§ 66. — Condizioni
all’impero della consuetudine.
Ma quali sono le condizioni a cui si possa
ottenere l’impero di una consuetudine come quella di cui parliamo, la quale
opponendosi all’azione della concorrenza, renda possibile al mezzadro di godere
progressivamente di una parte della rendita fondiaria, e faccia così della
mezzadrìa un vero stadio di transizione dall’attuale latifondo alla piccola
proprietà coi contadini proprietari? — Queste condizioni sono varie e
complesse, e dipendono da molte circostanze di fatto. Ne enumereremo alcune
delle principali:
Deve abbracciare tutta
l’azienda rurale.
1° Che la partecipazione abbracci tutte quante le
colture esistenti sopra il podere, e che queste colture siano abbastanza varie per
offrire a esse sole lavoro e guadagno sufficiente al mezzadro nelle diverse
stagioni dell’anno. La ragione è che ogni volta che all’infuori delle colture
date in partecipazione, vi siano annesse al podere altre colture date a fitto,
oppure lavori di una qualche importanza che il mezzadro debba eseguire a
giornata, la concorrenza torna a farsi valere a danno della consuetudine, e
coll’aumentare del fitto o colla riduzione dei salari pattuiti per quelle
colture non comprese nella partecipazione, viene effettivamente a scemare la
parte del lavorante anche nelle colture che vi sono comprese. Questo fenomeno
non è ipotetico, ma accade realmente dovunque vi è un contratto misto di fitto
e di mezzadrìa, come, per esempio, nell’alto Milanese, dove la produzione del
suolo è affittata contro tante moggia di grano, mentre quella del soprassuolo è
data al contadino in partecipazione. E lo stesso si riscontra pure dovunque il
contratto di partecipazione va unito al patto che il contadino debba dare senza
limite le sue giornate al padrone a un prezzo ridotto, e che nel fatto un gran
numero di lavori agricoli si facciano così eseguire per conto padronale; come
avviene, a mo’ d’esempio, in alcuni luoghi dell’alto Milanese, e più ancora nei
contratti coi paisani in tutta la bassa pianura del Po.
Nell’alto Milanese difatti troviamo che
coll’aumento del fitto in grano per il suolo, e coll’impiego di un gran numero
di giornate del contadino a un prezzo infimo, i proprietari poterono ridurre
effettivamente il guadagno del contadino per la sua metà dei bozzoli, quando
questi aumentarono di prezzo, anche là dove non ardirono toccare alla quota di
divisione. Là dunque la consuetudine mantenne il suo impero nella formale
divisione del prodotto dei bozzoli, ma la partecipazione non essendo
complessiva e non abbracciando tutta quanta l’azienda agricola, vi fu nella
realtà un mutamento nei patti, e tale da riescire più grave ancora per il
contadino che se si fosse mutata soltanto la quota di divisione; giacchè
l’aumento delle prestazioni imposte al contadino è rimasto poi fisso, anche in
quegli anni in cui i bozzoli sono tornati a rinviliare, o in cui ne è fallita
la produzione.
Un fenomeno analogo si verifica nella bassa
Lombardia, dove la partecipazione del paisano nella coltivazione del
riso e del granturco, non rappresenta più la semplice retribuzione pel suo
lavoro in quelle colture, ma deve inoltre compensarlo per l’insufficientissimo
salario che gli vien pagato per le sue giornate in tutto l’anno — comunemente
nell’estate di L. 0.66, e d’inverno L. 0.50, ma spesso pure d’estate di L. 0.50
e d’inverno L. 0.40 o anche L. 0.33: — donde risulta uno stato di cose in cui
si vede il contadino che lavora tutto l’anno per conto del padrone per un
salario insufficientissimo a mantenerlo in vita, e il quale riceve per colmare
questa insufficienza una magra partecipazione in altre colture, ch’egli deve
necessariamente condurre col lavoro delle sue donne.
