§ 44. — Messina e la Costa
Orientale.
Percorriamo ora rapidamente il circondario di
Messina e la costa orientale di quello di Castroreale, non occupiamoci della
parte montana, coltivata a grano e a pascolo, perchè già ne abbiamo parlato nei
primi capitoli di questo lavoro. Ritroviamo qui tutta la varietà dei contratti,
che abbiamo studiati nei diversi luoghi visitati; qui coltura a economia nelle
varie sue forme, qui fitto specialmente piccolo e per tre anni, qui terratici,
qui mezzadrìe; ma quest’ultima è la forma che prevale più generalmente. Essa
riunisce qui, come già abbiamo cominciato a vedere a Castroreale, molti dei
caratteri della mezzadrìa toscana. Vi notiamo però alcune varietà da luogo a
luogo, e nei patti, e più nella estensione dei poderi, che a misura che si
scende lungo la costa orientale, vanno prima ingrandendo di fronte a quelli
della costa settentrionale, e poi di nuovo rimpicciolendosi in modo, che sotto
Savoca vediamo uno stesso contadino pigliarne a coltivare insieme parecchi.
Questo fatto dipende più che da estrema divisione delle proprietà,
dall’eccessivo frastagliamento di queste, male gravissimo per tutti, e per cui
troviamo tenute assai estese che son composte di un gran numero di piccoli
appezzamenti staccati. Di qui perdita di tempo pel contadino, difficoltà di
sorveglianza del padrone sul contadino e del contadino sul podere, e
conseguente facilità di furti campestri, che in tutta la provincia sono
diventati una vera piaga dell’agricoltura.
Nelle vicinanze di Messina e nel lato
settentrionale del circondario, ogni podere ha per lo più la casa rurale
annessa, e nelle borgate e paesi stanno i giornalieri, che qui non sono molto
numerosi. Lungo la costa orientale si trova più di rado il podere a mezzadrìa
il quale abbia la casa annessa, e in generale il contadino ha o prende a fitto
per proprio conto una casetta nel villaggio, nella borgata o nella città. In
questa costa bellissima per l’artista non meno che per l’agronomo, vediamo
miracoli di lavoro umano, nelle terrazze che rette da muri a secco sostengono
gli alberi di olivo sulle ripide falde dei monti. Nelle colline più basse
verdeggia la vite, e sulla marina si coltiva l’agrume.
Il patto generale per i terreni sia nudi, sia
sotto gli alberi, è quello della divisione del raccolto a metà; però nelle
terre buone il contadino deve dare sulla sua parte tutta la semenza, e la
paglia inoltre resta tutta al padrone. Ai poderi non alberati non va mai
annessa la casa rurale. Presso Messina si usa poi per il grano, i ceci, i
piselli, ecc., che si coltivano sotto gli olivi, di far stimare la quantità del
raccolto in piede e appena maturo da un perito, il quale assegna al padrone la
quantità che dovrà avere per sua metà, e questa quantità il contadino è
obbligato a consegnare.
I patti di divisione per le colture legnose
variano. Per il prodotto degli olivi si divide ordinariamente a quarti,
prendendosi il padrone i tre quarti. Egli deve dare il concime per gli alberi.
Il contadino è tenuto a fare una zappatura annua intorno all’albero, al
raccolto delle olive, e alle spese di molitura; il padrone però prestando il trappèto
(frantoio). Talvolta il contadino riceve un terzo del prodotto, rimanendo a suo
carico anche la concimazione delle piante. La divisione si fa però sempre nel
modo seguente: quando le olive sono mature, e prima del raccolto, viene il
perito, che riceve uno stipendio annuo dal proprietario, e stima il raccolto a
tante macine di olive (1 macina = ettolit. 2.75). Secondo i diversi
luoghi si calcola che ogni macina di olive può dare una certa quantità d’olio,
che si misura in tanti gafisi per macina: verso Messina, una macina dà
da 4 a 5 gafisi d’olio. Il perito quindi attribuisce al proprietario come parte
padronale, i tre quarti o due terzi che siano, di questo prodotto precalcolato
di olio. Il contadino raccoglie e porta le olive al frantoio del proprietario,
e questi per mezzo del suo soprastante ritira come prima cosa quel numero di gafisi
d’olio a lui assegnato, senza imbarazzarsi se poi resta veramente un quarto o
meno al contadino. Tutto qui dipende dunque dalla capacità e dalla moralità dei
periti, e pur troppo se ne trovano che per guadagno favoriscono scientemente
qualche proprietario meno scrupoloso. I contadini si difendono rubacchiando
dove possono. Per la sola raccolta, lungo la costa orientale da Alì in giù, dove
per lo più si coltivano gli olivi a economia con giornalieri, si calcola
che il contadino guadagni un quinto del prodotto.
Lo stesso sistema delle stime si usa per il
prodotto degli alberi da frutta, che generalmente vien diviso a metà.
