PREFAZIONE
ALLA SECONDA EDIZIONE
I.
La genesi di questi due volumi
va ricercata e nelle condizioni subiettive degli autori, e in quelle oggettive
della Sicilia, allora vivacemente ed aspramente discusse sia nel Parlamento sia
nel Paese.
Leopoldo Franchetti, Sidney
Sonnino, ed io con loro, avevamo quasi contemporaneamente potuto portare
innanzi, insieme con gli studi, l’osservazione pratica, durante parecchi viaggi
nell’interno ed all’estero, delle differenti conseguenze lasciate lungo le
lotte per la conquista delle libertà politiche, dai modi e dalla data di
abolizione o di riforma degli ordinamenti feudali, riscontrandovi la più chiara
spiegazione sia delle peculiari condizioni nelle quali venivano a trovarsi
anche più regioni di un medesimo Stato, sia della contraddizione che talora
correva fra il grado di prosperità delle industrie locali, e il benessere dei
lavoratori che pure tanto contribuivano a farle vivere; tuttavia eravamo accesi
dal desiderio di saperne di più e di spingerci a più larghe visioni almeno in
riguardo all’Italia. Mentre dalle Cattedre Universitarie ci si impartivano, con
ispirazione abbastanza liberale, le ultime lezioni, eravamo già preoccupati dal
pensiero di quelle nostre plaghe, dove, come in alcune dell’Inghilterra, il
contadino era poverissimo anche in confronto di un’agricoltura assai progredita,
dove il proposito sincero di governare con giustizia e con amore, s’infrangeva
più o meno davanti ad ostacoli che sapevano di misterioso, e che esigevano
tuttavia una perspicua e fedele rivelazione.
Non che fossimo i soli giovani
ad avere siffatte sensazioni; ma per un felice insieme di zelo studioso, di
amor patrio e di carità civile, si era radicata in noi la speranza di poter
così concorrere a promuovere via via il progresso economico e morale di tutte
quelle provincie che il passato malgoverno aveva lasciato in condizioni ben
dolorose.
Si aggiunga che nell’Università
di Pisa, donde tutti tre siamo usciti, gli studenti solevano infervorarsi così
delle questioni del giorno da essersi scissi, nello stesso seno
dell’Associazione che avevano costituito, in quasi altrettanti partiti, e così
battaglieri, quanti ne aveva la Camera; e anche allora, non senza appassionanti
evocazioni retrospettive, agitavano e riagitavano la discussione, sorta già la
vigilia della spedizione dei Mille, e resa più ardente dall’infelice esito di
quella di Mentana, se il Governo nostro doveva sfidare audacemente ogni più
aspra difficoltà internazionale per tentare ancora la conquista di Roma e il
compimento dell’unità dell’Italia o se dovevasi pazientare per trarre partito
da più opportune circostanze politiche dell’Europa. Le divagazioni su questo
tema davano luogo a vere lotte e a pericolosi episodi per le contrastanti
tendenze clericali, conservatrici, liberali e radicali; ma Leopoldo Franchetti
ed io che più vi fummo coinvolti, anche nelle declamazioni più estreme eravamo
indotti a riconoscere un monito salutare, e davanti a certe accuse più
violente, ci chiedevamo se non potevasi governar meglio, almeno nel Mezzogiorno
e nelle isole. Inoltre molti dei valorosi professori dell’Università, e della
Scuola normale di Studi Superiori che le fioriva accanto, nel confabulare
famigliarmente con noi degli episodi locali e sugli avvenimenti politici, ci
incoraggiavano a dar saggio sollecito della nostra preparazione a servire il
paese.
