 giugno 1934 che, in base ad informazioni avute da uno stretto collaboratore del Governatore, le misure contro l’italiano a Malta rientravano in un piano più vasto, ideato per controbattere la propaganda fascista, ritenuta pericolosa per l’egemonia nel Mediterraneo: i provvedimenti maltesi erano il preludio di un’azione generale nei territori britannici del Mediterraneo, specialmente in Egitto. 15
Ed in effetti, nonostante le assicurazioni che un rappresentante del Foreign Office, Sargent, dava a Grandi il 20 luglio 1934 circa i buoni propositi britannici, il clima dei rapporti anglo-italiani volgeva decisamente al peggio, con l’avvicinarsi del conflitto etiopico, che rappresentò il momento più critico nelle relazioni tra i due Paesi, prima del secondo conflitto mondiale.
Il 1935 fu difatti, l’anno delle espulsioni, delle limitazioni e dei divieti per le attività culturali e scolastiche italiane a Malta; l’anno dei sospetti e dei veleni: in tali condizioni
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era certo impensabile poter avviare trattative. Di ciò si mostrava pienamente convinto Ciano, che in un memoriale inviato a Grandi il 16 ottobre 1936 faceva il punto sulla situazione maltese, ne ricordava i precedenti storici e legislativi, proponeva come linea politica da seguire il richiamo alle assicurazioni date allo stesso Grandi da Sargent nel luglio 1934, alla conclusione della Commissione reale d’Inchiesta del 1932, oltre a suggerire l’opportunità di chiedere al Vaticano di conservare l’uso dell’italiano a Malta come lingua sussidiaria del latino per l’insegnamento teologico.
Ma la conclusione cui perveniva il ministro degli Esteri era pessimista: “…risulta però chiaramente che i recenti provvedimenti presi contro la lingua italiana non sono che un aspetto di un atteggiamento politico generale e pertanto si può, con ogni probabilità, escludere che un intervento qualsiasi del governo italiano possa ottenere un temperamento delle misure prese”. 16
Conclusione su cui Grandi concordava pienamente: “Gli inglesi a guisa della vecchia Austria asburgica, hanno fatto di tutto per alimentare e ravvivare nel popolo fascista la questione di Malta italiana e irredentista. Ormai il problema è posto in termini di conflitto fra noi e l’Inghilterra”. 17
Eppure non erano mancati nel corso del 1936 segnali di attenzione e di considerazione per la politica italiana da parte britannica, ancor prima che, con una brusca sterzata, verso la fine dell’anno si avviassero le trattative che rapidamente portarono Italia e Gran Bretagna all’accordo mediterraneo firmato a Roma il 2 gennaio 1937.
Nonostante il conflitto etiopico fosse ancora in corso e permanesse quindi il maggiore focolaio di contrasto, Eden, ministro degli Esteri e tra i politici conservatori certo il più ostile al regime fascista, telegrafava il 15 febbraio del 1936 all’ambasciatore britannico a Roma per manifestargli il suo apprezzamento per la condotta della delegazione italiana, ed in particolare
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dell’ammiraglio Raineri Biscia, in seno alla Conferenza di Londra per gli accordi sugli armamenti navali: “Italian Delegation, while giving general support to their French colleagues, appear to take a more reasonable and realistic view of the situation than the latter and desire to promote a friendly settlement. Admiral Raineri Biscia left for Rome today on his own initiative to explain the position personally to Italian Government. You should in any case, take an opportunity of saying that the helpful attitude and constructive cooperation of Italian delegation has been appreciated on all sides here and it is our hope that Admiral will soon return to London where his presence is urgently required”. 18
E Raineri Biscia, di cui Eden aveva tessuto tanti elogi e di cui auspicava un sollecito ritorno, rientrò presto a Londra, ma con tutt’altro atteggiamento: “admiral Raineri Biscia has returned from Rome with instructions to pick as many holes as possible in the technical agreement which we now propose to conclude”. 19
Era questo lo sconsolato commento del negoziatore britannico, il segretario di Stato Craigie.
Eden non mancò di chiedere spiegazioni a Grandi, che illustrò le ragioni tecniche dell’opposizione italiana all’accordo. Ma in sede privata confidò a Eden il vero motivo politico: l’ostilità dell’opinione pubblica italiana a causa delle sanzioni economiche, adottate a seguito della guerra d’Etiopia impediva a Mussolini di firmare l’accordo: “A Dictator was also dependent upon his public opinion, indeed he had an election every day”.
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All’obiezione di Eden che le sanzioni erano già in atto quando l’Italia aveva deciso di partecipare alla Conferenza, Grandi replicò che non si pensava che la guerra d’Abissinia durasse tanto a lungo e la Conferenza tanto poco: si era sperato di poter firmare l’accordo a guerra conclusa, in una situazione più distesa. 20
Il repentino cambiamento, senza una apparente giustificazione, della posizione italiana, era così descritto dall’ambasciatore Drummond in una sua nota del 20 marzo 1936 “On February 18th Mussolini certainly agreed by implication with our thesis about the size of capital ships. About the 21st he shifted round completely. It was no question of a fortnight, but or two or three days”. 21
Ma i tempi in cui Mussolini aveva deciso di cambiare la posizione italiana erano ancora più ristretti di quel che pensava l’ambasciatore Drummond. Difatti già il 19 febbraio il Duce telegrafava a Grandi: “Fin dall’apertura della Conferenza navale, riferendosi alla speciale situazione politica in cui fin da allora le deliberazioni di Ginevra avevano messo l’Italia, V.E. ha chiaramente indicato che, pur dando volentieri (come ha effettivamente dato) la sua più volenterosa collaborazione alla Conferenza, le Delegazione italiana doveva partecipare con riserva ai relativi lavori”. E perdurando le sanzioni, concludeva Mussolini, questa riserva non poteva essere superata. 22
Drummond spiegava questa nuova posizione italiana come un tentativo di far revocare le sanzioni, opponendosi all’accordo navale: interpretazione che corrispondeva a quanto Mussolini aveva telegrafato a Grandi.
Successivamente, a questa ragione di fondo sembrava aggiungersene un’altra occasionale.
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Irritato da alcuni accenni fatti dal premier britannico Baldwin alle “amicizie tripartite” (Francia, Germania, Gran Bretagna), che escludevano l’Italia “come quantità trascurabile o Potenza di second’ordine”, Mussolini telegrafava ancora a Grandi, l’11 marzo 1936, dandogli istruzioni per far pubblicare sul “Daily Mail” un articolo che esaltasse la potenza militare dell’Italia, che aveva “la flotta aerea più moderna e potente d’Europa” e poteva “mobilitare da sette a otto milioni di uomini”. 23
Era questo un motivo ricorrente nel repertorio mussoliniano, che ritornerà in occasione della seconda guerra mondiale con il discorso sugli otto milioni di baionette.
Sotto l’apparente ragionevolezza elogiata da Eden, affiorarono già tendenze bellicose a mostrare i muscoli per farsi prendere sul serio: giovava a tal fine anche l’intransigenza dimostrata in seno alla Conferenza navale. L’utilità per l’Italia delle difficoltà britanniche era attestata da un precedente telegramma inviato da Grandi a Mussolini il 18 gennaio 1936, a conferenza navale già iniziata.
Scriveva l’ambasciatore: “che il Giappone mantenga la sua libertà nel Pacifico, è per noi un vantaggio, non un danno.
L’Inghilterra intenderà meglio la necessità di addivenire ad un accordo con l’Italia e nel Mediterraneo, quando essa dovrà più direttamente fronteggiare in Asia la politica del Giappone. Lo spostamento poi di una parte delle forze navali britanniche nel Pacifico non potrà che aumentare il valore del fattore italiano”. 24
A parte queste considerazioni di Grandi, ispirate da una “Real Politik”, un altro elemento favorevole ad un accordo poteva esser costituito da un’opinione pubblica britannica che, malgrado la guerra d’Etiopia, le sanzioni e tutte le conseguenti polemiche, non sembrava esser pregiudizionalmente ostile all’Italia.
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Lo comunicava l’ambasciatore d’Italia a Washington, Rosso, che riferiva un suo colloquio con uno dei rappresentanti degli USA alla conferenza di Londra, il sottosegretario di Stato, Phillips, che aveva constatato “con sorpresa totale assenza nel pubblico inglese di qualsiasi sentimento di animosità ed anche di semplice malumore verso nazione italiana”. 25
Diagnosi politica confermata, seppur con qualche variante, da Grandi nei suoi ricordi autobiografici: “…nonostante il malumore generico della pubblica opinione britannica di fronte alla prospettiva di complicazioni politiche e militari in Africa orientale, le correnti e gli esponenti più gelosi degli interessi imperiali britannici non manifestavano alcuna contrarietà alla prospettiva di una soluzione del problema etiopico in favore dell’Italia.
Al contrario, essi pensavano che la soddisfazione alle giuste aspirazioni dell’Italia in Africa Orientale, anziché metterli in pericolo, si armonizzava con gli interessi imperiali britannici nel Mar Rosso e in Africa”. 26
Prima della firma dell’accordo navale, avvenuta il 25 marzo 1936, non mancarono ripetuti tentativi per ottenere l’adesione italiana. Il primo tentativo, in ordine di tempo, fu quello di Norman Davis, capo della delegazione USA, che cercò di ottenere quanto meno un’adesione “tecnica”, ma Grandi si oppose, affermando che non era possibile distinguere l’aspetto tecnico da quello politico. 27
Più insistenti e politicamente interessanti i tentativi inglesi. Riferendosi all’incontro avuto il 27 febbraio con il capo del Foreign Office, Grandi telegrafava il 28 a Mussolini: “Eden mi ha espresso vivo rincrescimento Governo britannico nel vedere Conferenza navale privata della preziosa collaborazione dell’Italia. Eden ha aggiunto che egli desidera ripetermi ancora una volta, in questa occasione, il suo sincero desiderio di un miglioramento rapporti italo-inglesi e
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mi ha espresso pure sua speranza che, quanto prima, si possa trattare un chiarimento generale della situazione”. 28
Senza farsi scoraggiare dal rifiuto italiano, i britannici tornarono alla carica il giorno successivo, 28 febbraio, con sir Robert Leslie Craigie, sottosegretario agli Esteri, per chiedere a Grandi che l’Italia modificasse almeno parte il suo atteggiamento, aderendo alle tesi anglo-americane relativo al tonnellaggio delle navi da battaglia.
Nuovo rifiuto di Grandi, così motivato: “ L’Italia non aderisce a una proposta qualsiasi sino a quando perdurerà attuale situazione e sino a quando continuerà ad essere colpita dalla iniqua politica delle sanzioni, o almeno sino a quando Inghilterra e Francia continueranno a far parte del fronte sanzionista di Ginevra”. 29
Era poi la volta della Francia, il cui ambasciatore, Corbin, confidava a Grandi che era stata prevista un’obiezione politica dell’Italia, ma non quella tecnica, relativa al massimo tonnellaggio previsto per le corazzate, che aveva causato non lieve imbarazzo nel governo francese come in quello britannico. Anche Corbin cercava quindi di ottenere un consenso tecnico, rinviando quello formale “a quando la situazione politica sarà chiarita”.
Ancora un no di Grandi: “…sino a che perdurerà la situazione anormale determinata dall’attitudine sanzionistica, adottata a Ginevra dalla Francia e dall’Inghilterra, l’Italia si riserva intatto proprio diritto libertà di costruzione navale”.
E con gli stessi argomenti era respinto un nuovo tentativo di Craigie. 30
La lunga serie di telegrammi di Grandi a Mussolini sulla conferenza navale si concluse con quello inviato il 26 marzo per annunciare la firma conclusiva del trattato navale.
Grandi comunicava di aver chiarito le ragioni della mancata adesione italiana e trasmetteva, tramite l’agenzia “Stefani”, le sue dichiarazioni. Rivolgendosi a Mussolini con un “Tu” poco protocollare che contrastava con il titolo “Vostra Eccellenza” con cui il duce era solito rivolgersi a lui; scriveva poi: “Come vedrai esse sono nette e dure.
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Di stile prettamente fascista nella sostanza e nella forma. Ritengo che esse non avrebbero potuto essere più nette, più dure, più fasciste di così. Confido che esse incontreranno Tua approvazione. E’ questa la sola cosa che mi interessa”. 31
Grandi non difettava di intelligenza politica e di finezza diplomatica ed in più occasioni durante la sua missione di ambasciatore a Londra aveva pure dimostrato indipendenza di giudizio e capacità di iniziativa personale, discostandosi dalle direttive di Mussolini. Lo dimostrò nel confermare l’impegno italiano a rispettare i patti di Locarno che prevedevano l’intervento delle potenze firmatarie contro la Germania nel caso del mancato rispetto del divieto di concentrare truppe o di eseguire fortificazioni nella zona smilitarizzata lungo il Reno: infrazione che si era appunto commessa nel 1936.
Per farsi perdonare questi gesti di indipendenza, Grandi li faceva seguire da “lettere di copertura” come lo stesso Grandi le definisce nelle sue memorie, “ispirate ad un piatto ed ottuso conformismo” 32, di cui il suo telegramma a Mussolini del 26 marzo costituisce un eloquente esempio: lettere che esasperavano Ciano, ma che Mussolini accoglieva con divertimento.
Sulla prima conferenza sul disarmo navale, svoltasi pur essa a Londra nel 1930, e sulla politica seguita da Mussolini in quella occasione come in altre, Grandi nei suoi ricordi si è espresso in modo ben diverso da quello del telegramma citato. Ricorda che, seguendo le istruzioni del Duce, i delegati italiani avevano sempre frenato le iniziative della conferenza. E’ vero – aggiunge Grandi – che Mussolini “in alcuni dei suoi discorsi in Senato, e in documenti diplomatici, si era lasciato andare all’enunciazione di principi favorevoli al disarmo, ma tali enunciazioni erano contraddette da una serie di esplosioni oratorie, belliciste e antidisarmiste, che le privavano di qualsiasi efficacia e a null’altro pervenivano se non a provocare diffidenza sulle vere intenzioni: i famosi “otto milioni di baionette”, vanteria tribunizia, hanno fatto più male all’Italia che una battaglia perduta”. 33
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E sugli effetti negativi dei bellicosi discorsi di Mussolini, Grandi ritorna parlando dei rapporti con la Francia che predicava il disarmo, ma al contempo si armava: “Al contrario, l’Italia predicava armamenti e restava disarmata, eccitando la sinistra contro di sé…La bellicosa eloquenza mussoliniana, in definitiva, non raggiungeva se non due scopi negativi contemporaneamente, quello di indebolire le correnti che in Francia erano sinceramente rivolte ad una politica di accordi con l’Italia, mentre rinsaldava altre forze, che questa politica ostacolavano. Nello stesso tempo, allontanava da sé la simpatia delle grandi nazioni anglosassoni. Posizione dialetticamente assurda e politicamente errata”. 34
Contraddizioni, ambiguità, errori della politica estera voluta da Mussolini: ancor prima di questa lucida e spietata, seppur tardiva, denuncia di Grandi, c’era stato chi già nel 1936 aveva ben chiari tutti questi elementi di debolezza, anche se non era uscito allo scoperto.
Il sottosegretario agli Esteri, Fulvio Suvich, ci ha lasciato, con la data 18 marzo 1936, un suo appunto per Mussolini, al quale però non sembra che sia stato fatto pervenire: manca il visto del Duce sull’originale e su di una copia c’è scritto “sospeso”.
Scriveva Suvich: “La politica italiana nell’ultima fase è dominata da elementi che stanno in aperta contraddizione tra loro: da una parte le assicurazioni date al Governo tedesco di non partecipare a misure contro lo stesso; dall’altra parte, la collaborazione data alle Potenze di Locarno, che prevede invece delle gravi misure anche a carattere militare contro la Germania…Vi è un’altra contraddizione non meno stridente fra il nostro atteggiamento nella Conferenza navale, ove neghiamo la nostra collaborazione per il fatto che siamo sanzionati e che la “Home Fleet” si trova nel Mediterraneo ed il nostro atteggiamento nella questione di Locarno, dove diamo invece in pieno la nostra collaborazione e la nostra solidarietà…
Questa indeterminatezza della nostra posizione per ora scontenta le due parti in conflitto: i tedeschi hanno l’impressione che le nostre promesse non siano state mantenute non essendo stata neutralizzata l’azione del nostro rappresentante a Londra; i francesi si mostrano irritati
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perché noi, avendo discusso con loro, in uno spirito di tutta cordialità, le modalità dell’applicazione di Locarno, non diamo l’approvazione all’attuazione di quel provvedimento che porta anche la nostra firma.
In complesso tanto gli uni quanto gli altri hanno l’impressione di essere stati presi in giro”. 35
Il rappresentante a Londra da neutralizzare, di cui Suvich fa cenno, era Grandi, che nella riunione delle potenze firmatarie del patto di Locarno, svoltasi a Londra il 17 marzo 1936 (non si era ancora conclusa la conferenza navale) aveva dichiarato: “L’Italia…è garante del trattato di Locarno e della pace tra Germania e Italia. L’attrezzamento e l’efficienza militare dell’Italia permettono all’Italia fascista di fare fronte a qualunque situazione. L’Italia è fedele ai suoi obblighi ed ai suoi impegni”. Per onorare tali impegni Grandi però prendeva tempo: “che si ristabilisca la normalità della situazione, che si abolissero le sanzioni e poi si parlerà”. 36
L’intrinseca debolezza di una politica estera contraddittoria, mal mascherata dalle esibizioni muscolari di potenza militare, impedirono forse all’Italia di sfruttare un’occasione favorevole come quella della conferenza navale, in cui era corteggiata da più parti per ottenere la sua adesione, per la quale si sarebbero probabilmente potuto ottenere significative contropartite, se queste fossero state richieste con maggior discrezione ed accortezza, anziché cambiare platealmente indirizzo politico quando la conferenza era ormai in dirittura d’arrivo e dopo aver ricevuto da un avversario come Eden riconoscimenti, cui avrebbe potuto far seguito, oltre alla revoca delle sanzioni, che era certo l’obiettivo primario, anche una diversa politica britannica a Malta, se mai questa fosse realmente stata a cuore al governo di Roma, al di là delle dichiarazioni fatte ad uso del loggione. Ma nel corso delle trattative iniziate nel novembre 1936, che portarono all’accordo mediterraneo del 2 gennaio 1937, Malta non fu mai neanche menzionata da parte italiana, anche quando si era presentata l’occasione per farlo, anche se la discussione non si presentava agevole.
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Il governo britannico infatti nel 1936 si disponeva a rafforzare il suo dispositivo militare nel Mediterraneo, che proprio in Malta aveva uno dei suoi capisaldi.
La fine delle sanzioni era stata decisa dall’assemblea della Lega delle Nazioni il 4 luglio 1936, segnando così un notevole calo della tensione nel Mediterraneo. A tale decisione aveva dato un importante contributo proprio la Gran Bretagna con l’intervento di alcuni dei suoi più rappresentativi uomini politici.
