§ 102. — Opere pie.
Un largo campo all’utile intervento dello Stato a
pro delle classi bisognose, è pure offerto dalla condizione presente delle
Opere pie. Molte tra esse non rispondono più affatto agli scopi di carità per
cui vennero istituite; altre hanno attualmente un’azione sociale perniciosa e
atta a peggiorare la piaga della miseria anzichè alleviarla: le più poi sono
amministrate talmente da ridurle a essere soltanto sorgente d’illeciti guadagni
per le classi agiate. Qui la missione dello Stato è varia: — dovrà trasformare
secondo le nuove esigenze del secolo, e le alterate condizioni sociali,
quegl’istituti che minacciano di diventare, invece che opere pie, opere di
distruzione sociale: e dovrà meglio vigilare su tutte quante le
amministrazioni. Nelle istituzioni con carattere misto di culto e di
beneficenza, le quali pullulano in Sicilia, dovrebbesi restringere l’abuso
attuale di spendere la maggior parte delle rendite per il solo culto. Stimiamo
poi che non sarebbe nè ingiusto, nè improvvido, ma invece un’opera santa, il
convertire forzosamente a scopi d’istruzione e di ben intesa beneficenza tutte
le rendite delle Opere pie ora destinate al culto.
Già dicemmo quali abusi si verificano nelle
amministrazioni dei Monti frumentari destinati a prestare grano a modiche
condizioni ai contadini, per la sementa dei loro campi e anche per loro
nutrimento. Questi istituti potrebbero ancora arrecare gran beneficio alla
classe rurale in Sicilia, dove senza di essi il contadino è costretto a
prendersi il grano dai privati a condizioni gravosissime e non inferiori al
25%; ma attualmente, essendo amministrati da quegli stessi che lucrano sulle
necessità del contadino, non giovano che ai loro amministratori; e questi in
molti casi non si sono soltanto contentati delle rendite, ma hanno consumato
anche il capitale dell’Opera pia.
In queste condizioni parrebbe naturale che lo
Stato, coll’appoggio di tutti quelli che s’interessano alle condizioni delle
classi inferiori, cercasse di riparare al male col mutare i sistemi di
amministrazione, e col chiedere stretto e severo conto agli amministratori
dell’uso fatto del denaro dei poveri durante la loro gestione. Invece di ciò
non si pensa ora che alla conversione dei Monti frumentari in Banche agricole,
in Casse di risparmio, e in Casse di prestanze per i coloni e per gli operai,
come se con ciò si facesse qualcosa per evitare le malversazioni, e invece non
si aggravasse spesso il male. Le Banche, le Casse di risparmio, ecc., saranno
in avvenire amministrate dalle stesse classi e probabilmente anche dalle stesse
persone che finora disponevano dei Monti frumentari: la sola differenza sarà
che questi amministratori potranno speculare più comodamente per conto proprio
coi denari degl’istituti. Ci pare poi un’amara ironia il convertire in Casse di
risparmio degl’istituti destinati a sovvenire chi, anzi che da
risparmiare, non ha nemmeno da mangiare nè da sementare il proprio campo: tali
Casse potranno giovare agli operai delle città, e più ancora alla piccola
borghesia, ma pei contadini rappresentano la confisca pura e semplice di un
patrimonio che fin qui era destinato, almeno in diritto se non in fatto, a loro
esclusivo beneficio.
I gravi inconvenienti che provengono
all’agricoltura e ai contadini dall’obbligo che impone la legge di affittare
all’asta le proprietà delle Opere pie, si eviterebbero in parte coll’adozione,
almeno per queste, del metodo di rimborso pei miglioramenti commisurato sulle
maggiori offerte dell’affittuario, di quel metodo cioè che abbiamo raccomandato
come sistema generale al
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