Già s’era giunti alla fine del 1870. Una profonda impressione
avevano fatto in Italia le vittorie tedesche contro la Francia, e più ancora le
nefandità e le devastazioni che vi fece tener dietro la Comune insediatasi a
Parigi. Perfino il Bonghi ebbe a dire poco dopo alla Camera nel combattere
alcune nuove imposte, anch’esse più dure pei meno abbienti: «È entrato ormai
nella mente e nell’animo di tutti quanti gli uomini di Stato d’Europa che le
classi agiate, se vogliono vivere posate e tranquille, e sperare il progresso
costante della Società civile, bisogna che si persuadano di aver esse cura
d’anime in favore delle classi povere». Anche le assidue letture ci avevano
infervorato sempre più di spirito liberale, e affidati ad esso, abbiamo dato
più animosi i nostri primi passi nel campo dell’azione. Così Sidney Sonnino
pubblicò nel 1874 la sua monografia «sulla Mezzeria in Toscana», tradotta
subito in tedesco nella Rivista Italia, diretta dallo Hillebrand, con lo
scopo di mettere in piena luce uno dei mezzi atti a sostituire nell’agricoltura
alla lotta fra capitale e lavoro, la loro conciliazione mercè un’equa
compartecipazione del contadino ai lucri del proprietario. Così Leopoldo
Franchetti, fattosi a percorrere successivamente gli Abruzzi, il Molise, la
Calabria e la Basilicata, ne espose in alcune lettere al giornale fiorentino La
Gazzetta d’Italia le infelici condizioni economiche ed amministrative,
facendole risalire all’insufficienza delle provvidenze di Governo1.
Così io stesso, dopo essermi indugiato sulla fine del 1870, in nome del
Comitato per le elezioni politiche di Ferrara, in vivaci polemiche sui temi
della legge sulle guarantigie, della miglior forma di Governo, e delle
applicazioni da darsi alle dottrine liberali per difendersi dalle utopie socialiste
e comuniste, avendo assunta nel 1872 per tre anni l’Amministrazione delle
lagune da pesca di Comacchio, mi adoperai a renderla fonte di moralità e di
benessere per quelle popolazioni2.
Nel frattempo le agitazioni e le
accuse partigiane, inasprendo le già profonde divergenze sui metodi di Governo,
avevano piombato sempre peggio il Paese e il Parlamento nella confusione e
nell’irrequietezza; ed Ernesto Nathan, nostro caro amico personale, ma allora
di pura fede mazziniana, obbedendo a concetti etici in lui profondamente
radicati, pubblicava in opuscolo un appello per costituire una Lega degli
onesti, la quale doveva far argine contro gli intrighi ed i fini loschi dei
politicanti di mestiere. Per discutere sull’opportunità di associarsi a lui, Leopoldo
Franchetti mi invitò con Sidney Sonnino ad un convegno ospitale nella sua
dimora di Firenze.
Le disposizioni dei miei amici
erano favorevoli: ma io obiettai subito che era progetto poco pratico,
parendomi chiaro che i meno onesti sarebbero stati i più frettolosi a voler far
parte della Lega, mentre poi non vedevo come si potesse riescire a respingerli.
Alla dubbia influenza di siffatti organismi opposi l’opportunità di continuare
quegli sforzi individuali in cui già ci eravamo provati. L’occasione parevami
offerta dall’avere il Governo proposto al Parlamento per ben due volte delle
leggi eccezionali, cioè più o meno lesive di libertà e di diritti già
riconosciuti, ma intese a dare una maggior sicurezza alle persone ed ai loro
averi in quelle Provincie dove ce n’era bisogno.
Tutti si appassionavano a
discutere sull’efficacia del rimedio, e in quelle regioni dove v’era maggior
ragione di temere la sua applicazione, violentissime erano le proteste contro
di esso che per lo meno qualificavasi un’offesa ingiustificata e
ingiustificabile. Noi dovevamo recarci successivamente sui luoghi e verificarne
e studiarne i fenomeni morbosi. Poichè il contratto agrario era tanta parte di
tutte le manifestazioni della vita civile ed economica, suggerivo di pigliare a
pretesto lo studio dei suoi svariati tipi locali per fare nello stesso tempo,
senza destare sospetto, un’indagine minuta intorno le condizioni morali,
politiche e sociali della popolazione.
