§ 85. — Censimento
dell’Asse ecclesiastico.
La legge del 10 agosto 1862 ordinò la concessione
a enfiteusi per mezzo d’incanto di tutti i beni rurali ecclesiastici esistenti
in Sicilia, eccettuati i boschi, i fondi piantati in tutto o nella massima
parte a vigneto o albereto di qualunque natura, e quelli ove esistevano miniere
aperte o indizi evidenti di miniere. La legge del 7 luglio 1866 che soppresse
le corporazioni religiose, e quella del 1867 per la liquidazione dell’asse
ecclesiastico, mantennero la legge del 1862 per quanto riguardava la
censuazione dei beni ecclesiastici, prescrivendo soltanto che si dovesse
d’allora in poi farla nell’interesse e in confronto del Demanio. I beni colpiti
dalla legge del 1862, esclusi quelli già censiti dai titolari ecclesiastici,
ascendevano a circa 230,000 ettari, di cui circa 40,000 furono eccettuati, per
i diversi titoli menzionati, dalla censuazione, e di questi una gran parte è
stata venduta insieme coi beni demaniali.
Sono
dunque stati concessi a enfiteusi circa 190,000 ettari nel termine di circa
otto anni che durarono le operazioni. I lotti furono 20,300; e il Corleo,
sopraintendente generale delle Commissioni circondariali, e quello stesso che
promosse la legge, ci assicura che assai più di 20,000 proprietari furono da
essa creati266. Anche la Commissione parlamentare d’inchiesta sui fatti
di Palermo del 1866, nella sua relazione, presentata alla Camera il 2 luglio
1867, arguiva dal fatto che una metà incirca dei 6882 lotti dati a censo a
tutto dicembre 1866 non contavano più di ettari 10 per ognuno, che la maggior
parte di essi avrebbe dovuto cadere nelle mani dei piccoli agricoltori. Osiamo
mettere in dubbio la verità di queste deduzioni, e ci appelliamo a qualunque
Siciliano perchè dica se nel suo Comune le cose andarono così. Abbiamo
viaggiato i Comuni principali delle diverse provincie di Sicilia, interrogando
e osservando: abbiamo un gran numero di risposte scritte da luoghi dove non ci
fu possibile andare da noi. Da per tutto la risposta è una sola: — I beni
ecclesiastici caddero quasi esclusivamente, e con rarissime eccezioni, in mano
dei proprietari agiati e per lo più dei grossi proprietari, e ciò specialmente
in quelle regioni dove la proprietà era meno divisa, e dove quindi era più
urgente che una tal divisione si facesse. Nè poteva essere diversamente.
Camorre nelle aste.
I soli ricchi potevano amicarsi, e alcune volte
organizzare le camorre, che dominavano assolute nelle aste. Il modo stesso in
cui erano fatti gl’incanti rendeva impossibile ogni lotta contro quelle
coalizioni, che avevano per mira di accaparrarsi i beni a modico prezzo, o di
lucrare sull’asta facendosi pagare forti somme dai compratori. Se qualcuno non
si sottoponeva alle esigenze della camorra, questa spingeva in su e senza
limiti il prezzo dell’asta, e sapeva di non correre con ciò nessun pericolo. E
difatti mandava a offrire agl’incanti qualche nullatenente, il quale rimasto
padrone del podere lo sfruttava quanto più possibile, tagliando e abbattendo le
piante che vi potevano essere, per pagare le prime spese dell’incanto: il
Demanio poi doveva spesso aspettare due anni d’ineseguito pagamento del canone
per potersi riprendere il terreno, giacchè difficilmente riusciva ad ottenere
prima lo scioglimento dell’enfiteusi, e ciò per la difficoltà e la spesa della
prova dei deterioramenti. Ma non è tutto. La camorra mandava all’incanto un
procuratore legale, il quale poteva acquistare per persona da nominarsi; onde
quando il prezzo fosse stato eccessivo, come era di certo ogni volta che la
camorra doveva imporsi a qualche renitente, il procuratore dava il nome di un nullatenente
come quello del suo mandante. E difatti, e ce lo dice lo stesso Corleo, mancò
sempre ogni gara appunto per quei lotti dove era apparente che il prezzo d’asta
era molto inferiore al vero. Per gli altri la camorra aveva meno armi con cui
lottare, e non valeva nemmeno la spesa di impegnarcisi, perchè ristretto il
margine del lucro. Non parliamo poi di tutte le connivenze tra i proprietari e
i periti che dovevano preparare gli elementi per le aste. Come poteva il
contadino o anche il piccolo proprietario lottare contro forze come queste!
Appena se loro toccava ad alto prezzo qualche scarto di terra.
È triste il pensare di quale enorme ricchezza è
stato defraudato lo Stato, senza che per questo si giovasse nè all’agricoltura
nè alle classi bisognose, ma contribuendo soltanto a diminuire nelle menti di
quelle popolazioni ogni rispetto per la legge, ogni concetto di equità e di
onestà! E più triste ancora è il considerare gli effetti di quella censuazionc,
fatta a rompicollo, quando si abbia in mente tutti i beneficii che si potevano
ritrarre da quelle proprietà per la salute economica e morale di quelle
provincie.
Ci si dirà forse che inutile sarebbe stato il
tentativo di creare con quei beni una classe di contadini proprietari, perchè
questi, privi affatto di capitali, non avrebbero potuto mantenersi. Ma non
potevasi forse colla vendita di una parte delle terre, trovare i capitali per
dotare le altre, e per costituire un fondo di prestito ai contadini proprietari
— un fondo simile a quello che istituì l’Inghilterra colla legge del 1870 per
gli affittuari Irlandesi? Per evitare poi le trasmissioni di proprietà, anche
se mascherate sotto la forma di fitti, bastava dichiarare nullo per un termine
di venti anni ogni patto di cessione o d’affitto sotto qualsiasi forma di quei
terreni, che fosse fatto dal primo acquirente o dai suoi eredi senza il
consenso espresso del Tribunale o di qualche altra autorità: nè questo avrebbe
importato difficoltà maggiori che non la legge inglese per cui spetta al
tribunale di decidere quando il fitto di un fondo si debba reputare eccessivo.
Negli Stati Uniti poi esistono disposizioni analoghe per le terre incolte che
gli Stati concedono a basso prezzo agl’immigranti.
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