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Dagli accordi anglo-italiani al conflitto. La questione maltese durante la seconda guerra mondiale. |
Dagli accordi anglo-italiani al conflitto. La questione maltese durante la seconda guerra mondiale.
Le richieste maltesi per una diversa politica linguistica restavano inascoltate, ma il governo di Londra si rendeva conto che l’isola doveva uscire dalle sue condizioni di colonia della corona, per cui tutti i poteri spettavano al governatore , con l’esclusione di qualsiasi forma di partecipazione popolare.
Si rendeva necessario un diverso assetto istituzionale, pur escludendo una forma di autogoverno simile a quella assicurata dalla costituzione del 1921.
Il 29 luglio 1938 pertanto il ministro delle colonie, Mac Donald, annunziava ai Comuni che Malta avrebbe avuto una nuova Costituzione. Era escluso un governo maltese responsabile di fronte ad un parlamento elettivo, ma era comunque prevista una gestione governativa che assicurava la partecipazione di un organo rappresentativo, il consiglio di governo, formato da 20 membri: 8 scelti dal Governatore fra i funzionari pubblici, 2 nominati dallo stesso Governatore, a sua discrezione, 10 elettivi. Del Consiglio faceva parte il Governatore, che poteva votare in caso di parità, risultando così decisivo il suo voto. Non erano eleggibili gli ecclesiastici; il Governatore poteva limitare le discussioni sui problemi militari e la questione linguistica era del tutto esclusa dalle competenze del Consiglio. Al deputato laburista O’Creech Jones, che chiedeva se gli accordi anglo-italiani escludessero ingerenze italiane negli affari maltesi, il ministro rispondeva che ovviamente l’Italia non poteva in alcun modo ingerirsi nel governo di un territorio britannico.1
Le dichiarazioni di Mac Donald furono accolte a Malta in modo contrastante. Strickland affermò che qualcosa si era ottenuto e che maggiori concessioni si sarebbero avute se i partiti
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si fossero mostrati meno faziosi. Scontenti invece si mostravano i nazionalisti, che trovavano particolarmente grave l’aver escluso che la questione linguistica rientrasse tra le competenze del Consiglio di Governo; non potendo essi perciò agire in questo campo, si affidavano all’intervento italiano, che Strickland invece escludeva risolutamente. Comunque, vinta la tentazione dell’astensionismo, i nazionalisti alfine avrebbero preso parte alle elezioni.2
Dopo il suo intervento al Comuni, Mac Donald si recò a Malta per incontrare i politici locali, in vista delle elezioni, che il console Casertano prevedeva difficili per tutti i politici, ma in particolare per i nazionalisti, anche se questi ultimi potevano contare sul sostegno della Chiesa.3
L’ineleggibilità nel Consiglio di Governo aveva destato profonda irritazione nel clero, che si distaccava perciò da ogni posizione filo-britannica ed accentuava la sua simpatia per l’Italia ed il regime fascista, “astenendosi dal manifestare dissenso sulla questione razzista italiana, nel momento in cui la stampa estera speculava largamente sulle dichiarazioni fatte in merito dal Pontefice”.4
Gli avversari dei nazionalisti prendevano delle contromisure e tentavano di portare la divisione nel campo avversario, favorendo la formazione di un partito nazionalista moderato, di cui Carmelo Mifsud Bonnici doveva essere il leader.5
Le prospettive elettorali restavano comunque incerte, tanto che Strickland tentava di giungere ad un accordo con i nazionalisti, proponendo loro di stabilire una ripartizione paritaria dei seggi elettivi, sì da averne 5 il suo partito e 5 il partito nazionalista.
Ma i nazionalisti, come sperava il console Canino, respinsero la proposta, poiché “una compromissione elettorale significherebbe inevitabilmente una compromissione politica,
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proprio con i dichiarati nemici d’Italia e gli irriducibili avversari della lingua italiana”.6
Proprio il diverso atteggiamento sulla questione linguistica differenziava gli opposti schieramenti politici.
Erano difatti tutti accomunati nella protesta contro la politica finale del governo britannico: “non rimane – notava il console Canino – quale argomento distintivo nella lotta che quello della lingua, che se appassiona, almeno ancora, gli elementi migliori, non può esser sentito e agitato nelle masse, specie dopo il funesto errore del maltese subito o accettato quale lingua nazionale…”.7
Ma anche fra i nazionalisti ormai vi erano i sostenitori del maltese, ritenuto un fattore utile per l’autonomia spirituale dell’isola, come lo stesso console Canino aveva riconosciuto in un suo precedente rapporto.8
Perfino Enrico Mizzi, il più tenace assertore dell’italiano, aveva proposto a Lanza d’Ajeta di finanziare un giornale in maltese per meglio controbattere la propaganda di Strickland. Proposta che Lanza, conoscendo la contrarietà del console Casertano a tale progetto, aveva lasciato cadere, facendo presente che “Mizzi, bandiera d’italianità”, non poteva legare il suo nome ad un foglio dialettale.9
Sul fronte opposto, fra i seguaci di Strickland, aveva destato perplessità e malumore il fatto che i dibattiti nel Consiglio di Governo sarebbero stati tenuti solo in inglese, poiché li avrebbe presieduti il Governatore, che non conosceva il maltese: la nuova Costituzione aveva abolito la figura del vice-presidente del Consiglio, che per tradizione era un maltese e presiedeva quasi tutte le sedute.10
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La Costituzione che stabiliva tale esclusione del maltese dai dibattiti parlamentari fu proclamata a Malta il 25 febbraio 1939 con scarsa partecipazione popolare; seguendo le istruzioni del partito nazionale erano assenti i corpi professionali; nessuna bandiera era esposta, tranne che sugli edifici governativi; una manifestazione ostile degli studenti veniva dispersa dalla polizia.11
La stampa britannica addossò ad intrighi italiani la responsabilità di queste manifestazioni di malcontento, che sorpresero ed irritarono il Governatore. Ma, osservava il console, questi intrighi dovevano essere molto estesi, dato che la protesta maltese era così vasta. In realtà, notava sempre il console, la Costituzione accordava sì ai cittadini il diritto di voto, ma ad essi spettava solo la “gioia delle urne, dato che le decisioni prese in consiglio le conosceranno dai giornali”.12
Oltre a seguire con attenzione le vicende politiche legate alla nuova Costituzione, il console d’Italia non mancava di incoraggiare iniziative culturali che potessero in qualche misura, pur dopo la chiusura dell’Istituto Italiano di Cultura, assicurare la sopravvivenza dell’italiano.
Queste iniziative riguardava soprattutto il teatro. La filodrammatica “Carlo Goldoni”, composta dalla “migliore società locale”, organizzava con successo spettacoli in italiano, cui si dava “spontaneo convegno tutta la massa di simpatizzanti del movimento nazionale”.13
Le recite dei filodrammatici erano tradizionali sulle scene maltesi e ricevevano contributi dalle autorità italiane, poiché così molti giovani maltesi avevano l’occasione di parlare italiano. Tali iniziative erano considerate ancora più efficaci di un insegnamento scolastico da parte del console Casertano, che nel maggio 1937 segnalava al MAE la Filodrammatica Maltese come meritevole di un maggior sostegno economico, proponendo di portare da 500 a
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2000 lire il contributo per ogni commedia messa in scena. Richiesta prontamente accolta: a firma dello stesso Ciano giungeva a Casertano una risposta affermativa, con la promessa di un ulteriore aumento se i risultati si fossero dimostrati soddisfacenti.14
La Filodrammatica “Carlo Goldoni” e la “Filodrammatica Maltese” dei coniugi Tagliaferro non erano le uniche presenti a Malta. Casertano ricordava pure l’attività della Filodrammatica del maestro Camilleri, che contava 30 orchestrali e 80 attori ed aveva messo in scena con vivo successo al Teatro Reale lo spettacolo “Le educande di Sorrento”; con 5 affollatissime repliche dal 4 giugno 1938.
Anche il collegio salesiano organizzava recite con una propria compagnia di dilettanti, che il 13 dicembre 1937 aveva presentato il dramma spagnolo “Denari di sangue” nel teatro dell’istituto, replicandolo per 4 domeniche successive, e il 22 maggio 1938 aveva dato l’operetta comica “Arriva la posta” del maestro Carpucci.
Un’altra filodrammatica organizzata da religiosi era quella “Collegio di Hamrum”, i cui spettacoli nel giugno 1938 erano stati poi replicati in altri istituti.
Tutti spettacoli dati in italiano e che ricevevano finanziamenti italiani, seppur modesti: in totale 2000 lire, pari a 20 sterline e 16 scellini, divise tra le varie compagnie.15
Accanto ai dilettanti maltesi agivano nei teatri dell’isola anche compagnie di affermati professionisti italiani. Il console Canino comunicava che dal 20 al 27 aprile 1939 la compagnia di Antonio Gandusio avrebbe dato alcune recite e, assumendo il ruolo di critico teatrale, consigliava che fossero date opere “dense di contenuto emotivo, sia comico che drammatico”, piuttosto che “vecchie e sguaiate pochades francesi”.16
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A conclusione del ciclo di recite, Canino comunicava che Gandusio aveva avuto successo e consigliava di far venire a Malta un’altra importante compagnia italiana, quella di Elsa Merlini. Per l’occasione il console doveva anche registrare il successo, che giudicava meritato, di un prestigioso teatro di Londra, l’ “Old Vic”.17
Ma era la stagione lirica l’evento teatrale più seguito dai maltesi e che costituiva anche l’occasione più importante per mantenere viva la tradizione culturale italiana a Malta. Si davano per lo più opere del repertorio italiano e con cantanti italiani. L’impresario che da tempo aveva la gestione del teatro, affidata a seguito di una gara, nel 1939 era Alberto Said, che aveva ereditato dal padre tale attività, per cui otteneva dal governo italiano sostanziosi contributi.
Il console Casertano segnalava alla Direzione generale Teatro del Ministero per la Stampa e Propaganda, il 12 maggio 1937, che la stagione lirica si era conclusa con successo e sollecitava il mantenimento del contributo annuo di 150.000 lire, senza ridurlo a 100.000, che, tenuto conto dell’inflazione, si sarebbero in realtà ridotte a 70.000, come era stato ventilato. Faceva presente che le altre presenze culturali italiane a Malta si riducevano ad una scuola elementare aperta solo ai pochi bambini nati in Italia e vietata ai maltesi. Dell’importanza dell’attività teatrale si erano rese conto anche le autorità britanniche, che avevano perciò fatto venire una buona compagnia di prosa, quella del teatro di Dublino, spendendo per 10 recite ben 1500 sterline destinate alla distribuzione dei biglietti gratuiti e sollecitando gli impiegati e gli operai dell’Arsenale, gli equipaggi delle navi britanniche ad intervenire, al fine di dimostrare che a Malta erano seguiti anche gli spettacoli in lingua inglese.18
Le richieste economiche del console erano oggetto di un appunto del Gabinetto del MAE per Ciano in data 23 novembre 1937; si faceva presente che il Ministero della Cultura Popolare
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(così era stato ribattezzato il Ministero Stampa e Propaganda) dava un contributo annuo di 150.000 lire e si chiedeva al MAE un’integrazione di altre 50.00 lire, arrivando così ad un totale di 200.000 lire annue, dato che la stagione lirica a Malta rivestiva un interesse politico prima ancora che culturale.
Il Gabinetto esprimeva un parere negativo, “considerando l’importanza della somma e come essa non sia verosimilmente proporzionata agli effetti di propaganda che se ne possono sperare”.
Ma Ciano passava sopra a tale parere negativo: sull’appunto si legge infatti l’annotazione a matita “Sì di S.E. 24.11.37” e già il 26 novembre il MAE comunicava al Ministero della Cultura Popolare che avrebbe assicurato il contributo integrativo di 50.000 lire annue.19
Sui contributi italiani il console Casertano raccomandava il 10 novembre 1938 di mantenere il massimo riserbo: nel febbraio 1939 si sarebbe svolta l’asta per l’appalto quinquennale del Teatro dell’Opera e oltre a Said, vi avrebbero partecipato l’impresario Farruggia, che prima di Said aveva già una volta vinto l’appalto, e la radio locale “Rediffusion”, favorita del governo, che avrebbe preferito fosse organizzata una breve stagione lirica limitata ad un mese, facendo poi venire compagnie inglesi di prosa e rivista. La gara si sarebbe svolta al ribasso, rispetto al contributo di 2000 sterline offerto dal governo maltese. Casertano raccomandava di favorire la vittoria di Said o di Farruggia. 20
Per garantire in modo continuativo il futuro delle attività liriche a Malta, Ciano comunicava al console il 4 dicembre 1938 l’impegno a versare un contributo annuo di 200.000 lire per i prossimi 5 anni; il Ministro della Cultura Popolare avrebbe poi comunicato quali operatori teatrali favorire. Con successiva comunicazione il console suggeriva di favorire anche i
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maltesi noti per le simpatie filo-italiane.21
La gara per la concessione del Teatro Reale dell’Opera non si svolse però alla data prevista del febbraio 1939. Il console Canino comunicava infatti al Ministero della Cultura Popolare, il 15 giugno, che l’asta si sarebbe tenuta nella prima decade di luglio. Erano rimasti in gara solo Said e la Redffusion, che non aveva però i mezzi per organizzare una stagione lirica. Said aveva riconosciuto che gli spettacoli allestiti dal padre non erano stati sempre di “buon livello”, che il console riteneva invece importante assicurare, dato che oltre alla stagione lirica l’unica attività culturale italiana si riduceva alla scuola elementare frequentata da 20 bambini appena.
Canino consigliava di organizzare una speciale compagnia per dare spettacoli a Malta da novembre a Carnevale e poi a Tripoli, durante la Quaresima, quando a Malta erano vietati gli spettacoli teatrali.22
Alberto Said finì per spuntarla: il 17 agosto 1939 il console comunicava al Ministero della Cultura Popolare che l’impresario gradito alle autorità italiane aveva vinto la gara e che era partito per Catania per provvedere agli ingaggi degli artisti.23
Progetti presto sfumati, poiché l’invasione nazista della Polonia il 1° settembre imprimeva una tragica svolta storica. Il 29 settembre Lanza d’Ajeta telegrafava a Canino che “in alto loco” non si riteneva possibile organizzare a Malta una stagione lirica, chiedendogli se ritenesse opportuno insistere presso il Ministero della Cultura Popolare perché la stagione comunque si svolgesse.
Canino si affrettava a rispondere per telegrafo, che non riteneva opportuno insistere e qualche giorno dopo informava Lanza d’Ajeta che non ci sarebbe stato un pubblico adeguato, essendo
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partiti da Malta quasi tutti gli inglesi, sia civili che militari. Suggeriva pure di far venire buone compagnie di prosa, che avrebbero potuto unire la piazza di Malta a quella di Tripoli, piuttosto che compagnie di operette, da scritturare piuttosto per recite estive all’aperto, anche se la Chiesa era ostile a questo tipo di spettacoli, ritenuti poco morali.
La proposta di Canino era appoggiata da Lanza d’Ajeta, che proponeva a Nicola De Pirro, direttore generale per il Teatro, “un ridottissimo programma di prosa” per Malta.24
Il dilemma se organizzare o meno la stagione lirica a Malta ebbe subito un risvolto politico.
