§ 79. — I braccianti.
L’esclusiva coltura dei cereali in tutta l’aperta
campagna della maggior parte dell’Isola, porta per naturale conseguenza che in
alcune brevi epoche dell’anno il bisogno di braccia è estremo, e tale da non
esser quasi mai completamente soddisfatto, mentre nel resto dell’anno, e
specialmente nell’inverno, i lavori scarseggiano, e i braccianti non trovano da
impiegarsi. A questo si aggiunga il fatto dell’accentramento della popolazione
rurale nelle città, il quale fa perdere al bracciante una gran parte delle
giornate in cui la stagione sia cattiva o minacciosa nelle sole prime ore del
mattino, e ciò a causa della distanza che lo separa dal luogo dove deve
lavorare: onde per lui non esiste quasi l’impiego della mezza giornata. Quella
stessa distanza cagiona pure normalmente e a lui, e a chi lo impiega, e alla
società in genere, la perdita del lavoro utile di, in media, una giornata sulla
settimana. Queste considerazioni ci spiegano l’apparente contradizione tra un
saggio medio di salario giornaliero abbastanza elevato e superiore a quello di
una gran parte del resto d’Italia, e una condizione depressa della classe dei
braccianti. Esse ci spiegano pure il perchè, malgrado l’elevatezza dei salari,
si mantenga viva la concorrenza dei giornalieri per cercare di diventar
metatieri o terratichieri.
Un’altra particolarità poi che spiega il perchè
la concorrenza dei giornalieri non abbia ridotto di più il saggio dei loro
salari in Sicilia, nonostante la scarsità del lavoro in buona parte dell’anno,
è la seguente: Tutta l’economia agricola della maggior parte dell’Isola tende a
rigettare il pagamento dei salari dei braccianti sulla stessa classe dei
contadini. Sono difatti i contadini metatieri o terratichieri che devono pagare
tutti i lavori necessari per la coltivazione dei loro poderi: e lo stesso si
dica pei coloni nei contratti a migliorìa; pei mezzadri delle vigne; pei
guardiani che lavorano i vigneti a estaglio, cioè a tanto per mille
viti; e pei piccoli appaltatori del raccolto delle olive, delle mandorle, ecc.
Tutte queste classi, e sovrattutto i metatieri e terratichieri, che sono il
maggior numero, si trovano in condizioni tali che è loro impossibile di
accordarsi in modo espresso o tacito, per lottare contro l’elevatezza dei
salari in quelle epoche dell’anno in cui è grande il bisogno di braccia. Se
essi per difendersi mostrassero di voler differire o sospendere i lavori, ci
penserebbe subito il loro padrone o il suo campiere a fissare addirittura le ciurme
dei lavoranti; e al padrone poco importa se il salario pagato è di qualche
centesimo più o meno, poichè egli non fa che anticiparlo per conto del borgese.
Spesso il medesimo contadino che lavorerà per un alto salario giornaliero alla
mèsse nelle terre di marina, dovrà, pochi giorni dopo, per un pezzetto di terra
ch’egli abbia a metaterìa nella regione più alta, pagare per la mèsse salari
egualmente alti ad altri lavoranti venuti dal basso; e viceversa.
Una conferma di quanto sopra, si potrà trovare
nel fatto che là dove i proprietari, o gabellotti che siano, coltivano a
economia ossia direttamente per conto proprio una buona parte dei terreni, come
accade nel Siracusano e nella marina di Patti, di Milazzo, ecc., la media dei
salari giornalieri è subito molto più bassa; — e perchè mai? — Perchè i
proprietari e i gabellotti possono, per mezzo del capitale, molto meglio
difendersi e premunirsi contro i lavoranti, e prevalersi anzi della concorrenza
reciproca dei lavoranti stessi per tener bassi i salari; onde vediamo i
contratti di partecipazione introdotti per le raccolte dei frutti dell’olivo,
del mandorlo, del carrubbio; vediamo i contratti che fissano un determinato
salario a cui il bracciante si obbliga di lavorare in tutto l’anno o per un
certo numero di mesi per chi lo ha impegnato; vediamo le caparre date ai
lavoranti nel gennaio per obbligarli fin da allora a lavorare alla mèsse di
giugno per un salario già determinato, oppure da determinarsi poi dal padrone
stesso; vediamo i contratti a estaglio e a baliaggio, con cui,
mediante la prestazione della casa e la partecipazione in qualche piccola
coltura, i proprietari si assicurano da ogni eventuale pretesa dei lavoranti.
Nelle zone a colture alberate si può bensì voler
spiegare in parte la relativa bassezza del salario dei giornalieri, di fronte
alla regione interna, colla maggiore continuità di lavoro che offre la varietà
delle coltivazioni, onde il lavorante è più sicuro di trovare impiego durante
tutto l’anno; ma ciò ci darebbe piuttosto le ragioni per cui con un salario
minore il bracciante delle regioni alberate stia meglio e non peggio di quello
dell’interno dell’Isola, anzichè dirci perchè, malgrado l’aumentato bisogno di
braccia, i salari nella zona alberata si mantengano relativamente bassi. Questa
ragione inoltre non ci darebbe alcun lume intorno alle cagioni della bassezza
del saggio dei salari in una gran parte del Siracusano, di fronte a quelli
dell’interno della Sicilia.
Non è che sosteniamo che questa differenza si
debba tutta quanta ascrivere al fatto che i gabellotti del Siracusano coltivano
ancora una buona parte dei feudi a economia, imperocchè questo fatto può
indubitatamente essere non solo causa ma anche effetto della bassezza dei
salari. Altre cause influiscono pure a mantenere più alti i salari nelle
provincie interne, come quella della ricca industria mineraria, della maggiore
feracità generale del suolo, della scarsezza di comunicazioni tra provincia e
provincia, e delle stesse condizioni di minore sicurezza pubblica, ecc. Però il
fatto costante della elevatezza dei salari là dove il peso ne ricade
esclusivamente sulla stessa classe dei contadini, ci può servire di
illustrazione e di commentario all’asserzione comunemente ripetuta dagli
economisti officiali — che la relativa altezza dei salari in Sicilia al di
sopra della media generale del Regno sia cagione e prova delle condizioni
prospere della popolazione rurale dell’Isola.
Salario in natura.
Il pagamento di una parte del salario in natura è
per lo più una necessità in Sicilia, dove il contadino lavora lontano non solo
dalla propria abitazione, ma da qualunque centro, villaggio, borgata o casa in
cui possa trovare da mangiare, e dove resta spessissimo dal lunedì fino al
sabato in mezzo ai campi. Vita ben dura è questa del giornaliero siciliano!
Egli lavora l’estate sotto la sferza ardente di un sole tropicale, e l’inverno
rimane esposto la notte a tutte le intemperie, col solo riparo di qualche
tettoia provvisoria di canne o di frasche malamente costruita. Patisce, lavora,
tace, e stenta la fame. Di quanta profonda compassione si riempie l’animo
nostro quando sentiamo gl’infelici proprietari di più latifondi deplorare
amaramente il caro dei salari! quando sentiamo i dilettanti di Economia
politica spiegarci pieni di filantropia che l’alto prezzo del lavoro segna
l’inevitabile rovina di un paese!
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