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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE TERZA                       RIMEDI E PROPOSTE
      • Capitolo I.   L’AZIONE DELLO STATO
        • § 99. — Disposizioni intese a prolungare i termini degli affitti.
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§ 99. — Disposizioni intese a prolungare i termini degli affitti.

Diremo prima delle disposizioni intese a ottenere la lunga durata dei fitti, e di quelle con cui si volesse prescrivere ai proprietari l’adozione di qualche forma determinata di contratto agricolo; e in secondo luogo di quelle relative ai compensi pei miglioramenti.

È certo che se il sistema dei piccoli affitti a termine breve si generalizzasse in Sicilia, diventerebbe pure necessaria una qualche disposizione legislativa sul genere di quella inglese, affin di esercitare una pressione sui proprietari per il prolungamento dei termini di affitto. Anche ora per le stesse gabelle dei latifondi, il termine di 4 a 6 anni può considerarsi come un ostacolo positivo ad ogni eventuale progresso agricolo, poichè non è supponibile che gli affittuari vogliano mai spendere in miglioramenti di cui non potrebbero poi godere i frutti; e ciò in un paese dove i grandi proprietari, meno pochissime ed onorevoli eccezioni, nulla fanno essi stessi in questo senso. Però esitiamo a credere che un provvedimento legislativo sul genere di quello inglese, gioverebbe ora molto in Sicilia, dove nulla sta a indicarci che i gabellotti dei feudi farebbero effettivamente con un fitto a termine lungo più di quel che facciano ora essi i proprietari.

Anche nel caso dei piccoli affitti, temiamo che sarebbe tuttora troppo facile per i proprietari di eludere le prescrizioni della legge, con la stipulazione di fitti altissimi e superiori a quanto veramente esigerebbero o potrebbero esigere; imperocchè in questo modo l’affittuario indebitato e insolvente potrebbe sempre esser privato dei suoi diritti. Vero è bensì che la legge inglese ai tribunali specialmente istituiti la mansione di determinare per i fitti piccoliminori di 375 lire l’anno, — se il canone di affitto sia esagerato, e che nel caso affermativo il non pagamento del canone non basta a giustificare l’evizione dell’affittuario; ma, considerando lo stato presente dell’opinione pubblica in Italia, che sempre torto al contadino, avremmo ben poca fiducia nell’azione di simili tribunali che s’istituissero da noi, e ciò senza parlare delle difficoltà speciali del determinare per ogni singolo podere che cosa si debba considerare come un canone giusto di fitto. Bisogna pure osservare che la legislazione speciale per l’Irlanda è resa necessaria in gran parte dal sistema generale della legislazione inglese sulla proprietà territoriale, e che da noi, dove la proprietà è libera da tutte quelle pastoie di fidecommessi, di dotazioni, ecc., vi possono essere pure altri mezzi di salvezza meno radicali e insieme più equi e più conformi allo spirito generale delle nostre istituzioni civili.

 

Imposizione della mezzerìa per legge.

Molti chiedono l’imposizione forzosa della mezzerìa ai proprietari siciliani: ma ci permetteremo di dirigere ai proponenti alcune domande. Noi abbiamo veduto come la mezzerìa non possa riescire vantaggiosa al contadino, e con lui al paese, che in alcune determinate condizioni. Orbene, chi creerà queste condizioni? Forse lo Stato? Ma con quali mezzi? O forse i proprietari? Ma se essi desiderano la mezzadrìa, a nulla serviranno le disposizioni legislative; e se essi non la vogliono come potrete ottenere che vi aiutino a proprio dispetto? Vorremmo inoltre che si definisse meglio, di quale mezzerìa si intende parlare, se di quella del Codice, o di quella toscana, o di altra. E poi, se togliete al proprietario la facoltà di licenziare il mezzadro, la vostra sarà una espropriazione vera e propria, poichè i proprietari sarebbero certi di non riscuotere più nulla: in tal caso però preferiremmo il metodo più semplice e più leale della confisca semplice, a uso rivoluzione francese. Se invece lasciate al proprietario la facoltà di licenziare il mezzadro, la vostra legge resterà illusoria. Badiamo che qui non si tratterebbe come in Irlanda, di fitto, in cui il canone è determinato e fisso, ma invece del pagamento da farsi al proprietario, di una quota di prodotti la cui quantità muta ogni anno. E inoltre, chi costruirà le case rurali, indispensabili alla riuscita della mezzadrìa? Forse lo Stato? Ma con che denari? E a chi apparterrebbero le case costruite dallo Stato sui fondi privati? Perchè lo Stato non le costruisce piuttosto sulle proprie terre prima di metterle in vendita? Le fabbricheranno i proprietari? Ma qui si ricade nel dilemma già accennato: o i proprietari vogliono la mezzadrìa, e la legge è inutile, o non la vogliono, e allora non costruiranno nulla. Forse i contadini? Ma su quale terreno? E con che denari? E chi farà sì, ed è questa la difficoltà più grave, che il mezzadro accettato dal proprietario non sia un uomo di paglia, e che il vero coltivatore non resti precisamente nello stato in cui è ora? —

Non diciamo che molte di queste difficoltà non sarebbero superabili; crediamo anzi di sì; ma abbiamo voluto accennarle per mostrare che la questione è tutt’altro che semplice o facile, e non può essere risoluta in astratto. Facciamo però voti che l’opinione pubblica se ne occupi, e che da una discussione ampia ed animata si possa rilevare quali siano nelle varie regioni d’Italia le innovazioni che si potrebbero utilmente introdurre nella nostra legislazione agraria.

 

Codici Agrari.

Provvidissima del resto ci pare fin da ora la proposta di formulare per quelle diverse regioni, varie leggi o codici agrari280, che informandosi ad alcuni principii generali e ad alcune regole principali, uniformi per tutto lo Stato, tenessero conto delle diversità locali di sistemi di coltura, di consuetudini e di tradizioni, e regolassero minutamente tutti quegl’infiniti rapporti tra proprietari e coltivatori, tanto diversi da luogo a luogo, i quali non possono venir compresi in una legislazione generale, e che ora quindi non sono regolati che da consuetudini troppo incerte e mutevoli. Nell’introdurre poi innovazioni forzose quanto alla forma stessa del contratto agricolo occorre sempre procedere coi piedi di piombo, ricordandosi che dove non vi è un’opinione pubblica che la sostenga e la sospinga, l’azione dello Stato riesce quasi sempre inutile, e talora dannosa.

 

 




280 Vedi: Villari, op. cit., lettera IV, e Jacini, La proprietà fondiaria e le popolazioni agricole in Lombardia. Milano, 1854, pag. 252.






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