§ 42. — Costituzione
politica del 1812. Sua mala riuscita.
Sopravvenne la rivoluzione di Francia, le due occupazioni
francesi del Regno di Napoli, il ritiro di Ferdinando Borbone nella Sicilia
presidiata da truppe inglesi. Nel Parlamento del 1810 apparvero le prime
proposte di riforme. In quello del 1812 fu votata la nuova costituzione
politica imitata dall’inglese con due Camere, l’una ereditaria, l’altra
elettiva, e l’abolizione della feudalità. Non è qui luogo di esporre tutti i
particolari relativi a codesti avvenimenti, nè le violenze e le astuzie della
Corte, e sopratutto della Regina.60 Le riforme furono ideate, promosse,
difese dall’ambasciatore inglese lord Bentinck e da tre o quattro siciliani di
mente o di carattere superiori61; nè furono capite in mezzo
all’ignoranza generale62. Il braccio militare le votò
moncandole63 per subito dopo pentirsene aspramente e querelarsi «della
nuova costituzione, perchè aveva tolto ai suoi membri tutte le preminenze e
tutti i diritti feudali64,» e per cercare con ogni mezzo di conservare
nel fatto almeno una parte dell’antica immunità dalle tasse65. Il
braccio demaniale vedendosi regalare una potenza che non aveva fatto nulla per
ottenere, passò dall’ubbidienza la più servile al volere sovrano66,
all’estremo opposto, non occupandosi neppure di concedere al Ministero i denari
per il servizio della Rendita pubblica, votando nuove spese, senza voler
accordare nuove entrate.67 E parimente, i tre Parlamenti nel 1813 o
1814, eletti in forza della nuova costituzione, presentarono il doloroso
spettacolo di una Camera dei Comuni inetta e faziosa, mossa da quella cieca
antipatia delle tasse e degli aggravi di ogni genere che è propria delle
plebi68; ignorante delle necessità della vita di uno Stato al punto di
rifiutarsi ostinatamente ad occuparsi dei bilanci per accettarli o
rifiutarli69; di una Camera dei Pari i quali si mantenevano consentanei
allo spirito già dimostrato circa trenta anni prima dalla nobiltà siciliana di
fronte alla proposta di riforma tributaria del vicerè Caracciolo70, e
che erano intenti solamente a vendicarsi dei ministri che avevan loro fatto
votare la costituzione e le riforme, e a riprendere il più che fosse possibile
di quei privilegi e di quei guadagni ai quali l’anno prima avevano
rinunziato71. Di modo che se il Governo, la costituzione e tutta
l’Isola non andò in sfacelo, fu per l’opera del rappresentante
britannico72, il quale, coll’esercito inglese di occupazione ai suoi
comandi, era in Sicilia re di fatto73. Ed in mezzo a tutto questo
violento agitarsi a Corte ed in Parlamento d’interessi, d’ambizioni e di
rancori di persone e di caste, e prima e dopo lo stabilimento della
costituzione, la nazione non diede segno di vita all’infuori dell’elezione
delle Camere dei Comuni delle quali abbiamo descritto lo spirito,74 di
due sedizioni della plebe di Palermo con saccheggio delle botteghe di
commestibili75, e delle memorie stampate e indirizzi mandati al Governo
in favore dell’abolizione dei fedecommessi76. Del resto, questo
provvedimento, per quanto fosse per recare, coll’andar del tempo, infiniti
benefizi all’intera popolazione, nonostante recava vantaggio immediato a un
numero ristretto di persone, le quali sole perciò erano capaci di provarne il
desiderio e di esprimerlo.
Finalmente il disordine crebbe a tal punto che lo stesso
principe di Castelnuovo acconsentì, sulla richiesta di Ferdinando, tornato
ormai all’esercizio del potere regio, a por mano ad un progetto di riforma della
costituzione77.
Ma intanto le sorti di Murat precipitavano in Italia. Il dì
31 maggio 1815, Ferdinando tornava re nei suoi Stati di terraferma, lasciando
in Sicilia una Commissione per la rettificazione della costituzione78.
Poi sopravvennero gli atti sovrani degli 8 e 11 dicembre 1816, che mantenendo
la costituzione in parole, la distruggevano nel fatto79, e la
costituzione politica siciliana del 1812 morì coll’insperata gloria di una
morte violenta e lasciò dietro di sè, nelle leggi, l’abolizione della feudalità
e altre riforme giuridiche ed economiche d’ogni specie, nel fatto, condizioni
economiche e morali circa uguali a quelle che aveva trovate.
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