Come non leggere alla luce di un provvidenziale disegno
divino il fatto che sulla cattedra di Pietro, ad un Pontefice polacco sia
succeduto un cittadino di quella terra, la Germania, dove il regime nazista poté affermarsi con grande virulenza, attaccando poi le nazioni vicine, tra le quali
in particolare la Polonia? Entrambi questi Papi in gioventù – seppure su
fronti avversi e in situazioni differenti – hanno dovuto conoscere la barbarie
della seconda guerra mondiale e dell’insensata violenza di uomini contro altri
uomini, di popoli contro altri popoli. La lettera di riconciliazione, che negli
ultimi giorni del Concilio Vaticano II, qui a Roma, i Vescovi polacchi
consegnarono ai Vescovi tedeschi, conteneva quelle famose parole che anche oggi
continuano a risuonare nel nostro animo: “Perdoniamo e chiediamo perdono”.
Nell’omelia di domenica scorsa ricordavo ai neo sacerdoti che “nulla può
migliorare nel mondo se il male non è superato, e il male può essere superato
solo con il perdono”. La comune e sincera condanna del nazismo, come del
comunismo ateo, sia per tutti un impegno a costruire sul perdono la
riconciliazione e la pace. “Perdonare – ricordava ancora l’amato Giovanni
Paolo II – non significa dimenticare”, ed aggiungeva che “se la memoria è legge
della storia, il perdono è potenza di Dio, potenza di Cristo che agisce nelle
vicende degli uomini” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVII/2 [1994],
p. 250). La pace è anzitutto dono di Dio, che fa germinare nel cuore di chi
l’accoglie sentimenti di amore e di solidarietà.
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