§ 39. — Contratto misto.
Ci resta a dire di una forma speciale di
contratto misto di fitto e di colonìa parziaria, che trovammo introdotta in una
tenuta del barone Turrisi, situata in comunità di San Mauro. L’intiera
proprietà misura circa 100 ettari, di cui quattro quinti coltivati a vigna, a
olivi e ad amollèi; ed è stata divisa tra dieci famiglie di coloni, ad ognuna
delle quali si è assegnata un’abitazione di due a tre stanze in alcuni
caseggiati, che si trovano sparsi nella tenuta. I muli non si tengono nelle
case, ma in apposite capanne di paglia.
Questi coloni dimorano stabilmente sul fondo, in
cui trovano lavoro durante tutto l’anno. Per la terra nuda, e per quella seminativa
sotto gli alberi, pagano un modico fitto in denaro. Per l’intiera coltura della
vigna, e i lavori della vendemmia, il contadino riceve la metà del mosto. Per
la completa coltura degli olivi, compresa la raccolta del frutto, egli riceve
un terzo dell’olio, dovendo pagare soltanto L. 0.85 per ogni 8 tumoli di olive
raccolte (ettolitri 1.36), a titolo di contribuzione nelle spese di fattura
dell’olio. E finalmente per la coltura dell’amollèo e il raccolto della manna,
riceve una metà di questa, previa prelevazione del 10 per cento per conto del
proprietario. Questi tiene sul luogo un suo fattore o campiere, che sorveglia i
coloni e le coltivazioni.
Le condizioni di questo contratto sono
indubbiamente assai larghe, e vorremmo vederle adottate con eguale larghezza da
molti proprietari; ma per ora non pare che l’esempio sia stato seguìto; forse
anche per la mancanza assoluta di caseggiati rurali in mezzo ai campi. Ci
riserviamo di esaminare, nella seconda parte di questo scritto, i caratteri
economici che presenta questa forma di contratto, che ci ricorda le colonìe
dell’alto Milanese e della Brianza.
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