Sul “Malta” del 25 novembre 1939 appariva difatti un articolo di fondo, firmato Lario, dal titolo “Per mantenere la tradizione artistica del nostro Massimo”.
Si insisteva perché la stagione avesse un regolare svolgimento, facendo presente che Alberto Said era “de facto” il gestore del Teatro Reale dell’Opera, anche se non aveva ancora firmato il relativo contratto.
Si coglieva questa occasione per accusare i seguaci di Strickland di essere contrari alla stagione lirica in odio all’Italia: evidentemente “Lario” ignorava, o fingeva di ignorare, che proprio da parte italiana si era ritenuto preferibile annullare quella manifestazione artistica.
Ancora alcuni mesi dopo, l’8 aprile 1940, a guerra ormai da tempo iniziata e nell’approssimarsi della fine della non belligeranza italiana, il console Canino segnalava al MAE il “…malumore per la mancata stagione di musica, anche negli ambienti stricklandiani; poiché tutti i maltesi, di qualunque opinione politica, amavano la musica italiana dell’ottocento. Gli spettacoli dei filodrammatici, per lo più in italiano, sostituivano in qualche misura la mancata stagione lirica: gli applausi alla Filodrammatica Goldoni erano anche uno sfogo contro quello che era definito un sopruso dal console, dimentico di esser stato lui stesso fra i primi a sconsigliare l’organizzazione della stagione lirica.25
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I tenaci tentativi italiani di proseguire, nonostante tutto, un’attività culturale a Malta non lasciavano certo indifferenti le autorità britanniche, che affidavano al “British Institute” la loro battaglia culturale. Il console italiano informava il MAE, il 9 marzo 1939, che dopo la prima conferenza tenuta in gennaio da lord Snell, se ne sarebbe svolta il 18 dello stesso marzo un’altra di Douglas Woodruf, direttore del “Tablet”, sul tema “From Newman to Chesterton”. Canino commentava l’iniziativa asserendo che, nonostante i larghi mezzi disponibili, ottenuti grazie al personale impegno del Governatore, il “British Institute” non poteva oscurare il ricordo dell’Istituto di Cultura Italiana, ancora rimpianto. 26
La nuova sede dell’Istituto britannico presso l’Albergo D’Aragona veniva inaugurata l’8 maggio 1940 con un discorso del Governatore, che escludeva qualsiasi finalità politica dalla funzione puramente culturale che l’Istituto si proponeva di svolgere. In assenza dell’arcivescovo Caruana, a benedire i nuovi locali provvedeva mons. Gonzi, vescovo di Gozo.27
Ma ci fu pure una speciale e più solenne benedizione papale. L’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, Pignatti di Morano, comunicava al MAE di aver protestato per questa benedizione pontificia ad un “organo di propaganda antitaliana e filiazione del protestantissimo “British Council”. Il segretario degli Affari Ecclesiastici straordinari, mons. Tardini, aveva risposto che l’arcivescovo Caruana ed il suo vicario mons. Galea avevano assicurato che si trattava di un’associazione puramente culturale.
Pertanto, concludeva Pignatti di Morano, se invece il “British Institute” aveva finalità politiche, come asserito dal console Canino, “la Santa Sede era stata sorpresa nella sua buona fede dalla troppo compiacente Curia Arcivescovile di Malta”.28
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Canino non esitava a ribadire le sua accuse: era di generale dominio a Malta che il “British Institute” era un organismo politico. Principali animatori ne erano il Governatore (“e ciò avrebbe dovuto – osservava Canino – aprire gli occhi anche ai ciechi volontari come mons. Caruana e mons. Galea, sconsigliandoli dal sollecitare una benedizione Papale”) e il direttore dell’Istruzione, “il nostro costante nemico, La Ferla…bollato da Enrico Mizzi come il carnefice della lingua Italiana e della cultura Italiana a Malta”, che era l’anima dell’Istituto, poiché il direttore, l’inglese Veckmann, era un personaggio insignificante.
Astutamente, per ingraziarsi i maltesi, tutti profondamente cattolici, i responsabili del “British Institute” avevano chiamato a tenere la più recente conferenza un deputato conservatore cattolico, Anthony Crosley, che non aveva esitato a difendere la progettata alleanza anglo-sovietica: “e ciò – commentava il console con sarcasmo - 209 -
- sempre per mantenersi in quella atmosfera di pura intellettualità e di non propaganda” ipocritamente rivendicata dal Governatore. Come prova dell’uso spregiudicato della religione cattolica fatto dai britannici a fini politici, Canino citava poi l’affermazione del gesuita inglese Woodlock in occasione del congresso eucaristico circa la possibilità che anche i protestanti andassero in Paradiso.
Affermazione che aveva suscitato scalpore negli ambienti maltesi “laico-cattolici”, in materia più intransigenti della stessa curia”.29
Alle iniziative del “British Council” il governo di Londra dedicava notevoli mezzi economici. Rispondendo a lord Breaverbrook il ministro degli Esteri Halifax precisava che nel 1937-38 erano state destinate alle attività culturali all’estero 210.802 sterline, aumentate a 386.500 (circa 30 milioni di lire italiane) nel 1938-39, come indicato dal console Canino in un suo rapporto al MAE, dove affermava pure che il “British Institute” di Malta faceva “di tutto per attirare i maltesi”, anche se poteva offrire soltanto “delle tediose conferenze e dei concerti con
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elementi piuttosto scadenti”. Nel programma erano stati inclusi molti balletti, che, essendo ritenuti uno spettacolo immorale, avevano suscitato le proteste dello “stesso ligissimo arcivescovo”.30
Ma più che dalle conferenze del “British Institute” e dagli spettacoli in italiano delle varie filodrammatiche l’agone politico era costituito dalla campagna per le elezioni che dovevano dare a Malta il Consiglio di Governo previsto dalla nuova Costituzione.
Campagna che però, almeno nella fase iniziale, era dominata dall’apatia, derivante dall’indifferenza ostile con cui era stata accolta la Costituzione.31
Forse per poter contare sull’apporto di forze fresche rappresentate dall’entusiasmo dei giovani, i nazionalisti avevano costituito una “avanguardia giovanile”, come era stato suggerito a Mizzi da funzionari del MAE. Di questo apporto il partito nazionalista aveva un reale bisogno, diviso com’era al suo interno da rivalità e contrasti tra i suoi capi. Alla storica contrapposizione tra Ugo Mifsud ed Enrico Mizzi si era poi aggiunta l’irrequietezza di Carmelo Mifsud Bonnici, che finì per concorrere alle elezioni con una propria lista, facendo così il giuoco degli avversari e stabilendo sotterranee intese con i laburisti.
Da ultimo, Mifsud Bonnici era stato nominato dal Governatore nella Commissione per i problemi fiscali ed in quella sede aveva difeso i privilegi delle comunità religiose, ottenendo così gli elogi del giornale dell’Azione cattolica maltese. Questa difesa dei privilegi ecclesiastici, sostenuta con successo da Mifsud Bonnici, era considerata dal console Canino una manovra britannica per accattivarsi le simpatie del clero, deluso ed irritato per la sua esclusione dal Consiglio di Governo.
E sempre a proposito dell’esponente nazionalista, il console osservava che il suo “allontanamento – e non pochi dicono tradimento – dalle file nazionali, ha arrecato danno non lieve al Partito; il Mifsud Bonnici è infatti oratore efficace ed è considerato il miglior
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avvocato penale di questo Foro. Mi viene però dipinto come persona venale”.32
Nell’avvicinarsi delle elezioni, i capi storici del Partito Nazionale, Ugo Mifsud ed Enrico Mizzi, mettevano da parte i contrasti, che non nascevano soltanto da ragioni personali, ma soprattutto da una diversa visione politica. Il loro accordo preoccupava le autorità britanniche, in quanto Mifsud avrebbe attirato i voti dei moderati, garantendoli “contro i cosiddetti eccessi dell’intransigenza mizziana”.33
In vista delle elezioni era convocato il congresso del Partito Nazionale, che si svolse il 21 maggio 1939, per approvare il programma elettorale, di cui la questione linguistica era la parte fondamentale.
Il programma fu approvato “con i maggiori applausi anche dai più modesti intervenuti delle contrade campagnole, oltre che dai numerosi esponenti del professionismo e della classe studentesca”.
Per l’occasione, anche il giornale avversario, “The Malta Chronicle” riconosceva che soltanto la questione linguistica divideva i due opposti schieramenti, il nazionalista e lo stricklandiano: “…con l’eccezione della questione linguistica, non vi è molta differenza – almeno nei principi fondamentali – fra il programma dei Nazionalisti e quello presentato dai loro principali avversi, i Costituzionalisti”.34
I nazionalisti si comportavano con molta prudenza, memori delle passate difficoltà derivanti dalle prese di posizione di Mizzi, che, proprio a causa di tali precedenti, aveva inserito nel programma espressioni di lealismo verso la Gran Bretagna ed aveva posto l’accento sul carattere maltese del partito, al fine di evitare le solite accuse di una totale dipendenza dalla
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Italia e di perseguire una politica antibritannica. Nel far presente al MAE questo nuovo atteggiamento di Mizzi, il console consigliava che la stampa italiana seguisse la stessa linea di prudenza. Consiglio prontamente accettato dal Gabinetto del MAE: Lanza d’Ajeta difatti scriveva ad Umberto Biscottini per invitarlo a “non polemizzare, almeno per ora, con il Governo oppressore”.35
Sulle vicende elettorali maltesi gettavano un ombra anche i maggiori eventi della politica europea: anche a Malta, scriveva Canino, “il blocco di acciaio, rappresentato dalla alleanza italo-germanica, fa paura”.36
Paura che certamente influì in qualche modo sui risultati delle elezioni, svoltesi nei giorni 22-24 luglio 1939, che furono per i nazionalisti meno soddisfacenti del previsto: su 10 seggi in palio ne ottennero tre, di fronte ai sei assegnati al partito costituzionale di Strickland; il seggio residuo spettò ai laburisti. La delusione dei Nazionalisti per tale risultato, scriveva Canino a Lanza d’Ajeta il 27 luglio, “li amareggia molto, ma nel tempo stesso rinforza passioni, rancori e propositi che si dovrà subito dopo, pensare a incanalare e disciplinare”. 37
Molto più ottimista la versione ufficiale inviata da Canino al MAE con suo telegramma dello stesso 27 luglio: informava dello scrutinio elettorale ed affermava che non si era potuta impedire una affermazione nazionalista. Qualunque fosse il risultato finale, la campagna elettorale era giovata a “rinvigorire movimento nazionalista suscitando utili fervori specie tra giovani.38
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Un’analisi critica della situazione politica maltese dopo le elezioni è contenuta in un appunto del Gabinetto del MAE, probabilmente destinato a Ciano, preparato il 29 luglio 1939, in occasione dell’arrivo del console Canino, venuto ad illustrare di persona i risultati elettorali, che, si affermava con un ottimismo che appare di maniera, al di là dei dati numerosi dimostravano che “l’idea nazionale è sempre viva”; un terzo degli elettori, difatti, aveva votato per i nazionalisti. Si sarebbe ottenuto un risultato migliore, se tutti si fossero tempestivamente muniti del certificato elettorale. Così non era stato, a causa della organizzazione “embrionale” del partito nazionalista, “nonostante gli avvertimenti fatti loro pervenire a varie riprese, insieme con sostanziali e apprezzatissimi aiuti”. Rinfacciati così ai nazionalisti il mancato accoglimenti dei suggerimenti e gli aiuti economici loro concessi; ricordato anche il loro eccessivo ottimismo (avevano sperato di ottenere 6 o 7 seggi); si cercavano poi le attenuanti di quello che, nonostante tutti gli sforzi per dimostrare il contrario, restava pur sempre un sostanziale insuccesso.
In primo luogo si citava il notevole assenteismo degli elettori: nel 1932 avevano votato in modo massiccio, raggiungendo la percentuale record del 96%; nel 1939 la percentuale era calata al 75% e gli astenuti, si asseriva non si sa bene in base a quali dati, non potevano essere simpatizzanti di Strickland.
Si accusavano i costituzionali di aver fatto una propaganda terroristica, minacciando per gli avversari campi di concentramento o addirittura la fucilazione. Anche il Governatore era posto sul banco degli accusati, perché aveva fatto un’attiva campagna contro l’astensionismo che avrebbe significato il fallimento della Costituzione da lui voluta, girando anche nelle sezioni elettorali. Inoltre, Strickland disponeva di notevoli mezzi finanziari, potendoli attingere dall’ingente patrimonio della sua seconda moglie americana. Si temevano persecuzioni per i nazionalisti, in particolare contro Enrico Mizzi, la cui elezione aveva indispettito Strickland; e contro Ugo Mifsud, che aveva dimostrato coraggio e capacità organizzative (tuttavia nello stesso appunto si definiva “embrionale” l’organizzazione dei nazionalisti) e che il Governatore avrebbe voluto a capo di un partito nazionale “moderato” (era l’operazione cui si era invece prestato Carmelo Mifsud Bonnici).
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Tirando le somme, il risultato poteva essere in definitiva ritenuto soddisfacente, considerato che veniva dopo sette anni di stasi politica, in cui la bandiera nazionalista era stata tenuta alta solo dal “Malta” e dal suo direttore Enrico Mizzi, di cui si ricordava l’analisi “molto serena e precisa della situazione”, fatta in un promemoria che era allegato all’appunto.
Si raccomandava infine di far pervenire a Mizzi ed ai suoi seguaci “qualche segno indiretto che dia conforto…quale espressione di solidarietà del Governo fascista”.
Nel suo pro-memoria, già citato, che veniva allegato all’appunto del Gabinetto, Mizzi precisava che ai nazionalisti erano andati 12.808 voti, compresi 1180 ottenuti dal “nazionalista indipendente” Carmelo Mifsud Bonnici. I tre seggi ottenuti dai nazionalisti spettavano allo stesso Mizzi (eletto nel 1° collegio con 2811 voti), a Ugo Mifsud (vittorioso nel 2° collegio con 2045 preferenze), a Giorgio Borg Olivier (eletto anche lui nel 1° collegio). Si sarebbe avuto un quarto seggio, se Carmelo Mifsud Bonnici non avesse stretto un accordo con i laburisti, che in tal modo avevano avuto un loro eletto.
Erano ricordati la rabbia di Strickland per l’elezione di Mizzi, l’astensionismo dovuto sia al terrorismo messo in atto da Strickland sia alla posizione estremistica di quei nazionalisti che non avevano votato per sabotare la Costituzione. Il voto nazionalista era stato ottenuto soprattutto nelle città, mentre la massa analfabeta della campagna aveva votato soprattutto per Strickland, favorito pure dalla psicosi bellica.
Osservava infine Mizzi che una pseudo-rappresentanza popolare, cui attribuire la responsabilità dei provvedimenti antitaliani, avrebbe fatto il giuoco dell’Inghilterra. Inoltre era consigliabile che la stampa italiana si attenesse alla prudenza, per non peggiorare la situazione, dato che c’erano da attendersi persecuzioni per i nazionalisti.39
La psicosi bellica, denunciata da Mizzi nel suo pro-memoria come una delle ragioni del successo elettorale di Strickland, continuava a gravare su Malta. Dopo il sollievo iniziale per
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il mancato intervento italiano nel settembre 1939, che avrebbe significato il realizzarsi dell’incubo degli attacchi aerei italiani, tanto amplificato per anni dalla propaganda britannica, era seguita una preoccupata perplessità per il futuro atteggiamento italiano, giudicato ambiguo: giudizio espresso solo verbalmente, in quanto la stampa si atteneva alle istruzioni di sottolineare la neutralità italiana.
