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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE PRIMA                       CONDIZIONI ATTUALI
      • Capitolo II.   ZONA INTERNA E MERIDIONALE
        • § 8. — Divisione delle colture.
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§ 8. — Divisione delle colture.

I limiti ristretti che ci siamo prefissi non ci consentono di estenderci nell’esposizione dei sistemi in uso per la coltura dei cereali in Sicilia, e dovremo per questi rimandare il lettore specialmente al lavoro del Caruso217 e a quello non meno interessante del Cattani218. Le consuetudini poi variano molto nei minuti particolari da un luogo all’altro. Non intendiamo nemmeno discutere ora i metodi siciliani al punto di vista di una buona agricoltura; questo studio è già stato fatto dai detti autori competentissimi e da molti altri; e noi qui non intendiamo che dare un quadro succinto della condizione degli agricoltori. Ci bastino dunque i seguenti brevissimi cenni.

L’avvicendamento agricolo in tutta la zona di cui parliamo è generalmente quello dei cereali col pascolo naturale, facendo però seguire al pascolo, prima della seminagione del grano, dieci mesi o sei di maggese lavorato. È quella che generalmente in Sicilia chiamano la coltura a terzerìa. L’intera ruota agraria viene a compiersi in 3, 4 o 5 anni secondochè si seminino i cereali, o si lasci il pascolo, per uno o per due anni consecutivi: forse la ruota più comune è quella dei 4 anni: anno maggese; anno grano; anno orzo; e anno pascolo. Non si coltiva l’intiero fondo successivamente a grano, a pascolo, ecc.; ma invece si divide in tre parti, di cui l’una è a pascolo, la seconda a maggese, e la terza coltivata a cereali, e in ognuna delle quali si fa l’avvicendamento suddetto.

 

Il pascolo.

Il gabellotto tiene per conto proprio il pascolo, facendovi pascolar sopra i suoi armenti e le greggi composte dei suoi propri animali, e, spesso per circa una metà, di animali dei suoi subordinati e di altri, che gli pagano una fida219; oppure l’affitta in tutto o in parte ad altri gabellotti o pastori, che manchino di pascoli per i loro animali.

 

Il maggese.

Se il gabellotto possiede in proprio un numero sufficiente di bovi, egli lavora talvolta tutto o la massima parte del maggese per conto proprio con tre o quattro arature, ma questo è caso che diventa sempre più raro dopo le terribili epizoozie del passato decennio, e per lo più la massima parte della terra destinata al maggese vien divisa in piccoli appezzamenti, e la lavorazione vien eseguita in modo molto imperfetto per conto dei villani. Questi ci seminano le fave, mettendovi sì e no un po’ di concime, oppure lasciano il terreno vuoto, lavorandolo soltanto con due o tre arature coi propri muli, se ne hanno, o se no prendendo gli aratri di bovi o di muli a fitto per la giornata, sia dallo stesso gabellotto, sia da altri. Il prezzo di una giornata di aratro varia molto da luogo a luogo e secondo la stagione; oscilla tra le 6 e le 14 lire; ordinariamente è di 8 lire per lavoro di maggese, di 10 a 12 per la sementa. Il contratto tra padrone e villano, per cui il maggese di un appezzamento vien fatto per conto di quest’ultimo, dura talvolta un solo anno, e ciò soltanto quando si faccia la favata, cioè quando vi si seminino le fave; oppure il contadino è quello stesso che prende a coltivare in quell’appezzamento i cereali nell’anno o negli anni successivi, e allora i patti per il maggese, sia esso di sole o con fave, si ricollegano con i patti dell’anno o degli anni successivi.

 

Granicoltura.

Veniamo ora alla terza parte del feudo che è destinata ad essere coltivata uno o due anni, o talvolta anche tre, a grano e a orzo. Vi è qualche gabellotto, — ma fuori del Siracusano non è che una rara eccezione, — il quale, avendo animali sufficenti e facendo una parte del maggese per proprio conto, coltiva pure per proprio conto e con salariati alla giornata, un appezzamento più o meno grande della sua terra, anche negli anni della coltura dei cereali; riservandosi naturalmente la parte migliore del fondo. Il caso generale però è il seguente:

 

L’inquilinaggio.

Tutta la parte destinata ai cereali viene divisa in piccoli appezzamenti, e concessa ai contadini per uno, due, o anche tre anni, a inquilinaggio220, cioè o a terratico, o a metaterìa.

Il contratto in generale non è che di un anno, oppure di due quando comprenda l’anno del maggese; ma si rinnova pure tacitamente per uno o due altri anni, finchè non si cessi in quella parte del fondo la coltura dei cereali, e si lasci la terra a pascolo naturale, oppure si ripeta il maggese. Il sistema di dare la terra ai contadini coi contratti di terratico o di metaterìa, si chiama in Siciliano sistema a borgenzatico. Diciamo prima del terratico.

 

 




217 Vedi: Studi sulla industria dei cereali in Sicilia e le popolazioni che la esercitano, del prof. Girolamo Caruso. Palermo, 1870.



218 Vedi: Sulla Economia agraria praticata in Sicilia; nozioni, costumi e usi della sua grande agricoltura, di Pietro Cattani. Palermo, 1873.



219 Vedi sopra § 5.



220 Le parole inquilinaggio, inquilino, vengono usate generalmente in Sicilia e specialmente nella parte più meridionale, per indicare tanto il terratichiere, o terraggiere, come il metatiere; alcune volte però s’intende per inquilino il solo terraggiere, ed altre il solo metatiere. È così in Sicilia di molte espressioni che si riferiscono alle occupazioni agricole. La parola borgese che nel Palermitano indica il contadino sia terratichiere o metatiere, in quasi tutto il resto della Sicilia ha un senso più generico ed indica qualunque agricoltore che ha capitali, comprendendo anche il ricco gabellotto; anzi talvolta è specialmente usata in quest’ultimo senso. Così della parola massaro, che indica le condizioni le più varie, dal massaro dei pressi di Trapani che è l’affittuario di una tenuta media, ch’egli coltiva tutta a economia, al massaro del Catanese, che è un semplice guardiano dei giardini di agrumi. Così il metatiere del Milazzese e di Patti non è che un guardiano delle vigne, con salario convenuto per tutto l’anno. Il metatiere nel senso in cui l’usiamo nel testo, vien pure detto in una gran parte della Sicilia paraspolaro e paraspolo l’appezzamento di terra ch’egli conduce. Così della parola curatolo che indica ora il capoguardiano degli armenti, ora un custode delle vigne; e così pure di tante altre espressioni.

Abbiamo voluto avvertire questi doppi sensi per evitare che prenda leggermente equivoco chi abbia udito adoperare una di queste parole in una sola delle provincie siciliane.






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