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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO PRIMO   CONDIZIONI POLITICHE E AMMINISTRATIVE DELLA SICILIA
    • Capitolo III. LA PUBBLICA SICUREZZA
      • II. I MALFATTORI A PALERMO E NEI SUOI DINTORNI
        • § 58. — Come il predominio della violenza rechi danno alla maggioranza, e nonostante non possa da questa venire distrutto.
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§ 58. — Come il predominio della violenza rechi danno alla maggioranza, e nonostante non possa da questa venire distrutto.

Certamente, dove domina la violenza, la sola minoranza ne trae maggiori vantaggi che danni; e così nella città e nell’agro palermitano, la gran massa della popolazione è sacrificata alla parte di essa che esercita il delitto; e nella classe dominante stessa, all’infuori del numero limitato di persone che si sono acquistate sul rimanente una preponderanza costante ed assoluta, e sono in relazioni continuate e regolari col principale istrumento di questa, la mafia, tutti gli altri sarebbero in una società di tipo moderno in condizioni materiali e morali molto migliori delle attuali, per quanto adesso possano dalla violenza trarre occasionalmente vantaggi. Eppure, non è prevedibile per parte di nessuna classe della Società una reazione efficace contro l’attuale forma delle relazioni sociali.

Difatti, nel volgo, il senso giuridico e il sentimento dell’onore, quali esistono, si impongono brutalmente. Le persone di quella classe, non sono in grado di imaginare uno stato sociale differente da quello in cui vivono; se capita loro addosso una prepotenza o una coltellata, ne incolperanno magari il loro santo protettore o stessi, per essere stati poco svelti o poco vigilanti, oppure si rassegneranno alla forza ineluttabile delle cose. Le persone più colte sono incapaci, anche quando lo desiderino, di reagire contro le forze sociali che li contornano, e di modificarle. Perchè l’organizzazione della società in mezzo alla quale vivono, s’impone a loro. Non solo riesce loro quasi impossibile, di resistere coi mezzi legali alla violenza, ma nemmeno possono sfuggire alla necessità di usarla essi stessi, almeno indirettamente. Se devono provvedere ad un loro interesse di qualche importanza, comprare o vendere terra, derrate, o altro, è ben difficile che non trovino una camorra che si sia impadronita della partita, e in mano alla quale debbano affidarsi. Ora, tutte le camorre per ultima ratio, hanno l’assassinio a protezione del loro monopolio. Se taluno esercita una industria di cui si è impadronita una camorra, il rifiuto di entrare a farne parte e di partecipare in conseguenza, almeno indirettamente, alle sue violenze, è punito colla morte105. Così può accadere che una persona che sarebbe disposta a grandissimi sagrifizi per far cessare il dominio della violenza, sia costretta a sostenerlo, a dargli forza e ad associarvisi. A chi entri nella gara delle ambizioni politiche o locali, rimane assolutamente impossibile sottrarsi ai contatti con persone che debbono la loro influenza al delitto. L’uomo che abbia il più grande orrore per la violenza e per il sangue, si trova presto o tardi inevitabilmente costretto a valersi di quell’influenza e di quella autorità che la fama di essere in buona relazione con gente potente per il timore che ispira. E dato pure che uno abbia tanta abnegazione da tenersi fuori da qualunque affare o da soffrire i soprusi in quelli indispensabili, da rinunziare a qualunque ambizione di qualsiasi genere, può giungere il momento che, aggredito e minacciato, si veda costretto a ricorrere all’opera dei violenti per proteggere la propria vita. A ricorrere alla legge non può pensare, poichè le probabilità di ricevere una schioppettata per chi faccia una denunzia sono troppo numerose perchè egli vi si esponga facilmente.

Così le circostanze esteriori s’impongono a chiunque, qualunque sia l’indole dell’animo suo. Si è perfino dato il caso di uomini che sul Continente erano ottimi carabinieri, mentre facevano parte di associazioni mafiose palermitane, e arrestavano i ladri e gli assassini, mentre ricevevano ogni giorno la loro quota dei guadagni della associazione, frutto se non di assassinii, almeno del timore di quelli. Non mancano i Palermitani, cui le condizioni di Palermo fanno orrore, e che, pur costretti ad abitarci, sono esposti a dovere, da un momento all’altro, far uso in un modo o in un altro, di quella violenza che vorrebbero sopprimere.

servirebbe l’associarsi contro di essa, chè la Società è troppo perfettamente organizzata nella sua forma attuale, e la violenza si è impadronita troppo bene delle menti e degl’interessi di tutti perchè sia possibile a forze private di trovarne il punto debole per romperla e sgominarla. Un’associazione a questo scopo non avrebbe nemmeno il tempo di formarsi completamente, che già qualcuna delle persone interessate al mantenimento dell’attuale stato di cose, informata con uno degli infiniti mezzi di sorveglianza di cui dispongono, sarebbe in grado con due o tre uccisioni abilmente distribuite di incutere un salutare terrore agli aspiranti riformatori. Non parliamo poi delle calunnie, delle distruzioni di sostanze, dei libelli pubblicati nei giornali. Affinchè riescisse una tale associazione, bisognerebbe che fosse numerosa e composta tutta di persone decise a sacrificare per il loro fine le sostanze, la riputazione, la vita loro e delle famiglie. E questo è impossibile in qualunque paese del globo. Vi sono però casi di resistenza isolati; delle proteste eroiche e continuate, di cui l’ardire stesso ha salvato gli autori, tanto è certo che il loro esempio non è pericoloso, perchè nessuno lo imiterà, e difatti, fino adesso è stato ammirato, ma non seguìto.

 

 




105 Vedi il fatto già raccontato di esercenti mulini costretti ad entrare nelle società dei mulini e della posa.






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