C’era una viva preoccupazione per il gran numero di telegrammi cifrati spediti dal consolato italiano e si sospettava che ciò significasse un’attività spionistica a favore della Germania. Sul consolato era quindi esercitata un’intensa vigilanza, non soltanto da parte di numerosi agenti di polizia, ma anche di semplici cittadini.40
Il governatore Bonham Carter alternava dichiarazioni di volta in volta ottimiste o pessimiste circa quel che l’Italia avrebbe fatto. Nonostante i suoi precedenti atteggiamenti poco favorevoli all’Italia, quando fu proclamata la non belligeranza italiana “si precipitò a proclamare…la sua certezza nella buona amicizia dell’Italia”. Pure, dopo qualche settimana, in un discorso alla radio che suscitò molta apprensione, definì “equivoco” (“doubtful”) il comportamento dell’Italia. Si era poi recato a Londra, prolungandovi la sua permanenza forse per avere dal governo imperiale informazioni sulle reali intenzioni italiane. Nel frattempo Malta aveva riacquistato un aspetto quasi normale, anche se restavano in attesa dell’ordine di partenza molti reparti, che sarebbero stati rimpiazzati da contingenti militari maltesi. Ed i giornali, compresi quelli di Strickland, continuavano a pubblicare commenti favorevoli alla neutralità italiana, cui sarebbe seguito, si diceva, un intervento a fianco dell’Inghilterra, “come nel 1915”.41
Ma la situazione si andava sempre più deteriorando: “l’ansia, il sospetto e l’irritazione per l’atteggiamento italiano nell’attuale fase del conflitto, sono le note dominanti dello stato
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d’animo locale, sia degli elementi militari, sia dei maltesi civili, avversari o fedeli nostri che siano”.
Segnalato questo nervosismo, che aveva contagiato pure i nazionalisti, il console riportava l’opinione dei maltesi che un’aggressione italiana alla cattolicissima Malta sarebbe stata “sacrilega” e l’enfasi con cui il “Times of Malta” aveva dato notizia del veemente discorso a favore dell’ingresso italiano in guerra, pronunciato il 25 aprile 1940 alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni dal consigliere nazionale Francesco Giunta (ben noto a Malta per l’incidente suscitato dalle sue dichiarazioni nel marzo 1932 e falsamente definito sottosegretario agli Affari Esteri).42
Ma Mizzi, pur nell’estrema gravità del momento, non desisteva dal suo impegno per la difesa dell’italiano. “La campagna, mai interrotta o alleggerita, contro la lingua e la cultura italiana, ha suscitato una nuova serie di proteste da parte dei seguenti organi e istituzioni maltesi”, scriveva il console Canino il 12 gennaio 1940, elencando il Partito nazionalista, il giornale “Malta”, la Camera degli Avvocati, la Camera notarile, la Camera dei Procuratori legali, il circolo “La Giovine Malta”, l’associazione degli studenti universitari, il giornale dell’Azione Cattolica “Lehen is Seuwa”, il giornale degli studenti universitari cattolici”.43
A sostegno di queste posizioni interveniva il MAE, che, per sopperire alla penuria di carta che metteva in difficoltà il “Malta” e il “Lehen is Seuwa”, dava disposizione alle Cartiere Burgo di rifornirli.44
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Ed ancora il 2 febbraio 1940 Canino segnalava che “la questione linguistica viene tenuta sempre viva dal “Malta”. Enrico Mizzi con fermezza e abilità cerca ancora di riportare la discussione al Consiglio di Governo; nonostante essa sia proibita come “materia riservata” da quell’aborto di Costituzione elargita l’anno scorso”.45
Nonostante l’affermazione dell’italianità di Malta, si pensava, dietro suggerimento del professor Giulio Cortis della Valletta, alla opportunità di trasmissioni dell’EIAR in lingua maltese “per far conoscere a quella popolazione la vera posizione dell’Italia”.46
Era sempre vivo comunque nei maltesi il desiderio di conoscere lingua e cultura italiana, come dimostrato dalla diffusione dei libri italiani: dell’opera di Papini “Italia mia” si erano vendute 150 copie, il che significava più di mille lettori, dato che ogni volume a Malta andava in mano di 7-8 persone.
Ed i giovani maltesi desideravano studiare in Italia, seguendo almeno i corsi estivi organizzati dall’Università per stranieri di Perugia o dall’Istituto relazioni culturali con l’estero. Occorreva pertanto, a parere del console, concedere il maggior numero possibile di borse di studio.47
La mancata stagione lirica, su cui era già polemicamente intervenuto il “Malta”, dava poi occasione ad un violento scontro in seno al Consiglio di Governo tra Mizzi e Strickland, accusato dal leader nazionalista di averla impedita “per odio alla nazione italiana”.
Accusa ingiusta, dato che erano state le stesse autorità italiane a non ritenerne opportuno lo svolgimento. Indignala la reazione di Strickland, che dichiarava che le parole bugiarde di Mizzi, se non fossero state coperte dall’immunità parlamentare, avrebbero suscitato l’attenzione della polizia.
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Aveva poi aggiunto il leader costituzionale parole lusinghiere per l’Italia, asserendo, come riportava il “Times of Malta”, che egli aveva la più grande considerazione per il popolo e la nazione italiana, e che egli ammirava il magnifico progresso fatto in Italia sotto l’attuale governo italiano”.48
Parole distensive, amichevoli, addirittura adulatrici, cui facevano riscontro gli estremi tentativi britannici per scongiurare l’intervento italiano a fianco della Germania.
Ed al centro di questi tentativi si trovò anche un maltese: il consigliere occulto della politica italiana per Malta, l’avvocato Adrian Dingli, legale dell’ambasciata d’Italia a Londra.
Il 12 marzo 1940 l’ambasciatore a Londra, Bastianini, succeduto a Grandi nel luglio 1939, inviava a Ciano una lettera personale, in cui ricordava gli incarichi di fiducia svolti in più occasioni da Dingli come tramite fra il Governo di Roma e Chamberlain, di cui era amico, come era avvenuto nel luglio 1937 avviando i contatti che si erano conclusi con gli “accordi di Pasqua” del 1938. Approfittando dell’occasione di un viaggio che il legale maltese avrebbe dovuto compiere a Roma per ragioni professionali, Chamberlain voleva ancora una volta utilizzarlo per una missione riservata presso Ciano.
Bastianini riferiva che sia Chamberlain che Halifax avevano fatte ripetute dichiarazioni di stima e di amicizia per l’Italia, che l’ambasciatore riteneva sincere. A Dingli i britannici volevano affidare il compito di accertare come arrivare ad un accordo commerciale, confermando la buona volontà di Londra e raccogliendo a Roma “altresì ogni eventuale indicazione o suggerimento, e in genere ogni elemento che possa aiutare il Primo Ministro e Halifax a rendersi conto del punto di vista italiano”.
In un primo tempo avevano pensato di inviare Dingli nell’Europa Orientale per una missione esplorativa.
“Ma – aggiungeva Bastianini – poiché il Primo Ministro e Halifax sono pienamente convinti che nulla possa farsi in tale settore se non in pieno accordo con l’Italia, si è preferito sospendere per ora il viaggio progettato”.
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In seguito Dingli si sarebbe recato a Budapest, ove contava amicizia tra i membri del Governo, ma avrebbe stabilito i suoi contatti “unicamente nel quadro di quelli che sono i preminenti interessi italiani. Ad ogni modo – concludeva l’ambasciatore rivolgendosi a Ciano - Dingli non si recherebbe in Ungheria se non dopo esser stato ricevuto da te e aver avuto tutti quegli elementi che Tu riterrai opportuno di dargli per suo orientamento”.49
Massima considerazione quindi per l’Italia, considerata quasi come la stella polare nel firmamento della politica estera britannica, fino al punto di subordinare i contatti con un altro Paese alle indicazioni provenienti da Roma.
Con successiva lettera del 21 marzo 1940, Bastianini informava Ciano che Dingli sarebbe partito per Roma il 28 marzo e che Chamberlain confermava di essere “favorevole ad una politica di amichevoli relazioni con l’Italia e deciso a non tralasciare alcuna occasione per mantenere diretti contatti con il Governo Fascista”.
Chamberlain esprimeva pure la sua ammirazione per il genio del Duce e per la sua opera e ci teneva a precisare che rispondeva soltanto ad esigenze di politica interna la sua richiesta fatta ai Comuni dopo l’incontro al Brennero tra Hitler e Mussolini, rivolta ai Paesi non entrati in guerra, di chiarire le loro posizioni: non doveva quindi essere interpretata tale richiesta – affermava Bastianini – come un gesto di ostilità contro l’Italia.50
Dingli consegnò a Ciano il 5 aprile due appunti che sintetizzavano il pensiero di Chamberlain.
Nel primo, il premier britannico manifestava la sua “buona volontà” (”goodwill”), confermata anche dopo l’incontro del Brennero ed il trattato di pace russo-finlandese; e si diceva convinto di poter trovare in Mussolini un collaboratore per mantenere la pace. Compito di Dingli era appunto quello di verificare tale disponibilità del governo fascista e di “ricevere intanto tutti quei suggerimenti che Mussolini a Ciano crederanno di fare nei riguardi dei rapporti dei due Paesi, finché dura l’attuale conflitto”. La missione di Dingli, “assolutamente confidenziale e
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non ufficiale”, doveva consistere nell’ “individuare quelle difficoltà e quegli ostacoli che occorrerà sormontare o rimuovere”.
Nel secondo appunto Chamberlain ricordava, come prova della sua buona volontà, di aver autorizzato l’invio in Italia dei carichi di carbone tedesco che erano stati sequestrati.
Si rammaricava che i negoziati anglo-italiani non avessero fin allora avuto esito positivo; a parer suo – si leggeva nell’appunto – gli ideali e gli interessi “di una grande nazione sono fondati su principi da cui esula l’interesse puramente materiale”; da escludere “quindi a priori che compensi materiali possono esser sufficienti ad assicurare alla Gran Bretagna la collaborazione dell’Italia”.
Ed infine Chamberlain affermava di non voler esercitare sull’Italia indiscrete pressioni perché chiarisse la sua posizione: il discorso ai Comuni, come già aveva affermato l’ambasciatore Bastianini nella sua lettera del 21 marzo, era giovato solo a difendersi dall’accusa di esser troppo arrendevole con l’Italia.51
Rientrato a Londra Dingli consegnò a Chamberlain un resoconto degli incontri romani con Ciano, svoltisi il 7 ed il 9 aprile 1940, e sollecitò poi la risposta britannica, che tardò fino al 3 maggio, a causa dell’invasione nazista della Norvegia e della Danimarca.
Questi avvenimenti causarono una brusca battuta d’arresto alle trattative condotte da Dingli: la nuova e grave situazione che si era venuta a creare rendeva impossibile – si affermava da parte britannica – continuare i contatti con Mussolini tramite Dingli. Arrivati a quel punto, si giudicava preferibile giovarsi del canale ufficiale rappresentato dall’ambasciatore a Roma, Percy Lorraine, che era stato informato degli orientamenti di Chamberlain nei confronti dell’Italia, ma non della missione confidenziale svolta da Dingli.
Chamberlain manifestava il suo apprezzamento per le comunicazioni fattegli pervenire da Mussolini tramite Ciano e Dingli e contava di poter proseguire, ma soltanto attraverso l’ambasciatore Lorraine e con molta cautela, le trattative.52
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Non ebbe però il tempo Chamberlain per continuare i negoziati: travolto dall’impopolarità per la sua politica giudicata remissiva e rinunciataria, di lì a pochi giorni era costretto a dimettersi e gli subentrava nella carica di primo ministro Winston Churchill.
Il nuovo premier fece ancora un ultimo tentativo, inviando il 16 maggio 1940 un messaggio personale che era un appello accorato per evitare la guerra: “E’ troppo tardi per impedire che scorra un fiume di sangue tra il popolo britannico e quello italiano?” – si chiedeva Churchill, che proseguiva affermando . “Se voi così decidete, bisogna che sia così; ma io dichiaro che non sono mai stato il nemico del popolo italiano, né mai sono stato nel mio cuore l’avversario di chi dà le leggi all’Italia”.
Mussolini replicava il 18 maggio con un altro messaggio, in cui, ricordate le sanzioni inflitte all’Italia in occasione della guerra d’Etiopia e la schiavitù che per l’Italia rappresentava la presenza britannica nel Mediterraneo, scriveva: “Se è per fare onore alla Vostra firma che il Vostro Governo ha dichiarato guerra alla Germania, Voi comprenderete che lo stesso senso d’onore e di rispetto degli impegni assunti col trattato italo-tedesco guidi oggi e domani la politica italiana di fronte a qualsiasi evento”.53
Secondo quanto pubblicato dal “Daily Telegraph” l’8 gennaio 1971, nel maggio 1941 il governo britannico sarebbe stato anche propenso a cedere all’Italia Malta o altri territori per evitarne l’entrata in guerra.
Non ci furono precise proposte, in attesa di richieste da parte italiana. Il progetto fu però bocciato, con un solo voto di scarto, verso la fine del mese di maggio, dal Gabinetto di guerra presieduto da Churchill, che votò contro assieme ad Attlee e Greenwood; votarono invece a favore Chamberlain, rimasto nel governo con cariche puramente onorifiche, e Halifax.
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Il 10 giugno 1940 era ormai alle porte; il governo britannico, ancor prima che si esaurisse con lo scambio di note tra Churchill e Mussolini ogni speranza di pace, fra le misure di sicurezza, preventive allo stato di guerra, dispose l’arresto dei maltesi ritenuti infidi perché troppo legati all’Italia.
Enrico Mizzi aveva addirittura manifestato l’8 maggio al console Canino il timore di un attentato alla sua vita, ad opera dei “soliti brutti ceffi che sono al soldo della polizia”, evitando di far apparire le responsabilità del governo.54
Non si arrivò a tanto: ma già il 14 maggio il console comunicava al MAE che in quella stessa data erano stati arrestati il prof. Vincenzo Bonello, amministratore del “Malta” e collaboratore a Roma della Regia Deputazione per la Storia di Malta; l’avvocato Sammut, redattore del “Malta”, ed un esattore dello stesso giornale, German; un impiegato del Banco di Roma e redattore del “Malta”, Gauci.55
Seguiva il giorno successivo un’altra comunicazione del console che sottolineava come gli arresti fossero mirati contro il “Malta”, ponendo Mizzi in seria difficoltà, poiché non poteva “occuparsi,senza collaboratori, e senza fondi, del Giornale, essendo essi in mano di Bonello”, che era l’amministratore.
Il console prevedeva l’imminente arresto di Mizzi, cui aveva consigliato di non dimettersi dal Consiglio di Governo, ma di sospendere le pubblicazioni del “Malta”.56
Oltre ad adottare queste misure di polizia, le autorità britanniche avevano pensato di organizzare una manifestazione studentesca antitaliana; il progetto rimase però inattuato, essendosi trovati pochi aderenti, dato che la maggior parte degli studenti era nazionalista.
