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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE SECONDA                       CARATTERI ECONOMICI DEI CONTRATTI AGRICOLI SICILIANI
      • Capitolo II.   IL FITTO
        • § 76. — Piccolo fitto in denaro.
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§ 76. — Piccolo fitto in denaro.

Il fitto in denaro di piccoli appezzamenti di terra, fatto ai contadini direttamente dal proprietario o più spesso dal gabellotto di una tenuta, è sistema che, come già dicemmo, va da qualche anno generalizzandosi in alcune parti dell’Isola, e da parecchi Siciliani vien raccomandato come un mezzo efficace per migliorare la condizione del contadino, e insieme quella dei proprietari, coll’aumento della produzione agricola.

Le ragioni che si adducono a favore di questo sistema sono le seguenti: Maggiore libertà pel contadino nel regolare le colture secondo le minute diversità di suolo, di esposizione, ecc.; di qui rialzamento della sua condizione morale e intellettuale; accrescimento della produzione per lo stimolo del guadagno offerto al coltivatore; e conseguente aumento della rendita pel proprietario; e tutto ciò in maggior grado quando si riesca ad eliminare ogni intermediario tra il proprietario e il piccolo affittuario.

Noi siamo pronti ad ammettere che questi vantaggi si potrebbero in parte ottenere nei primi tempi in cui si sostituisca il sistema dei piccoli fitti alle grosse gabelle; ma non possiamo nascondere d’altra parte come quel sistema ci sembri gravido di pericoli per l’avvenire, e tale, quando venisse generalmente adottato, da condurre inevitabilmente a una questione agraria non meno minacciosa di quella che sorse negli ultimi anni in Irlanda.

Prima di tutto nulla c’induce a credere che la introduzione del piccolo fitto in denaro ai contadini debba elidere gli affittuari maggiori, che si fanno garanti di fronte al proprietario di ogni rischio d’insolventezza dei piccoli affittuari, liberandolo per di più dalle noie e dalle complicazioni di un’amministrazione minuta ed uggiosa. Ma che ciò avvenga o no, rimangono egualmente tutti i gravi difetti che presenta sempre il piccolo fitto, e di cui abbiamo or ora rilevato una buona parte parlando dei terratici. Il fitto in denaro ha poi il maggiore inconveniente che il contadino vi è obbligato a vendere i suoi generi per ottenere i contanti, e la concorrenza sul mercato in quello stesso momento di tutti i suoi compagni fa abbassare grandemente i prezzi, con grave danno dell’intiera classe. Nelle annate cattive non è che col contrarre debiti che il contadino affittuario può soddisfare al suo obbligo: onde essendo a suo carico tutto intiero il capitale d’industria, egli non potrebbe seminare concimare a dovere il suo podere per l’anno successivo, e posto una volta sulla china del debito, e caduto in mano agli usurai di campagna non si rileva mai più.

L’esempio dell’Irlanda ci sia d’ammaestramento. Col piccolo fitto l’azione della sfrenata concorrenza reciproca dei contadini ridurrà sempre fatalmente al più basso grado di miseria la classe agricola, con rovina delle proprietà e con pericolo grave per la società intiera. Il misero affittuario non può difendersi contro la concorrenza dei suoi simili, e contro la prepotenza e l’avidità dei proprietari e degli affittuari, in altro modo che colla violenza: e dobbiamo avvertire che in Sicilia le tradizioni locali e le condizioni politiche e naturali portano già troppo facilmente su questa via! Badiamo di non inasprire tanto la lotta per l’esistenza da far sì che più non si combatta che a minacce e a schioppettate. L’Irlanda non si è salvata dalla guerra sociale la più selvaggia che coll’emigrazione in massa di un quarto della sua popolazione.

Per tutto ciò riteniamo che la sostituzione del piccolo fitto in denaro agli attuali sistemi di metaterìa e di terratico errante, non migliorerebbe affatto a lungo andare la condizione del contadino, e rischierebbe di accrescere i pericoli sociali della situazione presente. Ed invero al contadino che tiene a fitto per lungo tempo un appezzamento di terra, e che acquista così quasi il sentimento di un certo diritto sopra quel suo podere, ogni aumento di fitto che gli venga fatto per effetto della concorrenza dei suoi compagni o del lavoro da lui impiegato a migliorare il fondo, gli apparisce più ingiusto e gli sa più di spogliazione, che non al metatiere o al terratichiere errante dei feudi una diversità di patti quando vien loro assegnato ogni due o tre anni un podere nuovo. Inoltre il piccolo affittuario stabile vede più facilmente che non il borgese attuale, nell’esercizio della violenza o della minaccia un mezzo efficace per conservare la sua terra a buoni patti, e per resistere a quelle che a torto o a ragione egli ritiene per usurpazioni e soprusi del proprietario legale.