Winston Churchill si era dichiarato favorevole a porre fine alle sanzioni contro l’Italia e Neville Chamberlain, cancelliere dello scacchiere del governo Baldwin e di lì a poco tempo primo ministro di un nuovo governo conservatore, in un discorso pronunciato il 10 giugno 1936 al “1900 Club” sulla situazione abissina si era così espresso: “If we were to pursue the policy of sanctions against Italy, it could only lead to further misfortunes, which would divert our minds from seeking other and better solutions”. 37
Ed il fratello AustenChamberlain, ex ministro degli Esteri che aveva sempre seguito una politica filo-italiana, il 26 giugno si era addirittura dimesso dal consiglio esecutivo della Lega in segno di dissenso contro il perdurare delle sanzioni inflitte all’Italia.
Tuttavia, malgrado queste prese di posizione tanto significative, sul finire dell’estate del 1936, dal 26 agosto al 22 settembre, sir Samuel Hoare, primo lord dell’Ammiragliato, compì un giro di ispezione alle basi britanniche del Mediterraneo, fermandosi a Malta e Gibilterra. Appena rientrato a Londra, si affrettò a dichiarare il proposito di rafforzare le basi nel Mediterraneo. Il gesto destò scalpore in Italia ed i giornali ne diedero ripetutamente notizia con titoli cubitali, come l’incaricato di affari britannico a Roma, Ingram, segnalava allarmato al Foreign Office il 23 settembre 1936. Oltre che dolersi di questo riarmo deciso da Hoare, che appariva chiaramente rivolto contro l’Italia, i giornali italiani lamentavano pure un altro fatto altamente simbolico, che appariva come una dichiarazione di inimicizia ed uno sgarbo fatto all’Italia: nella crociera nell’Adriatico e nel Mediterraneo Orientale compiuta durante l’estate dello stesso anno 1936 dal re Eduardo VIII, non fu toccato nessun porto italiano. Ingram sollecitò
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un incontro con Ciano per smentire che i due avvenimenti fossero da interpretare come gesti ostili verso l’Italia. Il ministro italiano lo ascoltò senza replicare, manifestando il suo scetticismo sulle dichiarazioni di Ingram in un appunto sul colloquio, in cui ricordava che il deputato e giornalista francese Henry De Vallis, reduce da un soggiorno a Londra e da lui ricevuto subito dopo Ingram, gli aveva dichiarato che il popolo inglese nutriva verso l’Italia “un odio irriducibile”. 38
Dichiarazione che in verità non appare molto attendibile: non solo perché contrasta con quanto il sottosegretario statunitense Phillips aveva dichiarato qualche mese prima all’ambasciatore italiano a Washington, Rosso, circa l’inesistenza di rancori antitaliani nell’opinione pubblica britannica, come attestato anche da Grandi nei suoi ricordi autobiografici; 39 ma anche perché era certo un interesse francese scavare un solco nei rapporti tra Italia e Inghilterra, rafforzando così l’intesa franco-britannica.
Esisteva quindi una situazione politica in movimento: il punto di svolta nei rapporti italo-britannici fu rappresentato dal discorso che Mussolini tenne il 1° novembre 1936 alle Camice Nere di Milano.
Il Duce annunciava con fierezza gli accordi raggiunti per la costituzione dell’asse Roma-Berlino ed al contempo, quasi per bilanciare l’effetto di un simile annuncio, si soffermava a lungo sui rapporti con l’Inghilterra, particolarmente per quel che riguardava il Mediterraneo, facendo dichiarazioni distensive riguardo al fatto che gli interessi delle due potenze in questo delicato settore non erano contrastanti, ma complementari. Aggiungeva però che se il Mediterraneo rappresentava per l’Inghilterra una scorciatoia per raggiungere i suoi più lontani possedimenti, per l’Italia era invece la vita.
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Il discorso di Milano ebbe subito vasta risonanza in Gran Bretagna: già il 3 novembre alla Camera dei Pari, lord Halifax, Segretario del Sigillo privato, sosteneva che le difficoltà con l’Italia erano sorte non a causa di contrasti di interesse, ma unicamente perché l’Inghilterra era stata obbligata a rispettare i suoi impegni internazionali con altre Potenze (era evidente il riferimento alla Francia).
Il ministro britannico faceva sua l’affermazione di Mussolini circa gli interessi anglo-italiani nel Mediterraneo, fra loro complementari e non conflittuali, sottolineando la comune aspirazione alla pace.
Seguivano a breve, il 5 novembre 1936, le dichiarazioni di Eden ai Comuni. Il ministro degli Esteri replicava al discorso di Mussolini con una punta polemica per controbattere che il Mediterraneo non era per l’Inghilterra una semplice scorciatoia, ma la via maestra per raggiungere i suoi territori d’oltreoceano.
Comunque concordava nell’affermare che Italia ed Inghilterra potevano cooperare nel Mediterraneo con reciproco vantaggio.
Quasi a conferma di questo riconoscimento, il 6 novembre veniva firmato un accordo commerciale tra i due Paesi, sottolineato con favore dalla stampa italiana, che si augurava potesse presto seguire un chiarimento totale per realizzare una distensione politica. I discorsi di Halifax e di Eden erano commentati positivamente, così come il ritiro della guardia militare indiana dalla ex legazione britannica ad Addis Abeba. 40
Un ulteriore contributo alla distensione era offerto da Mussolini con l’intervista a Ward Price,
pubblicata sul “Daily Mail” del 9 novembre. Confermato che gli interessi nel Mediterraneo erano conciliabili, Mussolini assicurava di non aver mai pensato all’annessione di Majorca (era già in corso l’intervento italiano nella guerra civile spagnola) e si spingeva fino ad auspicare un “Gentlemen’s Agreement” con l’Inghilterra.
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A queste pubbliche dichiarazioni in sede parlamentare e giornalistica si univano già discreti e riservati contatti diplomatici.
Il 6 novembre Grandi telefonava a Ciano di aver incontrato il sottosegretario del Foreign Office, Vansittart, che si era detto sorpreso dell’affermazione di Grandi che il discorso di Eden ai Comuni sarebbe stato accolto con molte riserve in Italia. Per il politico britannico ciò poteva dipendere dalla scarsa fedeltà con cui la stampa italiana aveva riportato le dichiarazioni di Eden. Assicurava poi che il discorso di Mussolini a Milano aveva riscosso molto interesse in Inghilterra e che il discorso di Eden, “discusso ed approvato parola per parola” dal Gabinetto, aveva voluto “…corrispondere alle parole franche e leali del Duce” per iniziare un nuovo corso delle relazioni anglo-italiane. Chiedeva quindi se fosse il caso che l’ambasciatore Drummond incontrasse Ciano per gli opportuni chiarimenti. L’ipotesi trovava il consenso di Grandi e Vansittart assicurava che avrebbe subito inviato all’ambasciatore istruzioni in tal senso. 41
Si trattasse di una coincidenza o avesse ricevuto all’istante tali istruzioni, lo stesso 6 novembre Drummond si recava da Ciano per assicurargli che il discorso di Eden non era stato meno amichevole di quello di Halifax, insistendo sulla necessità di restaurare buoni rapporti, basati sulla “connivenza (sic) dei reciproci interessi”, e per chiedere che la stampa italiana non attaccasse ancora Eden. 42
Difatti già il 7 novembre mutò il tono dei giornali italiani. 43
Oltre che attraverso il normale canale dell’ambasciata d’Italia a Londra, i rapporti passarono anche attraverso un altro diplomatico, il marchese Alberto Theodoli, presidente della Commissione permanente dei mandati presso la Società delle Nazioni.
Theodoli vide il 10 novembre l’ambasciatore Drummond per informarlo dei contatti avuti a
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Londra con politici ed uomini d’affari. Drummond faceva presente che gli ambienti finanziari ed economici del suo paese erano particolarmente favorevoli ad un accordo con l’Italia e che ormai in Gran Bretagna era generalmente diffuso il proposito di arrivarvi secondo le indicazioni del discorso di Mussolini a Milano; chiedeva quindi a bruciapelo quale forma di accordo fosse preferibile. Theodoli non era impreparato ad affrontare l’argomento, avendo già avuto istruzioni al riguardo da Ciano, e replicava quindi prontamente che non era opportuno stipulare un vero e proprio trattato. Era preferibile piuttosto un “Gentlemen’s Agreement”, riprendendo così il termine usato da Mussolini nella sua intervista del 9 novembre al “Daily Mail”. Theodoli citava in proposito il precedente storico dell’accordo tra i ministri degli Esteri Salisbury e Di Robilant, sancito dallo scambio di lettere avvenuto il 12 febbraio 1887 fra lo stesso Salisbury e l’ambasciatore d’Italia a Londra, Luigi Corti. 44
Drummond si dichiarò d’accordo ed indicò ed indicò fra gli argomenti che si sarebbero potuti trattare nel quadro di questo accordo la diminuzione delle tariffe per il transito nel canale di Suez, che gli armatori inglesi non erano riusciti sin allora ad ottenere; lo sfruttamento delle acque del lago Tana; l’enclave etiopica di Gambeila ed i suoi confini con il Sudan; la collaborazione anglo-italiana in Abissinia.
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L’ambasciatore inglese faceva infine un accenno al malumore francese per un accordo a due tra Italia ed Inghilterra nel Mediterraneo, escludendo la Francia che pure aveva notevoli interessi in quell’area. 45
I contatti proseguirono con frequenza pressoché quotidiana attraverso le ambasciate a Londra ed a Roma. Il 14 novembre Grandi telegrafava a Ciano per riferirgli circa l’incontro avuto il 13 con Vansittart, che si era dimostrato molto ottimista sulle possibilità di arrivare ad un accordo, asserendo che erano lecite “ormai le speranze più ardite circa nuove future relazioni italo-inglesi” e manifestando pieno favore per la formula “Gentlemen’s Agreement”, del tutto corrispondente alla mentalità britannica. L’impazienza britannica di concludere le trattative era dimostrata dal fatto che nella stessa giornata del 13 Vansittart incontrava ancora Grandi per chiedergli se si potesse attribuire un valore ufficiale alle dichiarazioni rese da Mussolini al “Daily Mail” sulla inesistenza di mire italiane su Majorca e se fosse possibile, come era avvenuto in altre occasioni, notificargli il testo. Grandi, con prudenza diplomatica, gli aveva risposto che avrebbe chiesto istruzioni in merito; ma gli aveva comunque assicurato che quelle parole erano “espressione netta e categorica del pensiero del Duce”, di cui il governo inglese poteva prendere atto. 46 La girandola di telegrammi continuava con quello inviato, sempre nella giornata del 14 novembre, da Eden a Drummond per fissare un punto fermo nelle trattative: l’Italia doveva “acceptance without qualification of the territortial statu quo in the Mediterranean”. 47
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Non era precisato se lo “statu quo” dovesse riferirsi soltanto all’assetto territoriale avvero anche alle situazioni giuridiche, cioè se ne facesse parte lo statuto linguistico di Malta, nel caso l’Italia avesse avuto intenzione di metterlo in discussione.
Ma gli interessi italiani erano rivolti altrove: prima di ogni altra cosa, veniva il riconoscimento dell’impero di Etiopia.
Significativo a tal riguardo il telegramma inviato da Grandi a Ciano il 15 novembre. Aveva incontrato Eden, che, espresso l’augurio che fossero deposte le polemiche del passato e che l’Inghilterra non fosse più considerata nemica, aveva chiesto a Grandi di ringraziare Mussolini perché non aveva fatto del riconoscimento dell’impero una condizione preliminare per l’accordo. Tale riconoscimento, secondo Eden, doveva essere una conseguenza e non una condizione del miglioramento dei rapporti. Il ministro britannico richiamava ancora l’attenzione sulle pressioni francesi perché si stabilisse una comune politica franco-britannica nei confronti dell’Italia e riteneva opportuno un accordo di massima che sancisse la comune volontà di pace nel Mediterraneo. 48
Ed un accenno ai problemi africani, seppur di minor importanza, può cogliersi anche nel telegramma che il 15 novembre Drummond inviava a Eden, precisando che il principale interesse di Mussolini era il Mediterraneo, ma che, senza arrivare ad un riconoscimento formale dei diritti italiani sull’Etiopia, si potevano trattare i diritti e gli interessi sulle acque del lago Tana e sui pascoli al confine somalo. 49
Il 17 Drummond esprimeva la sua convinzione che Mussolini si sarebbe accontentato di mantenere lo “statu quo” nel Mediterraneo, senza avanzare ulteriori richieste e che non intendeva giovarsi dell’accordo con l’Inghilterra per minacciare altre potenze. 50
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Per rassicurare appunto il governo francese e quello turco Eden dava disposizione agli ambasciatori britannici a Parigi ed ad Ankara di chiarire che l’accordo anglo-italiano non avrebbe costituito una minaccia per altri Paesi. 51
Riprendendo poi i contatti con Drummond, Eden gli comunicava il 25 novembre di aver discusso con Grandi i contenuti dell’accordo, che si sarebbe dovuto limitare a riconoscere la complementarità degli interessi italiani ed inglesi nel Mediterraneo e forse prevedere l’impegno di reciproche consultazioni per fronteggiare eventuali difficoltà. 52
L’ambasciatore britannico trasmetteva a Ciano, che le accettava, queste indicazioni di Eden.
Nel darne comunicazione a Londra, Drummond faceva pure cenno della proposta di Ciano di compiere un “tour d’orizon” che comprendesse il problema etiopico. Proposta che l’ambasciatore personalmente trovava opportuna; scriveva difatti: “It would enable me to raise such questions as Montreux treaty, naval treaty of 1936 and even League questions in a perfectly friendly, and no-committal fashion. Nor do I see any objection in listening to what he has to say about Abissinia. I shall of cause be most careful not to committ myself in any way”. 53
Per contro Grandi, con ottimismo eccessivo, aveva telegrafato a Ciano il 16 novembre la sua impressione che si sarebbe arrivati presto ad un riconoscimento formale dell’impero italiano di Etiopia, quale naturale conseguenza dell’accordo, cui i conservatori erano favorevoli, senza che ci fosse opposizione da parte dei laburisti. 54
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Ma Grandi dovette presto ricredersi sulla possibilità che a questo riconoscimento si arrivasse tanto rapidamente. Il 26 novembre difatti illustrava a Ciano il tenore del colloquio avuto con Eden. Secondo le istruzioni ricevute, Grandi si era tenuto sulle generali, confermando solo la volontà italiana di arrivare ad un chiarimento definito e non frettoloso. Eden, dal canto suo, non aveva lesinato gli apprezzamenti per la formula “Gentlemen’s Agreement” proposta da Mussolini ed aveva ancora una volta ricordate le insistenze della Francia per arrivare ad un accordo a tre.
Ma quando Grandi a sua volta aveva insistito perché si arrivasse presto al riconoscimento dell’Impero d’Etiopia, asserendo che tale riconoscimento costituiva la pietra di paragone per saggiare il grado di amicizia degli altri Paesi; Eden non aveva mutato la posizione già in precedenza espressa: tale riconoscimento doveva essere una conseguenza e non un presupposto dell’accordo.
Grandi a questo punto aveva proposto di far inserire l’argomento all’ordine del giorno della prossima assemblea della Società delle Nazioni, convocata per discutere l’ammissione dell’Egitto. Dopo una pausa di riflessione Eden si era limitato a promettere di parlarne al segretario generale della Società delle Nazioni, Joseph Avenal. 55
Successivamente c’era un nuovo incontro al Foreign Office, stavolta tra Grandi ed il sottosegretario Vansittart, che informava che uno schema d’accordo sarebbe stato inviato a Drummond perché lo proponesse a Ciano. Schema, precisava Vansittart, che era basato sul discorso di Mussolini a Milano del 1° novembre e sull’intervista dallo stesso rilasciata al “Daily Mail”, oltre che sui discorsi in Parlamento di Halifax e Eden e sul discorso tenuto il 9 novembre dal premier Baldwin in occasione del banchetto offerto dal lord Mayor di Londra. 56
Il giorno dopo, 2 dicembre 1936, Grandi comunicava a Ciano di aver già ricevuto da Vansittart lo schema di accordo preannunciatogli, per il quale il Foreign Office era disponibile
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ad esaminare le modifiche e le aggiunte che la controparte italiana avrebbe potuto proporre. Disponibilità che però era subito venuta meno quando Grandi aveva ripreso l’argomento Etiopia, proponendo ancora che si arrivasse in via preliminare al riconoscimento dell’impero italiano. La discussione si fece animata: Vansittart tenne duro, ribadendo le posizioni di Eden circa la trasformazione della legazione britannica ad Addis Abeba in consolato, il che implicitamente avrebbe significato riconoscere la sovranità italiana. Tale trasformazione secondo i britannici poteva essere una conseguenza e non un preliminare dell’accordo. All’obiezione di Grandi che l’accordo rischiava di nascere morto senza il riconoscimento dell’impero, Vansittart riconobbe che esisteva un legame tra l’accordo Mediterraneo ed il problema etiopico, ma non era opportuno darvi risalto. Quale compromesso proponeva a Grandi di giungere preventivamente ad un accordo riservato, che fissasse per la firma del “Gentlemen’s Agreement” una data, che poteva cadere ancor prima del prossimo Natale, ed una data per la trasformazione della sede diplomatica britannica ad Addis Abeba, che poteva esser fissata a breve distanza di tempo, all’inizio dell’anno successivo. 57
A questa comunicazione di Grandi a Ciano si accompagnava il telegramma che lo stesso 2 dicembre Eden spediva a Drummond per specificare quali problemi potessero collegarsi all’accordo mediterraneo: la navigazione nei Dardanelli e l’accesso dei russi nel Mediterraneo; il patto navale di Londra e la mancata adesione italiana; il rientro dell’Italia nella Lega delle Nazioni; la propaganda italiana anti-britannica nel Medio Oriente; i diritti e gli interessi britannici in Abissinia. 58
Ma non veniva per questo meno la richiesta italiana di trattare senza ulteriori indugi il problema etiopico; il 7 dicembre Grandi comunicava a Roma di aver avanzato a Vansittart la proposta, formulata a titolo personale (ma subito approvata da Ciano) di far precedere alla firma dell’accordo la trasformazione in consolato della legazione britannica in Etiopia, dal
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momento che secondo il sottosegretario britannico tra i due eventi sarebbe dovuta passare solo qualche settimana: evasivamente Vansittart si era riservato di dare una risposta. 59
Ma il consenso britannico a tale richiesta, che stava tanto a cuore al governo italiano, doveva tardare ancora. Si era difatti profilata una nuova complicazione. Nonostante l’assicurazione fornita da Mussolini nel discorso tenuto a Milano il 1° novembre circa l’inesistenza di mire italiane su territori spagnoli, Drummond chiedeva conferma di tale assicurazione. Ciano diede la conferma, ma rifiutò che fosse inclusa nell’accordo mediterraneo.
Giunti ormai alla conclusione delle trattative, Drummond, facendo sua la proposta avanzata da Ciano nel precedente incontro del 26 novembre, chiese al ministro italiano se voleva fare un “tour d’horizon”, esponendo altri argomenti da trattare, al fine di eliminare subito ogni possibile futura occasione di contrasto. Ciano non ebbe nulla da aggiungere, né Drummond ritenne opportuno insistere: “His Excellency answered that he could think of nothing for the moment and as the only questions which it occurred to me he was eikely to raise were Egypt, Malta and Suez Canal I did not think it wise to press him any further, although I observed that the “tour d’horizon” had been distinctly of use”. 60
Fu questa l’unica volta in tutto il corso delle trattative in cui Malta venne ricordata e solo da parte britannica, per giunta di sfuggita e come una semplice ipotesi frettolosamente accantonata, senza farne parola alla controparte.
