§ 55. — L’usura.
Il tarlo roditore della società siciliana è
l’usura. Il contadino siciliano è sobrio, laborioso e duro alla fatica: il suolo
è fertile quanto altro mai: la media di produzione di grano non è certo
inferiore alle otto semenze, più cioè che in Toscana dove si vanga profondo e
si concima, mentre in Sicilia l’aratro non fa che malamente scalfire la terra
con solchi della profondità di un palmo, e la concimazione è più nominale che
reale: il clima è temperato e assai costante, — e con tutto ciò la condizione
delle classi agricole è misera. I contratti agricoli sono tali che la
concorrenza reciproca dei contadini riduce sempre il loro guadagno annuale
complessivo al minimo necessario alla vita; come accade sempre e dovunque la
legge, l’accordo, o meglio la consuetudine, non abbiano posto barriere alla
libera concorrenza dei lavoranti; ma quel che peggio è, in Sicilia la forma speciale
dei contratti e le condizioni dell’agricoltura in tre quarti dell’Isola, sono
tali da rendere indispensabile al contadino di mutuare denari, ossia di
chiedere soccorsi anche nelle stesse annate buone. Figuriamoci poi nelle
annate cattive, e in quelle che immediatamente seguono a cattivi raccolti! — È
qui che il capitale impone le sue condizioni più dure al lavoro.
Il saggio comune del frutto o addito, che
si prende il padrone per le anticipazioni fatte al proprio contadino, è di 4
tumoli a salma, ossia del 25%. E si noti che questo addito si prende
anche per una anticipazione fatta non più di due o tre mesi prima del raccolto,
sicchè in questo caso il saggio annuo dell’interesse diventa quattro a cinque
volte maggiore, e veramente enorme. I soccorsi poi non vengono dati dal padrone
al metatiere che all’epoca in cui questi lavora sul campo affidatogli, onde in
tutto il resto dell’anno, ove abbia bisogno di mutui, non li può generalmente
contrarre senonchè da estranei e a saggi ancora più rovinosi. La ragione per la
quale ai proprietari o gabellotti convien sempre di fare essi stessi le
anticipazioni ai metatieri durante i lavori sulle loro proprietà, è quella
d’impedire che altri possa, prestando soccorsi al contadino, acquistare
privilegio per il rimborso sul raccolto. È per questa ragione che in diversi
luoghi, e specialmente nel Siracusano, i gabellotti e proprietari mettono
spesso come condizione espressa nei patti di metaterìa o di terratico, che il
contadino non debba indirizzarsi ad altri che a loro per ottenere soccorsi.
Ordinariamente si cerca di giustificare
l’esorbitanza del saggio a cui vengono in Sicilia prestati i soccorsi ai
contadini dallo stesso loro padrone, colla seguente argomentazione: — Una buona
parte di quei quattro tumoli che si esigono sopra ogni salma prestata, non
rappresenta un vero frutto, ma invece un rimborso dello stesso capitale; ed
invero il prezzo corrente del grano al momento in cui venne dato il soccorso,
ordinariamente nell’inverno, è sempre maggiore del suo prezzo al momento della
restituzione, cioè subito dopo la raccolta. Onde il mutuante per riavere,
all’infuori di ogni frutto, lo stesso capitale ch’egli consegnò al mutuatario,
deve necessariamente riprendersi quella maggiore quantità di grano che
rappresenti al momento della raccolta, un valore in denaro eguale al prezzo che
aveva all’epoca del mutuo quell’altra quantità minore che fu consegnata al
contadino.
Il ragionamento è giusto, e nella teoria non fa
una grinza. Si potrebbe pure a sostegno citare come nel fatto in alcuni luoghi,
per esempio presso Caltanissetta, si usi ordinariamente dai padroni prendersi
l’addito di soli 2 tumoli a salma, e di più soltanto quella quantità che
conguagli i due prezzi — del momento della consegna, e di quello della
restituzione. Per esempio: se all’epoca in cui fu dato il soccorso una salma di
grano costava 65 lire, e al momento del raccolto non più di 60; il padrone si
riprenderebbe in grano una salma, più 1/12 di salma a titolo di rimborso di
capitale; e più 2 tumoli, ossia 1/8 di salma, a titolo di frutti.
