Le linee future.
Quanto ad altre linee da
costruirsi o da studiarsi in Sicilia, è evidente che non può impegnarsi fin da
ora tutto l’avvenire, come è evidente altresì che l’attuale rete ferroviaria
non basta. Se Palermo avrà la sua seconda comunicazione colla Sicilia orientale
mediante le due Imere, o verso Messina mediante il litorale marittimo, qualora
la costruzione del tronco Eboli-Reggio rendesse quest’ultima linea il
complemento naturale della grande longitudinale tirrena, non è facile sia
deciso fin d’ora. Certo, costruita la linea per le Caldare, questa seconda
comunicazione diventa una questione di tempo, subordinata soltanto ad
opportunità di finanza. Nè può mettersi in dubbio che i precedenti legislativi
e le necessità di commercio rendano desiderata l’esecuzione anche della linea
complementare del mezzogiorno, che pure per sole opportunità di finanza potrà
essere suddivisa in tronchi successivi; da Siracusa a Noto, da Noto a Modica,
da Modica a Vittoria o a Licata. Le linee Messina-Patti, Termini-Cefalù,
Caltagirone-Catania, per cui le rappresentanze locali hanno votato sussidi, si
presentano pure con qualche diritto di preferenza; e più lontane di speranza e
di attuazione, cominciano a disegnarsi le linee Giardini-Randazzo,
MazzaraGirgenti, Trapani-Castellammare.
Che questi desiderii e questi
progetti di nuove ferrovie debbano tutti coordinarsi colle necessità dello
Stato, non è chi non veda. L’orizzonte ferroviario si suole abbracciare tutto
di un guardo; ma lenti poi e lunghi scorrono gli anni necessari per
attraversarlo. Illusioni ed utopie sulle conseguenze di un allacciamento
ferroviario non mancano neanche in Sicilia; però non devesi dimenticare che il
reddito chilometrico delle reti sicule, previsto nel 1863 di lire 10,000 o
12,000 al massimo, è già arrivato a circa 11,000, malgrado che la mancanza di
congiunzione tra i due versanti, le sospensioni frequenti di esercizio e i
trasbordi fra le linee interrotte rendano il movimento di scambi enormemente
fiacco e inceppato. Forse un sistema favorevole alla costruzione delle linee
secondarie nella viabilità siciliana sarebbe quello delle ferrovie economiche,
suggerito dall’esperienza di altri paesi, e suffragato dall’opinione di persone
competenti. Giacchè il fenomeno che in Sicilia atterrisce le buone volontà, è
la grande differenza che, per le condizioni sopra descritte, presenta ivi il
costo chilometrico delle ferrovie in confronto delle cifre ordinarie. E questo
fenomeno sarebbe in gran parte scongiurato dalle ferrovie a binario ristretto,
che per la loro agilità nelle curve e pel minor peso del materiale possono più
facilmente superare le difficoltà dei terreni.
Il Governo avrebbe anche un
altro modo di cautelarsi contro le eccessive esigenze che in fatto di ferrovie
potessero assalirlo. E sarebbe di vincolare la concessione delle nuove linee
alla esecuzione preventiva delle strade rotabili che per legge spettassero alle
provincie. Non parliamo di quelle spettanti ai Comuni, perchè la condizione sarebbe
troppo dura, e potrebbe sembrare una ripulsa palliata. Ma l’adempimento degli
obblighi di legge per parte delle provincie è una condizione che lo Stato può
lealmente esigere come preliminare, e sarebbe utile impulso a doppio beneficio
per le popolazioni.
Così la norma direttiva del
Governo in questo argomento delle ferrovie potrebbe essere questa:
classificare, secondo la varia importanza politica ed economica, le nuove
linee; considerare quali fra esse abbiano a loro favore validi antecedenti;
promuovere, secondo le risultanze combinate di queste indagini, quelle linee di
diritto prevalente che fin d’ora contassero inoltre a proprio vantaggio il
concorso più efficace dei corpi morali interessati; ben inteso che le nuove
costruzioni ferroviarie non dovrebbero incominciarsi che dove fosse compiuta o
resa idonea all’allacciamento arteriale della ferrovia, la rete delle strade
rotabili assegnate dalle vigenti leggi allo Stato e alle provincie.