Da parte italiana non ci fu neppure questo: Malta infatti non compare a nessun titolo in due documenti riassuntivi dell’intera vicenda, preparati dal Ministero degli Affari Esteri.
Il primo documento è un appunto della Direzione Affari Generali destinato a Ciano, privo di data, ma che può collocarsi intorno al 15 dicembre 1936.
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L’appunto sottolineava come l’accordo italo-britannico non dovesse suscitare i timori di altri Paesi e dovesse consistere, conformemente alla richiesta britannica, in una semplice dichiarazione sul principio che non esistevano contrasti di interesse nel Mediterraneo tra Italia e Inghilterra.
Alla tesi britannica che la stipula del “Gentlemen’s Agreement” avrebbe dovuto comportare l’adesione italiana al trattato di Montreux sulla navigazione nei Dardanelli ed al patto di Londra sugli armamenti navali, si obiettava che l’adesione al trattato di Montreux poteva costituire materia per un accordo italo-turco, senza intromissioni britanniche; l’adesione poi agli accordi navali di Londra non poteva esser richiesta all’Italia, dato che né la Francia né l’Inghilterra l’avevano ancora ratificato. Inoltre il patto firmato a Londra stabiliva alcuni principi per le caratteristiche che avrebbero dovuto avere le navi da guerra, ma non diceva nulla sul loro numero: silenzio utile all’Italia, decisa a mantenere la sua libertà in tale materia. 61
Più particolareggiato il secondo documento, sempre per Ciano, formulato da un funzionario del Gabinetto del MAE, Blasco Lanza D’Ajeta, che porta la data 18 dicembre 1936.
Nell’appunto si ricordava che la dichiarazione sul Mediterraneo, redatta in termini moto generali, sarebbe potuta consistere in uno scambio di note, identiche nella sostanza, relative a questi punti:
1) rispetto dello “statu quo”;
2) libertà di navigazione;
3) affermazione che gli interessi italiani ed inglesi erano complementari;
4) il patto non era rivolto contro nessun’altra potenza.
Si faceva presente che il governo britannico era interessato ad un completo “tour d’horizon” in cui potevano rientrare questi argomenti:
1) Convenzione di Montreux: il Foreign Office non avrebbe insistito per l’adesione italiana, pur auspicandola.
2) Società delle nazioni: non sarebbe stato sollevato il problema del rientro italiano, pur sperando che il governo italiano decidesse in senso positivo.
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3) Trattato navale di Londra: da parte inglese si esprimeva la fiducia in un’adesione italiana, a seguito dei migliori rapporti favoriti dall’accordo mediterraneo.
4) Propaganda italiana: l’Inghilterra chiedeva che cessasse quella a lei ostile nel Medio Oriente.
5) Abissinia: problema da trattare a parte, presto (forse prima della conclusione dell’accordo mediterraneo). Disponibile la Gran Bretagna ad esaminare osservazioni italiane sulla Somalia britannica, sul Kenia e sul Sudan.
6) Arabia: rinviata la trattazione. L’Inghilterra avrebbe chiesto la conferma degli impegni italiani assunti nel 1927.
7) Egitto: era uno stato sovrano, alleato dell’Inghilterra. Ogni trattativa riguardante anche i suoi interessi doveva svolgersi con la sua partecipazione.
Comunque, si potevano già anticipare queste osservazioni relative ai seguenti punti:
a) Da escludere trattamenti di favore per la comunità italiana in Egitto.
b) Al momento non c’erano elementi per discutere dello sfruttamento delle acque del lago Tana.
c) Per definire i confini tra Sudan ed Egitto e per l’enclave di Gambeila occorreva coinvolgere l’Egitto.
d) L’amministrazione del canale di Suez era regolata dalla convenzione di Costantinopoli del 29 ottobre 1888 e dal recente trattato anglo-egiziano. La Gran Bretagna era molto cauta al riguardo delle richieste italiane, per evitare di riaprire tutto il problema. Da parte italiana poteva richiedersi la revisione della situazione giuridica del canale ovvero la presenza nell’amministrazione. Da parte britannica, agendo con cautela e d’intesa con l’Egitto, potevano essere ridotte le tariffe di transito. 62
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Ancora una volta, assoluto silenzio su Malta, sebbene non fossero mancate ripetute sollecitazioni ad includerla nell’agenda dei lavori da parte del console Casertano, che il 19 novembre scriveva al prof. Umberto Biscottini: “Qui tutti sperano negli accordi italo-britannici. Aspettano la salvezza da Roma”. 63
E successivamente, il 25 dicembre 1936, aveva inviato a Ciano un rapporto sull’azione della curia maltese, segnalando che presso molti religiosi, come presso i laici, esisteva “un rammarico diffuso per non veder presto risolta in qualche modo soddisfacente la questione della lingua, o piuttosto il timore di vedere tale questione dilazionata “sine die” o compromessa dal concludersi di un accordo italo-britannico che prescinda dalla soluzione della questione stessa”.
Si era sperato che, per non far torto all’Italia, restasse inapplicato il provvedimento che cancellava la toponomastica italiana, emanato da molti mesi: ed invece, osservava Casertano, “il provvedimento….ha avuto improvvisa applicazione in questi giorni. Si è avuta, quindi, l’impressione di un abbandono, da parte italiana, degli interessi maltesi”.
Per far fronte a questa situazione, il console formulava la proposta che il governo di Londra desse alle autorità maltesi queste disposizioni:
1) “di desistere da ulteriori provvedimenti contro la lingua italiana a Malta;
2) di predisporre i propri animi a riesaminare, in base alla nuova atmosfera creata dall’accordo, la possibilità di dare all’italiano ospitalità nella scuola, in preferenza almeno sul francese e sulle lingue moderne”. 64
Alcuni giorni prima dell’invio di questo rapporto ufficiale, il 18 dicembre, Casertano si era rivolto con una lettera privata al suo amico Filippo Caracciolo, duca di Melito, funzionario del Gabinetto del MAE, assicurando il suo impegno per contrastare i provvedimenti contro l’uso
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dell’italiano e chiedendogli: “Ma vorrei che tu mi dicessi prima, se non si pensi a Roma di far sapere a Londra che sarebbe cosa gradita e opportuna, perché il miglioramento dei rapporti italo-britannici si accentui e progredisca, la sospensiva almeno dell’azione che si conduce in Malta per cancellare ogni traccia dell’italiano dalle consuetudini e dalle abitudini locali. 65
Il duca di Melito rispondeva all’amico il 7 gennaio 1937 che si era esclusa per il momento la possibilità di fare un passo a Londra, o di interessare l’ambasciatore britannico in merito all’atteggiamento delle autorità maltesi. Qualora però lo sviluppo dei rapporti italo-inglesi dovesse consentire un giro d’orizzonte inteso ad attenuare i principali punti di attrito tra la nostra politica e la politica britannica, S.E. riterrebbe opportuno di includervi la questione maltese. S.E., cioè Ciano, aveva pure ordinato di preparare un dossier per tale eventualità. 66
A questa lettera privata del duca di Melito seguiva una comunicazione ufficiale del MAE, che il 12 gennaio telegrafava al console, assicurando: “Se accordo mediterraneo non ha toccato lingua italiana a Malta come non ha toccato del resto nessun problema particolare italo-britannico ciò non significa affatto abbandono della questione da parte nostra. Lasci intendere costì a chi dubitava del contrario, che accordo costituisce anzi – nel nostro pensiero – la migliore probabilmente la sola piattaforma possibile per una franca discussione in proposito che mi auguro prossima”. 67
L’opinione pubblica maltese aveva inizialmente accolto con molta speranza le trattative e poi l’accordo tra Italia e Gran Bretagna. Il “Malta” del 4 gennaio 1937 nel suo articolo “Un altro colpo alla lingua italiana” asseriva che il provvedimento che aboliva l’italiano nel terzo anno del corso preparatorio alla facoltà di teologia era da attribuirsi all’iniziativa di funzionari
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locali, concludendo ottimisticamente: “Il governo fascista ha cura del problema linguistico a Malta ed il colpo non è irreparabile”.
Ed ancora il 10 febbraio 1937, Casertano scriveva al vice-capo di Gabinetto, Filippo Anfuso, che “durante le trattative che hanno preceduto la firma del Gentlemen’s Agreement, a Malta si levavano preghiere, si facevano tridui e novene perché l’accordo si concludesse. E all’indomani dell’accordo tra l’Italia e la Gran Bretagna, maltesi di tutte le condizioni sociali si rivolsero al nostro consolato generale per manifestargli il proprio giubilo e la propria speranza”. 68
Nel frattempo, il 2 gennaio 1937, Ciano e Drummond avevano firmato l’accordo. Anziché procedere ad uno scambio di note, come si era dapprima pensato, si preferì stilare un documento comune che stabiliva alcuni principi cui i due governi si sarebbero uniformati: libertà di navigazione nel Mediterraneo, di vitale interesse per entrambi i Paesi; mantenimento dello “statu quo” “relativo alla sovranità nazionale dei territori nel bacino del Mediterraneo”; rispetto reciproco degli interessi e dei diritti in tale zona; opposizione a “qualsiasi attività suscettibile di nuocere alle buone relazioni che la presente dichiarazione ha lo scopo di consolidare”.
A conclusione, si affermava che la dichiarazione aveva fini di pace e non era “diretta contro alcuna potenza”. 69
Questo testo fu preceduto dallo scambio tra le parti di due lettere, firmate rispettivamente da Ciano e Drummond, in data 31 dicembre 1936. l’ambasciatore britannico, in riferimento all’interrogazione presentata il 16 dicembre ai Comuni per chiedere conto a Eden della situazione spagnola, in cui l’Italia era profondamente implicata a causa del suo intervento militare, seppure non ufficiale ma affidato a “volontari”, sollecitava una formale conferma delle assicurazioni date oralmente il 12 settembre all’incaricato d’affari Ingram circa l’inesistenza di mire italiane sulle isole Baleari.
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Le assicurazioni erano state riprese da Mussolini nel suo discorso alle Camice Nere di Milano il 1° novembre e più volte ripetute da Grandi nei suoi frequenti incontri al Foreign Office. La Gran Bretagna desiderava comunque una definitiva conferma con un testo ufficiale.
Ciano appunto dava con la sua lettera questa inequivocabile conferma che l’Italia non aveva né avrebbe in futuro avuto alcuna aspirazione che potesse compromettere l’integrità territoriale spagnola.
L’esclusione di ogni accenno a Malta nel corso delle trattative e poi nell’accordo finale sul Mediterraneo era stata spiegata dal MAE nel telegramma al console del 12 gennaio 1937 con il fatto che non era stato esaminato alcun problema particolare italo-britannico, dato che l’accordo doveva limitarsi a generali dichiarazioni di intenti e di principi. Ma un problema specifico, quale era quello spagnolo, era stato affrontato, con soddisfazione dalla Gran Bretagna, con questo scambio di lettere collaterale all’accordo Mediterraneo. Nel corso delle discussioni inoltre si erano pure trattati numerosi problemi, certo di importanza modesta, come quello dei diritti di pascolo alla frontiera per le tribù somale; mentre invece Ciano aveva svogliatamente lasciato cadere la proposta di Drummond di compiere un completo “tour d’horizon”, in cui lo stesso diplomatico britannico riteneva potesse essere inclusa la questione maltese.
Ed inoltre, pur se dedicato a principi generali, il “Gentlemen’s Agreement” poteva fornire lo spunto per un’azione diplomatica italiana intesa a tutelare l’uso dell’italiano a Malta.
Era specificato che il mantenimento dello “statu quo” nel Mediterraneo andava riferito alla sovranità territoriale: non riguardava quindi lo status giuridico dell’uso delle lingue a Malta, dove peraltro, prima delle recenti misure britanniche, l’uso dell’italiano nella scuola e nei tribunali era predominante. E c’era pure da chiedersi se le misure contro l’uso dell’italiano non fossero da considerare una “attività suscettibile di nuocere alle buone relazioni” stabilite con l’accordo e che l’accordo stesso si proponeva di contrastare “in ogni possibile modo”.
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Lo stesso telegramma ministeriale del 12 gennaio riconosceva che il patto mediterraneo era “la migliore e probabilmente la sola piattaforma possibile per una franca discussione” sulla questione maltese, augurandosi che tale discussione fosse prossima.
In realtà, mancò invece un serio interesse ed una precisa volontà politica da parte italiana ad affrontare il problema dell’uso dell’italiano a Malta.
Pure, il “Gentlemen’s Agreement” era stato salutato all’inizio con grande entusiasmo.
Una nota del Ministero italiano della Stampa e Propaganda, in data 4 gennaio 1937, salutava trionfalmente la nascita dell’accordo anglo-italiano: “All’asse Roma-Berlino, che assicurava relazioni amichevoli in una così larga e sensibile zona di interessi europei, si aggiunge la vastissima e vitale zona di interessi mediterranei in cui Italia e Inghilterra sono ormai animate da reciproca fiducia e buona volontà pacifica”. La nota constatava poi in tono compiaciuto “l’eccellente accoglienza” che l’accordo anglo-italiano aveva avuto “non solo a Londra, ma anche a Berlino e Parigi”. 70
Grandi a sua volta segnalava l’8 gennaio a Ciano il favore unanime con cui l’accordo era stato accolto in Gran Bretagna: più formale che di sostanza la protesta dei laburisti e dei liberali, incalzati dal fronte popolare francese, perché non era stato affrontato il problema degli aiuti militari italiani a Franco. “E’ la prima volta da molti anni in qua che un documento internazionale di tanta importanza è stato accolto in Inghilterra con soddisfazione e favore unanimi”, scriveva Grandi, che non perdeva l’occasione per una disinibita “sviolinata” a Ciano: “Io voglio congratularmi con te, caro Galeazzo, per questo avvenimento storico eccezionale, col quale tu hai suggellato due anni di eventi memorabili e consegnato meritatamente alla storia il tuo nome di Ministro, dopo averlo consegnato alla storia come comandante della Disperata”. 71
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Ma l’ “avvenimento storico eccezionale” non tardò a sgonfiarsi nell’opinione pubblica britannica.
Già qualche mese dopo, il 17 marzo 1937 il periodico “Week” nel numero 204 pubblicava l’articolo “Gentlemen’s…? Agreement…?” in cui si denunciava il sempre più massiccio intervento italiano in Spagna e si affermava: “This being so, the whole basis of the Gentlemen’s Agreement is disappearing and a melancholy “fooled again” is the reflection of many of the earnest gentlemen who felt so shirpy about the agreement at the time”. 72
Lo stesso “Week” nel successivo numero 206 del 31 marzo si spingeva fino ad affermare l’utilità che avrebbero avuto per l’Inghilterra la caduta di Mussolini, accusato di non rispettare i patti del 2 gennaio 1937 con la sua partecipazione alla guerra di Spagna, e l’instaurazione di un governo democratico in Italia.
Erano comunque ancora in pochi a pensarla così in Inghilterra, si affrettava Grandi a tranquillizzare Ciano. 73
Posizioni, anche se minoritarie, che non tardarono a riflettersi sulla stampa maltese. “The Malta Chronicle and Imperial Services Gazette” il 15 maggio 1937, sotto il titolo “Foreign Policy”, affermava che il “Gentlemen’s Agreement” solo in apparenza aveva posto fine ai contrasti anglo-italiani: l’invio di truppe italiane in Spagna (ed era ben noto a tutti che non si trattava di volontari, come voleva far credere il governo di Roma) aveva distrutto le speranze di un avvicinamento tra i due Paesi.
Una possibilità di rivitalizzare questo accordo così precocemente sfiorito sembrò realizzarsi quando, il 28 maggio 1937, sir Neville Chamberlain, già cancelliere dello Scacchiere del governo Baldwin, raccolse l’eredità dello stesso Baldwin, sostituendolo alla presidenza del partito conservatore ed alla guida del governo.
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Chamberlain era indubbiamente animato da sentimenti filo-italiani, come il fratelli Austenche da ministro degli Esteri negli anni 1924-29 aveva manifestato grande simpatia per Mussolini e per il fascismo.
Con il nuovo premier Grandi aveva allacciato rapporti di amicizia personale già da tempo: c’erano quindi tutte le premesse per attendersi un rilancio dell’intesa anglo-italiana messa in crisi dagli avvenimenti spagnoli: e difatti, tra i primi atti di Chamberlain ci fu una significativa apertura politica nei confronti dell’Italia.
Il 17 giugno 1937 Grandi telegrafava a Ciano di aver incontrato il 13 Chamberlain, che gli aveva assicurato che la “politica del nuovo governo e sua personale di primo Ministro” avevano “come uno dei principali obiettivi una chiarificazione completa dei rapporti con l’Italia, nel quadro del Gentlemen’s Agreement del 2 gennaio”. Dopo questa incoraggiante premessa Chamberlain aveva proseguito sullo stesso tono: “Io spero che si possa effettivamente, senza grandi difficoltà, trovare una soluzione definitiva alle questioni che ancora ci dividono e che non sono così gravi come taluno insiste nel far credere. Io farò del mio meglio per superarle e sono certo che il Duce farà altrettanto”. 74
A questi buoni propositi si opponeva però, oltre alla questione spagnola, una nuova difficoltà: i rapporti italo-tedeschi, che turbavano quelli anglo-italiani.
Già in precedenza, nel suo rapporto a Ciano del 7 aprile, Grandi aveva fatto un’esplicita ed esauriente analisi di questo problema. In un incontro al Foreign Office, Vansittart aveva riconosciuto la necessità del riconoscimento britannico della sovranità italiana sull’Etiopia, per eliminare la più seria ragione di contrasto nei rapporti italo-britannici. Ma aveva subito aggiunto che a tale riconoscimento si opponeva “il malumore crescente nelle file dei conservatori, i quali ritengono l’Italia ormai definitivamente alleata della Germania”. E le difficoltà tra Italia ed Inghilterra, concludeva l’uomo politico inglese “avevano già arrecato al “Re di Prussia” degli sproporzionati vantaggi”.
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Nel commentare le dichiarazioni di Vansittart, Grandi si diceva convinto della reale volontà britannica di arrivare al tanto agognato riconoscimento, subordinandolo però ad un orientamento antitedesco della politica italiana. Secondo Grandi occorreva quindi convincere l’Inghilterra che doveva agire rapidamente, se voleva evitare il cementarsi dell’intesa italo-tedesca. Ma si sarebbe trattato solo di una finta: “Tutto ciò, ben inteso, è un carosello per uso esclusivo dialettico e tattico con Vansittart. La realtà è diversa. L’asse Roma-Berlino è, a parte tutto il resto, la leva più potente di cui possiamo servirci nella nostra politica di fronte all’Inghilterra. Sino a che l’asse Roma-Berlino si mantiene vitale e saldo, l’Inghilterra, volente o nolente verrà a patti con noi”.
