§ 59. — Vitto.
Un lato buono però vi è nella condizione del
contadino siciliano, e specialmente se lo paragoniamo coll’ilota dei contadini
italiani, col paisano della pianura bassa del Po. Il villano in Sicilia
mangia pane di farina di grano, e salvo i casi di miseria, si nutre a
sufficienza, mentre il contadino lombardo mangia quasi esclusivamente
granturco, e soffre di fame fisiologica, anche quando abbia il corpo pieno. In
Sicilia difatti non esiste quella terribile malattia che miete tante vittime
nelle ricche contrade lombarde, la pellagra. È alla qualità del nutrimento che
attribuiamo come prima ragione la vigoria fisica che si riscontra in generale
nelle classi rurali della Sicilia, malgrado tutti i loro patimenti e la
miseranda condizione sociale.
È sconfortante però il pensare che questo unico
vantaggio il contadino siciliano lo deve in buona parte alla mancanza di strade
e alla difficoltà di comunicazioni tra luogo e luogo nell’interno dell’Isola,
condizioni che finora hanno reso tanto più difficile la esportazione dei
prodotti, ed hanno quindi mantenuto basso il prezzo dei generi di produzione
locale. A ciò si unisce il fatto che il granturco e la segale si coltivano
pochissimo in Sicilia, e che la coltura del grano occupa presentemente i tre
quarti dell’intiera superficie dell’Isola. Ma che sarà nell’avvenire, quando
sarà costruita tutta la rete stradale, a cui da dieci anni si lavora con una
certa alacrità, e quando i prodotti fini e di alto prezzo, come il grano,
verranno facilmente esportati, ed aumenteranno quindi di valore? — Se la
concorrenza dei contadini continuerà a tener bassi i loro guadagni al minimo
necessario per la vita, e ciò non è soltanto probabile ma certo, il loro vitto
peggiorerà necessariamente di qualità, poichè si esporterà il grano per
importare granturco, segale, riso e farine di qualità inferiore.
Nè ci si dica, colle solite frasi ufficiali, che
l’aumento di ricchezza migliorerà le condizioni generali del contadino,
coll’aumento della concorrenza dei capitali. Il fatto dimostra altrove il
contrario. L’aumento della ricchezza anderà tutto sotto forma di rendita
fondiaria nelle tasche dei proprietari, i quali consumeranno le maggiori
dovizie non in miglioramenti nelle campagne, che possano aumentare il bisogno
di braccia, ma gozzovigliando e sciupando in città nuove importazioni di lusso
dall’estero. E se qualche miglioramento si farà in campagna si guarderà bene
che non sia tale da aumentare la parte del guadagno del lavorante, ma piuttosto
da diminuire il bisogno di braccia; e in tutti i casi la concorrenza e
l’imprevidenza dei contadini faranno il resto.
Lavoro delle donne.
Oltre la qualità del vitto evvi un’altra cagione
importante della salute fisica del lavorante in Sicilia, malgrado la malaria e
la povertà, ed è il quasi nessun lavoro delle donne in campagna e specialmente
in tutta la prima zona da noi studiata. È forse questa quasi la sola buona
conseguenza dell’accentramento della popolazione rurale nelle città, unito alla
bassa condizione dell’agricoltura in tre quarti dell’Isola.
La donna siciliana è raramente sottoposta a
quelle dure fatiche dei campi che soverchiano le sue forze, e che in molte
altre parti d’Italia le rovinano così presto la salute, con grave iattura di
quella delle generazioni avvenire. Certamente si potrebbe far contribuire molto
più di quello che non faccia ora la donna siciliana alla produzione generale, e
all’agiatezza delle famiglie; ed una maggiore istruzione ed un lavoro
commisurato alle sue forze non potrebbero che elevarne la condizione morale e
sociale, con vantaggio di tutti; ma se si dovesse scegliere tra i due eccessi,
di ozio della donna come in Sicilia, o di soverchio lavoro come nella Lombardia
bassa e montana, sarebbe certamente da preferirsi il primo, per il bene della
società intiera.
Istruzione.
Poco c’è da osservare sullo stato dell’istruzione
nella classe rurale. Tutto si riassume nel dire, che essa manca affatto. Se la
statistica ci dà sulla popolazione complessiva della Sicilia l’87% di
analfabeti (1871), certamente nella classe dei contadini la proporzione si
avvicinerebbe molto al 100%. Le classi agiate non si preoccupano dello stato
d’assoluta ignoranza in cui si trovano i contadini, e questo nonostante le
facilità speciali per l’istruzione della infanzia e delle donne della classe
rurale, che presenta la Sicilia in comune col Napoletano, per l’accentramento
di tutta la sua popolazione nelle città e nei borghi. È forse questa
trascuranza delle classi agiate solo effetto di spensieratezza e
d’indifferenza, oppure non dipende piuttosto dalla istintiva coscienza che
l’istruzione data al villano nelle condizioni attuali non farebbe che l’ufficio
di lievito al malcontento, e potrebbe diventare uno stimolo allo spirito di
ribellione, ed un fomite di futuri sconvolgimenti?
Considerazioni generali.
Qui ci par di vedere il lettore che freme
inorridito, e protesta altamente contro apprezzamenti così antiliberali e
regressivi. — Vorreste dunque, ci si griderà, che non si facessero le strade!
vorreste inceppare il commercio! vorreste che non si diffonda l’istruzione
nelle campagne! vorreste opporvi ai miglioramento dell’agricoltura! Profeti di
sventure, vorreste forse arrestare il corso fatale della civiltà e del
progresso! —
Lontana da noi ogni simile stoltezza. Noi
desideriamo e vagheggiamo quanto altri mai, e le strade e il libero commercio,
e l’istruzione universale, e i progressi dell’agricoltura. Vorremmo che tutto
ciò si facesse e si facesse presto; — ma sosteniamo che tutto ciò non basta:
che talvolta un progresso troppo parziale è cagione di dolori per una parte
dell’umanità, e sorgente di gravi pericoli per l’avvenire: che noi da un lato
vediamo peggiorare le condizioni di una classe importantissima della nostra
popolazione, e dall’altro le forniamo i mezzi di aver più viva la coscienza
della sua miseria e della sua abiezione, senza poi far nulla perchè da questa coscienza
possa risultare un miglioramento della sua sorte, invece che lo scontento, la
ribellione, e sventure per tutti. In altre parole, se sdegneremo di occuparci
del benessere dei contadini in Italia, e sapremo soltanto, con la fantasmagoria
di una libertà dottrinaria, impor loro sagrifizi a nome dello Stato, stringer
loro i patti a nome dell’individuo, e per compenso insegnar loro unicamente a
leggere e a scrivere, perchè essi sappiano bene che sono infelici e che la loro
infelicità è effetto della libertà e del progresso, noi avremo seminato vento e
raccoglieremo tempesta.
Ma l’esame di tali questioni rientra nella
seconda e nella terza parte di questo lavoro.
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