Un’ultima osservazione su questa
importante materia. Forse non ha giovato al prospero e rapido andamento dei
lavori ferroviari nell’Isola, una soverchia concentrazione di attribuzioni
tecniche presso i poteri centrali. Le approvazioni richieste e date da questi
poteri ai vari progetti, le dilucidazioni chieste e raccolte, le molte
ispezioni succedutesi con grande sacrificio di tempo, si è visto che non hanno
impedito nè una continua mutazione di questi progetti, nè una libertà esecutiva
delle società concessionarie che tornò di grave danno allo Stato. Forse un ufficio
locale, composto di personale giovane, intelligente ed energico, fornito di
responsabilità e di facoltà speciali per l’esecuzione dei lavori ferroviari,
avrebbe potuto provvedere più sollecitamente alle varie difficoltà, ed
esercitare sulle società costruttrici un’azione ed una vigilanza che certo
mancò. Di siffatti organismi per lavori complessi e speciali non mancano esempi
nell’amministrazione italiana; e il Governo potrà vedere se non sia tuttora
conveniente di adottare pei lavori ancora da compiersi un provvedimento
discentratore di tale natura, come anche lo consigliano uomini tecnici di alta
e incontrastata autorità.
Finalmente si lagna non senza
ragione il ceto commerciale dell’Isola per l’insufficienza e la precarietà
primordiale delle stazioni ferroviarie. Invero, nè Palermo, nè Catania, per
esempio, possiedono una stazione conforme all’importanza del centro commerciale
ed alla dignità del paese dove son poste. E, specialmente lungo le linee di
Palermo-Girgenti e Catania-Leonforte son troppe le stazioni, quantunque
provvisorie, dove non solo le persone hanno sconvenienti ricoveri, ma le merci,
gli zolfi, i grani, i sommacchi, debbono accatastarsi nei sacchi a cielo
aperto, subendo i danni e le diminuzioni di volume o di valore che le
intemperie e l’insicurezza sovente arrecano. Una sollecita trasformazione delle
stazioni provvisorie in stazioni definitive e un aumento del materiale mobile
atto a servire convenientemente il movimento delle derrate non può non essere
considerato dalla Giunta come un mezzo di rendere più animati gli scambi e più
nudrito il reddito chilometrico.
Le strade ordinarie.
Quanto abbiamo detto a proposito
delle ferrovie, servirà ad abbreviarci il cómpito riguardo alle strade
rotabili, per cui ricompaiono in molta parte le stesse argomentazioni, gli
stessi bisogni, più numerosi lamenti.
Vi è, per esempio, nell’Isola
una città, a cui la Giunta avrebbe voluto pure condursi, ma che ci si affacciò
da ogni lato inaccessibile, senza pericolo di trovarvisi poi per parecchi
giorni rinchiusi. Sciacca, a cui d’inverno il mare impedisce frequentemente
l’approdo, che i torrenti privi di ponti chiudono da dritta e da sinistra alle
vetture, si trova ancora, dopo 16 anni di Governo liberale, non congiunta da
via praticabile nè al capoluogo della sua provincia, Girgenti, nè ai capoluoghi
di circondario coi quali confina, Mazzara e Bivona. Lo Stato non ha certo che
una colpa indiretta in questa sgraziata condizione di cose, giacchè le linee
stradali che circondano Sciacca, furono classificate come provinciali, e
soltanto dopo la recente legge del 30 maggio 1875 lo Stato vi prese ingerenza.
Ma che rispondere agli uomini estranei ai pubblici negozi quando vi chiedono se
sia regolare o tutrice degl’interessi generali una legislazione che in 16 anni
non trova modo di ottenere da cui spetta l’adempimento di uno dei più
indispensabili scopi della vita civile? In verità alla domanda la risposta è
ardua; giacchè tutti i criteri che si possono addurre a giustificazione delle
varie necessità amministrative e delle varie autonomie che debbono coordinarsi
ed armonizzare colle funzioni di uno Stato libero, si rompono contro il fatto
brutale, contro l’isolamento di un grosso paese, contro un così lungo diniego
di viabilità.
Il caso di Sciacca è però
eccezionale fra i grossi Comuni della Sicilia; ma non pochi ancora dei Comuni
minori si trovano in condizioni così meschine di viabilità, da dovere indurre
la pubblica amministrazione a riesaminare seriamente il problema.
Non è neanche a dire che sia
stato in questi anni meschino l’impulso dato alle costruzioni stradali. Se
esaminiamo le cifre, queste non ci rispondono sfavorevolmente. Infatti, secondo
i dati raccolti dal Possenti, a tutto il 30 marzo 1862, erano privi di strade 244
Comuni, compresi 4 capoluoghi di circondario; e lo sviluppo della viabilità
ragguagliavasi a metri 84,50 per chilometro quadrato, e metri 0,914 per
abitante. Oggi, vale a dire al 31 dicembre 1875, i Comuni privi di strade sono
ridotti a 102; e la viabilità si ragguaglia a metri 139 per chilometro quadrato
e metri 1576 per abitante.
Vediamo a chi, e in quale
proporzione, si devono questi progressi.
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