§ 76. — Piccolo fitto in
denaro.
Il fitto in denaro di piccoli appezzamenti di
terra, fatto ai contadini direttamente dal proprietario o più spesso dal
gabellotto di una tenuta, è sistema che, come già dicemmo, va da qualche anno generalizzandosi
in alcune parti dell’Isola, e da parecchi Siciliani vien raccomandato come un
mezzo efficace per migliorare la condizione del contadino, e insieme quella dei
proprietari, coll’aumento della produzione agricola.
Le ragioni che si adducono a favore di questo
sistema sono le seguenti: Maggiore libertà pel contadino nel regolare le
colture secondo le minute diversità di suolo, di esposizione, ecc.; di qui
rialzamento della sua condizione morale e intellettuale; accrescimento della
produzione per lo stimolo del guadagno offerto al coltivatore; e conseguente
aumento della rendita pel proprietario; e tutto ciò in maggior grado quando si
riesca ad eliminare ogni intermediario tra il proprietario e il piccolo
affittuario.
Noi siamo pronti ad ammettere che questi vantaggi
si potrebbero in parte ottenere nei primi tempi in cui si sostituisca il
sistema dei piccoli fitti alle grosse gabelle; ma non possiamo nascondere
d’altra parte come quel sistema ci sembri gravido di pericoli per l’avvenire, e
tale, quando venisse generalmente adottato, da condurre inevitabilmente a una
questione agraria non meno minacciosa di quella che sorse negli ultimi anni in
Irlanda.
Prima di tutto nulla c’induce a credere che la
introduzione del piccolo fitto in denaro ai contadini debba elidere gli
affittuari maggiori, che si fanno garanti di fronte al proprietario di ogni
rischio d’insolventezza dei piccoli affittuari, liberandolo per di più dalle
noie e dalle complicazioni di un’amministrazione minuta ed uggiosa. Ma che ciò avvenga
o no, rimangono egualmente tutti i gravi difetti che presenta sempre il piccolo
fitto, e di cui abbiamo or ora rilevato una buona parte parlando dei terratici.
Il fitto in denaro ha poi il maggiore inconveniente che il contadino vi è
obbligato a vendere i suoi generi per ottenere i contanti, e la concorrenza sul
mercato in quello stesso momento di tutti i suoi compagni fa abbassare
grandemente i prezzi, con grave danno dell’intiera classe. Nelle annate cattive
non è che col contrarre debiti che il contadino affittuario può soddisfare al
suo obbligo: onde essendo a suo carico tutto intiero il capitale d’industria,
egli non potrebbe nè seminare nè concimare a dovere il suo podere per l’anno
successivo, e posto una volta sulla china del debito, e caduto in mano agli
usurai di campagna non si rileva mai più.
L’esempio dell’Irlanda ci sia d’ammaestramento.
Col piccolo fitto l’azione della sfrenata concorrenza reciproca dei contadini
ridurrà sempre fatalmente al più basso grado di miseria la classe agricola, con
rovina delle proprietà e con pericolo grave per la società intiera. Il misero
affittuario non può difendersi contro la concorrenza dei suoi simili, e contro
la prepotenza e l’avidità dei proprietari e degli affittuari, in altro modo che
colla violenza: e dobbiamo avvertire che in Sicilia le tradizioni locali e le
condizioni politiche e naturali portano già troppo facilmente su questa via!
Badiamo di non inasprire tanto la lotta per l’esistenza da far sì che più non
si combatta che a minacce e a schioppettate. L’Irlanda non si è salvata dalla
guerra sociale la più selvaggia che coll’emigrazione in massa di un quarto
della sua popolazione.