 

Ricchezza mobile sui contadini affittuari.

Prima di lasciare questo argomento dobbiamo pure notare come l’attuale imposta di ricchezza mobile riesca rovinosa per i piccoli affittuari, verso i quali il legislatore non usa nessuno dei temperamenti che la legge dell’11 agosto 1870 ha ammesso per la classe dei coloni; e come inoltre questa condizione venga aggravata e resa insopportabile dal modo col quale viene dagli agenti delle tasse calcolato in Sicilia il reddito imponibile di quei piccoli affittuari. Siamo stati assicurati più volte in diverse parti dell’Isola e da persone di ogni classe sociale, che ai contadini affittuari l’imposta viene per lo più calcolata sopra un reddito molte volte maggiore dell’ammontare del canone di fitto, e ciò sulla presunzione che esista un capitale d’esercizio che tutti sanno che non esiste.

Il legislatore, quasi avesse preso a perseguitare a bella posta la classe dei contadini affittuari, li tratta, in materia d’imposte, peggio di qualunque altra classe d’industriali, e molto peggio della classe dei coloni. E difatti, «mentre per tutte le altre industrie è ammesso il difalco dal reddito, delle spese per l’opera prestata da famiglie associate o dai figli minorenni (art. 51 del Regolamento e decisione della Commissione centrale, 8107, fasc. I, pag. 125), per le colonìe ed affittanze agrarie non è ammessa separazione di sorta, ed esse sono considerate come un solo ed unico ente (art. 9 della Legge e 63 del Regolamento); è insomma tassato l’ente produttore, non chi ne fruisca i prodotti»261.

La diseguaglianza poi di trattamento che fa la nostra legge tra i contadini affittuari e i coloni parziari, è enorme e tale da parere incredibile: E difatti il colono per la legge dell’11 agosto 1870 paga per imposta di ricchezza mobile il 5% sull’ammontare della imposta fondiaria principale, mentre per gli affittuari vige la regola comune ed i loro redditi accertati e resi imponibili colle solite detrazioni e normalità, van soggetti alla solita tassa del 13.20%. Onde si viene nel fatto alle sproporzioni seguenti:262

Una masseria, poniamo, dell’estensione di 20 ettari, della rendita effettiva di L. 808.20, (40.41 per ettaro, media calcolata per la Sicilia) e censuaria di L. 422 (21. 10 per ettaro, media calcolata per la Sicilia), pagherebbe a titolo d’imposta fondiaria principale (in base all’aliquota 0,205) L. 86.51, per cui se data a colonìa farebbe, in ragione del 5% sull’imposta fondiaria, pagare al colono un’imposta di ricchezza mobile di L. 4.32: data invece in affittanza a corrispettivo fisso farebbe pagare al conduttore sul suaccennato reddito netto di L. 808.20 — imponibile L. 606.15 — un carico di annue L. 80, cioè diciotto volte e mezza più che al colono, e tanto quasi quanto paga all’erario per imposta fondiaria principale il proprietario del fondo. «E questa» soggiunge a ragione la Commissione consorziale di Piombino-Dese «è una condizione di cose assolutamente impossibile».

 

 




261 Queste parole sono tolte dall’importante «Indirizzo al deputato Maurogónato, della Commissione consorziale per la risoluzione dei reclami concernenti le imposte dirette, di Piombino Dese e Trebaseleghe», pubblicato nell’Economista di Firenze del 25 giugno 1876, sotto il titolo: L’imposta sui redditi di ricchezza mobile in rapporto ai lavoratori del suolo.



262 Togliamo l’esempio dall’Indirizzo citato nella nota precedente sostituendo soltanto alle cifre delle medie generali a tutto il Regno, che esso riporta, quelle generali alla sola Sicilia, come risultano dagli Atti della Commissione per la perequazione dell’imposta fondiaria. Torino, 1863.






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