Il prodotto della vigna si divide comunemente a
metà. Nei terreni più ricchi a 2/5 al contadino e 3/5 al proprietario, o anche
1/3 e 2/3. Si divide sempre il mosto. Molti proprietari però preferiscono
tenere i vigneti a economia, coi guardiani. Così pure a economia si coltivano
sempre gli agrumi: al guardiano si dà casa e legna, e alla fine dell’anno un
regalo in denari, vario secondo il prodotto. Il prodotto del terreno sotto gli
agrumi, coltivato a ortaglie dal guardiano, si divide spesso a metà.
Per la foglia del gelso e la divisione dei
bozzoli, si usano generalmente le convenzioni che abbiamo già riportate per
Patti. Dopo la malattia nei bachi questi industria già fiorente in Sicilia ha
perso moltissimo della sua importanza, essendo stati pure abbattuti dai
proprietari moltissimi alberi di gelso. Però da qualche tempo accenna a
rifiorire. Anche la coltura del tabacco, dopo l’imposizione della tassa, è
diminuita di molto, e i prezzi che offre la Regìa ai coltivatori non sono tali
da farla rifiorire.
Dove vi è mezzadrìa i proprietari caricano sul
mezzadro il pagamento di una quota proporzionale della imposta fondiaria.
È molto generale la pratica di dare vitelli ad
allevare ai contadini, sia dal proprietario del fondo, sia da estranei. Le
convenzioni sono quelle che già dicemmo per Patti e per Castroreale.
Generalmente il proprietario prende la metà del guadagno se l’animale fu
allevato sopra un podere suo, e invece soli due quinti se sopra un podere
altrui o nel borgo.
Le case coloniche, meno quelle di cui dicemmo a
Milazzo, sono generalmente ristrette e misere, e in cattiva condizione; vi è in
generale una piccola finestra. Non sono peggio però di quelle dell’interno
della Sicilia. Anzi, forse l’unica stanza di cui si compongono è un po’ più
grande e ariosa di quelle che si trovano nella prima zona da noi descritta; ma
è pure sotto i tegoli e insufficiente per ogni verso.
I mezzadri mutano generalmente assai spesso di
podere in podere; non però egualmente in tutte le zone; e presso alcuni
proprietari se ne trovano che restano fissi per diecine di anni, e talvolta
anche famiglie che sono sul medesimo podere da più generazioni: ma questo caso
non è frequente.
La classe dei giornalieri, come abbiamo detto,
non è molto numerosa; i salari in media variano secondo le località da L. 1.25
a L. 1.50; e pei lavori di mèsse da L. 2 a L. 3. Vi è emigrazione soltanto
temporanea e specialmente verso il Catanese, per la raccolta di agrumi, per la
mietitura e per la vendemmia: alcuni vanno anche in Calabria per la raccolta
degli agrumi e la pota degli olivi; pochissimi emigrano per paesi più lontani.
La donna, lavorando a giornata, guadagna in media da L. 0.50 a L. 0.60.
Vi sono, specialmente nella zona orientale,
moltissimi piccoli censuari, di cui alcuni contadini; sono per la maggior parte
censi antichi di terre baronali. Alcuni sono stati affrancati, ma non sono
molti; perchè, come già dicemmo, in generale dopo la nuova legislazione i
proprietari in Sicilia che avevano qualche denaro libero, hanno preferito di
acquistare nuove terre demaniali o ecclesiastiche, anzichè affrancare i terreni
che già possedevano.
Sono qui rari gli affitti delle proprietà,
ammenochè l’affitto sia imposto dalla legge; i proprietari o i loro agenti
trattano direttamente coi contadini. Questi non si può dire che godano di una
condizione prospera; non sono economi nè previdenti, e abbisognano molto spesso
di soccorsi. Al mezzadro o al guardiano li appresta generalmente il padrone;
gli altri debbono cadere sotto gli artigli degli usurai di campagna.
Apparentemente pei soccorsi amministrati al colono dal padrone, non si prende
frutto, ma, come già accennammo altra volta, nel fatto la cosa varia molto
secondo la generosità d’animo dei proprietari; e si può ritenere, senza tèma di
errare, che come regola un frutto vien preso effettivamente colla valutazione
che fa il proprietario, del prezzo del genere che dà come soccorso, quando
questo sia dato in natura, e tanto in questo caso come nell’altro più raro di
soccorso in denaro, colla valutazione ch’egli fa del prodotto che riprende al
raccolto, a saldo del suo credito. E non si può nemmeno dire che, salvo
numerose ed onorevoli eccezioni, i proprietari non siano pur troppo sempre
pronti a gravare quanto più possono sulla classe dei contadini, fenomeno di cui
non è da maravigliarsi come fosse strano o insolito, giacchè lo ritroviamo
costantemente e dappertutto, in Italia e fuori.
|