§ 101. — Di che cosa sia
costituita l’opinione pubblica in Sicilia.
Se fosse possibile fare la
statistica degli elementi che compongono la cosiddetta opinione pubblica, si
otterrebbero, crediamo, in tutta Italia risultati stranissimi. Ma in nessuna
parte tanto strani come nelle province meridionali, e specialmente in Sicilia.
Ivi la gran massa della popolazione non ha voce, o l’ha così debole, che chi
sia un poco lontano non l’ode. Per modo che, in mezzo al silenzio generale,
quelle poche voci che sono in grado di farsi sentire, sembrano quelle
dell’intera popolazione. Così avviene che si creda generalmente da tutto il
pubblico italiano, essere rappresentati gl’interessi e i desiderii di tutta la
popolazione e di tutta l’Isola da quelli delle poche persone che dispongono dei
consigli locali, degli istituti pubblici d’ogni specie, dei giornali, che sono
in grado di organizzare ed eccitare dimostrazioni popolari; e da quelli delle
città che per la loro importanza storica ed economica, per il numero della loro
classe colta sono in grado di farsi sentire. Questa illusione acustica è tanto
potente da imporsi a quelli stessi che ne approfittano, e che spesso credono di
rappresentare realmente i desiderii dell’Isola intera. Sono innumerevoli gli
esempi che mostrano quanto poco abbia che fare cogl’interessi della Sicilia la
parvenza d’opinione pubblica siciliana. Nessuno però è evidente quanto il caso
recente del sussidio concesso dal Governo alla società di navigazione La
Trinacria. Il Ministero volendo dar prova della sua sollecitudine per
gl’interessi dell’Isola, non trovò modo migliore che di venire in soccorso di
qualche intraprenditore più ardito che felice, il quale stava dibattendosi
contro il fallimento ormai inevitabile, e dei capitalisti che avevano
compromesso nell’impresa di quello parte dei proprii averi. Poniamo pure che il
sacrifizio del Governo fosse creduto efficace da chi dava il soccorso e da chi
lo riceveva. Ma è certo però che non sarebbe occorso cercar molto per trovar
modo d’impiegare quei cinque milioni con maggiore utilità della Sicilia in
generale, che col tenere in vita una società di navigazione. Non intendiamo qui
discutere la quistione se importasse più all’interesse generale d’Italia il
reggere in piedi una gran società di navigazione o, per esempio, costruire per
cinque milioni di nuove strade in Sicilia. Asseriamo bensì che, riguardo alla
Sicilia e considerata in particolare, volendo spendere cinque milioni a pro di
essa, lo spenderli come si è fatto, anche sotto forma di anticipazione, era
curare gl’interessi non della Sicilia, ma di pochissimi Siciliani.
Un altro effetto di questo
predominio di una finta opinione pubblica, e più grave nei suoi risultati, ci
si presenta in ciò che potremmo chiamare quistione di Palermo. La classe
colta di Palermo sostiene, ed in massima parte crede, che gl’interessi della
sua città sono quelli di tutta la Sicilia; che col favorir Palermo si giova
alla Sicilia intera, e le si nuoce coll’avversarla. Ora, basta fare una corsa
nell’Isola per convincersi che non solo il fatto non sta così, ma ancora che vi
è antagonismo fra la parte orientale dell’Isola e Palermo. Del resto la
rivalità fra quest’ultima e Messina è secolare. Certamente gl’interessi di
Palermo sono importantissimi, come quelli di qualunque altra città di duecento
e più migliaia di abitanti, principale centro intellettuale di una regione
d’Italia. Come porto di mare relativamente considerevole, i suoi interessi sono
collegati con quelli di tutte le parti dell’Isola che vi hanno lo sbocco naturale
dei loro prodotti; ma niente di più: Palermo è uno degli 8325 Comuni del Regno
d’Italia, ed i suoi interessi devono essere coordinati a quelli dell’Isola e
dell’Italia tutta. Ma il Governo in questo come in tanti altri casi si è
lasciato imporre dalla parvenza di opinione pubblica. Se non che questa, nel
caso presente, essendo duplice, quella cioè di Palermo e quella delle città
orientali di Sicilia, il Governo, secondo che si abbandonava all’una o
all’altra, ha corteggiato Palermo o le ha fatto guerra. Sempre però, avversario
od alleato, ha trattato con lei da potenza a potenza, e per tal modo si è
mantenuto ed accresciuto nell’universale, e soprattutto nei Palermitani,
quell’esagerato sentimento dell’importanza della loro città, il quale è stato
ed è tuttora di grave impedimento alla buona amministrazione ed alla prosperità
materiale dell’Isola.
In un siffatto stato di cose non
solo gl’interessi, ma anco i sentimenti di pochi appaiono come se fossero
generali. Così quell’amor proprio e quel patriottismo locale puntiglioso, che
si pretende essere una caratteristica degli Isolani in generale e dei Siciliani
in particolare, s’incontra nelle grandi città e specialmente in Palermo; ma
appena uno s’inoltra nell’interno della Sicilia, lo vede sparire come per
incanto e lo ritrova solamente in quelli che hanno subìto l’influenza delle
idee e del frasario dei giornali siciliani. Del resto, qualunque sia il numero
delle persone che provano questo amor proprio, non v’ha bisogno d’andare a
cercare per rendersene ragione, spiegazione tanto comoda di un chè di arcano
che distingua gli Isolani dal rimanente degli esseri umani. Il fenomeno è molto
più semplice: Nei grandi centri è numerosa la classe colta, di coloro cioè i
quali capiscono come lo stato della Sicilia differisca da quello di molti altri
paesi, i quali ne soffrono, e provano quel medesimo sentimento che noi tutti
Italiani proviamo viaggiando in paesi più potenti, più ricchi e più progrediti
del nostro. Questo sentimento dimostra solamente che nei Siciliani vi sono
elementi morali atti a farli rapidamente progredire, quando le circostanze non
vi si oppongano. Se non che da questo sentimento è tratto partito molto
abilmente da chi approfitta degli abusi esistenti ed è interessato al loro
mantenimento, per sollevare ed attizzare, specialmente nella gioventù, uno
sdegno più generoso che ragionevole, ogni qualvolta si espongano alla luce le
piaghe della Sicilia e si accenni a volerle curare.
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