§ 48. — Perchè i violenti
abbiano, in quella parte della Sicilia dove dominano, autorità non solo
materiale, ma anche morale.
Il fatto che prima d’ogni altro
colpisce la mente nei racconti che si sentono fare sulla Sicilia e specialmente
sopra Palermo, è l’autorità non solo materiale, ma anche morale che vi hanno i
violenti. Il timore non basta a renderne ragione. Perchè, se spiega il silenzio
perfino degli offesi, non spiega la reprobazione pubblica che cuopre colui il
quale ricorra alle autorità costituite per esser difeso da pericolo imminente.
Questa ha la sua cagione nella condizione generale degli animi prodotta dallo
stato sociale dell’Isola. Difatti, come in ogni società, così in quella che si
regge sulla potenza e l’autorità individuale ad esclusione di qualunque altra
forza, ogni atto diretto ad indebolire o rompere il legame che tiene insieme
compaginata quella società, risveglia negli animi un sentimento analogo a quello
designato dai criminalisti col nome di danno mediato, a quel sentimento,
cioè, che nelle società fondate sulle basi che reggono i popoli considerati
come civili, nasce al commettersi di un delitto. Ci spieghiamo: ciascuna
persona interessata al mantenimento di una società qualsiasi nella sua forma
attuale, qualunque essa sia, prova istintivamente un sentimento di sdegno e di
repulsione per ogni atto che minacci l’esistenza di questa forma di società.
Siffatto sentimento diviso da un gran numero di persone organizzate in società,
si manifesta sotto forma di opinione e sentimento pubblico, e così gli atti che
lo offendono pigliano carattere di disonoranti. Bene è vero che in una società
pur fondata sulla forza privata abbondano le persone le quali non approfittano
affatto di un cotale ordinamento, anzi, ne ricevono danno. Ma è cosa ormai pur
troppo sperimentata, che le classi e le persone le quali hanno da soffrire di
un dato ordinamento sociale, se mancano assolutamente di mezzi materiali di
difesa contro di quello, non sono in grado di formare da sè un’opinione
pubblica, ma la ricevono bell’e fatta da quella parte della società, che è
organizzata e forte, e, quel che è più, l’accettano. Costoro diventano capaci
di unirsi per formare un’opinione pubblica meno parziale, solamente allorquando
o dentro o fuori di loro nasca a favore dei loro interessi una forza capace di
farsi rispettare. Abbiamo già detto come il Governo borbonico non abbia portato
in Sicilia cotale forza. Dell’italiano parleremo poi. Ad ogni modo, finchè
l’opinione pubblica è costituita dal sentimento di quella categoria di persone,
la quale ha interesse che l’ordine sociale continui a fondarsi sulla prevalenza
della forza privata, ogni azione diretta a sostituire a questa l’autorità
sociale, è dall’universale considerata come disonorante.
Non è questo il luogo di
dimostrare partitamente i fenomeni psicologici e sociali adesso accennati, nè
di analizzare gli elementi della quistione generale alla quale si riferiscono.
Tale argomento richiederebbe da sè solo un’opera di non piccolo volume, per la
quale del resto gli elementi non mancherebbero, a parer nostro. Ci contentiamo
dunque di addurre per prove, i fatti che ci presenta la stessa Sicilia. Pochi,
crediamo noi, negheranno che fino al 1860 l’intero ordinamento sociale si
fondasse in Sicilia sulla potenza privata, e che in una parte dell’Isola, uno
dei mezzi più generalmente usati a farla prevalere fosse, per tradizione
immemorabile, la violenza. E niuno, che noi sappiamo, nega che adesso in quella
stessa parte dell’Isola e, (per ragioni che esporremo fra poco) specialmente in
Palermo e dintorni, sia dall’opinione pubblica considerato come disonorante
ricorrere ad altri mezzi che alla forza privata, per sostenere la propria
reputazione, vendicare le proprie ingiurie, per reagire insomma contro la
violenza.
In siffatte circostanze, la
violenza privata non trova contro di sè che altre violenze private, e non
incontra nella società alcuna forza collettiva diretta a combatterla. La sola
che potrebbe trovarsi dinnanzi, sarebbe quella del Governo quando fosse
realmente una forza.
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