Grandi passava poi in rassegna le diverse posizioni politiche dei suoi interlocutori britannici . A suo parere Vansittart non amava l’Italia, ma era soprattutto antitedesco. Eden lo era altrettanto, ma era ancor più antitaliano. Il ministro inglese, secondo Grandi, riteneva illusorio sperare nel distacco italiano da Berlino e quindi “alla lunga tra Italia e Gran Bretagna sarà impossibile evitare che si venga alle mani per sapere chi deve comandare alla fine nel Mediterraneo”.
Tuttavia anche Eden riteneva necessario un “armistizio” con l’Italia. Chamberlain a sua volta era antitedesco, ma disponibile ad un accordo provvisorio con la Germania; era geloso del prestigio inglese nei confronti delle altre potenze, Italia compresa. Realisticamente, di fronte al fatto compiuto della conquista italiana dell’Abissinia, Chamberlain era disposto a riconoscerlo, così come era stato per la revoca delle sanzioni, sperando in tal modo di evitare l’avvicinamento dell’Italia alla Germania. Era quindi rimasto deluso, come tutti i conservatori, dell’accordo italo tedesco dell’11 luglio 1936 e dell’intervento italiano a fianco della Germania nella guerra di Spagna.
A causa di tale delusione “lo stesso Gentlemen’s Agreement del 2 gennaio è stato accolto con favore sì dai conservatori, ma accompagnato da tali prudenti riserve da domandarsi se effettivamente essi l’approvano o no”.
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Grandi si diceva poi convinto del fatto che Chamberlain, se fosse divenuto primo ministro (ce n’era già il presagio), avrebbe controllato la politica estera molto più di Baldwin; riteneva pure necessario riguadagnare l’accordo con i conservatori, che occupavano una posizione centrale sulla scena politica inglese. 75
In una mutata atmosfera ripresero quindi i contatti fra Roma e Londra per ridefinire i rapporti ed arrivare ad un accordo completo, che non trascurasse alcun aspetto controverso.
Cambiava quindi la strategia politica: non più una semplice dichiarazione di intenti, quale era stato l’accordo del 2 gennaio, che lasciava poi il campo aperto a singole trattative sui problemi specifici, seppur riconducibili al quadro generale tracciato da quell’accordo; ma una completa ed esauriente disanima di tutti i problemi che erano sul tappeto.
In contemporanea all’incontro a Londra tra Grandi e Chamberlain si svolse a Roma quello tra Ciano e Drummond. Il ministro italiano ha lasciato un appunto per Mussolini su questo colloquio, in occasione del quale aveva assicurato all’ambasciatore inglese che l’Italia intendeva mantenere buoni rapporti con la Gran Bretagna “sulla base di un’intesa completa e chiarificatrice di ogni punto. A cominciare naturalmente da quello del riconoscimento dell’Impero…”76
Ciano si affrettava ad informare pure Grandi di questo incontro con Drummond. Osservava che nei negoziati per il Gentlemen’s Agreement si era preferito sorvolare su alcuni punti, sperando “che il tempo sarebbe da solo valso ad arrotondare quegli angoli che allora non potevamo smussare noi”. Ma così non era stato ed erano sorte difficoltà, per cui era necessario arrivare ad un’intesa “totalitaria”, che però sembrava ridursi alla questione etiopica: “Prima cosa riconoscimento dell’Impero…Ciò fatto, credo che molto altro da aggiungere non lo avremmo”.
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Esisteva sì il problema spagnolo: ma Ciano nutriva fiducia che l’Inghilterra si rendesse conto che era anche nel suo interesse opporsi ai rossi e che l’Italia non intendeva annettersi territori spagnoli. 77
Risolto il problema etiopico “…molto altro da aggiungere non lo avremmo”: le parole di Ciano chiarivano bene come a Malta neanche si pensasse, pure in occasione delle nuove e più esaustive trattative con la Gran Bretagna.
Grandi proseguiva alacremente i suoi contatti col nuovo governo britannico. Il 12 luglio 1937 scriveva a Ciano per preannunciargli il soggiorno a Roma, dal 14 al 17, del consulente legale dell’ambasciata, l’avvocato Adriano Dingli, entrato già più volte in contatto con gli ambienti ministeriali romani, che così presentava: “Dingli è un patriota maltese che si è battuto sempre per la causa dell’italianità di Malta al nostro fianco e con molta lealtà”. Oltre ai meriti politici, Grandi faceva pure presenti le capacità professionali di Dingli, messe in luce dalla causa tra la Banca d’Egitto “e la pseudo Banca d’Etiopia”, in cui aveva sostenuto con successo gli interessi italiani.
Fatta questa premessa, Grandi riferiva sul recente incontro tra Dingli e sir Joseph Ball, responsabile della propaganda politica, amministratore e consulente politico del partito conservatore, oltre che intimo amico di Chamberlain.
Ball aveva confidato a Dingli, perché ne mettesse al corrente l’ambasciatore italiano, che Chamberlain desiderava sinceramente “una completa e definitiva chiarificazione dei rapporti anglo-italiani e aveva chiesto allo stesso Dingli se fosse disposto ad una missione esplorativa a Roma per accertare in via non ufficiale quali fossero le vie più opportune per ristabilire relazioni amichevoli. Successivamente Ball aveva confermato che Chamberlain approvava questa sua iniziativa e aveva insistito perché Dingli incontrasse a Roma Ciano, fornendo anche una lista degli argomenti di cui si proponeva la trattazione, così riassunta da Grandi: distensione nelle polemiche giornalistiche, così come era avvenuto per disposizione del Duce
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e con grande soddisfazione inglese per le trasmissioni di radio Bari; patto di non aggressione nel Mediterraneo tra Italia, Francia ed Inghilterra; attività preliminari per riconoscere formalmente la conquista italiana dell’Abissinia; situazione spagnola.
Ball aveva pure sottolineato che era Chamberlain a dirigere la politica estera britannica. Grandi si mostrava un po’ scettico sulla serietà dell’iniziativa, ma chiedeva tuttavia a Ciano di ricevere Dingli, “il quale è indubbiamente una persona seria, seppure modesta, e un sincero amico nostro”.
L’incontro sarebbe stato utile non tanto presso Chamberlain, che ben conosceva le richieste italiane e con il quale Grandi aveva rapporti continui e diretti, quanto presso la Direzione del Partito conservatore.
Affermava Grandi: “Per facilitare a Chamberlain a compito, bisogna anzitutto convincere e “catechizzare” coloro che gli stanno vicino”.
Chamberlain, asseriva l’ambasciatore italiano, dominava la scena politica molto più di Baldwin e non intendeva dividere il potere con Eden, come aveva fatto il suo predecessore. Bisognava “quindi incunearsi nella “frattura” incipiente fra Eden e Chamberlain e allargarla più che si può”.
Eden e Vansittart erano stati messi in difficoltà dalla politica di Chamberlain, che desiderava un avvicinamento alla Germania, anche se il primo, “politicamente di una volubilità addirittura camaleontica”, aveva “subito messo acqua nel suo vino antitedesco”, cercando “di seguire come può il nuovo indirizzo dato da Chamberlain”.
La distensione con la Germania non era però voluta in funzione antitaliana da Chamberlain, che desiderava al contempo buoni rapporti con Berlino e con Roma.
Si aprivano dunque, concludeva Grandi, buone possibilità di raggiungere un’intesa direttamente con Chamberlain, scavalcando Eden e Vansittart, favorevole, quest’ultimo, ad un’intesa con l’Italia, ma “cristallizzato nella vecchia mentalità antitedesca”, per cui concepiva un accordo anglo-italiano soltanto “in funzione del suo piano di accerchiamento militare e politico della Germania”. 78
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L’incontro di Ciano con Dingli ci fu, e di esso l’avvocato maltese ci ha lasciato un resoconto destinato a Chamberlain.
Per quanto riguardava la situazione nel Mediterraneo, Dingli riferiva il completo consenso italiano per un nuovo accordo basato sui principi del “ Gentlemen’s Agreement”, ma che fosse esauriente. Scriveva: “There must, however, be no question or aspect ignored or shelved in other words; the enlarged new Agreement would cover the whole field of mutual Mediterranean – Red Sea interests. The value of the existing Gentlemen’s Agreement has been largely reduced awing the omission of certain aspects of the problems mutually confronting the two States…In conclusion, therefore Italy’s view was that a completely particularised enlargement of the Gentlemen’s Agreement was the best practical method of settling all Mediterranean – Red Sea mutual interests”.
Dingli riferiva ancora sull’ostilità italiana ad un patto di non aggressione nel Mediterraneo, dal momento che già esistevano rapporti nel complesso soddisfacenti con gli Stati rivieraschi. Non si faceva parola della Francia: ma un accordo con essa avrebbe suscitato i sospetti tedeschi, che l’Italia in quel momento voleva evitare. 79
Ma dal “completo, particolareggiato allargamento del Gentlemen’s Agreement”, che Dingli affermava essere il metodo suggerito dall’Italia per giungere ad una soluzione soddisfacente e duratura dei problemi, ancora una volta Malta restò esclusa. Non vi era traccia di essa in questo resoconto di Dingli sull’incontro avuto con Ciano; l’isola ed i suoi problemi non apparivano neanche nel lungo colloquio svoltosi il 27 luglio tra Chamberlain e Grandi, che ne riferiva a Ciano in pari data.
Si trattò di un colloquio concordato dal premier direttamente con Grandi, senza passare attraverso il ministro degli esteri, Eden, come avrebbe voluto il protocollo. Grandi dava atto a
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Chamberlain del coraggio con il quale si era apertamente pronunciato contro il mantenimento delle sanzioni nel discorso tenuto il 10 giugno 1936 al “1900 Club”, facendo presente che di coraggio adesso ne occorreva molto meno per riconoscere formalmente l’Impero italiano di Etiopia. Chamberlain si dichiarò d’accordo, ma fece presente che in cambio di questo riconoscimento formale aveva bisogno di una contropartita italiana da offrire al Parlamento ed alla opinione pubblica. Grandi chiese allora quali fossero i punti su cui si aspettava concessioni italiane e Chamberlain indicò le emissioni di radio Bari di tono antibritannico, rivolte alle popolazioni del Medio Oriente, le polemiche giornalistiche, la crescente presenza militare in Libia, dove erano state inviate due divisioni. Osservò Grandi a questo punto che si trattava di questioni in gran parte superate: radio Bari aveva già interrotto, per espresso ordine del Duce, le trasmissioni sgradite alla Gran Bretagna e le polemiche giornalistiche si erano molto attenuate. 80
Mescolando poi le ragioni sentimentali a quelle politiche, Grandi, che conosceva la sensibilità di Chamberlain alle memorie familiari, ricordò le amichevoli iniziative politiche verso l’Italia di suo padre Joseph, ministro delle Colonie nel 1902, e del fratello Austen, ministro degli Esteri nel periodo 1924-29.
L’effetto fu istantaneo: Chamberlain chiese se una sua lettera personale potesse riuscire gradita a Mussolini. Ottenuta subito una risposta affermativa, seduta stante scrisse la lettera che affidò al suo interlocutore per farla recapitare a Roma. Grandi in conclusione del suo lungo rapporto a Ciano consigliava che Mussolini rispondesse a sua volta con una lettera autografa, ricordando come Austen Chamberlain fosse profondamente influenzato dalle lettere del Duce. 81
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La lettera di Chamberlain fu poi allegata alla lettera personale di Grandi n° 3149 per Ciano del 28 luglio.
Nel suo messaggio lo statista britannico si rammaricava di non aver avuto occasione di incontrare di persona Mussolini, affermando di aver però avuto modo di conoscerlo dalle parole di suo fratello Austen, che lo definiva “a good man to do business with” (“un uomo buono per farci affari”). Notava con dispiacere che i rapporti anglo-italiani non erano più buoni come una volta, ma riteneva che era possibile ripristinarli.
A tal fine assicurava l’impegno del governo britannico e quello suo personale per chiarire l’intera situazione, abolendo ogni causa di sospetto e di incomprensione. 82
Fu prontamente accettato il consiglio di Grandi che la risposta italiana fosse affidata ad una lettera autografa di Mussolini, che già il 31 luglio Ciano inviava a Grandi con una sua lettera di accompagnamento, in cui si indicava la fine di settembre come data probabile per l’inizio delle trattative: prima Mussolini doveva recarsi in Sicilia per le manovre militari e soprattutto occorreva tempo perché la Società delle Nazioni si pronunciasse sul riconoscimento dell’Impero italiano d’Etiopia, preliminare indispensabile per ogni trattativa. Elencava poi gli argomenti da trattare: “Noi molti suggerimenti da dare non ne abbiamo: per quanto riguarda il Mediterraneo l’accordo del 2 gennaio è esauriente o quasi, meno che non si voglia scendere in problemi specifici. Sarà necessario invece definire con chiarezza i rapporti tra l’impero e le limitrofe colonie britanniche”. Prevedeva che gli inglesi avrebbero voluto parlare anche di “radio, propaganda nei paesi arabi, armamenti in Libia, forse Palestina, forse Accordo Navale ecc.”.
Tutti argomenti che Ciano appariva disposto ad affrontare, aggiungendo pure Arabia e Mar Rosso.
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Ciano si dimostrava molto ottimista: le difficoltà erano state più che altro di natura psicologica, ma “il primo colpo di vento ha già spazzato molte nubi – o, per lo meno, le ha smosse”.
Pure stavolta, neanche un accenno a Malta: il patto Mediterraneo del 2 gennaio 1937 era definito da Ciano “esauriente o quasi” e solo con svogliata distrazione si accennava ai “problemi specifici” che si sarebbero eventualmente potuti trattare, fra i quali è da ritenere che Malta avrebbe potuto figurare.
Tutta l’attenzione era consacrata all’Impero e tutto il resto cadeva nel dimenticatoio.
Nella sua lettera per Chamberlain, allegata a quella di Ciano per Grandi, Mussolini toccava ancora la corda degli affetti familiari, ricordando con simpatia il fratello Austen. Espressa poi la convinzione che tra Italia ed Inghilterra non esistessero contrasti di interessi, né nel Mediterraneo né altrove, il Duce accoglieva la proposta di Chamberlain di avviare conversazioni intese a dissipare ogni ombra. 83
Nel frattempo Grandi si destreggiava fra le posizioni amichevoli verso l’Inghilterra ed i legami già stabiliti con il patto italo-tedesco del luglio 1936. A tal fine aveva informato, se pure in termini generici l’ambasciatore tedesco a Londra, Von Ribentropp, del colloquio avuto con Chamberlain. 84
Chamberlain attendeva con impazienza la risposta di Mussolini: di passaggio a Londra per poche ore, proveniente dalla residenza di campagna dei Chequers e diretto in Scozia, aveva chiesto a Grandi di recapitargli personalmente la lettera del duce, che apprezzò molto.
Alla richiesta di Chamberlain di precisare luogo e data delle trattative, Grandi rispose indicando Roma e la metà di agosto, senza tener conto dell’indicazione di Ciano per fine settembre.
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Chamberlain si dichiarò d’accordo in linea di massima, ma alla richiesta di Grandi arrivare subito al riconoscimento dell’Impero, “con Ginevra o senza Ginevra”, si trincerò dietro una vaga promessa di interessamento, scaricando la decisione su Eden, che, in quanto Ministro degli Esteri, aveva la competenza per tale problema.
Desideroso poi di mantenere i buoni rapporti con la Francia, oltre che con l’Italia, il premier britannico chiese a Grandi di adoperarsi perché la stampa italiana attenuasse la sua polemica antifrancese.
Con tono conciliante Grandi rispose che ciò rientrava nei disegni di Mussolini e che a sua volta la Gran Bretagna non doveva preoccuparsi per l’intesa italo-germanica: l’obiettivo principale doveva essere arrivare ad un accordo tra le quattro grandi Potenze.
Chamberlain espresse il suo consenso a tale piano ed affermò che l’asse Roma-Berlino poteva facilitare l’accordo a quattro, cui in fondo non si opponevano neanche i laburisti ed i liberali inglesi, nonostante gli attacchi di Attlee e di Lloyd George. 85
Ma le cose non andarono così speditamente come si poteva credere all’inizio dell’agosto 1937.
Un pro-memoria dell’ambasciatore britannico a Roma, in data 9 settembre, faceva presente che il riconoscimento formale dell’impero di Etiopia poteva avvenire solo in “a general scheme of reconciliation wich should remove anxieties and suspicions and lead to a restoration of confidence in Europe”. Altra condizione necessaria era una preventiva dichiarazione della Società delle Nazioni che l’Etiopia non era più uno Stato indipendente. Alla fine di luglio sembravano non esserci ostacoli: ma l’atmosfera era molto peggiorata dopo lo scambio di messaggi fra Mussolini e Franco in occasione della presa di Santander.
Era pertanto da prevedersi nella prossima sessione della Società delle Nazioni una forte opposizione a compiere gesti favorevoli alle aspirazioni italiane.
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Come possibilità di migliorare la situazione, la nota britannica indicava la partecipazione italiana alla conferenza di Nyon: 86 partecipazione che non ci fu.
Ciò nonostante, continuarono i contatti per avviare le trattative, che tardavano oltre il previsto a decollare. Il 2 ottobre l’ambasciatore britannico insieme all’incaricato d’affari francese incontrava Ciano per esaminare la situazione internazionale. Allontanatosi il diplomatico francese, il britannico espresse il suo rincrescimento per le difficoltà insorte a seguito degli avvenimenti spagnoli e consegnò un altro pro-memoria, in cui erano indicati gli argomenti da discutere per chiarire la situazione nel Mediterraneo e nel Mar Rosso: la propaganda italiana in Medio Oriente, la rafforzata presenza militare in Libia. Entro certi limiti era accettato lo scambio di informazioni militari, come aveva proposto Grandi. 87
L’ostacolo maggiore sulla via delle trattative restava sempre l’intervento italiano nella guerra di Spagna.
Il fiduciario di Chamberlain, sir Joseph Ball, assicurava però a Grandi che le conversazioni progettate per preparare l’incontro di Ciano e Eden a Bruxelles, che avrebbe dovuto sbloccare la situazione, tardavano ad iniziarsi per ragioni di politica interna britannica e non perché fossero subordinate ad una preventiva soluzione del problema spagnolo. Chamberlain confermava la disponibilità per un accordo, già manifestata in luglio, né intendeva incrinare l’amicizia italiana con la Germania: ne erano una riprova le istruzioni date al Lord del Sigillo privato, Halifax, per la sua missione a Berlino. Piuttosto asciuttamente Grandi aveva replicato di credere a tali buone ragioni, ma che le parole non bastavano: occorrevano i fatti. 88
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Una vie d’uscita dal vicolo cieco, in cui gli avvenimenti spagnoli avevano cacciato i politici italiani e britannici, fu rappresentata dalla costituzione del Comitato per il non intervento in Spagna, di cui l’ Italia faceva parte: in quella sede poteva esser trattato lo spinoso problema spagnolo, sganciandolo dalle trattative per l’accordo italo-britannico Ciano telegrafava in tal senso a Grandi il 4 dicembre, ricordando una volta di più che il problema di fondo per l’Italia era il riconoscimento formale dell’Impero e che il chiarimento doveva essere totale e non avvenire “a segmenti”: …se ad una intesa si deve giungere, desideriamo che essa sia piena, completa, senza sottintesi e riserve, quindi duratura.”
