§ 8. — Divisione delle
colture.
I
limiti ristretti che ci siamo prefissi non ci consentono di estenderci
nell’esposizione dei sistemi in uso per la coltura dei cereali in Sicilia, e
dovremo per questi rimandare il lettore specialmente al lavoro del
Caruso217 e a quello non meno interessante del Cattani218. Le consuetudini
poi variano molto nei minuti particolari da un luogo all’altro. Non intendiamo
nemmeno discutere ora i metodi siciliani al punto di vista di una buona
agricoltura; questo studio è già stato fatto dai detti autori competentissimi e
da molti altri; e noi qui non intendiamo che dare un quadro succinto della
condizione degli agricoltori. Ci bastino dunque i seguenti brevissimi cenni.
L’avvicendamento agricolo in tutta la zona di cui
parliamo è generalmente quello dei cereali col pascolo naturale, facendo però
seguire al pascolo, prima della seminagione del grano, dieci mesi o sei di
maggese lavorato. È quella che generalmente in Sicilia chiamano la coltura a terzerìa.
L’intera ruota agraria viene a compiersi in 3, 4 o 5 anni secondochè si
seminino i cereali, o si lasci il pascolo, per uno o per due anni consecutivi:
forse la ruota più comune è quella dei 4 anni: 1° anno maggese; 2° anno grano;
3° anno orzo; e 4° anno pascolo. Non si coltiva l’intiero fondo successivamente
a grano, a pascolo, ecc.; ma invece si divide in tre parti, di cui l’una è a
pascolo, la seconda a maggese, e la terza coltivata a cereali, e in ognuna
delle quali si fa l’avvicendamento suddetto.
Il pascolo.
Il
gabellotto tiene per conto proprio il pascolo, facendovi pascolar sopra i suoi
armenti e le greggi composte dei suoi propri animali, e, spesso per circa una
metà, di animali dei suoi subordinati e di altri, che gli pagano una fida219;
oppure l’affitta in tutto o in parte ad altri gabellotti o pastori, che
manchino di pascoli per i loro animali.
Il maggese.
Se il gabellotto possiede in proprio un numero
sufficiente di bovi, egli lavora talvolta tutto o la massima parte del maggese
per conto proprio con tre o quattro arature, ma questo è caso che diventa
sempre più raro dopo le terribili epizoozie del passato decennio, e per lo più
la massima parte della terra destinata al maggese vien divisa in piccoli
appezzamenti, e la lavorazione vien eseguita in modo molto imperfetto per conto
dei villani. Questi ci seminano le fave, mettendovi sì e no un po’ di concime,
oppure lasciano il terreno vuoto, lavorandolo soltanto con due o tre arature
coi propri muli, se ne hanno, o se no prendendo gli aratri di bovi o di muli a
fitto per la giornata, sia dallo stesso gabellotto, sia da altri. Il prezzo di
una giornata di aratro varia molto da luogo a luogo e secondo la stagione;
oscilla tra le 6 e le 14 lire; ordinariamente è di 8 lire per lavoro di
maggese, di 10 a 12 per la sementa. Il contratto tra padrone e villano, per cui
il maggese di un appezzamento vien fatto per conto di quest’ultimo, dura
talvolta un solo anno, e ciò soltanto quando si faccia la favata, cioè
quando vi si seminino le fave; oppure il contadino è quello stesso che prende a
coltivare in quell’appezzamento i cereali nell’anno o negli anni successivi, e
allora i patti per il maggese, sia esso di sole o con fave, si
ricollegano con i patti dell’anno o degli anni successivi.
Granicoltura.
Veniamo ora alla terza parte del feudo che è
destinata ad essere coltivata uno o due anni, o talvolta anche tre, a grano e a
orzo. Vi è qualche gabellotto, — ma fuori del Siracusano non è che una rara
eccezione, — il quale, avendo animali sufficenti e facendo una parte del
maggese per proprio conto, coltiva pure per proprio conto e con salariati alla
giornata, un appezzamento più o meno grande della sua terra, anche negli anni
della coltura dei cereali; riservandosi naturalmente la parte migliore del
fondo. Il caso generale però è il seguente:
L’inquilinaggio.
Tutta
la parte destinata ai cereali viene divisa in piccoli appezzamenti, e concessa
ai contadini per uno, due, o anche tre anni, a inquilinaggio220,
cioè o a terratico, o a metaterìa.
Il contratto in generale non è che di un anno, oppure
di due quando comprenda l’anno del maggese; ma si rinnova pure tacitamente per
uno o due altri anni, finchè non si cessi in quella parte del fondo la coltura
dei cereali, e si lasci la terra a pascolo naturale, oppure si ripeta il
maggese. Il sistema di dare la terra ai contadini coi contratti di terratico
o di metaterìa, si chiama in Siciliano sistema a borgenzatico.
Diciamo prima del terratico.
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