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Nel frattempo Strickland incitava ad agire contro i traditori senza pietà.57
Anche un’altra manifestazione antitaliana, prevista in occasione di una recita in italiano della filodrammatica “Carlo Goldoni” al Teatro Reale, cui assisteva tra gli altri il console Canino, non ebbe luogo; ci furono anzi “applausi a non finire” da parte di un pubblico foltissimo. 58
Se le manifestazioni antitaliane fallivano, proseguivano invece a ritmo serrato gli arresti.
Il 17 maggio il console dava notizia dell’arresto del maltese Giuseppe Cini, impiegato dell’agenzia di Navigazione dell’ex vice-console Mazzone, già sospettato ed interrogato dalla polizia durante la guerra di Etiopia. Era stata inoltre perquisita la casa di Carlo Formosa, un commerciante noto per la sua fede nazionalista.59
Gli arrestati erano tutti cittadini maltesi, anche se il console stranamente parlava dell’ “arresto di connazionali”, come avveniva, in mezzo a numerosi altri casi, per il fermo dell’avvocato maltese Magri, rilasciato però nella stessa giornata, che il console segnalava con il suo telegramma del 18 maggio. 60
Per i cittadini italiani era invece previsto il rimpatrio, subordinato al permesso della polizia, che ammoniva i partenti che in seguito non sarebbe stato loro permesso di rientrare a Malta.
Nel suo telespresso del 27 maggio 1940 il console Canino segnalava che fino a quella data era stato concesso il permesso di portare con sé in Italia denaro, anche in misura notevole, ma che forse in futuro ciò non sarebbe stato più possibile. Tutti gli italiani da 16 a 60 anni erano stati schedati dalla polizia; inoltre era stato vietato detenere armi, binocoli, macchine fotografiche; erano state sequestrate perfino armi del 1600, che non erano altro che un cimelio storico. Le autorità britanniche esercitavano uno stretto controllo, per cui venivano subito a conoscenza di ogni comunicazione del console ai connazionali. C’era un’attesa spasmodica di quel che l’Italia avrebbe fatto. Scriveva Canino: “…una qualsiasi azione nostra e persino un semplice allarme recherà alla popolazione che affolla questi poveri scogli rappresaglie, danni e lutti, scatenando i furori della plebaglia, che è andata a ingrossare la folla dei poliziotti.
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Si cono infatti armati, quali ausiliari della polizia, circa 2000 sfaccendati e altre migliaia di cosiddetti “cacciatori e sportivi” hanno avuto fucili per combattere i “paracadutisti”, come se non bastassero le migliaia di soldati inglesi e maltesi che presidiano Malta”.
Erano sospettati di far parte della “quinta colonna” sia i “regnicoli” sia i maltesi noti come filo-italiani.
Il principale timore manifestato dal console era “il danno gravissimo che ci verrebbe da qualsiasi conferma - o appiglio – della sfrenata campagna stricklandiana, che dura da anni contro l’Italia, che essa cioè sarebbe venuta a Malta per massacrare e ridurre in macerie le sue chiese, i suoi conventi, e dare lutto e miseria alla sua cattolicissima popolazione”.61
Timore che non tarderà a manifestarsi fondato: all’alba dell’11 giugno 1940, poche ore dopo la dichiarazione di guerra, ci fu il primo bombardamento italiano su Malta. Gli aerei, decollati dagli aeroporti siciliani di Catania e di Gela, colpirono l’aeroporto di Hal Far, l’arsenale di Burmola (La Valletta), l’idroscalo di Kolaframa, le postazioni antiaeree. Altri bombardamenti seguirono nel corso della stessa giornata e, oltre agli obiettivi militari, furono colpiti anche i civili, fra cui si contarono in totale in quel triste 11 giugno 36 morti e 130 feriti.62
Agli intensi bombardamenti aerei italiani si unirono, a partire dal 16 gennaio 1941, quelli ancora più rovinosi dell’aviazione tedesca. Le autorità britanniche aveva predisposto un piano di evacuazione della popolazione civile in Inghilterra, rifiutato dai maltesi. Ma dopo i primi bombardamenti italiani ben 80.000 maltesi lasciarono i centri più popolosi di Vittoriosa, Senglea e Cospicua per rifugiarsi in campagna; non mancarono coloro che incoraggiavano alla resistenza, anche fra i religiosi: “il parroco di Senglea correva per le vie principali in piena incursione, pronto al suo ufficio per calmare e incoraggiare”.63
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Altrettanto fondata si dimostrò la previsione del console Canino circa l’arresto di Enrico Mizzi, che avvenne il 30 maggio, cui fece seguito l’invio in un campo d’internamento. Assieme a Mizzi furono arrestati circa altri 50 maltesi; il 29 maggio era già stato arrestato Alberto Hamilton Stilon, avvocato del consolato ed in numerose occasioni protagonista di incontri al MAE per sollecitare finanziamenti al partito nazionalista ed al “Malta”; al momento del suo arresto chiese di informare in Italia il figlio adottivo, Renato Biscottini.64
Si salvò invece dall’arresto e dall’internamento, a differenza di Mizzi, Ugo Mifsud, che nella seduta del Consiglio di Governo del 31 maggio 1940 assicurò il leale sostegno del partito nazionale al governo, facendo pure una professione di fede nella vittoria della Gran Bretagna e dei suoi alleati.
Contemporaneamente continuava il rimpatrio dei cittadini italiani, compresi i religiosi: il vescovo consigliava ad essi di partire prima del 4 giugno, poiché si prevedeva che, una volta entrata in guerra l’Italia, anche gli ecclesiastici italiani sarebbero stati internati. 65
Sir Arturo Mercieca, che ricopriva l’alta carica di “Chief of Justice”, ebbe, almeno inizialmente, un trattamento di riguardo: anziché procedere al suo arresto, le autorità britanniche lo invitarono a dimettersi, poiché, essendo ben noti i suoi sentimenti filo-italiani, non poteva mantenere un incarico incompatibile con lo stato di guerra con l’Italia. Mercieca si dimise l’11 giugno 1940 ed in seguito fu pure internato.
Lo stato di guerra e le misure britanniche contro i maltesi filo-italiani comportarono un forte impulso ed una estrema politicizzazione delle iniziative italiane per Malta.
Le esigenze polemiche e propagandistiche presero decisamente il sopravvento su ogni attività culturale ed il “Comitato di Azione Maltese” assorbì la R. Deputazione per la Storia di Malta ed il Circolo degli Amici della Storia di Malta.
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Il “Malta”, costretto a chiudere i battenti il 31 maggio, subito dopo l’arresto di Mizzi, rinasceva a Roma il 15 giugno 1940 come quindicinale sotto la direzione di Carlo Mallia, personaggio notevole del movimento nazionalista maltese. 66
Nonostante il suo discusso passato, Mallia ebbe una posizione di rilievo nella comunità maltese di Roma.
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In qualità di direttore del “Malta” prendeva la parola in occasione della cerimonia svoltasi il 7 giugno 1940 per ricordare i morti maltesi del 1919. Ne dava un dettagliato resoconto il 1° numero del giornale da lui diretto, pubblicato il 15 giugno. Nel cortile del palazzo Antici-Mattei, dove avevano sede la R. Deputazione per la Storia di Malta e le altre organizzazioni connesse, fu scoperta una lapide commemorativa. Al Pincio fu inaugurato un busto di Fortunato Mizzi, con discorsi di Francesco Ercole, dello stesso Mallia e di Annibale Colocci-Vespucci, veterano delle iniziative per l’italianità di Malta e che era stato il presidente onorario del comitato maltese della “Dante Alighieri” nel corso della sua breve esistenza negli anni 1912-1913.
Come reazione all’inaugurazione del busto sul Pincio, a Malta veniva distrutta la lapide apposta sulla casa natale di Fortunato Mizzi.
Il culmine della sua carriera politica in Italia Mallia lo raggiunse quando fu nominato nell’aprile 1942 consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni: ne dava notizia lo stesso “Malta” sul numero 46 del 1° maggio 1942, sottolineando che così Malta era equiparata alle altre terre italiane.
Sullo stesso numero 46 del Malta, a p. 3, sotto il titolo “Perfidia britannica” si giustificava la distruzione di edifici civili a causa dei bombardamenti italiani con la motivazione che gli inglesi “con perfidia raffinata” avevano celato gli obiettivi militari “sotto gli ospedali, nelle caverne scavate nella roccia, che non possono essere colpite se non a prezzo del sacrificio della popolazione civile”.
Erano quindi gli inglesi i responsabili delle distruzioni.
Con tono addirittura lirico Ezio Maria Gray aveva già inneggiato a questi bombardamenti che tanti danni e lutti arrecavano a Malta. Gli aviatori italiani cercavano di colpire solo obiettivi militari, risparmiando i centri abitati: “ma anche se inevitabili danni avranno segnato il nobile volto dell’Isola italianissima, essa saprà inorgoglire e sorridere nella traboccante gioia di vedere esaudito per vittoriosa potenza delle armi d’Italia l’antico voto di rientrare nel grembo della Patria senza avere mai ammainato la bandiera della razza, della lingua e della fede”.67
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Gli obiettivi militari a Malta certo non difettavano. In ordine di precedenza figuravano così elencati in un documento della Marina Militare, riportato da Mariano Gabriele nel suo studio “Operazione C3: Malta”: il bacino galleggiante da 60.000 tonnellate, la centrale elettrica, i magazzini alimentari, l’Arsenale, i depositi di torpedini e di nafta, l’officina siluri e il pontile di lancio, gli idroscali, l’aeroporto, le fortificazioni costiere.68
Secondo un documento della Marina del dicembre 1938 l’attacco a Malta sarebbe stato facilitato dal fattore sorpresa, scatenandolo nei primi giorni di guerra. L’occupazione di Malta era ritenuta una premessa indispensabile per le operazioni militari nel Nord Africa e per assicurarsi il controllo del Mediterraneo centrale.
Ma così non fu: l’occupazione dell’Albania nella primavera del 1939 comportò l’apertura di un nuovo fronte marittimo, distraendo l’obiettivo da Malta.69
Distrazione che l’Italia pagò a caro prezzo: come scrive uno storico delle vicende belliche relative a Malta, Nicola Malizia, “ci si illuse invece di annientare Malta con la sola aviazione e con il blocco della nostra Marina, nella assurda certezza di poter evitare due avvenimenti capitali che furono per noi catastrofici: l’interruzione del flusso dei rifornimenti dell’Asse verso la Libia e il conseguente fallimento dell’intera campagna africana. L’aver ignorato o sottovalutato quindi il problema di Malta fu purtroppo l’errore più grave, in quanto la posizione e l’efficacia dell’isola britannica ebbero ripercussioni dirette sulle funzioni del controllo del Mediterraneo…”.70
I piani italiani per l’invasione di Malta furono accantonati anche perché l’alleato tedesco ne sottovalutò l’importanza e ritenne troppo elevato il rischio di gravi perdite, come quelle avute nell’invasione di Creta, in cui perirono 4000 paracadutisti tedeschi. Inoltre, non erano facilmente disponibili i mezzi necessari, data la dispersione di forze, aeree e terrestri, su di un fronte vastissimo, che andava dai Balcani all’URSS, e data la necessità di presidiare le zone occupate.
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Nell’estate 1942 l’operazione Hercules, progettata dal comando tedesco, prevedeva l’occupazione di Malta: ma si tardò ad attuarla, ritenendola superflua, poiché si credette sufficiente continuare il martellamento aereo ed il blocco navale dell’isola per neutralizzarla, nel momento in cui le forze dell’Asse riportavano successi su tutti i fronti, dalla Russia al Nord Africa.71
La sconfitta di El Alamein, nell’ottobre dello stesso anno, oltre a creare una definitiva inversione di tendenza nell’andamento della guerra, rese poi del tutto inattuale ogni piano di invasione.
La sottovalutazione dell’importanza strategica di Malta non fu propria solo dei comandi italiani e tedeschi.
Per molto tempo anche in quelli britannici ci furono non poche perplessità sull’utilità di mantenere la base e soprattutto sulla possibilità di difenderla da un attacco italiano.
Voci insistenti sul ridimensionamento dell’importanza di Malta come base militare erano circolate già nel 1912, quando la sfida tedesca alla tradizionale supremazia marittima britannica aveva spostato nell’Atlantico e nel Mare del Nord il centro di gravità del dislocamento delle forze navali inglesi.
L’allarme suscitato dal diffondersi di tali voci, basato anche sull’effettivo trasferimento di parte della flotta da Malta a Gibilterra, portò a convocare nel maggio 1912 la conferenza di Malta, cui parteciparono i più alti responsabili militari britannici, per tranquillizzare sul futuro dell’isola come base militare; ed allo stesso scopo valsero i dibattiti parlamentari nel luglio 1912. Ma si trattò di un dubbio passeggero sull’importanza della base maltese, che non fu oltretutto messa alla prova dei fatti, dato che essa nel corso della prima guerra mondiale non
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rivestì una primaria importanza strategica, poiché era scarsa la presenza navale degli Imperi centrali nel Mediterraneo.
Ben diversa la situazione strategica che si delineava negli anni ‘30; in caso di un conflitto anglo-italiano il Mediterraneo sarebbe divenuto un fronte fondamentale e l’accresciuta importanza dell’aviazione privilegiava l’Italia, che dagli aeroporti siciliani poteva facilmente condurre le operazioni su Malta.
Inoltre, la vittoria nella guerra d’Etiopia portava a sopravalutare la potenza militare italiana, soprattutto quella aerea. Si era pertanto avanzata l’idea che convenisse abbandonare l’isola alla sua sorte, concentrando le forze britanniche ad Alessandria ed a Gibilterra, che peraltro sarebbero state insufficienti ad assicurare un pieno controllo del Mediterraneo.72
Una testimonianza della scoraggiata trascuratezza con cui era considerata la situazione di Malta è offerta dall’ammiraglio comandante la “Mediterranean Fleet”, Cunningham, che ricorda come fino al 1936 a Malta ci fossero soltanto 12 cannoni antiaerei, portati a 24 in quell’anno, proprio dopo la visita compiuta nel corso dell’estate dal 1° lord dell’ammiragliato, Samuel Hoare, che aveva definito Malta e Gibilterra essenziali per l’Inghilterra. 73
Ma ancora nel maggio 1939, alla vigilia ormai del conflitto mondiale, l’ammiraglio Percy Noble giudicava un “errore funesto” (“calamitous error”) intestardirsi a difendere Malta.
Ma Winston Churchill, prima come ministro della marina nel 1939 e poi come capo del governo nel 1940, fu per contro un deciso assertore dell’importanza di Malta, opponendosi al suo abbandono per concentrare le forze a Gibilterra.74
Nonostante questo deciso atteggiamento del primo ministro, allo scoppio della guerra Malta non poteva ancora contare su adeguati mezzi difensivi: le batterie costiere disponevano soltanto di 14 pezzi di grosso calibro, le forze aeree si riducevano a pochi idrovolanti, quelle
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terrestri contavano appena 5.000 uomini. Fu allora introdotta la leva obbligatoria per i maltesi, che l’accettarono, al fine di aumentare gli effettivi.