In caso contrario, sarebbe stato “inutile compiere dei tentativi che valgono solo a creare illusioni , delusioni e forse più accentuati contrasti”. 89
In ossequio a tali direttive, l’incaricato d’affari italiano a Londra, in assenza di Grandi, consegnava a Eden il 23 dicembre 1937 una nota in cui si affermava che “The Italian Government are still of the opinion that the problem of the relations between Italia and Great Britain should be approached and solved in its entirety and not partially”.
Fra i problemi da affrontare figurava naturalmente al primo posto il riconoscimento dell’Impero ed il punto di partenza delle trattative erano le lettere scambiate a lungo tra Chamberlain e Mussolini, in cui si riconosceva la necessità di un chiarimento totale. 90
Malta continuava ad essere ignorata da entrambe le parti, eppure i nazionalisti maltesi continuavano ad illudersi che i problemi dell’isola sarebbero stato presi in considerazione. Mizzi, scriveva al MAE il console d’Italia a Malta, “spera che la questione della lingua italiana a Malta formi oggetto di trattative in occasione di un eventuale accordo italo-britannico”. 91
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Ma di fronte alle due questioni fondamentali, la partecipazione italiana alla guerra di Spagna ed il riconoscimento dell’Impero, tutte le altre restavano accantonate perché non fossero d’intralcio alla soluzione di questi due problemi.
Fra Roma e Londra ci furono intensi contatti, all’inizio del febbraio 1938, relativi alla situazione spagnola.
L’ambasciata britannica a Roma il 4 telegrafava a Eden che sarebbe bastata a soddisfare il governo francese la sospensione dell’invio di altre truppe italiane in Spagna ed il ritiro degli aviatori da Majorca.
La diminuzione delle guarnigioni italiane in Libia e la sospensione delle polemiche antibritanniche giornalistiche e radiofoniche, erano argomenti che l’Italia avrebbe accettato che figurassero sull’agenda dei lavori.
C’era invece una decisa opposizione ad inserirvi il problema spagnolo: da parte italiana si asseriva che questo era già stato affrontato con il Gentlemen’s Agreement del 2 gennaio 1937 e con lo scambio di lettere tra Ciano e Drummond che ne era stato il contorno; eventuali aggiornamenti dell’accordo, se necessari, potevano esser discussi in seno al Comitato per il non intervento in Spagna creato appositamente ad hoc. Inoltre, una trattativa limitata ad Italia ed Inghilterra, con l’esclusione della Germania, avrebbe creato difficoltà nei rapporto tra Roma e Berlino.
Al di fuori delle conversazioni ufficiali, non erano comunque da escludere assicurazioni circa un diminuito impegno militare italiano in Spagna. 92
Eden a sua volta telegrafava il 5 febbraio alla rappresentanza diplomatica britannica a Roma, per informarla che nel corso di colloqui avuto con Grandi, questi invece non aveva esclusa la possibilità di inserire nelle trattative ufficiali l’argomento Spagna. 93
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In un serrato botta e risposta, l’ambasciatore Perth, il giorno 6 rispondeva a Eden che, contrariamente a quanto affermato da Grandi, l’inclusione della questione spagnola in agenda avrebbe causato difficoltà notevoli, che era preferibile evitare; perciò riteneva opportuno iniziare al più presto le trattative, al massimo entro la metà di marzo, prima comunque dell’annunciata visita di Hitler a Roma, prevista per il prossimo maggio. 94
Anche Ciano sembrava aver fretta. La vedova di Austen Chamberlain, in visita a Roma, confidava all’ambasciatore britannico che durante un pranzo Ciano le aveva chiesto di far presente a Londra che nuovi eventi europei avrebbero potuto impedire presto quel che invece in quel momento era possibile. Ciano era apparso in preda ad un notevole nervosismo, che lord Perth spiegava col fatto che probabilmente Hitler premeva perché non si avviassero trattative anglo-italiane senza la partecipazione tedesca. Ciano avrebbe quindi voluto iniziarle quanto prima, per mettere Hitler di fronte al fatto compiuto. 95
Altrettanto frequenti erano i contatti fra Ciano e Grandi. L’ambasciatore riferiva il 6 febbraio 1938 sull’incontro avuto con Eden, che si era detto completamente d’accordo sulla necessità di un accordo totale “senza malintesi e senza zone d’ombra”,concludendo che “tutte le questioni tra l’Italia e l’Inghilterra sarebbe diventate di secondaria importanza e di facilissima soluzione quando fossero esaminate e risolte d’accordo le due fondamentali: riconoscimento Impero e Spagna”. 96
Incassato il consenso espressogli l’8 febbraio da Ciano, anche a nome del Duce, per la sua azione diplomatica, Grandi inviava il giorno 12 a Roma un lungo rapporto contenuto in 6 telegrammi, in cui confermava l’accordo con Eden per un’intesa completa “coprendo tutti i punti controversi, eliminando ogni possibile futura ragione di sospetto e malinteso”.
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Su uno dei due punti principali, il riconoscimento dell’Impero e la questione spagnola, si era iniziato a discutere, esaminando quanti militari italiani ritirare dalla Spagna. Eden aveva chiesto ancora una volta che si mettesse un freno alle polemiche giornalistiche italiane contro la Gran Bretagna e come contropartita aveva comunicato di aver dato istruzioni alle autorità del Kenia e del Sudan perché non fornissero più aiuto ai ribelli etiopici. 97
Ciano sottolineava l’urgenza di concludere l’accordo con l’Inghilterra, scrivendo a Grandi il 16 febbraio: “Qualora l’Anschluss fosse un fatto compiuto, qualora la grande Germania dovesse ormai gravitare sulle nostre frontiere con la mole crescente dei suoi 70 milioni di uomini, allora per noi diverrebbe sempre più difficile concludere o soltanto parlare con gli Inglesi, perché non si potrebbe evitare all’interpretazione mondiale di scorgere nella nostra politica di avvicinamento con Londra un’andata a Canossa sotto la pressione tedesca”.
Dopo la temuta annessione nazista dell’Austria, concludeva Ciano, “non esisterebbe più l’alternativa e noi dovremmo indirizzare la nostra politica in un senso di retta, aperta, immutabile ostilità contro le potenze occidentali”. 98
La lettera di Ciano si incrociava con il telegramma inviatogli il 17 febbraio da Grandi per sollecitare le istruzioni contenute appunto in queste comunicazioni del ministro. Grandi riferiva sull’impressione suscitata in Inghilterra dalle vicende austriache e sulla ostentata sua tranquillità per dare ad intendere che il problema austriaco non influiva sulle trattative anglo-italiane. Eden in un discorso tenuto a Birmingham il 14 aveva affermato che queste trattative andavano condotte senza fretta e Grandi da parte sua voleva dimostrare che anche l’Italia voleva procedere con cautela. 99
Gli avvenimenti ormai incalzavano e le comunicazioni di Grandi a Roma si susseguivano incessantemente.
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Il 19 Grandi telegrafava a Ciano di avere visto, su richiesta britannica, Eden e Chamberlain il giorno precedente. L’incontro aveva assunto toni concitati, perché Grandi aveva opposto un netto rifiuto alle richieste avanzate in ordine successivo da Eden, che avrebbe voluto subordinare l’inizio delle trattative dapprima ad una discussione preliminare sull’Austria; poi ad un chiarimento sulla posizione italiana in Spagna; infine ai risultati dei lavori del Comitato per il non intervento in Spagna. 100
L’andamento del colloquio Grandi lo illustrò in un ampio rapporto di 50 pagine, inviato lo stesso 19 febbraio a Ciano. L’ambasciatore italiano alla richiesta di Eden di trattare anzitutto il problema austriaco aveva ricordato l’opposizione italiana nel 1931 all’unione doganale austro-germanica; l’aiuto prestato al cancelliere austriaco Dolfuss per resistere ai tentativi tedeschi di annessione; lo schieramento di truppe italiane al Brennero nel 1934, dopo l’assassinio del cancelliere. Per contro, la politica italiana di assistenza all’Austria era stata sabotata dalla Francia, che, come l’ Inghilterra, aveva fatto solo chiacchiere a proposito dell’Austria.
Grandi faceva pure suoi gli argomenti esposti da Ciano nella lettera del 16 febbraio, asserendo che l’Inghilterra, se avesse ancora ritardato l’inizio dei colloqui, sarebbe stata responsabile per aver spinto l’Italia su posizioni avverse alle potenze occidentali.
Questo acceso scontro tra Grandi e Eden aveva destato una grande irritazione di Chamberlain nei confronti del suo ministro degli Esteri. I due uomini di governo britannici, scriveva Grandi, “erano, e si rivelavano di fronte a me, due nemici di fronte l’uno all’altro e come due galli, in una vera e propria posizione di combattimento”. 101
L’accentuarsi della frattura, già esistente fra i due, non tardò a dare i suoi frutti.
Domenica 20 febbraio, nonostante la festività, si tenne una seduta pomeridiana del Gabinetto.
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Chamberlain propose di presentare a Grandi una dichiarazione in cui il governo di Sua Maestà “si dichiarava entusiasticamente a favore delle conversazioni”, che si sarebbero volute organizzare disponendo di più tempo, dato il grande valore attribuito ad esse. Ma se il rinvio poteva causare malintesi in Italia, si era disposti ad iniziarle subito.
Si sosteneva la necessità di trattare la questione spagnola: se così non fosse stato, la Lega delle Nazioni non avrebbe dato il suo assenso al riconoscimento dell’Impero d’Etiopia.
Eden chiese una pausa di riflessione, dopo la quale si dichiarò contrario ed offrì le sue dimissioni, che, lasciata Downing Street nella tarda serata, inviò dal Foreign Office. Qui lo raggiunse, intorno a mezzanotte, la veloce accettazione di Chamberlain. 102
Con altrettanta velocità Eden era sostituito da lord Halifax, già guardasigilli nel governo Chamberlain.
Immediata comunicazione delle dimissioni di Eden era data da Ciano a Mussolini, nella tarda serata dello stesso giorno 20 febbraio 1938. 103
Il nuovo ministro degli Esteri, unitamente a Chamberlain, già la mattina del successivo 21 febbraio incontrava Grandi, che comunicava l’accettazione italiana della formula britannica che garantiva il ritiro dei militari italiani dalla Spagna ed il rispetto dei diritti dei belligeranti. Chamberlain esaltò l’amicizia con l’Italia, dicendo di contare sull’aiuto di Mussolini per un patto fra le quattro maggiori potenze europee (Francia, Germania, Inghilterra, Italia), che non poteva essere sacrificato per arrivare ad un accordo con la Russia, definita “un Paese semi asiatico”. Ancora, affermava con solennità, dando incarico a Grandi di comunicarlo a Mussolini: “…considero da oggi aperto un nuovo capitolo delle relazioni tra Italia ed Inghilterra e un’era di collaborazione personale e feconda fra lui e me personalmente”. 104
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Le dimissioni di Eden furono viste con preoccupazione a Parigi, poiché era considerato il principale sostenitore dell’amicizia franco-britannica, giudicandole “in primo luogo, una netta vittoria del Duce”. 105
Furono per contro salutate con vivo compiacimento dalla stampa italiana, per la quale Eden era sempre stato una “bestia nera”.
Il nuovo ministro degli Esteri britannico diede subito notizia all’ambasciatore a Roma dell’incontro avuto con Grandi in un dettagliato resoconto inviato lo stesso giorno 21.
Lord Halifax chiariva quanto fatto presente da Grandi: un rinvio delle trattative avrebbe messo in difficoltà l’Italia, che si sarebbe trovava scoperta allo stesso tempo nei confronti dell’Inghilterra e della Germania, e quindi costretta a rinsaldare i suoi legami con la seconda. Grandi si era espresso con prudenza riguardo al ritiro italiano dalla Spagna, ma Halifax sperava che ciò si potesse presto verificare. 106
Lord Perth incontrava sollecitamente Ciano e gli manifestava la propria soddisfazione per il prossimo inizio delle discussioni. Trovandosi alla vigilia di partire per Londra, dove si recava per avere istruzioni, chiedeva a Ciano, in via personale, se avesse argomenti da proporre per l’inclusione in agenda, esprimendo l’opinione che dovevano esser affrontati i problemi già trattati nel patto mediterraneo del 2 gennaio 1937, tranne quelli ormai risolti, come la presenza italiana nelle Baleari (su cui c’era stato lo scambio di note del 31 dicembre 1936), o da affrontare in altra sede, come la situazione generale spagnola, il cui esame era rinviato allo speciale Comitato per il non intervento. Ciano si disse d’accordo, richiamando però l’attenzione sul riconoscimento dell’Impero d’Etiopia, senza che lord Perth esprimesse alcuna contrarietà. 107
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All’inizio di marzo il Foreign Office trasmetteva all’ambasciata britannica un elenco degli argomenti da trattare: indipendenza ed integrità territoriale dell’Arabia Saudita e suoi confini con Aden; problemi dell’Africa Orientale (sfruttamento delle acque del lago Tana; frontiere dell’Etiopia con il Sudan, il Kenia, la Somalia britannica; frontiera fra la Somalia italiana e britannica; interessi generali e specifici della Gran Bretagna in Etiopia; fine della giurisdizione extra territoriale in Etiopia, attività dei missionari in Etiopia).
Si insisteva pure per includere in agenda la questione spagnola, anche se Chamberlain aveva nella seduta di gabinetto del 2 marzo dichiarato che tale problema non doveva essere una condizione “sine qua non” per giungere ad un accordo con l’Italia. Le decisioni prese in questa riunione furono la base delle istruzioni impartite a Lord Perth. 108
E finalmente, dopo tante difficoltà, l’8 marzo 1938 ebbero inizio le conversazioni italo-britanniche, malgrado i problemi suscitati dalla Francia, che avrebbe voluto prender parte ai colloqui, come lord Perth lamentava in un suo telegramma al ministro. 109
Lord Halifax veniva informato il 10 dall’ambasciatore sull’andamento del primo incontro con Ciano, dedicato ad una rassegna preliminare dei vari punti all’ordine del giorno. Una volta di più Malta non era neanche ricordata, né lo fu in alcuno dei successivi 14 colloqui che si ebbero in 39 giorni, dalla data d’inizio dell’8 marzo a quella della firma conclusiva, 16 aprile 1938, come risulta dal rapporto finale, riassuntivo delle trattative, inviato da lord Perth al Foreign Office il 16 maggio 1938. 110
E già in precedenza, il 15 marzo, poco dopo l’inizio delle trattative a Roma, il Consiglio di Gabinetto britannico si era a lungo occupato della questione spagnola, per il cui esame si era deciso di invitare a Londra una rappresentanza del governo francese sì da assumere una linea
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politica comune; ma l’argomento Malta era sempre ignorato: 111 né poteva essere altrimenti, se la controparte italiana, che avrebbe dovuto essere la più interessata, non lo citava affatto.
Dal canto suo Ciano il giorno stesso dell’inizio delle trattative informava Mussolini sugli argomenti proposti dai britannici. Per l’occasione ribadiva la contrarietà ad un patto collettivo di sicurezza nel Mediterraneo, che avrebbe rimesso in giuoco la Francia: riteneva preferibile una conferma pura e semplice dell’accordo del 2 gennaio 1937. 112
Sul ritiro dei “volontari” italiani dalla Spagna e di una parte delle guarnigioni in Libia, si venne profilando un accordo. Già il 24 marzo l’ambasciatore britannico comunicava al Foreign Office che Ciano aveva dichiarato che, essendo ormai sicura la vittoria di Franco, le truppe italiane potevano essere ritirate. 113 Dalla Libia sarebbero stati ritirati 1000 uomini alla settimana, sino a dimezzarne il numero. 114
Le cose ormai andavano per il verso giusto e si era giunti alla dirittura di arrivo. Lord Perth comunicava la soddisfazione di Ciano, il 27 marzo, per la disponibilità britannica a firmare l’accordo anche prima del 15 aprile. 115
Non che fossero mancate nuove difficoltà, derivanti dagli avvenimenti internazionali.
Il 13 marzo si era verificato l’Anschluss e la situazione spagnola si era complicata, dopo il bombardamento nazionalista di Barcellona, ultimo caposaldo dei repubblicani. Chamberlain si era perciò trovato in serie difficoltà ai Comuni, fatto oggetto degli attacchi non solo dei laburisti, ma anche di quei conservatori, come Churchill e Eden, che erano ostili alla sua politica.
Ma, notava Grandi nel suo telegramma a Ciano del 22 marzo, Chamberlain aveva resistito bene a questi attacchi e non mutava la sua politica verso l’Italia. Il leader britannico doveva comunque sentire in qualche misura scossa la sua posizione politica: il suo fiduciario Ball
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chiedeva infatti a Grandi se fosse possibile organizzare per Pasqua un incontro Chamberlain-Mussolini in una località vicina al confine svizzero. 116
L’uomo politico inglese riteneva evidentemente che tale incontro sarebbe giovato al suo prestigio e l’avrebbe rafforzato politicamente. Ma il Duce non riteneva giunto il momento adatto per incontrarlo; pertanto Ciano telegrafava a Grandi il 24 marzo di lasciar cadere la proposta, poiché l’incontro si sarebbe potuto svolgere soltanto dopo la firma dell’accordo ed un “congruo periodo di tempo e di esperienza”. 117
In seguito Ciano faceva con Grandi il punto della situazione, essendo ormai prossima la conclusione delle trattative. Si era lasciata fuori dall’accordo la Palestina, il cui futuro era al momento incerto, per cui nessuna delle due parti voleva impegnarsi, in vista di possibili imprevisti. Al riguardo c’era però ottimismo: gli inglesi, scriveva Ciano, “confidano…che non sorgeranno difficoltà tra l’Italia e l’Inghilterra, dato il migliorato clima dei rapporti italo-inglesi. Nessuna difficoltà da parte nostra.”
Era stata accettata la proposta di Ciano di includere nell’accordo un richiamo alla Convenzione di Costantinopoli del 1888, che assicurava la libertà di navigazione del Canale di Suez.
Ed infine, le due questioni di fondo, riconoscimento dell’Impero e ritiro italiano dalla Spagna, sarebbero state oggetto di uno scambio di lettere tra Ciano e Perth, da pubblicarsi contestualmente all’accordo. 118
Tutto previsto, dunque, e tutto regolato per la conclusione delle trattative, che a Malta era attesa con trepidante attenzione.
Il 3 marzo 1938, cioè qualche giorno prima dell’inizio dei colloqui, il console Casertano segnalava al MAE le aspettative dei Maltesi, speranzosi per l’atteggiamento del governatore, che sembrava possibilista circa un miglioramento delle condizioni fatte all’italiano. Scriveva
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Casertano: “…da parte degli esponenti di questo Partito nazionale, di magistrati, professionisti e prelati ho ricevuto negli scorsi giorni insistenti e commoventi richieste affinché mi rendessi interprete presso l’E.V. del sentimento dei Maltesi che, in quest’ora più che mai, ripongono nel Duce ogni speranza per un ritorno della lingua italiana a Malta, in vista dell’annunciato accordo italo-britannico”.