Non mi fu difficile vincere il
partito, e, senz’altro, ci siamo chiesti quale regione dovevamo visitare per
prima.
Una proposta di legge per
provvedimenti eccezionali era già stata presentata nel 1871 quando nella
Romagna i reati di sangue si seguivano con una frequenza impressionante, e
avevano fatto numerose vittime anche fra i più alti funzionari. Se n’era poi
elaborata un’altra assai di recente con l’intendimento di colpire nel vivo il
brigantaggio, la camorra e la mafia.
Avevamo dunque dinanzi due
indicazioni concrete. Sulle prime il nostro pensiero si rivolse alla Romagna,
ma si rinunciò presto ad essa perchè il Parlamento aveva bensì concesso più
severe disposizioni pei casi di detenzione, vendita e fabbricazione di armi
insidiose, e anche la facoltà di trattenere i vagabondi e i facinorosi a
domicilio coatto perfino per cinque anni se recidivi, ma la tranquillità, per
buona sorte, era già tornata specialmente ad opera degli stessi cittadini, i
quali, nella veste di guardie nazionali, ed anche senza, avevano a gara
prestato man forte alle autorità ed ai loro agenti. Che se poco dopo era
sopravvenuto l’allarme politico di Villa Ruffi, perchè colà vennero arrestati
in massa molti capi dei partiti rivoluzionari che vi si erano dati convegno, il
processo seguitone aveva escluso il reato di cospirazione, e certo ormai anche
la Romagna poteva ritenersi allora una regione in condizioni normali.
Diverso era il caso della
Sicilia.
Fu un giusto risveglio di
energia che spinse il Governo a proporre perfino provvedimenti eccezionali pur
di ristabilirvi la pubblica sicurezza, e giusto anche fu il suo scrupolo
costituzionale di chiedere prima l’assenso della Camera quantunque assai alto
salisse il clamore della voce pubblica sulla gravità di quelle condizioni, ma
non per questo era da aspettarsi una insurrezione meno accanita da parte della
sinistra che, cresciuta di forze con le ultime elezioni, e già vedendosi alla
vigilia di giungere al potere, volle subito insinuare che quella era una
vendetta contro l’isola per aver essa mandato alla Camera molti più deputati
d’opposizione che per lo innanzi. La discussione si fece presto tempestosa ed
impressionante, anche perchè da un lato il Ministro dell’interno Cantelli s’era
indotto a comunicare parecchi rapporti di Prefetti dove facevansi gravi accuse
alla popolazione di sistematico favoreggiamento ai ribaldi, e dall’altro vari
deputati mossero rimprovero a più di un funzionario di provocare ed inscenare
reati, e di mantenere rapporti coi briganti e con la mafia per servirsene come
mezzo di governo. Persone e fatti erano stati in questo senso precisati dal
deputato Tajani, già Procuratore del Re a Palermo, con accenni alla
responsabilità dell’attuale e dei passati Ministeri; e per quanto non fossero
mancate vivacissime proteste, smentite, e una domanda di inchiesta parziale da
parte del Lanza per le imputazioni che si facevano risalire a lui, per quanto
il Crispi, il Nicotera, il Lacava da sinistra, e il Rudinì, il Lioy e il
Codronchi da destra, con altri ancora, ammonissero di non far questione di
partito in questione così spinosa, la Camera a voto palese con 220 si
contro 203 no approvò l’ordine del giorno puro e semplice, e a scrutinio
segreto anche i provvedimenti eccezionali, che tuttavia, secondo un ordine del
giorno Pisanelli, dovevano applicarsi solo ai già ammoniti e perseveranti nel
mal fare; e, poichè molti deputati, presi da sdegno avevano abbandonato l’aula,
il disegno di legge per un’inchiesta generale sulle condizioni sociali ed
economiche della Sicilia e sull’andamento dei pubblici servizi raccolse appena
145 voti favorevoli, contro 48 contrari e 12 astenuti.