Per tutto ciò riteniamo che la sostituzione del
piccolo fitto in denaro agli attuali sistemi di metaterìa e di terratico
errante, non migliorerebbe affatto a lungo andare la condizione del contadino,
e rischierebbe di accrescere i pericoli sociali della situazione presente. Ed
invero al contadino che tiene a fitto per lungo tempo un appezzamento di terra,
e che acquista così quasi il sentimento di un certo diritto sopra quel suo
podere, ogni aumento di fitto che gli venga fatto per effetto della concorrenza
dei suoi compagni o del lavoro da lui impiegato a migliorare il fondo, gli
apparisce più ingiusto e gli sa più di spogliazione, che non al metatiere o al
terratichiere errante dei feudi una diversità di patti quando vien loro
assegnato ogni due o tre anni un podere nuovo. Inoltre il piccolo affittuario
stabile vede più facilmente che non il borgese attuale, nell’esercizio della
violenza o della minaccia un mezzo efficace per conservare la sua terra a buoni
patti, e per resistere a quelle che a torto o a ragione egli ritiene per
usurpazioni e soprusi del proprietario legale.
Ricchezza mobile sui
contadini affittuari.
Prima di lasciare questo argomento dobbiamo pure
notare come l’attuale imposta di ricchezza mobile riesca rovinosa per i piccoli
affittuari, verso i quali il legislatore non usa nessuno dei temperamenti che
la legge dell’11 agosto 1870 ha ammesso per la classe dei coloni; e come
inoltre questa condizione venga aggravata e resa insopportabile dal modo col
quale viene dagli agenti delle tasse calcolato in Sicilia il reddito imponibile
di quei piccoli affittuari. Siamo stati assicurati più volte in diverse parti dell’Isola
e da persone di ogni classe sociale, che ai contadini affittuari l’imposta
viene per lo più calcolata sopra un reddito molte volte maggiore dell’ammontare
del canone di fitto, e ciò sulla presunzione che esista un capitale d’esercizio
che tutti sanno che non esiste.
Il
legislatore, quasi avesse preso a perseguitare a bella posta la classe dei
contadini affittuari, li tratta, in materia d’imposte, peggio di qualunque
altra classe d’industriali, e molto peggio della classe dei coloni. E difatti,
«mentre per tutte le altre industrie è ammesso il difalco dal reddito, delle
spese per l’opera prestata da famiglie associate o dai figli minorenni (art. 51
del Regolamento e decisione della Commissione centrale, n° 8107, fasc. I, pag.
125), per le colonìe ed affittanze agrarie non è ammessa separazione di sorta,
ed esse sono considerate come un solo ed unico ente (art. 9 della Legge e 63
del Regolamento); è insomma tassato l’ente produttore, non chi ne fruisca i
prodotti»261.
La
diseguaglianza poi di trattamento che fa la nostra legge tra i contadini
affittuari e i coloni parziari, è enorme e tale da parere incredibile: E
difatti il colono per la legge dell’11 agosto 1870 paga per imposta di
ricchezza mobile il 5% sull’ammontare della imposta fondiaria principale,
mentre per gli affittuari vige la regola comune ed i loro redditi accertati e
resi imponibili colle solite detrazioni e normalità, van soggetti alla solita
tassa del 13.20%. Onde si viene nel fatto alle sproporzioni
seguenti:262
Una masseria, poniamo, dell’estensione di 20
ettari, della rendita effettiva di L. 808.20, (40.41 per ettaro, media
calcolata per la Sicilia) e censuaria di L. 422 (21. 10 per ettaro, media
calcolata per la Sicilia), pagherebbe a titolo d’imposta fondiaria principale
(in base all’aliquota 0,205) L. 86.51, per cui se data a colonìa farebbe, in
ragione del 5% sull’imposta fondiaria, pagare al colono un’imposta di ricchezza
mobile di L. 4.32: data invece in affittanza a corrispettivo fisso farebbe
pagare al conduttore sul suaccennato reddito netto di L. 808.20 — imponibile L.
606.15 — un carico di annue L. 80, cioè diciotto volte e mezza più che al
colono, e tanto quasi quanto paga all’erario per imposta fondiaria principale
il proprietario del fondo. «E questa» soggiunge a ragione la Commissione
consorziale di Piombino-Dese «è una condizione di cose assolutamente
impossibile».
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