Capitolo II.
IL
FITTO
§ 73. — Fitto dei
latifondi.
Distinguiamo prima di tutto il fitto grande, che
il proprietario di una estesa tenuta contrae con uno speculatore o un
industriale, per la conduzione dell’intiera proprietà, dal fitto più ristretto
che abbraccia pochi ettari di terra, e in cui l’affittuario è un vero e proprio
contadino, il quale coltiva da sè il suo podere.
Nella prima categoria intendiamo sovrattutto
parlare delle grandi gabelle degli ex-feudi. Abbiamo veduto come spesso in
Sicilia tra il proprietario e il contadino vi hanno parecchi intermediari,
poichè il grosso gabellotto subaffitta la tenuta a un altro speculante, e
questi alle volte subaffitta perfino di nuovo a un terzo, il quale soltanto è
il vero impresario dell’industria agricola, e tratta direttamente coi
contadini. Un caso così estremo è forse raro, ma quello di una prima subgabella
non lo è tanto. I danni che provengono al contadino, al proprietario e
all’agricoltura dall’esistenza di questa pluralità di inutili intermediari sono
di per sè evidenti, e quindi ci basta avvertire il fatto senza fermarci a
discuterlo.
Non tutti però hanno egualmente presenti i danni che
risultano dalla esistenza anche di un solo intermediario tra il proprietario
del suolo e il contadino, e specialmente là, come in Sicilia, dove lo stesso
contadino, sia come subaffittuario, sia come metatiere, o sotto altra forma, è
un vero e proprio impresario dell’industria agricola, sopportandone i rischi e
anticipandone una buona parte delle spese. L’affittuario è un semplice
industriale che tira ad ottenere il maggior profitto possibile dall’impiego del
suo capitale, e a cui nulla importa nè della durevole feracità del terreno, nè
della prosperità dei coltivatori di esso.
Finchè i proprietari affitteranno le loro tenute,
non potranno mai ispirarsi al concetto che la proprietà territoriale è non
soltanto un diritto, ma ancora un ufficio, e implica non pochi doveri verso la
società in genere, e verso chi col suo lavoro fa fruttare la terra. Dove invece
il proprietario si trova in relazioni dirette col contadino, e che si tratti
dell’uso generale della contrada e non di singole eccezioni, sarà raro, perchè
contrario agl’istinti di socievolezza insiti nel cuore umano, che quelle
relazioni non s’ispirino in parte ai sentimenti di solidarietà e di carità
reciproca. Se la grande proprietà privata può in propria difesa esibire alcuni
vantaggi generali che le sono propri, tanto di fronte alla proprietà piccola,
come a quella demaniale, vantaggi che non stiamo qui a enumerare giacchè tutti
i trattati di Economia politica ne parlano, ciò è quasi soltanto a condizione
che il proprietario si occupi da sè delle sue terre, e che non vi sia un
industriale intermediario tra lui e il contadino. Se intermediario vi dovesse
necessariamente essere, la proprietà di tutto il territorio in mano dello Stato
sarebbe di gran lunga preferibile a qualunque forma di proprietà privata,
all’infuori di quella sola del contadino-proprietario; la quale eccezione non
farebbe che confermare la regola, poichè dove il coltivatore è il proprietario
non vi è intermediario possibile.
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