La posizione di Malta risultava però notevolmente indebolita per la sconfitta francese, che tolse agli alleati la disponibilità della base di Biserta, che avrebbe potuto essere un deterrente per le azioni aeree italiane su Malta, in quanto dalla base tunisina si sarebbero potuti levare in volo aerei destinati a bombardare l’Italia. Adesso Malta poteva contare soltanto sulle proprie forze, senza il sostegno di vicine basi amiche.
Nonostante tutti questi motivi di debolezza Malta fu difesa con una determinazione che traspare già dal messaggio letto alla radio la sera del 10 giugno 1940 dal generale William Dobbie, governatore dell’isola: annunciava ai maltesi che la guerra li minacciava direttamente e che si preparavano giorni difficili, ma che con l’aiuto di Dio e dei maltesi stessi i soldati britannici ed il governatore avrebbero fatto il loro dovere nei confronti di Malta e dell’Inghilterra.
Fondamentale per il successo della difesa di Malta fu il Consiglio di guerra britannico, svoltosi il 1° luglio 1940, che sotto l’impulso di Churchill rifiutò di abbandonare l’isola, contro il parere di chi la riteneva indifendibile.75
Ma se mancò l’impegno per attuare il piano di invasione di Malta, non mancò invece da parte italiana quello per preparare subito la sistemazione politico-amministrativa dell’isola dopo la sua conquista: con un ottimismo che gli eventi dimostrarono essere eccessivo, si riteneva difatti imminente una vittoriosa conclusione del conflitto.
A tale scopo la “Sottocommissione per lo studio delle questioni territoriali”, creata nel 1940, si occupò anche di Malta avvalendosi del contributo di numerosi enti ed associazioni, come il consiglio Nazionale delle Ricerche, (CNR), il Regio Ministero dell’Aeronautica, il Banco di Roma, la Regia Deputazione per la Storia di Malta, il Comitato di Azione Maltese, la CIT;
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oltre che di singoli, come gli ex consoli italiani a Malta Guglielmo Silenzi e Mario Canino.76
Il CNR forniva un quadro statistico completo della realtà maltese, prospettando anzitutto i dati relativi alla popolazione, passata da 184.742 abitanti nel 1901 a 268.668, militari compresi, il 31 dicembre 1938. L’incremento si era avuto anche se il tasso di natalità era sceso dal 40,7‰ del 1901 al 35‰ del 1925. Gli stranieri residenti al 31 dicembre 1938 erano 1139, di cui 758 italiani dediti soprattutto all’artigianato (108) ed al commercio (40). Le casalinghe italiane erano 254 e 132 le suore. Elevata la mortalità infantile maltese: sui 5204 decessi del 1937, 1560 erano i bambini morti al disotto dei due anni.
I maltesi emigrati erano circa 30.000, di cui 10.000 e naturalizzati francesi, in Tunisia.
Per quanto riguardava l’istruzione si riportava che le 137 scuole elementari pubbliche contavano 32.735 alunni, di contro ai 1961 delle scuole secondarie di vario tipo; gli studenti universitari erano 250. Nelle 37 scuole private, di vario ordine e grado, di cui 11 sussidiate, frequentavano 4300 alunni.
Commercio ed agricoltura erano le principali attività economiche, ma l’industria aveva ricevuto un forte impulso dalla presenza della flotta e del presidio militare; l’arsenale marittimo era l’industria più importante. Esistevano pure cotonifici, mulini e manifattura di tabacchi. Forte lo squilibrio tra le importazioni (12 milioni di dollari nel 1936) e le esportazioni (700.000 dollari sempre nel 1936).
Quasi in pareggio il bilancio pubblico con entrate pari a 1.354.015 sterline (di cui 625.888 per diritti doganali) ed uscite per 1.353.762 sterline (le spese più forti erano quelle sociali e sanitarie, pari a 221.656 sterline; e quelle per l’istruzione, cui erano andate 164.601 sterline).
Il rapporto del ministero dell’aeronautica sottolineava l’importanza di Malta per la sicurezza delle rotte aeree e marittime verso l’Africa del Nord. Il suo possesso consentiva all’Inghilterra l’esplorazione delle coste italiane, anche se era esposta a possibili attacchi aerei provenienti dalla Sicilia; ma nelle sue caverne potevano trovare sicuro rifugio uomini e mezzi.
L’isola non sarebbe stata necessaria all’Italia come base aerea offensiva, essendo sufficienti a tale scopo le basi poste in Sicilia; ma sarebbe giovata per intercettare i convogli navali.
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Posta sulle rotte aeree e marittime tra Gibilterra e Suez, le due porte del Mediterraneo, Malta poteva inoltre divenire uno scalo importante per il traffico aereo civile da e per l’Italia: “…perciò - concludeva il rapporto – non deve mancare il possesso alla nazione che geograficamente, storicamente e per naturale diritto deve dal Mediterraneo trarre ogni fonte di prestigio e di vita”.
Il Banco di Roma illustrava, come il CNR, quali fossero le basi dell’economia maltese e si soffermava sulla situazione monetaria. Alla valuta tradizionalmente circolante a Malta, la sterlina britannica, si era, dopo lo scoppio della guerra, sostituita la lira maltese, parificata alla sterlina ma priva di copertura aurea, oltre che di corso legale al di fuori dell’isola: proprio per questa ragione gli Inglesi, temendo la conquista italiana, l’avevano sostituita alla sterlina, onde evitare che gli invasori venissero in possesso di una notevole massa di valuta pregiata. Nelle banche dell’isola erano depositate 10 milioni di sterline, pari a 700 milioni di lire italiane, su cui si appuntava uno sguardo cupido: era “una somma ingente che costituirà un cospicuo apporto all’economia italiana”, osservava l’autore del rapporto. Ed a dispetto degli “artifici monetari” britannici, si concludeva, “uno dei primi atti dell’amministrazione italiana” doveva tendere “a far rigurgitare le lire sterline ovunque esse siano”.
Dei provvedimenti urgenti da adottare per un regime transitorio, prima che l’isola divenisse una provincia italiana, si occupava il pro-memoria compilato da Carlo Mallia, Umberto Biscottini ed Annibale Scicluna Sorge per conto della R. Deputazione per la Storia di Malta e del Comitato di Azione Maltese.
Si proponeva di istituire accanto al comandante militare un commissariato civile, formato da maltesi ed italiani, che avrebbe dovuto avere competenze analoghe a quelle dei consiglieri italiani preposti in Albania ai vari rami dell’amministrazione.
Era sottolineato che Malta, pur essendo “etnicamente e storicamente italiana”, prima di passare sotto il dominio britannico era stata sotto i Cavalieri uno stato indipendente per un lungo periodo, dal 1530 al 1798: si erano così “formate nell’isola molte leggi e costumanze nettamente distinte da quelle del Regno”, di cui occorreva tenere “debito conto quando Malta sarà riunita alla Madre Patria”.
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Rilevato che il deficit economico maltese era compensato dai proventi dovuti alle basi militari britanniche ed alle rimesse degli emigrati, per cui la situazione finanziaria era solida, nel pro-memoria non si nascondeva che almeno all’inizio l’occupazione italiana avrebbe trovato opposizione, poiché la propaganda britannica aveva rafforzato il movimento imperialista, che si opponeva a quello nazionalista. E di movimenti, piuttosto che di partiti si doveva parlare.
Per fronteggiare tale opposizione bisogna proclamare subito l’annessione al regno d’Italia, che poteva essere legittimata dal voto di un’assemblea di notabili maltesi.
Il comandante militare con un suo proclama, da divulgare ovunque in maltese, avrebbe dovuto affermare che i maltesi erano “italiani che si ricongiungono alla Patria” e non oggetto di conquista.
L’italiano doveva essere ripristinato come unica lingua ufficiale e l’inglese proibito anche come lingua straniera da studiare a scuola. I giornali in inglese andavano soppressi: tollerato all’inizio un giornale in maltese, ammesso un solo giornale in italiano, sottoposto ad un rigido controllo ogni organo di stampa, anche se religioso.
Andava stroncata ogni atto di propaganda antitaliana, “non avendo timore di comminare qualche pena esemplare”.
Gli ordini professionali e sindacali dovevano essere riorganizzati sul modello delle corporazioni fasciste; si sarebbe costituito un partito fascista, il cui primo nucleo sarebbe stato formato da quanti erano stati internati dagli inglesi e dagli esuli maltesi che avevano dato vita al “Comitato di Azione Maltese”. Sarebbero stati ammessi i nazionalisti; da controllare le altre richieste di iscrizione. Chi non era iscritto al partito non poteva avere alcun impiego pubblico.
Per tranquillizzare i maltesi sul loro futuro economico bisognava assicurare che a Malta sarebbero rimasti comandi e basi militari, anche dopo la fine della guerra. L’istituzione di un porto franco e la promozione del turismo avrebbero assicurato altre importanti fonti di lavoro e di reddito. Inoltre i professionisti e gli artigiani maltesi andavano tutelati dalla concorrenza
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italiana; si doveva favorire l’ “osmosi tra italiani regnicoli e maltesi”; prima di introdurre la leva militare occorreva preparare la gioventù maltese per mezzo di organizzazioni come la GIL.
Bisognava condurre un’epurazione politica tra gli impiegati, che a Malta erano numerosi e godevano di stipendi superiori a quelli italiani; dopo un periodo transitorio in cui si sarebbero mantenuti “ad personam” tali maggiori retribuzioni, gli stipendi sarebbero stati parificati a quelli italiani.
Gradualmente si sarebbero sostituite le leggi italiane a quelle maltesi, mantenendo in un primo tempo in carica i magistrati locali nominati senza concorso dal re d’Inghilterra.
Pure graduale, a partire dalle prime classi, doveva essere il cambiamento dei programmi scolastici, tranne che per le materie considerate formative, come la storia per le quali occorreva una riforma immediata. Ovviamente l’italiano sarebbe stato l’unica lingua veicolare d’insegnamento.
Molto tatto era necessario nei rapporti con la Chiesa, che a Malta esercitava una grande influenza.
Si sarebbero comunque avviate con prudenza la soppressione della manomorta e la trasformazione dell’ingente patrimonio immobiliare ecclesiastico, pari ad un terzo delle proprietà maltesi, in capitali mobili.
Il pro-memoria non faceva parola dei rapporti con l’Ordine dei Cavalieri di Malta. Se ne occupava a parte un appunto della R. Deputazione per la Storia di Malta, destinato a S.E. il Ministro, prot. 403/R in data 24 luglio 1940, custodito nello stesso fascicolo e firmato soltanto da Umberto Biscottini, che riferiva di aver incontrato poco prima dell’inizio della guerra due emissari del Gran Maestro dell’Ordine, il conte Antonio Conestabile della Staffa e l’ammiraglio Guido Milanesi, i quali avevano fatto cenno di eventuali richieste dell’Ordine.
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Biscottini, se pur con qualche riluttanza, aveva accettato il colloquio, tenuto conto che una “circoscritta” presenza dell’Ordine di Malta sarebbe riuscita gradita alla popolazione ed avrebbe incoraggiato il turismo. Successivamente aveva ricevuto un pro-memoria destinato al Gabinetto del MAE, preparato, a nome del Gran Maestro, dallo stesso conte Conestabile della Staffa e dal senatore Carlo Calisse.
L’Ordine chiedeva la cessione del Palazzo Magistrale a Malta, con diritto di extraterritorialità, da adibire a sede di rappresentanza; chiedeva pure la consegna dell’Archivio con relativo edificio, della Chiesa di San Giovanni, conservando comunque i privilegi del clero su di essa e consentendo l’accesso del pubblico; di altri edifici maltesi.
In cambio l’Ordine si impegnava a rinunciare ad ogni pretesa territoriale ed a mantenere la sua sede a Roma. Biscottini osservava che potevano spettare all’Ordine solo le carte dell’Archivio che lo riguardavano direttamente, da custodire nel palazzo Magistrale. Gli altri documenti e l’edificio dell’Archivio dovevano restare allo Stato italiano. Inoltre, erano prevedibili complicazioni con il clero, se si concedeva all’Ordine la Chiesa di San Giovanni, sulla quale comunque potevano riconoscersi alcuni privilegi per il Gran Maestro.
Osservazioni, concludeva il pro-memoria, su cui l’emissario dell’Ordine, il conte Conestabile della Staffa, si era detto d’accordo in linea di massima.
Favorevole alle concessioni all’Ordine previste da Biscottini, di cui teneva presente l’appunto per il Gabinetto del MAE, si dichiarava nel suo pro-memoria in data 24 agosto 1940 l’ex console a Malta Mario Canino, che riteneva che la popolazione maltese le avrebbe accolte con favore. Inoltre, la presenza dell’Ordine a Malta avrebbe rinverdito antiche e gloriose memorie, incoraggiando il turismo, che in futuro poteva essere una grande risorsa.
Oltre che di questa prematura divisione delle spoglie, Canino si occupava delle caratteristiche etniche e culturali della popolazione maltese, che aveva assorbito ed omologato immigrati di ogni provenienza.
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L’omologazione, secondo Canino, derivava dal fatto che di rado gli immigrati arrivavano con una famiglia già formata; generalmente essi sposavano donne maltesi ed il tipo maltese si era formato attraverso la “matrizzazione”, essendo la donna maltese una tenace custode delle tradizioni etniche, morali e religiose.
L’ex console faceva poi riferimento alle numerose comunità maltesi presenti “specialmente nei settori del Mediterraneo, destinato a passare sotto il nostro dominio e sotto il nostro controllo”.
I dati statistici citati da Canino non coincidevano con quelli forniti dal CNR, già ricordati.
Si affermava infatti la presenza di 30.000 immigrati maltesi nel Maghreb, divenuti quasi tutti francesi “ope legis”, o per loro scelta; si ricordava pure l’esistenza di 16.000 immigrati in Egitto (ignorati dal CNR), di 4000 in Australia e di altrettanti negli Stati Uniti (secondo il CNR 5000 in ognuno dei Paesi).
Canino osservava che, nonostante i sentimenti filo-italiani della borghesia maltese, molti giovani si erano arruolati come ufficiali, che “stanno ora combattendo contro di noi, magnificati dalla radio inglese per l’efficacia dei loro tiri antiaerei. Dobbiamo però ammettere che ciò è esatto”.
Canino ricordava poi quanto pingui fossero gli stipendi percepiti dai maltesi: al Presidente della Corte d’Appello spettavano 1400 sterline annue, pari a circa 100.000 lire italiane, più di quanto percepiva in Italia il Primo Presidente della Corte di Cassazione.
Ancora più ricche le prebende ecclesiastiche: l’arcivescovo godeva di una “mensa” annua di 5000 sterline (circa 350.000 lire), oltre a numerosi “incerti”. Ricchi erano anche i “benefizi” di alcuni parroci, che potevano arrivare a 900 sterline l’anno (più di 60.000 lire italiane).
Il sentimento religioso dei maltesi era giudicato più che altro pura apparenza.
Gli ordini religiosi versavano in uno stato di decadenza culturale e morale, da quando si era abolita, tranne che per i Gesuiti, la loro dipendenza dalle Case madri in Italia. Questa dipendenza andava quindi ripristinata, malgrado l’opposizione di quanti temevano che le loro
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rendite sarebbero perciò affluite in Italia.