In risposta però si può osservare: — che un forte
sconto che faccia il padrone al contadino per le anticipazioni sulla sua quota
di raccolto, è tanto meno giustificabile, in quanto manca quasi affatto per il
mutuante in questo genere di operazioni ogni elemento di rischio, che è il solo
che possa talvolta giustificare moralmente l’usura. Che di più vi è già come
cosa di fatto, e all’infuori di ogni saggio d’interessi convenuto, un guadagno
per i padroni nella differenza di qualità tra il genere che prestano, il quale
è sempre d’infima qualità, e quello che si ripigliano al momento del raccolto.
Che anche il frutto di 2 tumoli, a salma, ossia del 12 1/2% per pochi
mesi, (in media meno di sei mesi), è per sè più che discreto. Che nella realtà
la differenza tra i prezzi del grano nelle diverse stagioni è spesso minore del
12 1/2%, ossia di 2 tumoli di grano per salma, che rappresenterebbero,
secondo l’esemplificazione che sopra, la semplice aggiunta a titolo di rimborso
di capitale. E finalmente, ad illustrazione dell’esempio citato, si potrebbe
contrapporgli il fatto abbastanza sintomatico che essendo i prezzi del grano
nell’inverno scorso e nella primavera di quest’anno (1876) rimasti piuttosto
bassi, vari gabellotti e proprietari dei pressi di Caltanissetta, temendo di
riscuotere troppo poco grano all’epoca della futura raccolta col semplice
conguaglio dei prezzi, più i 2 tumoli di addito, s’appigliarono al
partito di valutare il grano che consegnavano ai contadini a un prezzo fittizio,
e molto superiore a quello vero del mercato; onde nella realtà imponevano un
frutto molto maggiore a quello già non lieve dei 2 tumoli a salma per pochi
mesi, pur mantenendo però sempre le apparenze.
E questo invero è l’espediente generale con cui
l’usura in Sicilia come altrove, maschera una parte delle sue enormità, col
valutare cioè a un prezzo fittizio e superiore al vero, quanto viene consegnato
al mutuatario.
Il giornaliere si trova naturalmente, quando
abbia bisogno di soccorsi, in condizioni ancora più dure di quelle del
metatiere, poichè non avendo padrone a cui indirizzarsi, e a cui importi di
lui, egli deve, salvo i casi di relazioni personali o di clientela con qualche
proprietario o gabellotto, ricorrere in ogni circostanza agli usurai di mestiere.
L’usura rende impossibile al contadino siciliano
ogni risparmio, ogni miglioramento della sua sorte; e peggio ancora, col
tenerlo in uno stato continuo di asservimento legale e di depressione morale,
gli toglie ogni libertà, ogni sentimento della propria dignità. Il contadino
siciliano è quasi costantemente indebitato, o verso il padrone o verso
estranei: il compenso alle sue fatiche gli viene dato sotto forma di soccorsi,
che egli deve impetrare umilmente e facendo rinunzia completa a tutto quanto la
fortuna o il maggior lavoro potrebbero arrecargli di vantaggio al tempo dei
raccolti. D’altra parte basta a chiunque di aver raccolto per fas aut nefas,
un gruzzolo di qualche centinaio di lire, per non lavorare più affatto, e per
vivere nell’ozio e nel vizio esercitando l’usura la più sfrenata sulla classe
campagnuola: costui da membro utile della società, diventa issofatto un
parassita dannoso del corpo sociale.
Con ciò non intendiamo dire che tutti in Sicilia
che abbiano qualche denaro vivano oziando di usura. Sarebbe asserzione falsa e
ridicola; e basta a dimostrare il contrario l’esistenza della classe energica
ed attiva dei gabellotti; — ma pur troppo la magagna è tanto generale da
viziare gravemente la salute della società siciliana.
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