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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE PRIMA                       CONDIZIONI ATTUALI
      • Capitolo V.   CONDIZIONI GENERALI DEI CONTADINI
        • § 59. — Vitto.
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§ 59. — Vitto.

Un lato buono però vi è nella condizione del contadino siciliano, e specialmente se lo paragoniamo coll’ilota dei contadini italiani, col paisano della pianura bassa del Po. Il villano in Sicilia mangia pane di farina di grano, e salvo i casi di miseria, si nutre a sufficienza, mentre il contadino lombardo mangia quasi esclusivamente granturco, e soffre di fame fisiologica, anche quando abbia il corpo pieno. In Sicilia difatti non esiste quella terribile malattia che miete tante vittime nelle ricche contrade lombarde, la pellagra. È alla qualità del nutrimento che attribuiamo come prima ragione la vigoria fisica che si riscontra in generale nelle classi rurali della Sicilia, malgrado tutti i loro patimenti e la miseranda condizione sociale.

È sconfortante però il pensare che questo unico vantaggio il contadino siciliano lo deve in buona parte alla mancanza di strade e alla difficoltà di comunicazioni tra luogo e luogo nell’interno dell’Isola, condizioni che finora hanno reso tanto più difficile la esportazione dei prodotti, ed hanno quindi mantenuto basso il prezzo dei generi di produzione locale. A ciò si unisce il fatto che il granturco e la segale si coltivano pochissimo in Sicilia, e che la coltura del grano occupa presentemente i tre quarti dell’intiera superficie dell’Isola. Ma che sarà nell’avvenire, quando sarà costruita tutta la rete stradale, a cui da dieci anni si lavora con una certa alacrità, e quando i prodotti fini e di alto prezzo, come il grano, verranno facilmente esportati, ed aumenteranno quindi di valore? — Se la concorrenza dei contadini continuerà a tener bassi i loro guadagni al minimo necessario per la vita, e ciò non è soltanto probabile ma certo, il loro vitto peggiorerà necessariamente di qualità, poichè si esporterà il grano per importare granturco, segale, riso e farine di qualità inferiore.

ci si dica, colle solite frasi ufficiali, che l’aumento di ricchezza migliorerà le condizioni generali del contadino, coll’aumento della concorrenza dei capitali. Il fatto dimostra altrove il contrario. L’aumento della ricchezza anderà tutto sotto forma di rendita fondiaria nelle tasche dei proprietari, i quali consumeranno le maggiori dovizie non in miglioramenti nelle campagne, che possano aumentare il bisogno di braccia, ma gozzovigliando e sciupando in città nuove importazioni di lusso dall’estero. E se qualche miglioramento si farà in campagna si guarderà bene che non sia tale da aumentare la parte del guadagno del lavorante, ma piuttosto da diminuire il bisogno di braccia; e in tutti i casi la concorrenza e l’imprevidenza dei contadini faranno il resto.

 

Lavoro delle donne.

Oltre la qualità del vitto evvi un’altra cagione importante della salute fisica del lavorante in Sicilia, malgrado la malaria e la povertà, ed è il quasi nessun lavoro delle donne in campagna e specialmente in tutta la prima zona da noi studiata. È forse questa quasi la sola buona conseguenza dell’accentramento della popolazione rurale nelle città, unito alla bassa condizione dell’agricoltura in tre quarti dell’Isola.

La donna siciliana è raramente sottoposta a quelle dure fatiche dei campi che soverchiano le sue forze, e che in molte altre parti d’Italia le rovinano così presto la salute, con grave iattura di quella delle generazioni avvenire. Certamente si potrebbe far contribuire molto più di quello che non faccia ora la donna siciliana alla produzione generale, e all’agiatezza delle famiglie; ed una maggiore istruzione ed un lavoro commisurato alle sue forze non potrebbero che elevarne la condizione morale e sociale, con vantaggio di tutti; ma se si dovesse scegliere tra i due eccessi, di ozio della donna come in Sicilia, o di soverchio lavoro come nella Lombardia bassa e montana, sarebbe certamente da preferirsi il primo, per il bene della società intiera.

 

Istruzione.

Poco c’è da osservare sullo stato dell’istruzione nella classe rurale. Tutto si riassume nel dire, che essa manca affatto. Se la statistica ci sulla popolazione complessiva della Sicilia l’87% di analfabeti (1871), certamente nella classe dei contadini la proporzione si avvicinerebbe molto al 100%. Le classi agiate non si preoccupano dello stato d’assoluta ignoranza in cui si trovano i contadini, e questo nonostante le facilità speciali per l’istruzione della infanzia e delle donne della classe rurale, che presenta la Sicilia in comune col Napoletano, per l’accentramento di tutta la sua popolazione nelle città e nei borghi. È forse questa trascuranza delle classi agiate solo effetto di spensieratezza e d’indifferenza, oppure non dipende piuttosto dalla istintiva coscienza che l’istruzione data al villano nelle condizioni attuali non farebbe che l’ufficio di lievito al malcontento, e potrebbe diventare uno stimolo allo spirito di ribellione, ed un fomite di futuri sconvolgimenti?

 

Considerazioni generali.

Qui ci par di vedere il lettore che freme inorridito, e protesta altamente contro apprezzamenti così antiliberali e regressivi. — Vorreste dunque, ci si griderà, che non si facessero le strade! vorreste inceppare il commercio! vorreste che non si diffonda l’istruzione nelle campagne! vorreste opporvi ai miglioramento dell’agricoltura! Profeti di sventure, vorreste forse arrestare il corso fatale della civiltà e del progresso! —

Lontana da noi ogni simile stoltezza. Noi desideriamo e vagheggiamo quanto altri mai, e le strade e il libero commercio, e l’istruzione universale, e i progressi dell’agricoltura. Vorremmo che tutto ciò si facesse e si facesse presto; — ma sosteniamo che tutto ciò non basta: che talvolta un progresso troppo parziale è cagione di dolori per una parte dell’umanità, e sorgente di gravi pericoli per l’avvenire: che noi da un lato vediamo peggiorare le condizioni di una classe importantissima della nostra popolazione, e dall’altro le forniamo i mezzi di aver più viva la coscienza della sua miseria e della sua abiezione, senza poi far nulla perchè da questa coscienza possa risultare un miglioramento della sua sorte, invece che lo scontento, la ribellione, e sventure per tutti. In altre parole, se sdegneremo di occuparci del benessere dei contadini in Italia, e sapremo soltanto, con la fantasmagoria di una libertà dottrinaria, impor loro sagrifizi a nome dello Stato, stringer loro i patti a nome dell’individuo, e per compenso insegnar loro unicamente a leggere e a scrivere, perchè essi sappiano bene che sono infelici e che la loro infelicità è effetto della libertà e del progresso, noi avremo seminato vento e raccoglieremo tempesta.

Ma l’esame di tali questioni rientra nella seconda e nella terza parte di questo lavoro.


 

 

 

 




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