La situazione politica doveva essere regolata con una “annessione pura e semplice, senza lasciare un diritto d’opzione per altra nazionalità ai maltesi riconoscibili come tali”, preparandola con la richiesta di una assemblea di notabili appositamente convocata. Coloro che in precedenza avevano spontaneamente optato per la cittadinanza britannica, non avrebbero potuto ottenere quella italiana.
Particolare attenzione, doveva essere dedicata alla formazione della gioventù, che Canino definiva “abulica ed ignorante”, malgrado “una illusoria verniciatura”. Bisognava quindi potenziare al massimo le istituzioni educative e culturali pubbliche, anche se dovevano farsi concessioni all’insegnamento privato, quasi totalmente in mano ai religiosi, per mantenere buoni rapporti con la chiesa ed evitare che le famiglie potessero ritenere in pericolo i principi religiosi.
L’Università di Malta avrebbe potuto attirare studenti anche di altre province italiane acquistate di recente nel Mediterraneo, divenendo così un centro di diffusione della cultura italiana.
Promozione del turismo, istituzione di un porto franco, formazione professionale per gli artigiani, sviluppo edilizio, mantenimento dell’Arsenale: erano questi i capisaldi del programma economico proposto da Canino.
Ed allo sviluppo turistico in particolare era dedicato un appunto della CIT, che fra l’altro prevedeva la chiusura dell’agenzia di viaggi Cook a Malta, ritenendo non più giustificata la sua presenza.
Si differenziava per alcuni aspetti dalle indicazioni fornite da Biscottini, Mallia e Scicluna Sorge il pro-memoria, che porta la data del 10 agosto 1940, preparato dall’ex console Guglielmo Silenzi, come messo in chiaro già dal titolo “Provvedimenti da adottarsi dopo l’occupazione dell’isola di Malta in aggiunta e modifica a quelli già presentati dalla Regia Deputazione per la Storia di Malta”.
I provvedimenti suggeriti da Silenzi erano distinti in quelli di carattere immediato e quelli da adottare successivamente.
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Il primo provvedimento proposto era quello dell’annessione, che secondo l’ex console doveva avvenire senza far ricorso alla richiesta di un’assemblea di notabili. L’occupazione di Malta non era una conquista militare, ma la riunione di una parte del territorio nazionale alla Madre Patria; si era regolata in tal modo la Germania per i territori polacchi con popolazione a maggioranza tedesca, per l’Alsazia e la Lorena, per il Lussenburgo. Contemporaneamente al proclama del comando militare che sanciva l’annessione all’Italia, era opportuno che i vescovi diramassero una pastorale e che nella cattedrale di San Giovanni si celebrasse un solenne “Tedeum” di ringraziamento. Il proclama del comando avrebbe dovuto promettere il rimborso dei danni causati dai bombardamenti, almeno per i maltesi fedeli all’Italia.
Concordava invece con le proposte della R. Deputazione per la Storia di Malta la richiesta di assicurare la massima divulgazione della stampa italiana e di procedere ad una epurazione politica degli impiegati.
Inedite invece le proposte di reintegrare nella carica di Presidente della Corte d’Appello Arturo Mercieca, costretto a dimettersi l’11 giugno 1940; di facilitare l’iscrizione delle donne maltesi al fascio femminile; di includere nel trattato di pace l’obbligo per l’Inghilterra di restituire i beni artistici asportati da Malta.
Fra i provvedimenti di carattere non immediato Silenzi prevedeva l’istituzione di scuole serali per l’insegnamento dell’italiano agli adulti e di scuole di formazione professionale; il ripristino dell’Istituto Italiano di Cultura; bonifiche agricole per aumentare la produzione; il miglioramento delle condizioni sanitarie; l’incoraggiamento dell’immigrazione italiana a Malta, “ciò che produrrebbe nel futuro il miglioramento della razza e faciliterebbe assai il processo di osmosi tra italiani regnicoli e maltesi”.
Con un pro-memoria riservato a parte, che ha la stessa data del 10 agosto 1940, Silenzi sconsigliava di restituire all’Ordine dei Cavalieri il palazzo Magistrale: da sempre simbolo del potere, esso avrebbe dovuto essere la sede del Governo italiano.
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All’Ordine si sarebbe potuto concedere un altro edificio, ma senza il privilegio dell’extraterritorialità, poiché ciò agli occhi dei maltesi avrebbe significato riconoscere l’esistenza di uno Stato nello Stato. Al più si sarebbe potuto concedere, come già avveniva in Italia, la franchigia doganale.
Questa puntigliosa cura nel precisare anche i particolari del futuro assetto di Malta, portava pure a preparare un elenco di 505 toponimi da italianizzare ed un altro di 133 toponimi.
Per lo più si trattava di una semplice traduzione dal maltese in italiano: ma in qualche caso si trattava di un radicale cambiamento, come nel caso del toponimo 102 “Ghain Dielen” (“Sorgente della vita”), per cui si proponeva la nuova denominazione “Casal Fortunato Mizzi”, “per onorare un illustre patriota maltese”.77
Gli eventi bellici resero questi progetti una pura esercitazione accademica. I bombardamenti aerei continuavano implacabili a martellare Malta, che comunque resisteva. Prima di morire, il 22 agosto 1940, lord Strickland ebbe modo di assistere ai primi mesi di guerra ed ai bombardamenti italiani, da lui ripetutamente paventati, che devastavano la sua amata isola.78
Al piano di invasione di Malta, ripreso nell’estate del 1942, fece da prologo l’infelice tentativo di procurarsi informazioni sulle fortificazioni e sulle condizioni generali dell’isola, affidato al maltese Carmelo Borg Pisani.
Malta era stata attaccata sempre e soltanto dal cielo: il tentativo di penetrare nel porto della Valletta, effettuato nella notte del 25 luglio 1941 dalla X Mas (reduce dai successi di Alessandria e di Gibilterra) si era concluso tragicamente con un insuccesso, in cui fra gli altri,
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perse la vita l’ingegnere navale Tesei, l’inventore dei siluri umani che avevano preso il nome di “maiali”, derivato dall’epiteto con cui, scherzosamente rabbioso, lo stesso Tesei aveva apostrofato un siluro mal funzionante.79
Malta nell’estate del 1942 era ridotta allo stremo: mancavano viveri e munizioni; i due convogli partiti rispettivamente da Gibilterra e da porto Said nel giugno 1942 per portarle rifornimenti furono decimati e soltanto due navi mercantili riuscirono a giungere nel porto della Valletta. Né sorte migliore ebbe l’ “operazione Pedestal”, nel cui quadro fu organizzato nell’agosto del 1942 un altro convoglio di navi mercantili, fortemente scortato da una squadra che comprendeva anche 4 portaerei e 2 corazzate. Aerei e sommergibili italiani e tedeschi causarono perdite fortissime al convoglio: soltanto la nave cisterna “Ohio”, benché danneggiata dal sommergibile italiano “Axum” , e 3 navi mercantili arrivarono a destinazione.80
In questo contesto venne a collocarsi la missione di Borg Pisani.
Era un giovane maltese già allievo nell’isola natia della scuola italiana “Umberto I”, iscritto alle organizzazioni giovanili fasciste e che nel 1933, appena diciottenne (era nato l’11 agosto 1915), aveva pure seguito in Italia un corso per capo centuria. Era tornato in Italia per frequentare i corsi dell’Accademia di Belle Arti ed era divenuto un assiduo frequentatore della R. Deputazione per la Storia di Malta.
Fu lui a proporre ad Umberto Biscottini, che prontamente aderì alla richiesta, la creazione di un punto di ritrovo per gli studenti maltesi in Italia. Nacque così il “Circolo degli Amici della Storia di Malta”, di cui Borg Pisani fu presidente, promovendo molte iniziative, come la lettura collettiva della “Vita di Arnaldo” di Benito Mussolini.
Costituitosi nel 1940, all’inizio della guerra, il “Comitato di Azione Maltese”, Borg Pisani partecipò a tutte le sue manifestazioni in varie scuole di Roma.
Ma ebbe l’occasione di mettersi in luce per altre circostanze, come quella legata alla richiesta dell’Ambasciata degli USA, che fino alla loro entrata in guerra tutelarono gli interessi britannici in Italia, fattagli nel febbraio 1941 per accertare se fosse ancora in possesso del passaporto inglese.
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Borg Pisani rispondeva che, come italiano irredento, non aveva più nulla da spartire con l’impero britannico, di cui si vergognava di essere stato suddito. Aggiungeva di voler essere lasciato in pace e di rifiutare la protezione degli USA. L’ambasciata inviava allora una seconda lettera per chiedere la restituzione del passaporto inglese, che andava annullato.
A tale nuova richiesta lo studente maltese rispondeva dopo qualche mese inviando la copertina dell’opuscolo “Malta italianissima”, riproducente appunto un passaporto britannico, e chiedeva di accettare questa riproduzione in cambio del passaporto, che non riusciva più a trovare.81
Ma era tutta una sceneggiata, di cui faceva parte pure la persecuzione telefonica cui Borg Pisani asseriva di essere stato sottoposto da parte di una misteriosa signora che, a nome dell’ambasciata americana, aveva insistito a più riprese per fargli riassumere la cittadinanza britannica.
Nel denunciare tale persecuzione alla Direzione Italiani all’Estero (DIE) del MAE, di cui Umberto Biscottini era sempre “magna pars” Borg precisava che la misteriosa telefonista abitava a Roma, in Via Thiene, ed aveva il numero telefonico 584665.
Il servizio di controspionaggio (SIM) si occupò della vicenda ed i risultati dell’inchiesta figurarono in un pro-memoria del Ministero dell’Interno in data 17 marzo 1941, trasmesso come allegato alla nota del 19 aprile 1941, inviata dallo stesso ministero alla DIE.
Il pro-memoria attestava che Borg Pisani era cittadino britannico, tuttora in possesso del passaporto n° 10076, rilasciato a Malta il 7 luglio 1932 e rinnovato nel 1938. Fruiva inoltre del permesso di soggiorno n° 17032, rilasciato il 18 novembre 1939 dall’Ufficio stranieri della Questura di Roma.
Era quindi destituita di fondamento l’affermazione di essere stato sottoposto a pressioni per riacquistare la cittadinanza britannica, mai abbandonata.
Dalle indagini fatte era poi risultato che il numero telefonico indicato dal giovane maltese e da cui sarebbero pervenute le misteriose telefonate per indurlo a riprendere la cittadinanza inglese, corrispondeva a quello di un funzionario del Ministero Scambi e Valute, Dr. Cav. Ciaffei Giuseppe, abitante in Via Gaetano Thiene 9, richiamato alle armi e fatto prigioniero dagli inglesi a Bardia nel dicembre 1940.
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La moglie, Preti Lidia, viveva sola con la figlioletta Laura di 2 anni. Memore forse dell’elogio latino della virtù femminile “domi mansit, lanam ferit” (“restò a casa, filò la lana”), l’estensore del pro-memoria così dipingeva la signora Preti Lidia: “…è molto addolorata per la sorte del marito: in casa non ospita alcuno né concede ad estranei l’uso del telefono. E’ una signora onesta che non ha relazioni con stranieri, che non frequenta ambienti mondani. E’ tutta dedita alla sua figlioletta”.
Questa la secca conclusione: “le affermazioni di Borg sono prive di fondamento”. Ed il ritratto del giovane maltese era completato con questi inquietanti particolari: “Il Ministero dell’Interno con foglio n° 443/66860 in data 10 luglio 1940 ordinò alla R. Questura di lasciare indisturbato Borg. Ciò fa supporre che egli possa essere al servizio del’ OVRA. Borg non ha dato finora luogo a rilievi. Ha una certa disponibilità di mezzi, ma non se ne conosce la fonte.
Vive con un certo decoro e mai ha lasciato trapelare circostanze relative alla sua posizione”. 82
La “disponibilità di mezzi” trovava conferma nel fatto che non alloggiava in una modesta camera ammobiliata presso una famiglia: da ultimo si era trasferito dalla pensione Venezia all’hotel Genio (un decoroso albergo di Via Zanardelli, vicino piazza Navona, all’epoca di 2° categoria).
Sistemazione alberghiera e disponibilità economica che contrastavano con la vita di studente squattrinato, condotta per qualche tempo almeno, così descritta da Carlo Siviero, insegnante di Borg Pisani all’Accademia di Belle Arti nel rievocare i pasti consumati insieme all’osteria del Bottaro alla passeggiata di Ripetta in Roma: “Misurato anche nei pasti, Borg formulava nella mente – e io me ne accorgevo – il bilancio preventivo della spesa, e, con la lista delle vivande alla mano, regolava le ordinazioni. Aveva il senso dell’economia senza essere taccagno: chè, non di rado, mentre s’era talmente preoccupato di tenersi a freno, versava nel
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piatto del chitarrista che strimpellava ai nostri posti o nelle mani di qualche mendicante di passaggio, il corrispettivo della vivanda di cui s’era privato. E forse – ma ciò non rivelò ad alcuno – come i conti spesso non tornavano – rinunciava al pasto della sera”.83
La segnalazione al questore di Roma di lasciare indisturbato Carmelo Borg Pisani di per sé non può significare che il giovane maltese fosse al servizio dell’OVRA. Il MAE aveva provveduto fin dal 31 maggio 1940 ad inviare al Ministero dell’Interno un elenco di 24 maltesi da lasciare indisturbati perché fedeli all’ Italia, allegato ad un telespresso firmato dallo stesso Ciano.
Nell’elenco, compilato dalla R. Deputazione per la Storia di Malta su incarico del MAE – Direzione Italiani all’Estero, figuravano fra gli altri Carlo ed Emma Mallia; Silvio Emanuele Mizzi, cugino di Enrico, con il figlio Manuel; lo studente presso l’Università di Padova Ivo Leone Ganado; un gruppo di suore terziarie francescane del convento romano di via Iberia 5. Non figurava in questo elenco Carmelo Borg Pisani, che fu segnalato successivamente, il 10 giugno 1940 (e non il 10 luglio come erroneamente asserito nella nota del Ministero dell’Interno al MAE, relativa alle informazioni avute dal SIM, sopra ricordata), assieme allo studente Giuseppe Gatt ed al medico Alberto Xeri De Caro: di quest’ultimo si ricordava la richiesta di cittadinanza italiana, di iscrizione al P.N.F. e di poter “servire l’esercito in caso di guerra”.84
Altre segnalazioni di maltesi “amici” furono fatte il 13 giugno al prefetto di Catania ed al questore di Roma (fra le tre segnalazioni spiccava quella di Giuseppe Gonzi, nipote del
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vescovo di Gozo ed impiegato del Banco di Roma) ed al prefetto di Milano per Giulio Rubinacci, che aveva chiesto di arruolarsi nell’esercito.85
Una direttiva di carattere generale, senza specificare casi singoli, fu impartita dal Gabinetto del MAE il 6 giugno 1940 al capo della Polizia, chiedendo di non molestare i maltesi ed i corsi che avevano “svolto propaganda irredentistica e dei quali questo Gabinetto si è servito per svolgere opportuna azione”.86
Un eccesso di zelo aveva però portato in molti casi all’invio di cittadini maltesi nei campi di concentramento ed al sequestro dei loro beni. Se ne lamentava il MAE con il Ministero dell’Interno il 14 ottobre 1940, ricordando di aver segnalato già il 31 maggio che era stato affidato alla Regia Deputazione per la Storia di Malta “il compito di coordinare l’attività dei maltesi rimasti nel Regno perché si rifiutavano di seguire le sorti dell’Inghilterra”. Si era richiesto già in quella occasione di dare disposizione ai prefetti “perché questi italiani non regnicoli fossero lasciati indisturbati”.