I maltesi, secondo il console, “sarebbero per una rivendicazione totale del patrimonio linguistico” (insegnamento, toponomastica, insegne pubbliche), che avrebbe comportato l’abrogazione di numerose leggi, emanato a partire del 1927 e specialmente, negli anni 1934,1935,1936.
Casertano non si pronunciava sulla possibilità di sostenere “tali aspirazioni integrali e farne oggetto di trattative”.
Segnalava però che il governatore appariva disponibile ad attenuare l’ostracismo dato all’italiano, se il governo di Londra gli avesse consigliato concessioni nel campo scolastico, culturale e giudiziario. Il governatore gli aveva inviato una lettera, in cui accennava garbatamente alla opportunità di un “chiarimento di tutti i malintesi che interruppero la vecchia amicizia”. Era seguito un incontro informale tra i console ed il governatore, che aveva fatto un’altra incoraggiante dichiarazione: “tutto può essere chiarito con la buona volontà e spero che potremo presto parlarne”.
Casertano osservava infine che un’intesa sulla questione linguistica avrebbe rafforzato la posizione del governatore ed elencava 6 punti che a suo parere potevano figurare in un progetto di revisione della questione linguistica:
1) non adottare nessun altro provvedimento contro l’italiano;
2) ripristino del “pari passu” nell’insegnamento dell’italiano e dell’inglese, restando il maltese terza lingua ufficiale;
3) uso facoltativo dell’italiano nei tribunali;
4) insegnamento obbligatorio dell’italiano nell’università;
5) estensione graduale di tale obbligo nelle scuole medie, a partire dal primo anno;
6) riaprire l’Istituto Italiano di Cultura, assicurandone il carattere apolitico.
Erano ritenuti essenziali i punti 1,4,5,6. 119
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Ciano dava notizia di questo rapporto del console all’ambasciata a Londra, senza peraltro dimostrare interesse. Segnalava che il governatore di Malta, Bonham Carter, era partito per Londra, forse chiamato dal Colonial Office per consultazioni sul problema linguistico, anche in rapporto alle conversazioni italo-britanniche in corso. Sembrava che il governatore fosse ben disposto, ma la questione linguistica di Malta non era tra gli argomenti da discutere; comunque sarebbe stato interessante avere conferma delle posizioni del governatore ed appurare quale fosse l’orientamento del Foreign Office e del Colonial Office, “senza naturalmente far risultare costì nostro interessamento al riguardo”. 120
Ciano lasciava così cadere con distaccata indifferenza l’apertura che si era profilata da parte britannica: non solo non riteneva opportuno cogliere questa occasione per inserire Malta nell’agenda dei lavori, ma non si doveva addirittura far neanche trapelare un interesse italiano per l’argomento.
Un certo interesse comunque il rapporto di Casertano lo suscitò al MAE. Difatti, sulla questione linguistica di Malta il 1° ufficio della Direzione Generale Affari Politici compilò due appunti per Ciano.
Il primo è privo di data, ma è sicuramente posteriore al 3 marzo 1938, data del rapporto di Casertano cui fa riferimento, e precedente il 26 dello stesso marzo, data del secondo appunto, dedicato allo stesso problema e che sostituiva il precedente, su cui a matita è opposta l’annotazione “annullato”.
Alla luce del rapporto di Casertano nel primo appunto si scriveva “conviene esaminare l’opportunità di menzionare in qualche modo con gli inglesi la questione della lingua italiana a Malta”. Si ricordava la buona disposizione del Governatore segnalata dal Console e si suggeriva anche una concreta linea di condotta da seguire: “è discutibile la convenienza di includere la questione di Malta nell’agenda delle conversazioni Italo-Britanniche. Oltre tutto, un rifiuto inglese a una nostra domanda in tal senso o l’insuccesso di discussioni ufficiali al
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riguardo potrebbero avere come risultato una specie di accettazione indiretta da parte dell’Italia della situazione esistente e dei provvedimenti presi contro la nostra lingua”.
Era quindi preferibile sollevare la questione “a lato” ed in modo amichevole, come gli inglesi avevano fatto per il bombardamento di Barcellona. “Un prudente sondaggio” presso l’ambasciatore Perth avrebbe consentito di capire se gli inglesi fossero disposti a “considerare la questione della lingua italiana a Malta per quello che è: e cioè un effetto e non una causa dell’attrito Italo-Britannico”.
Ma anche entro i limiti di “un prudente sondaggio” dovette sembrare inopportuno ed azzardato ai funzionari del MAE consigliare a Ciano un intervento presso la controparte britannica: l’appunto fu annullato e sostituito da quello del 26 marzo, che si limitò a far presente che il Governatore di Malta prevede, anzi addirittura si attende qualche nostra iniziativa al riguardo, e non appare inoltre mal disposto”. Seguiva l’elenco dei provvedimenti suggeriti da Casertano, ma prudentemente si taceva del tutto sulle possibili iniziative da assumere presso gli Inglesi.
Anche questo pro-memoria sembrò inopportuno a Ciano: è annotato a matita sul documento “S.E. il Ministro non crede sia questo il momento 26/3”. 121
Oltre al console Casertano, anche i Maltesi cercavano di premere sulle trattative anglo-italiane. Mozioni per il ripristino di un governo costituzionale e dell’uso dell’italiano erano votate il 3 marzo dall’Ordine degli Avvocati ed il 14 da quello notarile. Per contro, Strickland faceva votare dal Consiglio dei Sindacati un ordine del giorno per chiedere al Governatore di adoperarsi affinché nelle trattative tra Italia ed Inghilterra “non capiti nulla che possa pregiudicare lo status delle lingua maltese e inglese nell’ambasciatore”. Le richieste di Strickland andavano oltre: auspicava difatti che il Governo di Londra emanasse una nuova
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Costituzione per limitare ancor più l’uso dell’italiano, prima che Roma facesse qualche passo per sostenerlo. 122
Enrico Mizzi, naturalmente, era particolarmente interessato alle trattative che si svolgevano a Roma. Inviava un messaggio per esprimere la fiducia dei maltesi in Ciano e Mussolini e pensava di recarsi a Roma il 10 marzo per seguire da vicino l’andamento dei colloqui, sebbene il console glielo avesse sconsigliato.
Prontissima la risposta di Ciano: ringraziava per il messaggio, ma dava disposizione al console perché, nella forma più opportuna, dicesse a Mizzi di rinviare il viaggio, dato che non sarebbe stato possibile dargli udienza. E con amarezza, il 13 marzo Alberto Hamilton Stilon scriveva ad Umberto Biscottini che Mizzi si era accinto a quel viaggio perché gli era stato promesso da Ciano e Mussolini che la questione di Malta avrebbe fatto parte di una eventuale trattativa con l’Inghilterra, per la quale sarebbe stato consultato. Gli era stato detto invece di “soprassedere”, deludendo Mizzi che riteneva infruttuose le trattative con le autorità locali. 123
Fallito così il tentativo di Mizzi di inserirsi nelle trattative fra Ciano e Perth, respinti i suggerimenti del Console Casertano, ignorate le aperture del governatore di Malta, si arrivava alla firma dell’accordo il sabato 16 aprile 1938, precedente la domenica di Pasqua.
Il documento aveva un lungo titolo: “Protocollo italo-britannico relativo a questioni di mutuo interesse, con otto atti allegati e scambi di note”. 124
Più sbrigativamente indicato come “accordi di Pasqua”, il “Protocollo” era un documento molto più complesso ed articolato del precedente “Gentlemen’s Agreement”.
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Il “Protocollo” vero e proprio consisteva in una dichiarazione di principio, che precisava che le trattative erano state ispirate dal “desiderio di porre su una base solida e duratura le relazioni tra i due Paesi e di contribuire alla causa generale della pace e delle sicurezza”. Seguivano otto accordi su questioni particolari, “ciascuno dei quali dovrà essere considerato come un atto separato e per sé stante”:
1) Conferma della dichiarazione del 2 gennaio 1937 sul Mediterraneo e delle note scambiate il 31 dicembre 1936 (attestavano l’inesistenza di mire italiane sulle Baleari).
2) Accordo per scambio di informazioni militari relative ai possedimenti di oltre mare.
3) Accordo su alcune zone del Medio Oriente (garantita l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Arabia Saudita e dello Yemen).
4) Dichiarazione relativa alla propaganda (attestato l’impegno reciproco ad evitare quella ostile).
5) Dichiarazione sul lago Tana (sfruttamento delle acque).
6) Dichiarazione sugli obblighi militari degli indigeni dell’Africa Orientale Italiana (potevano prestare servizio solo nella polizia locale).
7) Dichiarazione sulla libertà di culto dei cittadini britannici e sulle attività umanitarie ed assistenziali degli Enti religiosi britannici nell’Africa Orientale Italiana.
8) Dichiarazione sul Canale di Suez: il libero transito era garantito in base alla convenzione firmata a Costantinopoli il 29 ottobre 1888.
Seguivano le note scambiate tra le parti: in una nota Ciano garantiva il ritiro di 1000 uomini alla settimana dalle guarnigioni libiche e Perth si limitava a prenderne atto nella nota di risposta.
In un’altra nota Ciano si impegna per un progressivo ritiro dei “volontari” italiani dalla Spagna, secondo le indicazioni del Comitato per il non intervento e confermava la mancanza di aspirazioni italiane su territori spagnoli, metropolitani o coloniali. La nota britannica di risposta non si limitava stavolta ad una semplice presa d’atto, ma affermava che la soluzione
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del problema spagnolo era da considerarsi “un prerequisito per l’entrata in vigore dell’accordo tra i nostri due governi”; in cambio il governo britannico assicurava che si sarebbe adoperato nella prossima riunione del Consiglio della Lega delle nazioni per favorire il riconoscimento dell’Impero italiano d’Etiopia.
La serie degli accordi dell’aprile 1938 comprendeva anche un patto di buon vicinato tra l’Italia, l’Inghilterra e l’Egitto contro le scorrerie di bande armate e per la lotta allo schiavismo; l’adesione italiana al “Trattato navale” firmato a Londra il 25 marzo 1936 e le “assicurazioni verbali” relative alla Palestina, per cui l’Italia si impegnava a non creare “difficoltà o imbarazzi” al mandato britannico e chiedeva in cambio la protezione per “i legittimi interessi italiani in quel territorio”: protezione che veniva garantita nella risposta britannica.
Gli accordi dell’aprile 1938 relativi alla Spagna ed all’Etiopia ebbero un seguito nella riunione della Lega delle Nazioni che si svolse nei giorni 9-13 maggio dello stesso anno.
Il “protocollo” anglo-italiano fu accolto con generale favore, anche da parte di quei Paesi che avevano lamentato di esserne rimasti esclusi o che in qualche modo se ne erano sentiti minacciati. Era il caso della Francia, il cui ministro degli Esteri, Bonnet, si dichiarava lieto per la conclusione dell’accordo e comunicava che il suo Paese era impegnato in analoghe trattative. Esprimevano pure il loro consenso il delegato polacco, Kormarnicki, che salutava in quell’accordo il successo delle trattative bilaterali, ed il rappresentante romeno, Petresco-Commen, a nome anche della piccola Intesa e dell’Intesa balcanica.
Seppur esprimendo la riserva di giudicarne gli effetti sulle questioni ancora irrisolte che la Lega doveva affrontare, anche Litvinoff, delegato dell’URSS, considerava il patto di Pasqua utile per mantenere la pace.
Seguì la discussione sulla Spagna, che fu molto più animata. Lord Halifax riaffermò il principio del non intervento, suscitando la reazione del delegato della Spagna repubblicana, del Vajo, che lo giudicava un mezzo per impedire gli aiuti al governo britannico, mentre Italia e Germania continuavano ad aiutare Franco. Dopo l’intervallo del 12 maggio, dedicato al dibattito sull’Etiopia, il 13 del Vajo presentò una risoluzione per chiedere la fine della
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politica del non intervento, approvata solo dalla Spagna e dall’URSS e respinta con il voto contrario di Francia, Inghilterra, Polonia e Romania; astenuti tutti gli altri .
Alla discussione sull’Etiopia, svoltosi il 12 maggio, partecipò una delegazione di quel Paese, alla presenza dello stesso negus, Hailè Selassiè.
In tale occasione la Gran Bretagna onorò l’impegno di adoperarsi per favorire il riconoscimento della sovranità italiana. Lord Halifax in apertura dei lavori confermò la sua adesione al principio di una pacifica soluzione delle controversie tra Stati, evitando il ricorso alle armi. Ma, dato che l’Etiopia non era in condizione di riconquistare l’indipendenza con le sole sue forze, sarebbe stato necessario l’intervento di altre potenze: per salvare il bene supremo della pace, riteneva quindi opportuno lasciare agli Stati membri la libertà di decidere semplicemente se riconoscere o meno l’Impero italiano.
Alla proposta si oppose ovviamente la delegazione etiopica. A nome dell’imperatore Hailè Selassié, ras Taszaz richiamò gli Stati membri della Lega al rispetto dell’impegno di salvaguardare l’indipendenza del suo Paese ed affermò che il prezzo della pace per gli altri Paesi sarebbe stato pagato col sacrificio dell’indipendenza dell’ Etiopia. Non si arrivò ad un voto formale sulla proposta Halifax, che si ritenne implicitamente approvata poiché la maggioranza degli interventi era stata a favore; si erano espresse contro soltanto l’Unione Sovietica, la Bolivia e la Nuova Zelanda; la Cina si era riservata di prendere in seguito una decisione.
Dopo questa riunione della Lega del maggio 1936, molti Paesi riconobbero in ordine sparso la sovranità italiana sull’Etiopia. Alcuni Stati, come il Belgio, la Polonia, il Brasile, l’Irlanda, l’Olanda, oltre naturalmente a quelli amici dell’Italia fascista, Germania e Giappone, avevano già operato tale riconoscimento, accreditando i loro rappresentanti presso Vittorio Emanuele III, re d’Italia ed imperatore d’Etiopia.
Se l’accordo italo-britannico fu accolto con favore dalla Lega delle Nazioni, fu invece senz’altro negativo l’effetto prodotto sui nazionalisti maltesi, delusi perché tra tanti problemi specifici affrontati Malta era rimasta esclusa.
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Nel suo rapporto del 28 aprile 1938 il console Casertano scriveva: “…concluso l’accordo italo-britannico, si è avuto qui, nelle file nazionaliste e negli ambienti intellettuali, un momento di depressione e di sfiducia, aggravato dal compiaciuto e malevolo atteggiamento degli anti nazionalisti stricklandiani”.
Strickland aveva difatti sostenuto che gli accordi avevano sancito l’inesistenza della questione linguistica sul piano internazionale.
Mizzi in una lettera al Governatore pubblicata sul “Malta” del 21 aprile aveva affermato che “una soluzione equa e definitiva della questione linguistica” si sarebbe dovuta avere con l’accordo e, con toni insoliti, aveva lamentato: Malta “senza alcuna sua colpa, ha dovuto subire le dolorose conseguenze della tensione dei rapporti anglo-italiani”. 125
Nonostante questa cocente delusione, i nazionalisti maltesi non disarmavano. Facendo buon viso a cattivo giuoco, Enrico Mizzi il 18 aprile inviava a Mussolini un telegramma di congratulazioni, esprimendo al contempo l’augurio che “rinnovata amicizia fra le due Grandi Potenze Imperiali porti presto anche alla soluzione della questione linguistica”. 126
Ed il “Malta” del 21 maggio pubblicava una risoluzione votata il giorno 11 dello stesso mese dal circolo “La Giovine Malta” in cui si affermava che “…la recente conferma del Gentlemen’s Agreement stipulato tra l’Italia e l’Inghilterra il 2 gennaio 1937 e la felice conclusione dell’accordo italo-inglese firmato a Roma il 16 aprile u.s. e ratificato di questi giorni dal Parlamento britannico dovrebbero rimuovere ogni altro ostacolo alla rivendicazione dei nostri diritti costituzionali”. E si esprimeva il voto “che il rinnovato accordo anglo-italiano possa presto portare ad una equa e definitiva soluzione linguistica nel triplice interesse di Malta, dell’Inghilterra e dell’amicizia anglo-italiana”.
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Né erano soltanto i nazionalisti a tenere acceso, nonostante tutto, il lumicino della speranza. Anche il console, che pure aveva visto ignorato il suo rapporto del 3 marzo, il 27 giugno 1938 segnalava la partenza del luogotenente governatore Harry Luke, ritenuto il principale avversario dell’uso dell’italiano a Malta e così descritto da Casertano: “….durante 8 anni aveva agito sempre interpretando restrittivamente gli ordini di Londra e spesso era andato al di là degli ordini stessi, mortificando il sentimento nazionale dei maltesi, privandoli della propria lingua di cultura (l’italiano) e dell’autonomia che avevano sempre avuta prima”.
E quindi, proseguiva il console, “la sua partenza da Malta potrebbe significare la possibilità di una ripresa della lingua italiana su nuove basi, nell’uso e, soprattutto, nell’insegnamento medio ed universitario”.
In conclusione, si prospettava la possibilità di una trattativa preliminare a Londra o a Roma, lasciando a Malta la definizione dei dettagli dell’accordo da raggiungere.
Secca risposta negativa di Ciano: “…informo la S.V. che non ritengo attualmente opportune trattative con il Governo Britannico circa la lingua italiana a Malta”. 127
Per l’entrata in vigore degli “accordi di Pasqua” si rendevano necessarie nuove convenzioni tra le due parti per stabilire i particolari dell’attuazione. Ad esse affidava le sue tenaci speranze Enrico Mizzi, che si augurava che “nel caso di colloqui che si svolgeranno a Roma, venga da parte dell’Italia richiesta almeno qualche assicurazione generale, e raccomandato il principio di far di Malta un punto di incontro, anziché di attrito, degli interessi italo-britannici”. Così riportava il pensiero del leader nazionalista il console Casertano nel suo rapporto al MAE del 6 ottobre 1938, con il quale comunicava la venuta a Roma del leader nazionalista, che chiedeva di esser ricevuto da Mussolini e da Ciano.
Sempre il 6 ottobre, Casertano inviava una lettera personale all’amico Lanza d’Ajeta esponendogli le preoccupazioni di Mizzi perché un mancato intervento italiano avrebbe definitivamente compromesso l’uso dell’italiano a Malta. Il console appoggiava la richiesta di
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Mizzi, in partenza per Roma quel giorno stesso, di poter incontrare Mussolini e Ciano e riteneva necessario un diretto interessamento del Duce alla questione maltese (l’ultimo intervento di Mussolini risaliva all’incontro avuto con l’ambasciatore Drummond 5 anni prima, il 27 novembre 1933), poiché erano fondamentali per future trattative “le dichiarazioni del Capo”. 128
La richiesta d’incontro con Mussolini e Ciano avanzata da Mizzi, di cui si faceva presente il timore che la situazione linguistica di Malta fosse definitivamente compromessa in caso di un mancato intervento italiano, era trasmessa al Ministro degli Esteri con un appunto del Gabinetto in data 8 ottobre. Sulla prima pagine dell’appunto è segnato a matita: “sarà ricevuto solo da S.E. il Ministro l’11 ottobre alle ore 18.30”. 129
Il colloquio con Ciano chiarì definitivamente a Mizzi quale fosse l’orientamento politico italiano per Malta. In una sua lettera privata diretta all’amico Casertano il 18 ottobre 1938, Lanza d’Ajeta scriveva che Mizzi gli era apparso uomo “di un patriottismo cristallino, onesto ed aperto, ma di un fondamentale egocentrismo, che non è accompagnato da alcuna spiccata dote di organizzatore politico”.
