§ 57. — Diritti promiscui.
Le nostre libere istituzioni sono ordinate in
modo da ribadire questo stato di cose, e le elezioni, la stampa, ecc. ecc. non
sono attualmente che altrettante armi che abbiamo consegnate nelle mani di una
classe, perchè possa seguitare a vivere e godere a spese delle altre.
Lo scioglimento dei diritti promiscui tra Comuni
e baroni, e la soppressione graduale dei diritti di pascolo, di legna, ecc.,
posseduti in moltissimi Comuni e specialmente di montagna, da tutti i
comunisti, sono state e seguitano ad essere gravi cause di depauperamento per
la classe dei contadini. Per il contadino proprietario, il piccolo censuario, e
anche il semplice lavorante, quei diritti erano una vera e propria ricchezza,
ed una fonte di benessere tanto più preziosa in quanto non poteva disseccarsi
per effetto delle crisi passeggiere, perchè quei diritti erano inerenti alla
qualità di comunista ed inalienabili. Non è di alcun compenso per quella povera
gente che i beni del Comune si possano meglio affittare e siano cresciuti di
valore; giacchè nella realtà questi beni o vengono venduti, e il valore
divorato dalla mala amministrazione della classe che ha in mano tutte le cose
comunali, oppure vengono affittati, e il provento speso, più o meno
onestamente, a pro della classe agiata.
Quotizzazione dei beni
comunali.
E nemmeno le quotizzazioni di quelle proprietà
comunali possono migliorare la condizione delle classi inferiori, giacchè ai
più mancano i mezzi per coltivare la loro quota, e quindi dopo poco tempo e
malgrado ogni disposizione contraria, quelle proprietà tornano a concentrarsi
nelle mani di chi ha capitali; onde l’unico risultato ottenuto è quello di aver
impoverito il Comune e di aver arricchito i ricchi coll’impoverire i poveri,
poichè a mutare la condizione di questi non possono giovare affatto quelle
poche lire di regalo che ricevono in compenso dei loro diritti inalienabili. È,
sotto forma diversa, un fenomeno analogo a quello che accadde in Inghilterra su
vasta scala nel secolo scorso.
Considerazioni generali.
A chi ben consideri tutto quanto siamo venuti
dicendo, può forse destare maraviglia che i contadini, ignoranti, poveri e
oppressi, siano ciecamente attaccati alle superstizioni che si ornano del nome
di religione, e siano strumento cieco nelle mani del clero? — Al contadino
siciliano la società non si presenta che sotto la veste del padrone rapace,
oppure dell’esattore, dell’ufficiale di leva e del carabiniere. Il prete è la
sola persona che si occupa di lui con parole di affetto e di carità; che
almeno, se non lo aiuta, lo compiange quando soffre; che lo tratta come un
uomo, e gli parla di una giustizia avvenire per compensarlo delle ingiustizie
presenti. Nel culto religioso sta tutta la parte ideale della vita del
contadino: all’infuori di quello, non conosce che fatica, sudori, e miseria:
alla festa religiosa egli deve il riposo di cui gode.
La società moderna ha un bell’inveire contro
l’ignoranza, contro i vizi, contro l’antipatriottismo e l’oscurantismo del
clero. Se essa non saprà sostituirvi altro che le fredde teorie dell’Economia
politica; se da una parte essa coi suoi ordinamenti crea delle oppressioni e
delle sofferenze, e dall’altra non sa che raccomandare a chi ha fame ed a chi
patisce, di studiare le opere degli economisti per impararvi che tutto quel che
è doveva essere, la Chiesa dominerà sempre sulle masse; e la fede cieca,
stupida e superstiziosa prevarrà sulla fede scientifica, mettendo sempre in
forse ogni progresso della civiltà umana.
Medici condotti.
La società civile non ha saputo in Italia sostituire
altro al prete che il medico condotto. Non dirò se questo possa parzialmente
bastare; ma osserverò soltanto che in Sicilia la maggiore parte dei Comuni non
hanno nemmeno medico condotto, e che il lavorante povero che ammali, è lasciato
morire come un cane.
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