Senza continuare più oltre questa
esemplificazione, ci pare di aver detto abbastanza per convincere il lettore
della necessità di una varietà di colture nell’azienda rurale condotta a
colonìa parziaria, e della ulteriore necessità che la partecipazione si
applichi a tutte quante queste colture, e fornisca per sè stessa il guadagno
principale del contadino, e tale che basti alla sua sussistenza; senza che
patti accessori di giornate a salario ridotto, o di un’infinità di altre
piccole prestazioni, possano indirettamente e copertamente aprire il varco ai
proprietari per profittare della concorrenza, all’effetto di operare una vera e
propria riduzione della quota che spetta al contadino nella produzione
complessiva. Sinchè questi patti accessori rimangono veramente tali, e di una
entità minima nell’azienda complessiva, essi non presentano pericoli, e possono
giustificarsi come quelli che mirano ad eguagliare in parte le condizioni così
varie di fertilità e di produzione tra i diversi poderi; ma appena si veda in
un luogo, che essi cominciano a crescere, e che tendono a prendere una vera
importanza nel numero degl’introiti padronali, si può presagire che là la
mezzadrìa non sarà più efficace a salvare il contadino dalla condizione misera
e abbietta in cui giace la gran massa della popolazione rurale d’Italia.
Semplicità ed uniformità
dei patti.
2° Dalle stesse considerazioni ora fatte, risulta
pure la necessità di un’altra condizione nel contratto di mezzadrìa, perchè la
consuetudine vi possa mantenere il suo impero; ed è quella della semplicità, e
della uniformità dei patti di partecipazione. Non importa forse tanto per il
benessere del lavorante che la sua parte sia di una metà oppure di un terzo del
prodotto, quanto che quella quota qualsiasi di divisione sia generale e
uniforme per tutte le colture che si trovano nel podere. È così soltanto che si
escludono le rinnovate contrattazioni particolari tra contadino e proprietario,
nelle quali riprende inevitabilmente il suo impero quello stiracchiare del
mercato, che è, come c’insegna Adamo Smith, arbitro dei prezzi dove la
concorrenza è libera.
Dove invece il patto di partecipazione è semplice
ed uniforme per tutte le colture, nasce spontanea la consuetudine, la quale
prende poi forza di legge per opera dell’opinione pubblica. La varietà inoltre
delle colture fa sì che le sperequazioni, che per fatto delle quote uniformi di
divisione possono avvenire nella repartizione del prodotto di una delle
coltivazioni tra terra, capitale e lavoro, vengono a essere compensate dalle
condizioni opposte di un’altra.
Permanenza sul podere.
3° Evvi una terza condizione indispensabile a che
la concorrenza non eserciti la sua pressione continua sui patti della
mezzadrìa; ed è quella di un’agricoltura che consenta al contadino di lavorare
un anno dopo l’altro sugli stessi campi, e di vivere del prodotto di questi. Ove
ciò non avvenga, ove al termine di ogni anno, o di ogni due o tre anni, il
contadino debba trasferirsi con armi e bagagli, per le necessità
dell’avvicendamento agricolo generale di un latifondo, da un appezzamento di
terra ad un altro, sia pure restando nella stessa tenuta e sottoposto allo
stesso proprietario, è inevitabile che il contratto a ogni scadenza si rinnuovi
con condizioni diverse; che ogni volta vi siano nuove contrattazioni tra
proprietario e contadino, le quali vengono a risentire necessariamente l’azione
delle condizioni generali del mercato. Onde nel fatto ogni consuetudine
generale viene esclusa, e il proprietario potrà prevalersi e si prevarrà delle
necessità momentanee del colono per stringergli i patti, e togliergli per lo
meno ogni partecipazione nella rendita fondiaria. Il che avverrà tanto più
naturalmente, in quanto è intima opinione dell’universale che la rendita
fondiaria debba tutta spettare per diritto divino al solo proprietario del
suolo; senza che alcuno tenga conto del fatto che la proprietà privata
territoriale nella sua forma quiritaria, è una creazione della legge, intesa
soltanto a promuovere ed a sviluppare, nell’interesse universale, l’industria
agricola, la quale non ha economicamente alcun rapporto necessario colla rendita
fondiaria.
|