Nel rinnovare la richiesta di lasciare in pace quei maltesi a cui carico non risultasse nulla, il MAE chiedeva pure che fosse loro rilasciata la carta di identità con la qualifica di italiano non regnicolo.
A tale indicazione si adeguava subito Carmine Senise, Capo della Polizia, che inviava il 16 ottobre una circolare ai prefetti del Regno ed al questore di Roma perché non si prendessero provvedimenti contro i maltesi e fosse loro rilasciata la carta di identità, attestasse la loro regolare e legittima permanenza in Italia.87
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La disposizione data alla questura di Roma di non agire contro Borg rientrava quindi nel quadro di disposizioni generali e non costituita una iniziativa “ad personam”, che potrebbe ritenersi dovuta al fatto che lo studente maltese era un confidente dell’OVRA.
Piuttosto, l’improvviso benessere di cui egli godeva e di cui non si conosceva la fonte, può far supporre con qualche fondamento che Borg fosse stipendiato per la sua attività di confidente: agli altri maltesi residenti in Italia si dava la carta di identità e si assicurava l’immunità dalle misure di polizia; ma non si era certo prodighi con essi di aiuti economici.88
Durante il periodo della neutralità italiana, nel 1939, Borg era stato indeciso sull’opportunità di restare in Italia ovvero rientrare a Malta. Indecisione presto superata, tanto da indirizzare a Mussolini il 30 maggio 1940 una lettera in cui dichiarava di sentirsi profondamente italiano e di essere rimasto in Italia per dare il suo contributo affinché Malta divenisse italiana.89
Questo contributo Borg Pisani cercò dapprima di darlo tentando di convincere il conterraneo Carmelo Cassar a fare ciò che egli stesso non aveva fatto: restituire il passaporto britannico ed assumere così la cittadinanza italiana. A tal fine, egli avrebbe promesso al Cassar aiuti economici da parte del Comitato di Azione maltese e lo avrebbe pure allettato con la
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prospettiva di una brillante carriera a Malta, che nel giro di qualche mese sarebbe stata italiana.90
In seguito, con non poche difficoltà, Borg riuscì ad arruolarsi nella Milizia fascista. Le difficoltà incontrate provenivano non soltanto dalla sua fortissima miopia, ma anche dalla diffidenza suscitata dal fatto che aveva conservato la cittadinanza britannica. Respinta due volte dall’Esercito la sua domanda di arruolamento, fece parte di un battaglione di Camicie nere destinato alla Grecia.91
Rientrato in Italia, rifiutò di sottoporsi ad un intervento chirurgico per non interrompere il servizio militare e fu destinato a seguire un corso per allievi ufficiali della Milmart (Milizia marittima territoriale) presso la scuola di Messina: fu allora che maturò il proposito di compiere la rischiosa missione di spionaggio a Malta.
Sulle circostanza che lo spinsero a prendere questa decisione esistono testimonianze ed ipotesi contrastanti, riportate da Lawrence Mizzi nel suo saggio. Secondo Manuel Mizzi, suo intimo amico, Borg Pisani era scontento perché i suoi risultati al corso allievi ufficiali non erano soddisfacenti. Era inoltre tormentato da una delusione sentimentale. La missione a Malta non sarebbe stata però una sua idea, ma gli sarebbe stata prospettata da Umberto Biscottini come l’occasione per un degno riscatto.
Biscottini sarebbe stato quindi il responsabile di quella azzardata decisione, secondo Carlo Mallia, che dichiarò in un primo tempo di essere stato all’oscuro: se l’avesse saputo, sarebbe intervenuto per dissuadere Borg Pisani dall’assumersi quel rischioso incarico. Lo stesso Mallia disse di ritenere sospetta l’insistenza con cui Borg continuava a ripetere di aver preso da solo quella decisione, che invece un altro giovane maltese, Camillo Bonanno, riteneva, come Manuel Mizzi, del tutto autonoma e personale.
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Mallia si contraddisse però a proposito della prima affermazione di non esser stato messo al corrente della missione di Borg Pisani a Malta. Nel numero speciale del “Malta” dedicato al giovane maltese (n° 68-69 del 1° - 15 aprile 1943) descrisse infatti con tono commosso il loro ultimo incontro, in cui avrebbe detto quelle parole che avrebbero potuto pronunciare i genitori di Borg Pisani in una circostanza che poteva tragicamente concludersi.
Lawrence Mizzi così conclude l’analisi delle varie ipotesi: “…in tutte le storie che hanno da fare con missioni segrete in tempo di guerra, non è facile rispondere a tutti gli interrogativi”.
L’impresa già in partenza doveva apparire disperata: alle difficoltà dovute alla fortissima miopia di Borg Pisani si aggiunse un’organizzazione che, secondo la ricostruzione fatta da Lawrence Mizzi, fu quanto mai scadente.
Borg Pisani sbarcò a Malta il 18 maggio 1942, alla base dell’erto costone roccioso di Casal Dingli, impossibile la scalare. Inoltre, il mare in tempesta portò via il suo equipaggiamento e lo sfortunato giovane rimase per due giorni aggrappato ad uno scoglio, in balia delle onde, finché per salvarsi fu costretto ad invocare aiuto.
Raccolto da una barca di pescatori, fu ricoverato all’ospedale militare, dove ebbe la sfortuna di incontrare un medico che era stato suo amico d’infanzia, anche se di opposti sentimenti filo-britannici, Tommy Warrington, con il quale ebbe l’ingenuità di confidarsi, rivelando i motivi della sua presenza a Malta.
Borg dimostrò così una fragilità psicologica, che ancor più della miopia lo rendeva inadatto a quella difficile missione. Analoga sprovveduta loquacità dimostrò difatti, secondo Lawrence Mizzi, con il contro-spionaggio britannico, rivelando molte cose: lo scopo della sua missione, quali gli oggetti da lui perduti (poi recuperati dai sommozzatori), finalità e componenti del Comitato di azione Maltese: dichiarazioni che furono alla base dei processi intentati nel 1946-47 contro i maltesi che avevano collaborato con l’Italia. 92
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Condannato a morte per tradimento (era rimasto cittadino britannico), dopo alcuni mesi di detenzione Carmelo Borg Pisani fu impiccato il 28 novembre 1942.
L’esecuzione fu salutata con entusiasmo il 29 novembre dal “Sunday Times of Malta”, che ricordava essere quello il primo caso di un maltese messo a morte per tradimento nella secolare appartenenza di Malta all’Inghilterra e chiedeva analoga sorte per l’ “arcitraditore” Carlo Mallia, che aveva congiurato assieme a Borg Pisani.
Ed il giornale in maltese “Il Berqua” si felicitava il 1° dicembre per il rigetto della domanda di grazia e per l’internamento in Uganda dei maltesi sospetti (fra questi Enrico Mizzi, Arturo Mercieca, Alberto Hamilton Stilon, mons. Pantalleresco, dirigente dell’Azione Cattolica).
La notizia dell’esecuzione di Borg Pisani arrivò in Italia in ritardo ed in modo impreciso, storpiandone perfino il nome.
Il “Popolo di Roma” pubblicava il 4 dicembre 1942 in prima pagina un breve trafiletto con un lungo titolo: “Patriottismo di un Italiano di Malta. Fucilato dagli Inglesi cade gridando “Viva l’Italia”.
Datata 3 dicembre da Buenos Aires, era riportata la notizia, che si diceva desunta dal “Chicago Tribune”, che il tribunale militare di Malta aveva condannato a morte il cittadino italiano Carmelo Pisiani. Questi di fronte al tribunale aveva riaffermato la sua nazionalità italiana, giustificando così gli atti compiuti contro le forze britanniche occupanti la sua terra, ed era caduto di fronte al plotone di esecuzione gridando “Viva l’Italia”.
La notizia, prima di arrivare a Roma, aveva fatto il giro del mondo, rimbalzando da Chicago a Buenos Aires. Forse per questo era così piena di inesattezze: a parte la deformazione del nome, c’è da notare che Borg Pisani aveva conservato la cittadinanza britannica; che non fu giudicato da un tribunale militare, ma da un tribunale civile maltese, cui le autorità britanniche con accortezza politica avevano lasciato la responsabilità di una grave decisione; che il giovane maltese non venne fucilato, ma impiccato.93
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Con ulteriore ritardo, il 13 dicembre 1942 il Comando Supremo dell’Esercito – SIM – Sezione Bonsignore inviò al MAE, al Ministero dell’Interno, agli altri Servizi di informazione una nota per segnalare l’articolo del “Popolo di Roma” e per “conoscere eventuali precedenti sul predetto” Carmelo Pisiani.
A questa richiesta rispose il 30 dicembre il Ministero dell’Interno comunicando: “nessun precedente risulta in atti sul conto di Pisiani Carmelo nominato in oggetto”.94
Evasa con linguaggio e distacco burocratici la pratica, per un paio di mesi a nessuno venne in mente che poteva trattarsi di quel Carmelo Borg Pisani mandato a morire alcuni mesi prima: era bastata una i troppo, trasformando Pisani in Pisiani, perché i vari servizi segreti, abituati a decifrare messaggi dal complicato cifrario, andassero in tilt.
Soltanto il 1° marzo 1943 qualcuno al MAE ebbe l’illuminazione ed informò il Comando Spremo – SIM – Sezione Bonsignore e per conoscenza il Ministero dell’Interno che Carmelo Pisiani andava identificato con Carmelo Borg Pisani.95
E si diede allora la stura alle celebrazioni dell’eroe. Fin dal 1936 Grandi si era lasciato andare con Ciano, esprimendo l’augurio: “Se fosse possibile avere qualche martire dell’oppressione britannica di Malta…”.96 Ed ora che il “martire” era stato trovato, bisognava trarne tutto il profitto politico possibile.
Iniziò il “Malta”, dedicandogli sul numero 67 del 15 marzo un articolo di enfatica esaltazione fin dal titolo: “Carmelo Borg Pisani: presente!”, in cui si legge: “Il contegno eroico del Borg Pisani fu nobilmente confermato di fronte al plotone di esecuzione, di fronte al quale egli
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ripetè la sua fede con il grido “Viva l’Italia”.
Si insisteva sul particolare inesatto della fucilazione, anziché dell’impiccagione, che fu ripreso in tutte le successive pubblicazioni e perfino nella motivazione della medaglia d’oro alla memoria, concessagli da Vittorio Emanuele III il 4 maggio 1943; inesattezza forse dovuta al fatto che la forca era ritenuta poco dignitosa per un eroe nazionale, nonostante i precedenti austriaci del Risorgimento.
Ma questo primo articolo non fu giudicato sufficiente ed a Borg Pisani il “Malta” dedicò un intero numero doppio speciale (n° 68-69, 1-15 aprile 1943), con articoli, fra gli altri, del Ministro dell’Educazione Nazionale, Carlo Alberto Biggini (Borg Pisani era accostato a figure gloriose di patrioti come Tito Speri, Guglielmo Oberdan, Cesare Battisti, Nazario Sauro); del Presidente della R. Deputazione per la Storia di Malta, Francesco Ercole, del direttore dello stesso “Malta” e consigliere Nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni; dell’ex preside della scuola Umberto I di Malta, di cui Borg Pisani era stato allievo, Ruggero Roghi; di Umberto Biscottini, vice-presidente della R. Deputazione per la Storia di Malta; di Carlo Siviero, docente di pittura presso la R. Accademia di Belle Arti di Roma, i cui corsi erano stati frequentati dal giovane maltese.
Ed il successivo numero 70-71 (1-15 maggio 1943) dedicava ancora ampio spazio al caduto: era riportata la commemorazione fattane all’Accademia di Belle Arti il 3 aprile dal prof. Carlo Siviero, alla presenza di numerose autorità.
Lo stesso numero del “Malta” dava pure notizia dei numerosi tributi dedicati a Borg Pisani: commemorazione del Presidente Nazionale della “Dante Alighieri”, consigliere nazionale Felice Felicioni, tenuta il 9 aprile a Palazzo Firenze a Roma, sede della Società; commemorazione radiofonica fatta il 16 aprile dal cons. naz. Umberto Guglielmotti; intitolazione dell’Accademia di Belle Arti a Roma, da lui frequentata; intitolazione del collegio della Gioventù italiana all’estero di Buccine (Arezzo), della scuola della Milizia frequentata dallo stesso Borg Pisani, trasferita da Messina a Calambrone (Livorno), di strade in numerose città (Genova, Catania, Pisa, Bari, Torino, Lecce).
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E non era tutto: sul numero 72 del “Malta” (1° giugno 1943) era riportata la commemorazione fatta da Carlo Mallia il 17 aprile alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni, nel corso della discussione del bilancio degli Esteri.
Il momento culminante di questa lunga serie di manifestazioni fu rappresentato dal conferimento della medaglia d’oro al Valor Militare, attribuita alla memoria. La cerimonia si svolse il 10 giugno 1943, terzo anniversario dell’entrata in guerra e “giorno dedicato alla nostra gloriosa ed eroica Marina”, per mano di Vittorio Emanuele III, “la più alta ed augusta espressione della Sovranità d’Italia e Rappresentante della più vetusta e nobile Casa Regnante d’Europa”, come scriveva, con dovizia di maiuscole, sempre il “Malta” sul numero 73 del 15 giugno.
Fino all’estremo minuto continuò il martellamento propagandistico del “Malta”, che nell’ultimo numero pubblicato, il 74-75 del 1°-15 luglio 1943, dava ancora notizia di un’altra commemorazione tenuta il 20 giugno al Teatro Regio di Parma dal Presidente della “Dante”, Felicioni.
Nell’approssimarsi della sua fine, il regime fascista disponeva lo scioglimento di tutti i comitati irredentistici per Malta, che venivano inquadrati nell’Istituto di Cultura Fascista.
Ne dava notizia il numero 73 del “Malta”, con un articolo non firmato, quindi da attribuirsi al direttore Carlo Mallia. Seppure con scarso entusiasmo, si accettava il nuovo ordinamento: si trattava di un ordine “e gli ordini si eseguono e non si discutono”. L’importante era che si continuasse a sostenere la causa di Malta italiana: e non si poteva affatto dubitare che venisse meno tale impegno, confermato al Senato in occasione della discussione del bilancio degli Esteri dal relatore Salata e dal Sottosegretario agli Esteri, Bastianini. Del resto, già in precedenza i comitati avevano agito d’intesa con il PNF, che poteva ben interpretare le aspirazioni italiane per Malta.
Caduto Mussolini il 25 luglio, la pratica di scioglimento del Comitato di Azione Maltese, che aveva assorbito fin dall’inizio della guerra le attività delle altre organizzazioni sorte per Malta, continuò il suo iter burocratico.