Mussolini non aveva ritenuto opportuno riceverlo e quindi aveva incontrato solo Ciano, che, su istruzione del Duce, gli aveva detto: “…l’Italia ha ben presente le aspirazioni e le necessità del popolo maltese. Nell’attuale fase delle relazioni italo-britanniche, il governo fascista non può assumere decisamente un atteggiamento in favore della lingua italiana a Malta. L’accordo che dovrebbe entrare in vigore, se si risolvono alcune necessarie condizioni, entro un breve periodo di tempo, non considera la questione maltese.
Se questa fosse sollevata ora da noi importerebbe, molto inopportunamente per noi, numerose altre richieste da parte inglese. Quindi a Malta ci penseremo dopo che l’accordo avrà effettivamente preso vita.
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Sarà allora più facile presentare agli Inglesi una nostra richiesta per eliminare una grave causa di attrito e incomprensione. Se invece l’accordo non si realizzasse (e ciò significherebbe una rottura politica quasi definitiva), studieremmo subito i mezzi per lottare in favore dell’italianità dell’Isola. Mizzi, che ho visto dopo l’udienza, mi ha vagamente accennato che avrebbe preferito una immediata presa di posizione. Tuttavia ha compreso la nostra situazione quale gli è stata prospettata chiaramente da S.E. il Ministro. Avrebbe desiderato esser ricevuto anche dal Duce, ma per questa udienza gli è stato detto dal conte Ciano che il Capo si assentava da Roma per vari giorni”. 130
Altre voci si levarono comunque a sostegno di una trattativa per salvare l’uso dell’italiano a Malta. Il “Corriere della Sera” del 13 novembre 1938 (“La politica dell’Asse e lo spirito di Monaco”), a proposito della nuova costituzione che si veniva preparando per Malta e della possibilità di colloqui italo-britannici sul problema linguistico dell’isola, scriveva: “Si riconosce infatti che i provvedimenti adottati a suo tempo dalle autorità imperiale britanniche non rispondono più alla nuova atmosfera creata dagli accordi Ciano-Perth nei rapporti fra i due Paesi e che il mantenimento dell’odioso ostracismo dato contro la lingua italiana contribuirebbe a tener vivo il malumore del tutto inopportuno nell’attuale momento internazionale”.
Si era ormai giunti all’immediata vigilia dell’entrata in vigore dell’ “accordo di Pasqua”.
Il 16 novembre 1938 difatti Ciano e Perth firmavano la dichiarazione che lo sanciva ed in pari data si procedeva ad uno scambio di note tra i due e l’incaricato d’affari egiziano a Roma, Mohamed Hosni Omar, che veniva in tal modo messo ufficialmente a conoscenza dell’accordo.
All’entrata in vigore del patto seguì l’accreditamento di lord Perth quale ambasciatore presso il re d’Italia ed imperatore d’Etiopia: in tal modo si riconosceva ufficialmente la sovranità italiana sul paese africano; in modo analogo si regolarono gli altri Stati.
L’ultimo passo per l’entrata in vigore dell’accordo anglo-italiano e per il riconoscimento dell’Impero era stato compiuto con l’esito positivo del dibattito al Parlamento britannico per la ratifica del “patto di Pasqua”.
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Non mancarono però le espressioni di dissenso, in particolar modo alla Camera dei Comuni, dove il dibattito si svolse nei giorni 1 e 2 novembre 1938.
Era recente l’incontro di Monaco (29 settembre), che costituì il momento di maggior successo per la politica estera italiana, essendo apparso Mussolini il salvatore della pace e l’arbitro dei contrasti che opponevano la Germania alla Francia ed all’Inghilterra. In occasione del dibattito alla Lega delle Nazioni, nel maggio 1938, il sacrificio dell’Etiopia aveva assicurato il mantenimento della pace; altrettanto avvenne a Monaco abbandonando la Cecoslovacchia alla sua sorte: ben presto gli eventi dimostrano quanto precario e fragile fosse l’equilibrio politico così assicurato.
Proprio dall’accordo di Monaco prese le mosse Chamberlain illustrando la situazione politica europea in relazione all’accordo anglo-italiano, di cui chiedeva la ratifica parlamentare. Il premier britannico negava che Monaco fosse stata una disfatta per la Gran Bretagna: era stato un accordo, favorito appunto dal patto italo-britannico, fra due potenze democratiche, Francia ed Inghilterra, e due potenze totalitarie, Italia e Germania: in tal modo si era salvata la pace. Chamberlain negava pure che l’egemonia economica tedesca nell’Europa centrale potesse rappresentare una minaccia per l’Inghilterra, confutando queste tesi, sostenute dal leader laburista Clemente Attlee.
Il dibattito si aprì il 2 novembre sulla mozione presentata dallo stesso Chamberlain, che sosteneva l’entrata in vigore degli accordi con l’Italia. A sostegno della sua mozione Chamberlain affermava pure che la guerra civile spagnola non costituiva ormai una minaccia per la pace, basandosi sulle affermazioni di Hitler e Mussolini di non nutrire mire territoriali in Spagna. L’ulteriore conferma della buona volontà italiana era rappresentata dal ritiro di 10.000 uomini del contingente di “volontari” che aveva partecipato al conflitto iberico. Chiariva poi Chamberlain che l’entrata in vigore dell’accordo con l’Italia comportava il riconoscimento dell’Impero italiano d’Etiopia: era questo un atto politico obbligato: se la Gran Bretagna non l’avesse compiuto, si sarebbe condannata all’isolamento.
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A conclusione del suo intervento, il premier inglese citava le lettere di sostegno alla sua politica, inviate dal primo ministro australiano, Lyons, e da quello del Sud Africa, generale Hertzorg.
Il fuoco di sbarramento all’approvazione della mozione presentata da Chamberlain si aprì con l’intervento del capogruppo laburista, Greenwood, che accusò Chamberlain di fare troppe concessioni ai dittatori, senza peraltro ottenere una contropartita. L’accordo con i dittatori significava concedere loro la libertà di continuare il massacro di civili spagnoli; era solo un inganno il ritiro di 10.000 militari italiani e l’Impero italiano di Etiopia non doveva essere riconosciuto, in quanto gran parte di quel paese non era ancora sotto il controllo italiano ed esisteva una intensa resistenza all’occupazione.
Nello stesso senso si esprimeva un altro deputato laburista, Noel Walter, che affermava che riconoscere la sovranità italiana sull’Etiopia significava tradire i valorosi che ancora resistevano.
Ma il dissenso più clamoroso verso la politica di Chamberlain fu espresso dal suo ex Ministro degli Esteri, Antony Eden, che si oppose denunciando la prosecuzione dell’appoggio, sia terrestre che aereo, fornito a Franco dall’Italia.
L’esito del voto parlamentare fu comunque largamente favorevole alla mozione Chamberlain, approvata con 345 voti favorevoli contro 138 contrari .
Si ebbe pure l’astensione di una decina di conservatori, fra i quali spiccavano i nomi di tre futuri premier: Churchill, Eden e Mac Millan.
Il giorno successivo, 3 novembre 1938, un’analoga mozione presentata a nome del governo del ministro degli esteri, Halifax, passava alla Camera dei Lord con 55 voti a favore e 6 contrari.
Il contro-canto al dibattito del Parlamento britannico si ebbe con il discorso di Ciano, tenuto alla Camera il 30 novembre.
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Il ministro degli esteri affermò che gli accordi italo-inglesi non rappresentavano “affatto un puro e semplice ritorno alla tradizionale amicizia, così come era intesa in tempi molto diversi dagli attuali”.
Si trattava di “un complesso di intese che, tenendo conto delle nuove realtà europee, mediterranee e africane” assicuravano in modo assolutamente paritario sul piano morale, politico e militare i rapporti tra i due Imperi. 131
Al discorso di Ciano seguirono le grida ostili dei parlamentari contro la Francia, in appoggio alle rivendicazioni sulla Tunisia, la Corsica e Nizza. La manifestazione non impedì però all’ambasciatore Perth di esprimere a Ciano il suo apprezzamento, in una lettera inviatagli lo stesso 30 novembre, per “l’importante discorso pronunciato questa sera e che io ho ascoltato con il più grande interesse”. 132
Molto meno favorevoli furono le reazioni del mondo politico britannico. Grandi segnalava infatti una levata di scudi anche da parte dei conservatori contro le rivendicazioni italiane sui territori francesi e preannunciava interrogazioni parlamentari al riguardo.
Il laburista Henderson, ex ministro degli Esteri, chiedeva assicurazioni che l’accordo con l’Italia non avrebbe pregiudicato gli obblighi britannici verso la Francia e proponeva l’annullamento della visita di Chamberlain a Roma, programmata per un’ ulteriore verifica dei rapporti tra i due Paesi all’indomani dell’entrata in vigore dell’ “accordo di Pasqua”.
Il conservatore Pilkington chiedeva se nel corso dei negoziati tra Ciano e Perth fosse stato precisato che l’impegno italiano a mantenere lo “statu quo” mediterraneo si riferiva anche a Nizza, alla Corsica ed alla Tunisia.
Ed un altro conservatore, Spears, interrogava il governo per chiedere se Chamberlain avesse intenzione di chiarire che l’amicizia anglo-italiana non poteva mantenersi se non fosse stata accantonata ogni pretesa italiana sui territori francesi. In quella situazione, concludeva Spears, era inutile la visita di Chamberlain a Roma. 133
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In questa agitata situazione politica londinese, Grandi si manteneva in continuo contatto con Roma.
Il 4 dicembre comunicava che l’accoglienza al discorso di Ciano del 30 novembre non era stata ostile, ma che si doveva registrare un “meravigliato sgomento” per la dimostrazione anti francese dei deputati italiani seguita a quel discorso. Il governo britannico aveva cercato di gettare acqua sul fuoco, cercando di contenere le reazioni della stampa e facendo pressione sui parlamentari del partito conservatore, la cui sinistra era però decisamente filo-francese. Chamberlain aveva comunque confermato la visita a Roma, fissata per l’11 gennaio 1939.
A questo telegramma del 4 dicembre facevano seguito altri due del giorno 5. Nel primo Grandi segnalava che le richieste italiane su Gibuti e Suez trovavano una certa comprensione negli ambienti politici britannici, mentre invece c’era molta ostilità per le rivendicazioni sulla Tunisia, che lo stesso ambasciatore italiano aveva cercato di sostenere, affermando che la convenzione italo-francese del 1896, con la quale si riconoscevano i diritti francesi sulla Tunisia, era stata estorta dopo la sconfitta italiana di Adua.
Esisteva inoltre una stretta connessione tra il problema etiopico e quello tunisino (Grandi però non spiegava in che cosa consistesse tale connessione).
E sempre della Tunisia Grandi si occupava nel secondo telegramma del 5 e comunicava di aver fatto presente che l’accordo di Monaco dava garanzie per le minoranze tedesche, polacche ed ungheresi nell’Europa centrale e che analogamente occorrevano garanzie per i 50.000 italiani che lavoravano in Tunisia da 75 anni ed avevano costruito un nuovo paese. Se il governo inglese e quello francese non avessero compreso questa necessità, ne sarebbero stati compromessi l’accordo anglo-italiano e la pace nel Mediterraneo. 134
Le reazioni suscitate a Londra dalla manifestazione antifrancese alla Camera, in occasione del discorso di Ciano del 30 novembre, spingevano lord Perth a chiedere spiegazioni amichevoli,
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senza compiere un passo ufficiale presso il governo di Roma, circa l’intenzione italiana di attenersi agli “accordi di Pasqua”. Ne dava notizia Ciano a Grandi il 5 dicembre, approvando la condotta dell’ambasciatore e comunicandogli di aver confermato a Perth il rispetto degli accordi, poiché la manifestazione alla Camera era stata spontanea ed il governo non ne era responsabile. 135
Chamberlain citava questo incontro tra Perth e Ciano nella sua risposta ai Comuni, il 5 dicembre, alle interrogazioni presentate sui rapporti italo-francesi, che rischiavano di compromettere l’accordo di Monaco oltre che quello anglo-italiano. Chamberlain confermava il suo viaggio a Roma nel gennaio 1939 e faceva sua l’affermazione di Ciano sull’estraneità del governo alla manifestazione antifrancese inscenata alla Camera, nonostante lo scetticismo espresso da Attlee sulla possibilità che nelle condizioni politiche dell’Italia ci fossero manifestazioni spontanee. 136
Chamberlain, in occasione del discorso ala stampa estera, il 13 dicembre 1938, dava ancora conferma della sua visita a Roma e ne chiariva le finalità. Il premier britannico faceva il punto sulla politica estera perseguita nel 1938, che aveva registrato gli accordi bilaterali con l’Irlanda e con l’Italia e quello a 4 raggiunto a Monaco.
Affermava che si sarebbe recato a Roma “per discutere tutte le questioni di interesse comune” e che non ci sarebbe stato un vincitore e uno sconfitto: grazie ad una maggiore fiducia reciproca, si sarebbe potuto “conseguire un senso generale di stabilità e di sicurezza”. 137
Ma le assicurazioni fornite ai Comuni da Chamberlain il 5 dicembre non esaurirono il dibattito parlamentare sulla politica estera del governo.
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L’incaricato d’affari italiano, Crolla, in assenza di Grandi informava il MAE il 20 dicembre sul nuovo dibattito svoltosi ai Comuni, in occasione del quale il laburista Dalton aveva mosso un forte attacco a Chamberlain, accusato di aver condotto una politica estera inetta che nel giro di 7 anni aveva causato un declino dell’influenza britannica nel mondo. Chiedeva conferma del proposito di cedere all’Italia un territorio per costruire un corridoio tra Libia ed Etiopia, in cambio della cessione di territori abissini.
A sorpresa, Dalton, con una notevole apertura verso le richieste italiane, proponeva poi un arbitrato sull’amministrazione del protettorato francese sulla Tunisia e si spingeva fino a chiedere la restituzione di alcuni territori coloniali alla Germania, nel quadro di un accordo politico generale e di una diversa politica tedesca verso gli ebrei.
Con durezza un altro laburista, Alexander, criticava Chamberlain che aveva dato l’impressione di lasciare mano libera a Hitler nell’Europa centrale e chiedeva che Mussolini fornisse precise garanzie sul ritiro dalla Spagna, prima del viaggio a Roma del premier britannico.
Chamberlain rispondeva di voler andare a Roma senza un’agenda preordinata e di non proporsi nuovi accordi; prevedeva soltanto di avere uno scambio di vedute su tutte le questioni di mutuo interesse, allo scopo di rafforzare la fiducia reciproca e migliorare i rapporti tra i due Paesi .
Taceva sull’eventuale scambio di territori con l’Italia, che sarebbe giovato a creare un collegamento tra il territorio libico e quello etiopico e lasciava pure cadere la proposta di Dal ton di un arbitrato sulla Tunisia e della restituzione di alcune colonie alla Germania. 138
Come da programma, Chamberlain, accompagnato da lord Halifax, ministro degli Esteri, si recò a Roma ed ebbe l’11 gennaio 1939 il primo incontro con Mussolini, che gli confermò la volontà di pace italiana, necessaria anche per valorizzare i territori coloniali.
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A base della politica estera dell’Italia restava l’Asse con Berlino, che non era però incompatibile con gli accordi anglo-italiani e non impediva lo stabilirsi di buoni rapporti tra Germania e Francia. La Spagna franchista era una pregiudiziale nei rapporti franco-italiani e costituiva una barriera necessaria contro la minaccia bolscevica, che Mussolini, a differenza di Chamberlain, riteneva sempre attuale.
Nel suo brindisi al pranzo offertogli quello stesso giorno, il premier inglese espresse ancora una volta la convinzione che nel Mediterraneo non esistevano ragioni di conflitto e che l’accordo con l’Italia avrebbe aperto un nuovo capitolo di amicizia tra i due paesi, utile alla generale stabilità politica dell’Europa.
Il 12 gennaio ci fu il secondo incontro fra i due premier. Il duce confermò l’estraneità del governo alla manifestazione anti francese svoltasi alla Camera il 30 novembre. Ammise che con la Francia esisteva uno stato di tensione, che aveva indotto il governo italiano a denunciare il 17 dicembre 1938 gli accordi italo-francesi del gennaio 1935.
Non chiedeva comunque all’Inghilterra alcuna mediazione con la Francia: conclusa la guerra di Spagna con l’ormai imminente vittoria di Franco, si sarebbe potuto avere un diretto accordo fra Italia e Francia. All’auspicio di Chamberlain che si attenuassero le polemiche sulla stampa, Mussolini rispose con assicurazioni generiche e con la proposta che in applicazione degli accordi anglo-italiani si desse “inizio alla regolamentazione definita delle piccole questioni coloniali ancora in sospeso”.
Chamberlain si disse d’accordo ed espresse le sue preoccupazioni per il riarmo e le mire espansionistiche della Germania.
Mussolini riconobbe che c’era stato un riarmo tedesco, ma solo a scopo difensivo, in risposta al riarmo degli altri Paesi.
Erano quindi da escludersi iniziative militari tedesche contro la Francia o contro l’Ucraina.
Mussolini concludeva che erano già soddisfacenti i rapporti anglo-italiani, per cui non erano necessari nuovi accordi. 139
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Tesi confermata dalla nota apparsa il 16 gennaio 1939 nel numero 26 dell’ “Informazione Diplomatica”: “per quanto concerne i rapporti italo-britannici non c’era nulla di sensazionale da discutere dato che tali rapporti sono stati globalmente e particolarmente definiti negli Accordi del 16 aprile entrati in vigore il 16 novembre; accordi che da parte italiana come da parte inglese hanno già avuto un principio di leale applicazione”.
