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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

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  • LIBRO PRIMO   CONDIZIONI POLITICHE E AMMINISTRATIVE DELLA SICILIA
    • Capitolo II. CENNI STORICI
        • § 41. — Tentativo di riforme del vicerè Caracciolo (1785).
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§ 41. — Tentativo di riforme del vicerè Caracciolo (1785).

Tali erano le condizioni sociali e politiche della Sicilia in sulla fine del secolo passato. E malgrado il movimento intellettuale che stava manifestandosi a Palermo nella seconda metà del secolo XVIII55, nulla accennava che il Terzo Stato, considerato in generale, provasse il bisogno di sollevarsi ad una condizione giuridica migliore. Difatti le riforme iniziate dal Vicerè marchese Caracciolo colle sue circolari del 1785 e le istruzioni del 178756, le quali sancivano la soppressione degli abusi feudali e di parte delle servitù che vincolavano le terre, non trovarono preparate ad approfittarne quelle classi della società, al cui vantaggio eran dirette. La condizione materiale e morale della generalità dei vassalli non era mutata dal tempo in cui erano invalsi gli abusi che ora si cercava di togliere; non erano mutate le condizioni dell’agricoltura e del commercio, e quelle medesime circostanze per le quali tali abusi avevano potuto nascere, furono cagione che non fosse usato da chi avrebbe avuto interesse a liberarsene, l’appoggio offerto dal Governo. Il concetto di siffatte riforme, era stato dai bisogni e dai desiderii di altri popoli in condizioni economiche molto più progredite,57 ispirato alla parte intelligente di quei popoli stessi. Costituito da questa in corpo di dottrina, era stato sotto tale forma comunicato alle classi colte degli altri paesi, ma non era in questi ultimi che un bisogno intellettuale di queste classi. Ed infatti il solo a promuovere energicamente l’applicazione delle riforme contenute nelle circolari del Caracciolo, fu colui stesso che le aveva ideate e pochi altri58. Dopo un’attuazione vigorosa a tempo della sua amministrazione, esse caddero per la massima parte nell’oblio in mezzo al silenzio e alla indifferenza generale.59

 

 




55 Vedi La Lumia, Il vicerè Domenico Caracciolo, § 3 (Studi di Storia Siciliana, vol. II, pag. 555 e seguenti).



56 Colle lettere circolari del 1785 «fu vietata ancora un’altra volta quella esorbitante riscossione di dazi e prestazioni che i baroni facevano senza titolo espresso: fu permessa la estrazione di generi di agricoltura dalle terre baronali per cui fino allora era stato bisogno il permesso del barone o del suo delegato, che talvolta arbitrariamente lo negava: fu data agli abitanti delle baronie la libertà di vendere come e a chi meglio lor piacesse, i prodotti della loro industria: fu data ai medesimi la facoltà, anzi fu restituito il diritto di panizzare come anche di macinare le loro olive dovunque lor piacesse senza esser costretti più oltre di fare il pane e l’olio nei forni e nei trappeti (frantoi) dei baroni: fu tolta finalmente a questi ultimi la ingerenza che si avevano arrogato sull’amministrazione delle municipalità». (Orlando, op. cit., pagg. 172-173).

Le circolari del 1785 soppressero pure «ogni sorta di dazi, d’imposte, di diritti privativi e proibitivi che inceppavano il commercio. Vi fu vietata quella esorbitante esazione di diritti che facevano i baroni sulla estrazione dei prodotti d’industria e d’agricoltura da un luogo ad un altro...., fu restituito a tutti ugualmente il diritto di vendere i propri generi quando e come lor piacesse senza che fossero tenuti di venderli forzosamente al Barone a un determinato prezzo, o di non esporli al mercato, se non dopo che il Barone avesse venduto i suoi. Nelle istruzioni del 1787 fu ordinato che dovessero sciogliersi tutti i diritti di pascere e di legnare che gli abitanti dei Comuni esercitavano sulle terre di qualunque particolare, lasciandole libere da questi pesi o servitù, onde trovarsi meglio nella possibilità di esser coltivate. Fu ordinato del pari che le terre proprie delle università fossero concesse in enfiteusi per frazioni ai singoli delle medesime, considerando maggiormente i più poveri, e disponendo che le frazioni lontane dall’abitato riunissero un numero di coltivatori atti a costituire delle nuove popolazioni». (Orlando, op. cit., pag. 258).



57 Vedi: Tocqueville, L’ancien Régime et la Révolution, Paris, 1866. livre II, chap. I, intitolato: Pourquoi les droit féodaux étaient devenus plus odieux au peuple en France que partout ailleurs; specialmente a pag. 38.



58 «La premura con cui spesso (il Caracciolo) avocava o faceva al suo cospetto trattare le cause, il noto abborrimento per le prepotenze dei baroni ed il noto favore per la sorte dei vassalli, avevano nei magistrati infuso nuovo coraggio e nuova alacrità quanto a decidere i litigi tra popolazione e signori. Que’ litigi, d’ordinario impediti e soffocati in addietro, si risvegliavano e si moltiplicavano ora sotto gli auspici del Governo». — La Lumia, Il vicerè Domenico Caracciolo, pag. 572. Vedi pure Ibid. pag. 578.

 



59 Vedi: La Lumia, Il vicerè Domenico Caracciolo, passim; e specialmente pag. 583. — Palmieri, op. cit., pag. 70, giunge però a dire che per opera del Caracciolo «in pochi anni la feudalità in Sicilia si era ridotta a un vuoto nome». Ma egli è pur troppo dai fatti obbligato a contraddirsi fin dalla pagina seguente, quando dice: «Tale era l’avvilimento della Nazione, che non attaccandosi più veruna importanza al diritto di avere una rappresentanza in Parlamento ecc.». — Vedasi pure: Orlando, op. cit., pag. 173, ove dice «che non vennero mai meno tutte le riscossioni abusive. Quando il Parlamento del 1811 pronunziò la solenne abolizione della feudalità, bisognò dichiarare espressamente lo scioglimento di tutti questi supposti diritti che riguardò come tutt’allora sussistenti ed in permanenza. Le espressioni usate dal Parlamento furono le seguenti: Le angarie e perangarie introdotte soltanto dalla prerogativa signorile restano abolite senza indennizzazione. E quindi cesseranno le corrispondenze di gallina, di testatico, di fumo, di vetture, le obbligazioni a trasportare in preferenza i generi del barone, di vendere con prelazione i prodotti allo stesso e tutte le opere personali e prestazioni servili provenienti dalla condizione di vassallo a signore. Sono ugualmente aboliti senza indennizzazione i diritti privativi e proibitivi per non molire i cittadini in altri trappeti o molini fuori che in quello dello in avanti barone, di non cuocer pane se non nei forni dello stesso, di non condursi altrove che nei di lui fondachi, alberghi ed osterie; i diritti di sagato per non vendere commestibili o potabili in altro luogo che nella taverna baronale e simili, qualora fossero semplicemente stabiliti dalla semplice prerogativa signorile e forza baronale», ed anche a pag. 259. — Vedi pure: Petitti, Repertorio amministrativo del Regno delle due Sicilie, vol I, pag. 728-29-30. Napoli, 1856.






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