§ 59. — Come la classe
dominante sia fatalmente portata a proteggere i malfattori.
Per ciò che riguarda più
specialmente la classe dominante, a queste difficoltà materiali si aggiungono
le morali, più irrimediabili ancora perchè esistenti nell’animo stesso di
coloro, che dovrebbero operare la reazione. Figuriamoci un uomo a cui il nome e
la ricchezza permettono di aspirare ad un’alta posizione fra i suoi
concittadini. Egli è giovane, ha ingegno, è ambizioso. Gli si presenta
un’occasione di acquistare autorità e riputazione: saranno elezioni politiche
od amministrative od altro. Un individuo che ha fama d’influente sulla
popolazione viene ad offrirgli i suoi servigi; egli sa che altri si appoggiano
sopra costui o su di altri simili a lui; sa che l’opinione pubblica non riprova
il farlo. Ha ben sentito dire che quest’uomo ha commesso qualche omicidio, ma
l’uccidere un uomo non è disonorante, talvolta anzi può esser prova di coraggio
e di sentimento d’onore. Quegli omicidii stessi hanno procurato stima e riputazione
al loro autore. D’altronde, egli è certo che per conto suo omicidii non ne
saranno mai commessi; perchè non userebbe un istrumento simile a quelli che
tutti usano? Egli ha ben sentito deplorare le condizioni di pubblica sicurezza
di Palermo, le deplora egli stesso, forse ne ha avuto a soffrire nei suoi
interessi, ma non percepisce ben distintamente il nesso di queste condizioni
coll’atto ch’egli è per fare, ed in ciò, partecipa del resto allo stato di
mente di buona parte dei suoi concittadini. Accetta il concorso offerto. Da
quel momento in poi, è entrato nella gara delle rivalità e delle ambizioni: nè
lui, nè altri può dire dove si fermerà nella scelta dei mezzi; l’abitudine, la
passione potrà portarlo anche ad usare gli estremi. La riescita dipenderà dalla
sua abilità, dalla sua energia, dalle circostanze; sarà forse di quelli, cui il
predominio della violenza, tutti i conti fatti, riesce vantaggioso, ma il caso
contrario è più probabile. Ad ogni modo egli è ben difficile che una volta
agguantato dal vortice, voglia escirne, o, anche volendo, vi riesca. Perchè la mafia,
come qualunque altra classe facinorosa, ha indole e modi di procedere tali, che
difficilmente chi abbia avuto relazione con lei, può mai romperli del tutto.
Rimane sempre l’addentellato di cui essa ha interesse e occasione di valersi,
se non altro ad ogni nuovo arresto d’uno dei suoi membri. Ciò che abbiamo
adesso descritto accade in gradi e sotto forme diverse a chiunque della classe
dominante voglia approfittare della propria posizione. Parte lo fanno senza
conoscere le ultime conseguenze cui vanno incontro, parte, sapendole benissimo.
Taluni lo fanno per interesse personale, per esser posti a capo di qualche
amministrazione, che fornisca loro guadagni leciti od illeciti; altri invece
cercano autorità ed influenza per sincero amore del bene pubblico. Quasi tutti
non capiscono che l’usare quei mezzi che si presentano a loro è la cagione
prima dei mali che essi stessi deplorano e di cui talvolta sono i primi a
soffrire. Se alcuno, superiore per ingegno, profondo conoscitore di altri
paesi, lo intende, ed ha ripugnanza a contribuire ad un tale stato di cose,
rimane fuori del tutto dagli affari pubblici, ed il più possibile dagli affari
privati, spesso va a stabilirsi sul Continente, oppure vi passa buona parte
dell’anno; oppure, se per necessità o per attività di mente non riesce a
tenersi fuori dagli affari locali, si rassegna ad usar dei mezzi che gli sono
imposti con una rabbia mal contenuta, che prorompe alla prima occasione in
lamenti amari e spesso molto coraggiosi. Abbiamo avuto occasione di udirli più
di una volta. Altri rimangono fuori dagli affari per una specie di ripugnanza
istintiva per i mezzi che vedono adoperare: sono stati sul Continente, o
nell’esercito, e sentono la differenza degli ambienti senza spiegarsela. Così
tutti gli elementi di resistenza o si allontanano o se ne stanno neghittosi.