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Il 30 agosto 1943 il prof. Umberto Biscottini incontrava presso la sede della R. Deputazione per la Storia di Malta il comm. Alessandro Livinali, nominato liquidatore del Comitato di Azione Maltese e del Fascio di Malta.
Biscottini dichiarava di essersi occupato “disinteressatamente” di queste organizzazioni per incarico del Gabinetto del MAE, da cui provenivano in massima parte i fondi a lui “consegnati sempre personalmente”, con facoltà di distribuirli a suo giudizio tra la R. Deputazione per la Storia di Malta, il Comitato di Azione maltese ed il Fascio di Malta, a secondo quale istituzione fosse ritenuto opportuno far figurare come responsabile di una iniziativa.
Biscottini precisava che alla fine del maggio 1943 era stato sostituito come segretario del Fascio di Malta dal capitano Cardenio Botti, la cui nomina non era stata però perfezionata con il deposito della firma presso la Posta ed il Banco di Santo Spirito per poter gestire i relativi conti, di cui Biscottini aveva quindi continuato ad occuparsi. Esisteva un c.c.p. n° 1/27833 intestato “Fascio di Malta – Fondo Carmelo Borg Pisani”, su cui erano versate le somme raccolte dai Provveditorati agli Studi per creare una fondazione dedicata allo studente maltese. Si sarebbe pertanto dovuto consultare il Ministero dell’Educazione nazionale per stabilire quale uso fare di quel denaro. Per la gestione del conto corrente aperto presso il Banco di Santo Spirito si sarebbe dovuta svolgere un’analoga consultazione con il Ministero dell’Interno, da cui provenivano i fondi destinati all’assistenza dei profughi maltesi dalla Libia, versati appunto su tale conto.
La gestione dei fondi del Comitato di Azione maltese si era interrotta il 22 giugno, dopo la decisione di sciogliere le organizzazioni irredentiste. Erano stati perciò chiusi i conti presso il Banco di Roma e la BNL, su cui giacevano 66.143,40 lire, utilizzate comunque per l’assistenza ai Maltesi unitamente al contributo di 96.500 lire avuto tramite la Direzione Italiani all’Estero del MAE il 24 luglio 1943.
Detratte le spese, restavano 89.000 lire depositate in cassaforte.
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Al comm. Livinali venivano quindi consegnati i registri contabili, la documentazione giustificativa delle spese, la somma residua proveniente dal conto del Comitato di Azione maltese.
In un successivo incontro, svoltosi l’8 settembre 1943, tra Biscottini e Livinali, il primo, come disposto dal telespresso 1/4383 del Gabinetto del MAE, in pari data, consegnava al liquidatore il giornale di cassa del Fascio di Malta e la somma residua di 20.357 lire ed il giornale di cassa del fondo destinato ai maltesi profughi dalla Libia con la somma residua di lire 67.213,80.
Più cospicua la somma raccolta con la sottoscrizione indetta per costituire la fondazione Carmelo Borg Pisani, versata sul conto corrente postale: si trattava di 398.993,95 lire.97
Somma destinata ad accrescersi ulteriormente, in quanto la sottoscrizione continuò ancora nel periodo della Repubblica di Salò: da un appunto del MAE del 5 aprile 1945 risulta che a quella data era stato raccolto un fondo di 1.200.000 lire, amministrato dal prof. Umberto Biscottini, divenuto capo di gabinetto del Ministero dell’Educazione Nazionale.98
Sulla destinazione di questo fondo, a guerra conclusa l’on. Tumminelli presentò all’Assemblea Costituente una interrogazione al Ministro della P.I. L’interrogante faceva presente che i sottoscrittori avevano dato i loro contributi per costituire borse di studio da assegnare a studenti maltesi iscritti all’Accademia di Belle Arti di Roma e chiedeva il rispetto di tale volontà, indipendentemente dal nome di Borg Pisani.
Il ministro Guido Gonella rispondeva ricordando che nel giugno 1945 era stato disposto con apposita circolare che le somme raccolte fossero destinato gli enti di assistenza scolastica dipendenti dal Ministero per evitare “le eventuali sfavorevoli ripercussioni che una attuazione,
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sia pur parziale, della iniziativa…avrebbe potuto allora avere, specialmente presso le Autorità Alleate”.
Erano comunque avanzate 850.000 lire in Buoni del Tesoro, che solo in ritardo erano stati rinvenuti “tra gli atti della sede ministeriale del Nord”.
Con tale somma si intendeva istituire una borsa di studio per lo studente maltese dell’Accademia di Belle Arti di Roma, risultato particolarmente meritevole negli anni futuri.
L’iniziativa era già allo studio, ma era subordinata al parere del Ministero degli Esteri, per quanto riguardava la nazionalità del futuro beneficiario della borsa.99
Le attività del governo di Salò non si limitarono comunque a proseguire la raccolta di fondi per costituire la fondazione Carmelo Borg Pisani: il nome del maltese fu largamente utilizzato a fini propagandistici anche in molti Paesi stranieri.
Il 10 aprile 1944 il sottosegretario agli Esteri, Serafino Mazzolini, trasmetteva all’ambasciata d’Italia a Berlino il telegramma del delegato per i Fasci all’estero, Giglio, che dava istruzione agli ispettori per commemorare in occasione della celebrazione del Natale di Roma, il 21 aprile, “anche eroico sacrificio martire maltese Camillo (sic!) Borg Pisani espressione purissima irredentismo maltese e idea fascista esaltando suo volontarismo sua fede e sua dedizione consapevole supremo olocausto a grande causa”.
Lo stesso Mazzolini il 12 aprile trasmetteva il telegramma con le istruzioni di Giglio alla
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ambasciata d’Italia a Tokio ed alle legazioni di Sofia, Budapest, Bucarest, Bratislavia, Hsin King, Bangkok, Madrid.
A questi telegrammi ministeriali seguirono le risposte delle varie sedi diplomatiche. L’ambasciata a Tokio comunicava con telegramma pervenuto il 22 aprile 1944 di aver ordinato per il 21 aprile “celebrazione eroe maltese ai Fasci Hsin King, Pechino, Tien-tsin, Shanghai, Chefoo, Canton, Manila, Saigon, Hanoi, Bangkok, Dwakatra, Giava, Bandung”; una solenne cerimonia era stata predisposta presso l’Ambasciata ed il Fascio di Tokio.
Analoghi telegrammi pervenivano da altre sedi il 30 aprile: la “collettività italiana di Oslo” comunicava “camerata Brunelleschi rievocata storica data Natale di Roma ed illustrata nuova situazione Patria, camerata Conti commemorato eroico sacrificio martire Borg Pisani”; la gerenza affari consolari di Bruxelles segnalava che presso le sedi del Fascio in Belgio il 23 aprile si era celebrato il Natale di Roma ed il 30 si “era commemorato…eroico sacrificio martire maltese Carmelo Borg Pisani”.
Queste celebrazioni e manifestazioni, destinate ad alimentare le residue illusioni, si protrassero sino alla vigilia di piazzale Loreto: il 16 aprile 1945 Barracu, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (figurerà anche lui nella macabra esposizione nella piazza milanese) inviò un telegramma disponendo che il 21 aprile gli edifici pubblici fossero imbandierati e che ai salariati statali fosse corrisposta doppia paga ed ai dipendenti delle industrie private andassero le maggiorazioni economiche previste dalla legge.100
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E negli stessi giorni si cercava di resuscitare la Delegazione per la Storia di Malta (non più regia, ovviamente).
Nell’appunto del MAE del 5 aprile 1945, già citato, 101 si annotava che lo studente maltese Antonio Cortis aveva riferito sulla riunione svoltosi il 12 marzo presso il Ministero dell’Educazione Nazionale per ricostituire la Delegazione, di cui era stato confermato presidente Francesco Ercole, con due vice-presidenti, l’italiano Umberto Biscottini (pur esso confermato) ed il maltese Silvio Emanuele Mizzi. Come amministratore era stato scelto il marchese Calcagnini d’Este; segretario lo stesso Antonio Cortis.
Si era deciso di organizzare concorsi sull’irredentismo maltese e sulla storia di Malta in generale, pubblicando opuscoli divulgativi su tali temi.
Il MAE aveva versato un contributo di 50.000 lire per queste attività. La neo-ricostituita Delegazione aveva inoltre programmato di celebrare la morte di Borg Pisani il 7 giugno 1945 (era l’anniversario dei moti maltesi antibritannici del 1919), affidando l’incarico a Carlo Borsani.
La somma di 1.200.000, raccolta per la fondazione Carmelo Borg Pisani, avrebbe potuto esser destinata alla assistenza dei profughi maltesi, nel caso fossero mancati nell’anno venturo i fondi per tal scopo.
Ai profughi filo-italiani si cercava di assicurare ancora nel marzo 1945 una qualche assistenza: c’è da chiedersi come avessero vissuto negli anni della guerra gli anglo-maltesi che si erano trovati in Italia (la definizione era riservata a coloro che avevano rifiutato di collaborare con il governo fascista).
La Regia Deputazione per la Storia di Malta si era premurata fin dal maggio 1940, ancor prima cioè dell’inizio della guerra, di compilare le liste dei maltesi “amici”, che tramite il MAE erano trasmesse al Ministero dell’Interno perché le autorità di polizia si astenessero dal perseguirli.
Per contro, ci furono anche le liste di proscrizione per i maltesi contrari al Regime fascista.
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Già il 21 giugno 1940 il Ministero dell’Interno segnalava al questore di Roma ed al prefetti di Littoria (da cui dipendeva l’isola di Ventotene, dove si era istituito un campo di concentramento per gli avversari politici) il nome di Giuseppe Chevalier, ex fattorino dell’ambasciata britannica a Roma, perché fosse arrestato ed internato appunto a Ventotene. Lo stesso giorno si davano analoghe disposizioni per Giuseppe Cassar, studente di medicina presso l’università di Roma, aggiungendo ai destinatari il prefetto di Catania, dove forse il Cassar si era recato per imbarcarsi alla volta di Malta.
Il 24 giugno toccava a Carmelo Cassar, fratello di Giuseppe, che aveva forse anche lui tentato di partire da Catania per Malta, di essere oggetto delle “attenzioni” del Ministero dell’Interno, che inviava l’ordine di internamento agli stessi destinatari.102
Tutti i maltesi caduti in disgrazia, come quelli adesso citati, erano destinati ai campi di concentramento, dove la vita non era certamente facile.
Poco tempo dopo la costituzione della Repubblica di Salò, l’11 novembre 1943 il Ministero dell’Interno – Direzione generale P.S. – segnalava al MAE la grave situazione del campo di Fraschette di Alatri (Frosinone), dove erano internati 1615 croati e sloveni e 955 anglo-maltesi, quasi tutte donne, bambini e vecchi inabili al lavoro. La situazione alimentare era grave (“il vitto giornaliero è ridotto al solo pane”) e mancavano inoltre forze adeguate per la sorveglianza. Veniva scartata l’idea di un trasferimento al nord, dove non esisteva un campo attrezzato per assistere più di 2500 persone, data anche la mancanza di mezzi di trasporto.
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E si riteneva pure impraticabile l’ipotesi di mantenere in funzione il campo di Alatri, a causa delle carenze già specificate, che si trovava oltretutto in una zona di operazioni militari. Sembrava quindi opportuno rimettere in libertà gli internati, assegnando loro “una tantum” un sussidio.103
Con sollecitudine il 18 novembre il MAE – Ufficio staccato di Roma – rispondeva al Ministero dell’Interno, rimettendosi alle sue decisioni; esprimeva comunque “un parere contrario alla liberazione degli internati, i quali sono elementi pericolosi per la loro attività ed i loro sentimenti antitaliani”.104
Nell’attribuzione di competenze in bilico tra MAE e Ministero dell’Interno, faceva poi la sua apparizione il vero centro decisionale esistente in quel momento in Italia, l’Ambasciata di Germania, cui il MAE inviava da Salò il 31 dicembre 1943 un appunto sul campo di Fraschette, proponendo di trasferire al nord gli anglo-maltesi e di rimpatriare i croati e gli sloveni, tranne gli uomini validi, da destinare pure essi ad un campo nel nord, per evitare che si unissero ai ribelli.105
Il 2 marzo 1944 l’Ambasciata di Germania rispondeva al MAE che il capo della polizia e del servizio di sicurezza si era rivolto alla Croce Rossa croata e slovena per chiedere il rimpatrio degli internati nel campo di Alatri; lo stesso personaggio aveva disposto il trasferimento degli anglo-maltesi in un campo tedesco al nord.106
Trasferimento che non dovette esserci, se con sua lettera dell’11 maggio 1944 il Ministero dell’Interno comunicava al MAE che, a seguito del mitragliamento e del bombardamento ad opera di aerei alleati, nel campo “Le Fraschette” di Alatri erano morti i cittadini anglo-maltesi Salvatore Mallia, Lazzaro Attard, Giuseppe Lanzon; un quarto, Pasquale Costa, era rimasto ferito.107
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Dopo qualche settimana la zona era occupata dagli alleati e mancò quindi il tempo per trasferire gli anglo-maltesi.
Meno drammatiche le vicende degli internati del campo di Servigliano, nelle Marche.
L’11 marzo 1944 il Ministero dell’Interno segnalava al MAE che il comune di Arquata del Tronto avevano comunicato alla prefettura di Ascoli Piceno che gli internati in quel campo avevano usato le lenzuola per farsi vestiti e le coperte per farsi cappotti. Si chiedeva quindi alla prefettura se fosse il caso di operare trattenute sui sussidi agli internati per il mese di gennaio, al fine di risarcire il danno. Il Ministero dell’Interno si rivolgeva al MAE per consultarlo sull’opportunità di tali trattenute.108
La Direzione Affari Generali del MAE passava allora la pratica all’ufficio staccato di Roma, consigliando in mancanza di precedenti e di accordi internazionali relativi agli anglo-maltesi, di chiedere lumi alla Croce Rossa. L’ufficio di Roma prometteva il suo interessamento, ma esprimeva comunque l’opinione che “date le condizioni di disagio in cui si trovavano di solito gli internati civili”; considerate anche “alcune peculiari circostanze che concernono i maltesi”; sarebbe stato opportuno “non procedere ad alcun addebito e condonare le irregolarità segnalate”.109
E così fu: dopo ulteriori e laboriose riflessioni, alfine l’8 luglio 1944 il MAE comunicava al Ministero dell’Interno che, tenuto conto delle disposizioni della convenzione di Ginevra relative ai prigionieri di guerra, della particolare natura degli addebiti fatti agli anglo-maltesi, della difficoltà di farsi rimborsare dalla legazione svizzera, cui la Croce Rossa aveva consigliato di rivolgersi; era opportuno non dare ulteriore seguito alla pratica, rinunciando a qualsiasi rivalsa a carico degli internati.110
A guerra conclusa, con un rovesciamento della situazione, un conto politico e giudiziario da pagare sarebbe stato presentato dalla Gran Bretagna ai Maltesi schieratisi con l’Italia, che furono processati per questa loro scelta.
Gerald Strickland, leader del partito costituzionale filo-britannico fu sempre un tenace avversario del partito nazionale di Mizzi e dell’uso della lingua italiana.
- Ministero della Cultura Popolare – 6 ottobre 1939.