Se andava da sè che appunto in Sicilia conveniva dar seguito
agli studi che avevamo deciso di fare, era anche naturale l’obiezione che ormai
stava per provvedervi l’Inchiesta Parlamentare rendendo superflua l’opera
nostra. Ma l’obiezione non ci ha trattenuto. Per sanare dei mali bisogna
giungere a conoscerli bene, e nessuna superfluità poteva esserci se anche noi
svolgevamo indagini in via privata indipendentemente dalle altre più solenni e
di carattere pubblico. Era da presumere che la Giunta Parlamentare, coi nove
membri che dovevan comporla3, avrebbe invitato a sè in corpo
Rappresentanze e Delegazioni, fatto incetta di documenti ufficiali e di
statistiche, tenuto udienze solenni col sussidio di uno o più stenografi, seguìto
insomma procedimenti che lasciassero traccie sindacabili; ma proprio perciò
atti a rendere timorosi e perplessi i più dei testimoni; noi invece dovevamo e
potevamo cercare l’intimità di conversari riservati, per attingerne
rivelazioni, giudizi e voti che giovassero a lumeggiare la psicologia della
popolazione e i retroscena della vita civile e dell’interdipendenza economica e
sociale delle varie sue classi. C’era da aspettarsi, ed infatti avvenne poscia,
che come molti deputati e senatori dell’Isola convenivano con noi in via
confidenziale su molte anormalità che pure avevano negato nella discussione
parlamentare, così molti privati e molti funzionari non essendo in sospetto
delle nostre finalità, si lasciassero andare, insieme con le informazioni sulle
condizioni culturali, a rivelazioni incidentali meno prudenti e di ben altro
carattere. Inoltre la inclusione nella Legge per l’inchiesta anche delle
indagini sulle condizioni sociali si sarebbe risolta, quali erano i più dei
membri della Giunta, in un prudente riserbo, poichè allora, anche molti
liberali, per la nebulosità in cui la questione sociale rimaneva ancora
avvolta, preferivano negarla al discuterla. Noi invece avremmo avuto la nostra
coscienza meno preoccupata.
Presa la nostra decisione
abbiamo subito pensato alla preparazione necessaria. Anzitutto occorreva che
ciascuno raccogliesse quante più lettere di presentazione presso siciliani di
diversa condizione ma sempre dimoranti nell’Isola e preferibilmente interessati
nell’Agricoltura; infatti alla vigilia della partenza ne contavamo già quaranta
che poi si moltiplicarono grazie alla grande cortesia con cui quei signori ci
accolsero, e ce ne munirono. Fin da allora ci siamo prefissi di non prendere
appunti durante i nostri colloqui, ma di affidarne alla memoria le parti più
importanti e redigerne ricordo scritto alla sera aiutandoci scambievolmente.
Conservo ancora il mio testo che comprende oltre cinquecento pagine e nel quale
si leggono perfino gravissime accuse sulle quali, com’era doveroso, abbiamo
conservato un geloso silenzio. Poichè era da prevedere che avremmo passato
moltissime notti nei più umili villaggi e nei loro alloggi primitivi, abbiamo
pensato ad aggiungere al nostro semplicissimo bagaglio dei letti da campo
pieghevoli, ognuno munito di quattro vaschette di rame, rientranti l’una
nell’altra per economia di spazio, nelle quali, riempiutele d’acqua, tuffare i
piedi del letto prima di coricarci, per isolarlo dagli insetti. Abbiamo pure
dovuto preoccuparci dell’eventualità di venire aggrediti dai briganti a scopo
di ricatto, e quindi abbiamo deciso di provvedere per noi e per un fidato
nostro servo che ci doveva accompagnare, quattro carabine «vetterli» del
recentissimo modello a ripetizione, e quattro rivoltelle di grosso calibro, da
portare costantemente su noi lungo il viaggio nell’interno.
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