CONCLUSIONE
Se non è sbagliata del tutto
l’analisi fatta in questo lavoro dei fenomeni che presenta la Sicilia, conviene
conchiudere che essi non hanno nulla di anormale, ma sono manifestazioni
necessarie dello stato sociale dell’Isola. Diremo più. Se v’ha in Sicilia
qualcosa di anormale, è l’intrusione di una civiltà diversa che cerca d’imporsi
e mette lo scompiglio nel giuoco delle forze naturali, che altrimenti avrebbero
operato lo svolgersi regolare e spontaneo della società siciliana.
Però, se lasciando da parte
l’aspetto storico e filosofico della quistione, la consideriamo sotto il lato
politico, essa muta faccia. La Sicilia fa parte d’Italia e non si ammette che
ne possa esser divisa. La coesistenza della civiltà siciliana e di quella
dell’Italia media e superiore in una medesima nazione, è incompatibile colla
prosperità di questa nazione e, a lungo andare, anche colla sua esistenza,
poichè produce debolezza tale da esporla a andare in fascio al minimo urto
datole di fuori. Una di queste due civiltà deve dunque sparire in quelle sue
parti che sono incompatibili coll’altra. Quale sia quella che deve cedere il
posto, non crediamo sia oggetto di dubbio per alcun Siciliano di buona fede e di
mezzana intelligenza. Certo, le condizioni sociali dell’Italia media e
superiore lasciano immensamente da desiderare sotto ogni aspetto, ma
appartengono incontestabilmente ad uno stadio di civiltà posteriore in linea di
tempo a quello della Sicilia. La quale deve inevitabilmente passare per uno
stato analogo se deve progredire per la medesima strada di quelle società che,
secondo i criteri generalmente accettati al dì d’oggi in Europa, sono
considerate le più civili ed in condizione superiore a quella del rimanente
dell’umanità. Abbiamo detto uno stato analogo e non identico,
giacchè la civiltà, ancora che uguale di specie e di grado in vari paesi, pure
può essere in ciascuno di loro molto diversa nelle forme esterne e nei
particolari.
Dunque, se l’Italia ha il dovere
di esistere, a lei spetta quello di usare tutti i mezzi di cui può disporre per
portare la Sicilia al grado di civiltà delle sue parti più progredite. Noi non
sappiamo se sia possibile siffatto mutamento; ma se lo è, i mezzi più potenti
in sè stessi si manifesteranno miseramente inefficaci, se la nazione italiana
non sente questo suo dovere e gli obblighi che le impone. Abbiamo detto che lo
Stato per salvar la Sicilia deve governarla senza la cooperazione dei
Siciliani, ma esso non può governar l’Italia senza gl’Italiani, conviene dunque
che trovi appoggio nel rimanente della nazione.
La quale fino adesso non ha
avuto il sentimento dei suoi doveri e della sua missione verso la Sicilia e le
province meridionali in genere. Abbiamo ricevuto quelle nostre sorelle minori
che, senza pensare all’avvenire, si buttavano fiduciosamente nelle nostre
braccia. Erano macilenti, affamate, coperte di piaghe, e noi avremo dovuto
curarle amorevolmente, nutrirle, cercare con ogni mezzo anche col fuoco,
dov’era necessario, di ridonar loro la salute. Invece, senza nemmeno gettar gli
occhi sulle loro ferite, le abbiamo messe al lavoro, lavoro duro e faticoso,
del compimento d’Italia; abbiamo loro chiesto uomini e denari, abbiamo dato ad
esse in cambio una libertà da dozzina, di fabbricazione forestiera, e abbiamo
detto loro: crescete e moltiplicate. E poi dopo quindici anni ci maravigliamo
perchè le piaghe sono incancrenite e minacciano di ammorbare l’Italia.
Ormai l’esperienza di questi
quindici anni basta per insegnarci che nello stato delle province meridionali
v’ha qualcosa a noi sconosciuto, cagione dell’inefficacia dei mezzi di governo
fino adesso adoperativi. Spetta alla classe colta dell’Italia media e superiore
e a quei pochi dell’Italia meridionale che si rendono conto dello stato del
loro paese, di cercar di conoscere quel che è adesso ignorato, d’imporre al
Governo il sistema che dietro siffatta conoscenza si sia chiarito necessario.
Certamente anche un Ministero potrebbe tentare da sè ciò che adesso chiediamo
alla classe colta della nazione, e dare l’impulso alla medesima invece di
aspettarlo da lei. Ma non si può ragionevolmente chiedere a dei Ministri che
sacrifichino gl’interessi del loro partito e le cosiddette convenienze
parlamentari al bene generale d’Italia. Tal fatto può certamente avvenire: e
come negli affari privati, così e più ancora in politica, è regola elementare
di prudenza il non far conto sui casi eccezionali. Finchè sarà lasciato a sè
stesso, il Governo, qualunque sia il suo colore ed il suo partito, continuerà a
vivere giorno per giorno di rimedi empirici ed infruttuosi, e, senza potere nè
voler conoscere il male in sè medesimo e curarlo, si arrabatterà intorno a
qualche fenomeno esterno di questo, ed ogniqualvolta una recrudescenza nei sintomi
del morbo lo minaccerà di qualche interpellanza o di qualche articolo di
giornale, mostrerà il suo zelo coll’accrescere i sacrifizi di denari e di
sangue, sempre col medesimo frutto. E quegli uomini che per i monti, per i
boschi, per le città della Sicilia cadono sotto le palle dei malfattori in
difesa di una Legge che non ha mezzi d’esser rispettata, non hanno essi diritto
di chieder conto all’Italia del loro sangue sprecato inutilmente, perchè gli
uomini politici Italiani non hanno il coraggio di chiamar le cose coi loro nomi
in Parlamento, e di scuotere il giogo di quel dottrinarismo dozzinale che tutti
adorano ed al quale nessuno crede, perchè le classi colte d’Italia,
dimenticando la missione che dà loro il nostro ordinamento politico, se ne stanno
neghittose, oppure vanno appassionandosi e mettendo sottosopra il paese per dei
miseri interessi locali?
Certamente
l’Italia potrà sussistere per molto tempo ancora in quelle medesime condizioni
nelle quali vive da quindici anni. Sono molte le malattie organiche che non
spingono a pronta morte. Ma in un organismo indebolito, pieno di germi di
decomposizione, quelle medesime cagioni che in un corpo sano produrrebbero
effetti appena avvertibili, generano lo sfacelo generale. E quando questo
avvenisse, i primi a soffrirne crudelmente sarebbero i membri di quella classe
che adesso non sa capire qual responsabilità e quali doveri le imponga di
fronte al rimanente della nazione il fatto ch’essa è quasi sola a trar profitto
della libertà Italiana.
|