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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE PRIMA                       CONDIZIONI ATTUALI
      • Capitolo IV.   PROVINCIA DI SIRACUSA
        • § 51. — Enfiteusi temporanee e fitti lunghi.
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§ 51. — Enfiteusi temporanee e fitti lunghi.

Moltissime vigne in tutta la provincia di Siracusa, sono attualmente possedute con una forma di enfiteusi temporanea, ossia con fitti di 29, di 36 o di 40 anni. Fu questa una forma usata dagli Enti ecclesiastici prima del 1862 per eludere la legge che imponeva loro la gara dell’asta nella censuazione dei loro beni; e questi contratti furono dopo il 1867 riconosciuti come vere enfiteusi redimibili, imponendo soltanto agli utilisti un canone nuovo maggiore di un quarto di quello pagato per la locazione. Questa forma di contratto di fitto per 29 anni, è stata pure adottata dopo il censimento dell’asse ecclesiastico, nelle subconcessioni fatte dai primi acquirenti; forse per eludere la legge che vieta le subenfiteusi.

Una forma di siffatte enfiteusi mascherate, la quale si trova frequente specialmente presso Noto, è il fitto a durata di vigna, che dura cioè finchè dura il vigneto, e che nel fatto viene ad essere eterno per la continua sostituzione di nuove piantagioni alle antiche. Altra forma è quella del fitto a novennio, col patto che l’affittuario possa fare tutti i miglioramenti che vuole, e che allo spirare del novennio non possa essere mandato via senza che gli venga rimborsato tutto quanto il valore delle migliorìe; altrimenti il fitto s’intende rinnovato alle stesse condizioni di novennio in novennio. Il valore del vitigno è grande, e supera spesso il valore della terra, onde non conviene al proprietario di riprendere il suo terreno collo sborso di una forte somma di denaro, e il contratto si prolunga indefinitamente.

 

Contratti a migliorìa.

Nella provincia di Siracusa sono pure frequentissimi i contratti a migliorìa, che han per iscopo la piantazione di olivi, vigne, ecc., e di cui abbiamo fatto menzione nel parlare del Catanese, avvertendo però che invece erano rarissimi252. Questi contratti in alcuni luoghi si sogliono fare con persone agiate e di condizione civile, le quali ne fanno un’industria, impiegando poi contadini per la coltivazione: l’uso più generale però è che il contratto a migliorìa sia assunto da un contadino, il quale da pianta gli alberi e lavora il terreno.

L’assuntore del contratto a migliorìa si obbliga di piantare un vigneto, e di mettere tra le vigne un certo numero di olivi, di mandorli e di carrubbi o di alberi da frutta. Le forme però e la durata del contratto variano assai a seconda della intenzione del proprietario del terreno, la quale miri soltanto a costituirvi un albereto di ulivi, mandorli, carrubbi, ecc., oppure voglia anche godere del frutto della vigna. Nel primo caso il contratto dura comunemente dai 10 ai 14 anni, termine oltre il quale la vigna vive raramente quando sia piantata con queste condizioni: restano allora già grandi e produttivi gli alberi piantati in mezzo al vitigno, che hanno vita molto più lunga, e pei quali il proprietario non deve compenso. Il contadino per quei 10, 12 o 14 anni, paga al proprietario un fitto fisso in denaro come canone per il terreno che gli venne consegnato nudo di piantagioni, e gode d’altra parte del frutto della vigna da lui creata.

Nel secondo caso invece il contratto non oltrepassa i nove anni. Prendiamo come illustrazione un esempio comune presso Avola e Noto. Il contadino avrà l’obbligo, per ogni tumolo (are 10.91) di terra che coltiverà a vite, di mettere 4 piante di carrubbio, 8 olivi e 16 mandorli. Egli deve mettere tutte le spese e il lavoro occorrenti. Il proprietario talvolta darà i maglioli delle viti, i quali del resto qui non hanno quasi nessun valore. Pei primi sette anni tutto il prodotto va al contadino: poi per due anni si divide a metà. Alla fine del contratto è convenuto che al contadino debbano essere pagati i miglioramenti eseguiti nel fondo, defalcando le anticipazioni che avesse già ricevute. Ora nel fatto il proprietario ogni anno anticipa al contadino in media circa 13 lire per ogni migliaio di viti piantate, o più o meno secondo le prospettive della piantagione; e queste anticipazioni sono altrettanti acconti sul prezzo che sarà dovuto in ultimo per i miglioramenti, e si misurano dai proprietari in modo che allo spirare del contratto, il dare e l’avere restino perfettamente bilanciati. In media bastano a ciò le 13 lire per migliaio di viti. Queste anticipazioni servono per le spese di piantagione e di coltura, e per il sostentamento del contadino, il quale va pure fuori a giornata per campare.

I contratti a migliorìa si trovano pure frequentemente usati nella regione montana e sassosa, allo scopo di migliorare un campo col toglierne i sassi. In questi casi pure il contratto dura comunemente nove anni: il contadino paga un fitto per il terreno, e si obbliga a toglierne le pietre, ammucchiandole in alcuni punti del campo, o costruendo con esse quei muri a secco che si veggono così numerosi in tutta la Contea di Modica, e che servono anche per contenere il bestiame entro certi confini o per difendere da esso le piante giovani. Alla fine del contratto i miglioramenti vengono pagati in tutto o in parte dal proprietario, dietro stima.

Nel fatto però in tutti questi contratti il contadino si avvantaggia poco o niente, e giunge difficilmente a guadagnar la mercede delle giornate impiegate. Essi però gli sono utili in quanto gli assicurano un qualche lavoro per i giorni in cui manca d’impiego, e gli dànno la possibilità di ottenere soccorsi sotto forma di anticipazioni, nei momenti di bisogno. Del saggio poi a cui dovrà scontare le anticipazioni, il contadino poco si cura: qualunque sia, sarà per lui sempre meglio che il dover ricorrere agli usurai di mestiere; e poi per lui l’essenziale è di poter ricevere il soccorso quando ne abbisogna, e senza perdite di tempo o necessità di offrire garanzia; per il resto s’affida alle raccolte, alla fortuna, alla bontà d’animo spesso problematica del padrone, e più di tutto alla propria miseria, che gli la sicurezza di non poter peggiorare di molto la propria condizione, checchè sia per accadere.

 

 




252 Vedi sopra, § 48.






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