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Vedi La Lumia, Il vicerè
Domenico Caracciolo, § 3 (Studi di Storia Siciliana, vol. II, pag. 555 e
seguenti).
56 Colle lettere circolari del 1785 «fu
vietata ancora un’altra volta quella esorbitante riscossione di dazi e
prestazioni che i baroni facevano senza titolo espresso: fu permessa la
estrazione di generi di agricoltura dalle terre baronali per cui fino allora
era stato bisogno il permesso del barone o del suo delegato, che talvolta
arbitrariamente lo negava: fu data agli abitanti delle baronie la libertà di
vendere come e a chi meglio lor piacesse, i prodotti della loro industria: fu
data ai medesimi la facoltà, anzi fu restituito il diritto di panizzare come
anche di macinare le loro olive dovunque lor piacesse senza esser costretti più
oltre di fare il pane e l’olio nei forni e nei trappeti (frantoi) dei
baroni: fu tolta finalmente a questi ultimi la ingerenza che si avevano
arrogato sull’amministrazione delle municipalità». (Orlando, op. cit., pagg. 172-173).
Le circolari del 1785 soppressero pure «ogni sorta di dazi,
d’imposte, di diritti privativi e proibitivi che inceppavano il commercio. Vi
fu vietata quella esorbitante esazione di diritti che facevano i baroni sulla
estrazione dei prodotti d’industria e d’agricoltura da un luogo ad un
altro...., fu restituito a tutti ugualmente il diritto di vendere i propri
generi quando e come lor piacesse senza che fossero tenuti di venderli
forzosamente al Barone a un determinato prezzo, o di non esporli al mercato, se
non dopo che il Barone avesse venduto i suoi. Nelle istruzioni del 1787 fu
ordinato che dovessero sciogliersi tutti i diritti di pascere e di legnare che
gli abitanti dei Comuni esercitavano sulle terre di qualunque particolare,
lasciandole libere da questi pesi o servitù, onde trovarsi meglio nella
possibilità di esser coltivate. Fu ordinato del pari che le terre proprie delle
università fossero concesse in enfiteusi per frazioni ai singoli delle
medesime, considerando maggiormente i più poveri, e disponendo che le frazioni
lontane dall’abitato riunissero un numero di coltivatori atti a costituire
delle nuove popolazioni». (Orlando,
op. cit., pag. 258).
57 Vedi: Tocqueville,
L’ancien Régime et la Révolution, Paris, 1866. livre II, chap. I,
intitolato: Pourquoi les droit féodaux étaient devenus plus odieux au peuple
en France que partout ailleurs; specialmente a pag. 38.
58 «La premura con cui spesso (il Caracciolo)
avocava o faceva al suo cospetto trattare le cause, il noto abborrimento per le
prepotenze dei baroni ed il noto favore per la sorte dei vassalli, avevano nei
magistrati infuso nuovo coraggio e nuova alacrità quanto a decidere i litigi
tra popolazione e signori. Que’ litigi, d’ordinario impediti e soffocati in
addietro, si risvegliavano e si moltiplicavano ora sotto gli auspici del
Governo». — La Lumia, Il
vicerè Domenico Caracciolo, pag. 572. Vedi pure Ibid. pag. 578.
59
Vedi: La Lumia, Il vicerè
Domenico Caracciolo, passim; e specialmente pag. 583. — Palmieri, op. cit., pag.
70, giunge però a dire che per opera del Caracciolo «in pochi anni la
feudalità in Sicilia si era ridotta a un vuoto nome». Ma egli è pur troppo dai
fatti obbligato a contraddirsi fin dalla pagina seguente, quando dice: «Tale
era l’avvilimento della Nazione, che non attaccandosi più veruna importanza al
diritto di avere una rappresentanza in Parlamento ecc.». — Vedasi pure: Orlando, op. cit., pag. 173,
ove dice «che non vennero mai meno tutte le riscossioni abusive. Quando il
Parlamento del 1811 pronunziò la solenne abolizione della feudalità, bisognò
dichiarare espressamente lo scioglimento di tutti questi supposti diritti che
riguardò come tutt’allora sussistenti ed in permanenza. Le espressioni
usate dal Parlamento furono le seguenti: Le angarie e perangarie introdotte
soltanto dalla prerogativa signorile restano abolite senza indennizzazione. E
quindi cesseranno le corrispondenze di gallina, di testatico, di fumo, di
vetture, le obbligazioni a trasportare in preferenza i generi del barone, di
vendere con prelazione i prodotti allo stesso e tutte le opere personali e
prestazioni servili provenienti dalla condizione di vassallo a signore. Sono
ugualmente aboliti senza indennizzazione i diritti privativi e proibitivi per
non molire i cittadini in altri trappeti o molini fuori che in quello dello in
avanti barone, di non cuocer pane se non nei forni dello stesso, di non
condursi altrove che nei di lui fondachi, alberghi ed osterie; i diritti di
sagato per non vendere commestibili o potabili in altro luogo che nella taverna
baronale e simili, qualora fossero semplicemente stabiliti dalla semplice
prerogativa signorile e forza baronale», ed anche a pag. 259. — Vedi pure: Petitti, Repertorio amministrativo
del Regno delle due Sicilie, vol I, pag. 728-29-30. Napoli, 1856.
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