Ma il sentimento comune a quasi
tutti della classe dominante, il quale è, se non l’appoggio, almeno la
salvaguardia la più efficace per la classe facinorosa di fronte all’autorità
pubblica, è quella passione di cui abbiamo così spesso parlato, di esercitare
l’autorità privata, e di provare la sua potenza; passione tradizionale
nell’aristocrazia specialmente; e questo fa sì che un signore richiesto della
sua alta protezione non la rifiuta mai anche al più feroce assassino. Più il
malfattore sarà pericoloso e conosciuto, più sarà grande il rischio che corre
di essere arrestato o condannato, maggiore sarà la smania nel signore di
affermare la sua potenza, proteggendolo o salvandolo anche quando non vi abbia
nessun interesse materiale. Naturalmente, il malfattore così salvato diventa l’uomo
del suo protettore nel senso feudale della parola; ha in certo modo ricevuto da
lui in feudo la vita, e, d’allora in poi, è pronto ai suoi servizi. E colle
tradizioni di violenza ancora in vigore, col piccolo valore dato alla vita
dell’uomo, quel signore avrebbe una forza d’animo più che umana, se, ricevendo
danno od offesa, non adoperasse per la sua vendetta l’istrumento che ha sotto
la mano.
Questo spirito di alta
protezione e reciprocamente di clientela che è uno dei più significativi fra i
caratteri medioevali e feudali rimasti nella società siciliana, è più speciale
alla città di Palermo, perchè è stato ognora ed è pure adesso il centro
principale dell’aristocrazia siciliana, ed il luogo dove la sede principale del
Governo ha richiamato le gare e le rivalità fra i suoi membri. Quest’ultimo
fatto ci sembra pure una delle ragioni per cui le tradizioni di prepotenza e di
violenza reciproca siano rimaste più vivaci nei membri della classe dominante
residente in Palermo, che in quelli i quali abitavano altrove, specialmente
nelle grandi città della costa orientale dell’Isola.
Ad ogni modo, e qualunque ne
siano le cagioni, questi sentimenti di prepotenza e questa facilità alla
violenza nella classe che è fondamento di tutte le relazioni sociali in
Sicilia, fa sì che non solo essa non possa usar la forza che sola avrebbe, di
distruggere l’autorità materiale e morale della classe facinorosa, e d’impedire
in generale l’uso della violenza, ma ancora ch’essa sia cagione diretta per cui
la pubblica sicurezza persista nelle sue condizioni attuali. La forza che deve
dar la prima spinta al mutamento di queste condizioni deve dunque essere
assolutamente estranea alla società siciliana, e venire di fuori: deve essere
il Governo.
Ma il Governo appoggiandosi,
come lo abbiamo già detto, e come avremo luogo di dimostrarlo, principalmente
su quella classe dominante stessa, si trova in una posizione singolare. Da un
lato il suo fine più immediato ed importante è di sopprimere la violenza;
dall’altro, per i principii stessi che lo informano, si regge sulla classe
dominante, e l’adopera come consigliera e in parte come istrumento nella
legislazione e nella pratica di governo. Di modo che ha in mano dei mezzi che
sono in contraddizione col suo fine, e conviene che rinunzi o al suo fine, o
all’aiuto, e all’appoggio della classe dominante locale. Non avendo fino adesso
rinunziato a questo, ha, per necessità, sacrificato quello. Quando ragioneremo
delle relazioni del Governo cogli elementi locali e colla sedicente opinione
pubblica siciliana, avremo occasione di esporre in particolare, le vie per
mezzo delle quali l’influenza di questi elementi agisca sul modo di procedere
del Governo. Ma fino da ora possiamo dire che questa influenza e la sua
incompatibilità col fine immediato e principale del Governo in Palermo, col
ristabilimento cioè della pubblica sicurezza, è fra le prime ragioni della
fiaccona e della noncuranza di questo nella ricerca e l’applicazione dei
provvedimenti contro il delitto.
Dunque, nelle presenti
condizioni di fatto e coll’attuale sistema di governo che si appoggia sulla
classe dominante, la cagione prima e il fondamento, non della esistenza, ma
della persistenza delle condizioni di pubblica sicurezza in Palermo e dintorni,
è la parte diretta ed indiretta che ha in queste condizioni la classe
dominante. Oppure, se vogliamo considerare il fatto sotto un altro aspetto: nelle
presenti condizioni di fatto e colla partecipazione della classe dominante alle
condizioni di pubblica sicurezza in Palermo e dintorni, la cagione prima e
fondamentale della persistenza di queste condizioni è il fatto che il Governo
si appoggia, per reggere il paese, su questa classe dominante.
Del resto, ciò non è speciale a
Palermo e dintorni, ma comune a tutta quella parte di Sicilia in cui lo stato
della pubblica sicurezza, considerato al punto di vista di una società moderna,
è anormale.
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