Chamberlain a sua volta si dichiarava del tutto soddisfatto: nel discorso tenuto al ritorno in patria, il 28 gennaio 1939 a Birmingham, affermava che l’accordo di Monaco era una tappa del processo di pace, iniziato con lo scambio di lettere tra lui stesso e Mussolini nel luglio 1937 e proseguito con gli accordi dell’aprile 1938; riconosceva al Duce un ruolo essenziale per mantenere la pace nel mondo: “…senza il miglioramento dei rapporti fra Gran Bretagna ed Italia non avrei mai potuto ottenere la cooperazione di Mussolini in settembre, e senza la sua cooperazione non credo che la pace avrebbe potuto essere salvata”. 140
Concetti che Chamberlain riprendeva il 31 gennaio, in occasione del dibattito ai Comuni originato dalle interrogazioni presentate dal laburista Bellanger e dal conservatore Micheson. Ancora una volta il premier britannico rilasciava a Mussolini una patente di piena affidabilità: “Io desidero ricordare alla Camera che il signor Mussolini nello scorso settembre diede prova sia della sua abilità che del suo desiderio di intervenire in favore della pace”. Dichiarandosi lieto della collaborazione promessa da Mussolini in caso di nuove necessità, Chamberlain informava poi i parlamentari sullo svolgimento degli incontri romani: “Per quanto riguarda il Mediterraneo il signor Mussolini ha espresso la sua soddisfazione per i termini dell’accordo anglo-italiano ed ha reiteratamente dichiarato che l’Italia intendeva osservare gli obblighi assunti in base all’accordo”. Chamberlain comunicava che si era proceduto allo scambio di informazioni militari, che si era concordato di procedere a discussioni per regolare i confini tra l’Africa Orientale Italiana, il Sudan e gli altri territori britannici adiacenti. I rapporto italo-francesi, proseguiva Chamberlain, erano turbati dal problema della Spagna, sui cui territori erano comunque da escludersi aspirazioni dell’ Italia. Ed infine Chamberlain trovava una scappatoia per spiegare perché non si era occupato con Mussolini della grave situazione degli ebrei in Germania ed in Italia: il “problema giudaico” aveva un carattere generale e quindi non poteva essere oggetto di discussioni bilaterali”. 141
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Altre, più clamorose “distrazioni” relative al “problema giudaico” vi saranno poi nel corso del conflitto mondiale.
Se a Londra gli oppositori del governo Chamberlain manifestavano i loro dubbi e le loro contrarietà all’accordo anglo-italiano, a Malta i nazionalisti erano ancora una volta profondamente delusi perché il problema maltese continuava ad essere ignorato negli incontri italo-britannici.
Mario Canino, nuovo console italiano a Malta, scriveva al MAE il 1° febbraio 1939 che nelle file del partito nazionalista si era aperta una crisi, “per un disorientamento, cui ora non è estraneo un senso di disillusione, avendo molti, anche tra coloro che sarebbero in condizione di meglio valutare la situazione generale, sperato che dai recenti colloqui romani non fosse escluso un qualche favorevole accenno a ciò che ad essi preme, e che è anche la loro ragione di essere: il diritto al rispetto della propria civiltà.
Da quando sono qui, le più eminenti e rispettate personalità maltesi, lo stesso sir Ugo Mifsud e sir Arturo Mercieca, cercano in tutti i modi di avere da me qualche indicazione a questo riguardo, più precisa se non addirittura impegnativa, delle generiche, ma calorose e convinte mie assicurazioni, calcate facilmente su quanto mi autorizzò ad esprimere l’E.V.”. 142
In realtà, il disorientamento dei maltesi appare ben giustificato, così come la loro risentita impazienza, che il precedente console, Raffaele Casertano, aveva già segnalato all’amico Lanza d’Ajeta. Il timore di una guerra imminente, che presumibilmente avrebbe comportato bombardamenti su Malta, rendeva i maltesi “atterriti, abbacchiati, e anche ostili” verso l’Italia. Tutti, anche i nazionalisti, avrebbero voluto “che la questione si risolvesse una buona volta non sulla pelle dei poveri maltesi ma fra Italia e Inghilterra amichevolmente, o che di essa non si parlasse più” 143
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Era difatti duro da accettare che, all’indomani dell’accordo raggiunto a Monaco il 29 settembre sugli equilibri politici europei, che aveva segnato il momento più alto delle fortune politiche di Mussolini in Europa; con un governo britannico osannante ai meriti del Duce per bocca dello stesso premier, molto ben disposto, se non addirittura remissivo nei confronti dell’Italia; quando l’Italia aveva già incassato la fine delle sanzioni ed il riconoscimento dell’Impero; Ciano nel suo incontro con Mizzi l’1 ottobre 1938 affermasse che per evitare la richiesta di contropartite da parte britannica, era preferibile non porre sul tappeto il problema linguistico di Malta, rinviando la discussione ad imprecisati tempi migliori. 144
Posizione attendista che non ebbe però alcun effettivo seguito operativo, anche se restava sempre l’accenno ad azioni da svolgere in un futuro quanto mai nebuloso. In un appunto del Gabinetto per Ciano, in data 9 settembre 1938, si proponeva di finanziare la campagna elettorale dei nazionalisti con 130-150.000 lire “…poiché appare nostro interesse che la questione di Malta rimanga sempre aperta, anche in previsione di eventuali trattative con il Governo britannico…”145. Il finanziamento ci fu, ma non la trattativa su Malta con l’Inghilterra: difatti negli incontro del gennaio 1939 tra Mussolini e Chamberlain si discussero minuti particolari sui confini tra i territori italiani e britannici nell’Africa Orientale, peraltro già contemplati negli “accordi di Pasqua”, ma non si fece neanche un vago accenno a Malta ad onta di tutte le solenni dichiarazioni, tante volte ripetute, sull’italianità dell’isola ed i vincoli che la legavano all’Italia; dell’impegno messo nel creare nell’isola strutture scolastiche e culturali; dei finanziamenti a varie riprese elargiti ai nazionalisti. Solo in occasione del conflitto mondiale l’italianità di Malta sarà sbandierata come un motivo di propaganda bellica e la rivendicazione della sovranità italiana su di essa si unirà alle altre sulla Corsica, sulla Tunisia, su Nizza.
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Quale fosse la disponibilità inglese ad accogliere eventuali richieste italiane relative alla questione linguistica di Malta, può anche desumersi dalle specifiche espressioni di simpatia a tale riguardo, oltre che dalle dichiarazioni generalmente filo-italiane, adoperate dal ministro britannico della guerra, Hore Berisha, che nell’aprile 1938, proprio in concomitanza con la firma degli “accordi di Pasqua”, visitò Malta.
Grandi comunicava a Roma il 5 aprile 1938 l’imminente viaggio del Ministro a Malta, ove si sarebbe trattenuto dal 14 aprile in poi, per circa una settimana. Berisha nel viaggio di ritorno avrebbe preferito passare dell’Italia, piuttosto che dalla Francia, e sperava di poter incontrare Mussolini in tale occasione. Grandi sottolineava l’influenza politica di Berisha, leader del Partito Liberale Nazionale, molto popolare nelle forze armate e nel Paese, sostenitore convinto della politica di Chamberlain di avvicinamento all’Italia.
Ciano rispondeva subito a Grandi esprimendo il suo gradimento e promettendo il suo impegno per favorire l’udienza con Mussolini, dopo il 23 aprile, anche se faceva presente la possibilità che in quel periodo il Duce si trovasse fuori Roma. Con successivo telegramma del 10 aprile Ciano confermava poi la possibilità dell’incontro. 146
Prudentemente Ciano provvedeva pure a tranquillizzare il sospettoso alleato tedesco, incaricando l’ambasciatore d’Italia a Berlino, Magistrati, di spiegare a von Ribentropp, divenuto ministro degli Esteri, che la visita era puramente casuale, non sollecitata da parte italiana e priva di significato politico: “Era stata molto anzi troppo gonfiata dalla stampa e ciò non ci ha fatto piacere”, concludeva il telegramma. 147
Sull’andamento della visita a Malta di Hore Belisha forniva un dettagliato resoconto al MAE il console Casertano. Il ministro si era lasciato andare ad una accesa filippica antitedesca (i sospetti di von Ribentropp non erano ingiustificati) ed aveva affermato che l’accordo anglo-italiano
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avrebbe dovuto stipularsi con un anno di anticipo per evitare l’ “anschluss”; l’appetito tedesco era “insaziabile” e mirava non solo all’egemonia in Europa, sua anche a conquiste coloniali, in particolare nel Marocco spagnolo; trovava “inqualificabile” il passaggio di una squadra navale tedesca al largo di Malta, avvenuto il 20 aprile. Proponeva poi, per contenere l’aggressività tedesca, un’intesa italo-francese, caldeggiata dal premier d’oltr’Alpe, Daladier.
Ed infine, telegrafava Casertano, “egli ha accennato con simpatia alla possibilità di adottare lingua italiana a Malta, facendo intendere, senza entrare in merito, che eventuali concessioni potranno essere esaminate di comune accordo”. 148
Fino a che punto si spingesse in quel periodo il corteggiamento britannico nei confronti dell’Italia, si ricava ancora da un altro significativo episodio. Il 30 dicembre 1937 Casertano trasmetteva al MAE la lettera inviatagli dal governatore Bonham Carter, che si diceva felice della progettata visita di una squadra navale italiana. Il console, all’oscuro di tale progetto, ne chiedeva conferma. 149
Si trattava in realtà di una forzatura britannica per sollecitare la visita di navi italiane, come chiariva una lettera del Ministro della Marina al MAE, il 15 gennaio 1938: negli incontri svoltosi poco tempo prima a Biserta tra l’ammiraglio Bernolti e l’ammiraglio Pound, ed in quelli di Pola e Venezia tra gli ammiragli Salza e Pesetti e l’ammiraglio Kennedy Purvis, nessuno aveva parlato di questa visita. L’unico precedente, negativo, era una generica richiesta di informazioni avanzata nell’ottobre 1937 dal capo-gabinetto del Ministro italiano della Marina all’addetto navale britannico circa la dislocazione della nave ammiraglia della flotta inglese del Mediterraneo, in caso della restituzione della visita di unità britanniche in porti italiani.
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Giocando d’anticipo, navale britannico avere comunicato il 29 dicembre il gradimento per una visita a Malta di navi italiane; al che il capo-gabinetto aveva precisato che la richiesta di informazioni fatta in ottobre era solo un generico preliminare, per nella impegnativo. 150
La visita, effettuata dalle corazzate “Cavour” e “Giulio Cesare”, scortate da 4 cacciatorpediniere, al comando dell’ammiraglio Riccardi, si svolse comunque dal 21 al 24 giugno 1938 e, seppure così scopertamente sollecitata da parte britannica, suscitò le preoccupazioni del Governatore, che, temendo manifestazioni filo-italiane ed anti-britanniche, cercò di limitare i contatti degli equipaggi italiani con i nazionalisti maltesi.
La stampa diede molto risalto all’avvenimento, che suscitò un’interrogazione ai Comuni del laburista Wedgwood, di cui diede notizia il “Malta Chronicle”, attirandosi perciò un rimbrotto dell’ ammiraglio Pound. 151
Ed un altro ammiraglio inglese residente a Malta, Ford, nell’accogliere con viva simpatia al suo arrivo il nuovo console italiano, Canino si era spinto fino ad elogiare l’intervento italiano in Spagna, augurandosi la vittoria di Franco, e, senza timore del ridicolo, aveva “avuto anche espressioni di viva ammirazione per l’attività sportiva del Duce e per la sua magnifica forma”. 152
Ma, anche se erano numerosi e concomitanti gli indirizzi che attestavano la possibilità di proficue trattative sulla questione maltese, erano indirizzate altrove le aspirazioni e gli obiettivi della politica italiana.
Nell’aprile del 1939 esplose infatti la questione albanese.
Il 6 aprile l’incaricato d’affari italiano, Crolla, illustrava al Foreign Office le ragioni per cui l’Albania era da ritenersi “un interesse esclusivamente italiano e come tale universalmente riconosciuto”.
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Da parte britannica si riconosceva “l’esistenza di particolari interessi italiani in Albania” che non erano però esclusivi; e si avanzavano inoltre “le più ampie riserve” nel caso che l’Italia considerasse la questione albanese estranea agli accordi sul Mediterraneo.
Con altro telegramma in pari data, Crolla informava il MAE sul dibattito svoltosi ai Comuni, dove il laburista Henderson aveva interrogato il governo per sapere se l’ambasciatore Perth avesse fatto presente al governo italiano che ogni mutamento dello “statu quo” nel Mediterraneo era contrario all’accordo anglo-italiano: Chamberlain aveva risposto che Roma certo ne era ben consapevole. 153
Qualche giorno dopo il diplomatico italiano incontrava il Ministro degli Esteri, lord Halifax, spiegando nuovamente le ragioni dell’intervento italiano: l’Italia aveva in Albania interessi e vi aveva fatto quindi investimenti. Re Zog, anziché accettare l’offerta italiana di un trattato a garanzia dell’indipendenza albanese, era scappato ed il popolo albanese aveva rivolto un appello all’Italia perché intervenisse. Sarebbe quindi stata pacifica l’occupazione del paese, che non doveva destare alcun allarme nei Paesi confinanti, Grecia e Iugoslavia, né avrebbe leso gli accordi con l’Inghilterra. Halifax con una certa vivacità aveva replicato che l’accordo con l’Italia era stato alla base della politica estera britannica, oltre che della carriera personale sua e di Chamberlain: non si poteva quindi accantonarlo. Pur riconoscendo la preminenza degli interessi italiani in Albania, lamentava che si fossero interrotte le trattative, facendo ricorso alle armi. Come gesto di buona volontà italiana, chiedeva infine che fosse ultimato il ritiro delle truppe dalla Spagna. 154
In risposta a tali informazioni, il 9 aprile Ciano trasmetteva a Crolla queste istruzioni: l’occupazione dell’Albania si svolgeva tra l’entusiasmo delle popolazioni, al cui “stato di inedia” il governo fascista prestava “un soccorso immediato”. Affermava con solennità: “Lo
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statuto futuro dell’Albania avrà un carattere ispirato alle tradizioni giuridiche di Roma” e, venendo incontro alla richiesta di Halifax, assicurava che era già stato disposto il rimpatrio dei legionari italiani dalla Spagna. Continuava in tono conciliante: “Un’eventuale crisi dei rapporti italo-inglesi sarebbe veramente deplorevole. Potete anzi dire che “le jeu ne vaut pas la chandelle” dei rapporti tra Italia e Inghilterra, che sono vicine in tante parti del mondo”. 155
Attenendosi alle istruzioni, Crolla incontrava lo stesso giorno Halifax, che si mostrò compiaciuto per il ritiro italiano dalla Spagna e chiese garanzie, ottenendole, circa il rispetto del territorio greco, poiché il governo di Atene temeva l’occupazione di Corfù. Esprimeva fiducia in Mussolini come uomo di pace ed esaltava il valore dell’accordo con l’Italia, affermando: “Chamberlain ed io intendiamo fare tutto quello che è in nostro potere per mantenere in vita non solo gli accordi italo-britannici ma anche quella attiva cooperazione italo-britannica che gli accordi stessi mirava (sic) a consacrare”. 156
Crolla manteneva con Halifax un contatto quotidiano: il 10 aprile l’incontrava ancora per comunicargli la personale garanzia di Mussolini su Corfù. Il Ministro lo ringraziava ed affermava che, pur essendo l’occupazione dell’Albania in contrasto con gli accordi stipulati, l’Inghilterra avrebbe cercato di mantenere sempre buoni rapporti con l’Italia, come previsto dagli accordi stessi. 157
L’unica reazione inglese all’iniziativa italiana in Albania fu quella di accreditare il nuovo ambasciatore a Roma, sir Percy Lorraine, che succedeva a lord Perth, omettendo nelle credenziali la qualifica di “re d’Albania” per Vittorio Emanuele III: lord Perth, a nome di Halifax, ringraziò Mussolini per aver accettato l’accreditamento nonostante tale omissione. 158
La tenace volontà britannica di salvare ad ogni costo “l’accordo di Pasqua”, e con esso la pace, è testimoniata ancora dalla risposta data il 24 maggio 1939 all’interrogazione presentata dal laburista Henderson ai Comuni: il patto militare italo-tedesco appena stipulato, il 22
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maggio, non era incompatibile con gli accordi mediterranei stipulati tra Inghilterra ed Italia il 2 gennaio 1937 e poi confermati il 16 aprile 1938. 159
Un’ulteriore possibilità per una trattativa sui problemi maltesi sembrò offrirsi nel dicembre 1939, quando si inaugurò a Napoli una sezione del British Institute. L’8 dicembre l’ambasciatore Percy Lorraine intervenne alla cerimonia inaugurale a Napoli, da dove proseguì per Malta. Questo viaggio suscitò nella popolazione maltese, ed in particolare tra i nazionalisti, grande interesse ed emozione.
Circolarono subito varie voci sulle ragioni di questa inusuale visita: la più diffusa, anche negli ambienti meno favorevoli all’Italia, scriveva l’11 dicembre al MAE il console Canino, era che sir Percy Lorraine, dopo “essersi reso promotore, proprio di questi tempi, di un’intensa attività culturale britannica in Italia”, volesse “sondare il terreno per la necessaria contropartita a nostro favore proprio nello stesso campo”. Aggiungeva il console che esisteva perciò fra i maltesi “un diffuso senso di letizia, proprio per quella auspicata, anzi scontata posizione”, che egli non aveva avuto il coraggio di smentire, pur non dicendo nella per confermarla.
L’ambasciatore, precisava il console, a pranzo aveva detto frasi che avevano confermato nei maltesi l’idea che presto ci sarebbe stato “qualcosa di nuovo”. Il rapporto del console informava pure che il 5 dicembre, in vista dell’ annunciata visita di sir Percy Lorraine, l’ordine degli avvocati aveva votato una risoluzione per il ripristino dell’uso dell’italiano ed il 9 il “Malta” aveva pubblicato un articolo intitolato “La questione linguistica di Malta e le relazioni Italo-Inglesi”, in cui si ricordavano le speranze, deluse, riposte dai maltesi nel “Gentlemen’s Agreement” e si citava l’affermazione di Virgilio Gayda in un articolo del “Giornale d’Italia” che “dalla soluzione dei problemi che ancora dividono l’Italia dagli alleati occidenti (sic) dipenderà in gran parte il peso che la nazione italiana vorrà mettere nella bilancia dell’attuale conflitto”. E tra i problemi irrisolti, osservava il giornale di Mizzi, figurava la questione linguistica di Malta, augurandosi che l’ambasciatore Lorraine se ne rendesse conto per giungere” al rinverdimento delle intese anglo-italiane”. 160
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Sul ruolo di sir Percy Lorraine e sul problema linguistico maltese tornava ancora il “Malta” il 21 dicembre 1939 con l’articolo “Contrasto fra le nobili dichiarazioni dell’ambasciatore inglese a Roma e la situazione a Malta” . Si ricordava che l’ambasciatore nel discorso tenuto a Roma il 1° dicembre per l’inaugurazione del “British Institute”, aveva riconosciuto il debito culturale britannico nei rapporti della cultura italiana classica e del Rinascimento; osservava quindi il giornale nazionalista. “Se le nazioni britanniche hanno chiara la sensazione di aver derivato una preziosissima eredità sociale e culturale dalle epoche classiche e dal Rinascimento in Italia, non si comprende come proprio la nostra isola debba essere privata di quella stessa cultura di cui le nazioni britanniche si vantano”. Soddisfare le richieste maltesi nel campo linguistico, concludeva l’articolo, oltre che un atto di giustizia, sarebbe stato il mezzo per “eliminare uno fra i maggiori pericoli per l’estensione dell’attuale grande conflitto europeo”.
Vana speranza: in questo grande conflitto l’Italia sarebbe stata presto coinvolta.
L’impegno a mantenere lo “statu quo” nell’Adriatico riuscì particolarmente gradito all’Austria, che in quel mare aveva il suo principale porto, Trieste, oltre che il possesso della costa dalmata. L’ambasciatore austriaco a Londra, Karolyi, il 24 marzo 1887 scrisse a Salisbury per manifestare il favore con cui l’Austria aveva accolto l’accordo anglo-italiano.