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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE TERZA                       RIMEDI E PROPOSTE
      • Capitolo II.   L’AZIONE DEI PROPRIETARI
        • § 110. — Introduzione della mezzadrìa.
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§ 110. — Introduzione della mezzadrìa.

Già da molti è stata proposta l’introduzione nell’interno della Sicilia del contratto di mezzadrìa, colla conseguente divisione dei poderi e delle colture, come rimedio ai mali economici, morali, politici e sociali che affliggono quel paese. Il Rubieri, il Villari, e molti altri minori, ne hanno fatto argomento principale dei loro studi diligenti e coscienziosi. D’altra parte vi sono pure molti e non di poco valore, che oppongono che le condizioni telluriche e climatologiche della Sicilia contrastano all’utile introduzione di questa forma di contratto, e che la coltura piccola e la mezzana dovrebbero considerarsi piuttosto come un pericolo da evitarsi, anzichè un ideale cui tendere con tutte le forze. Fu il dubbio che in noi destarono opinioni così discordi, il motivo principale che ci spinse a imprendere un viaggio in Sicilia, affin di poter studiare la questione sui luoghi, con quanta più diligenza ci fosse possibile. Molte cose ci pare di avervi imparate, e tra le altre quella di meglio apprezzare quanto sia naturale l’irritazione che nell’animo di molti Siciliani, uomini di mente e di cuore, desta la leggerezza con cui senza punto studiare le condizioni dell’Isola, «ogni villan che parteggiando viene» pretende, valendosi delle solite frasi e dei luoghi comuni triti e ritriti, di dettare sentenze, e regalar consigli sulle questioni più ardue e più complesse che vi si agitano. Avversi ai preconcetti, e diffidando delle impressioni che potevamo aver portate con noi dagli studi fatti sulla mezzerìa toscana, abbiamo cercato di vagliare ogni dubbio, e di esaminare minutamente le molte difficoltà pratiche che in Sicilia come dappertutto si oppongono a qualunque riforma radicale. Ma dopo tutto ciò, dichiariamo schiettamente che parteggiamo col Rubieri e col Villari nell’invocare l’introduzione, come regola generale, del contratto di mezzerìa, secondo il tipo dell’Italia centrale, nei latifondi dell’interno della Sicilia. Abbiamo detto «come regola generale», perchè ammettiamo che in molti luoghi, sia per deficienza di acqua, sia per la malaria persistente e generale, sia per la immediata vicinanza delle zolfare, ogni coltura media o piccola darebbe risultati molto inferiori a quelli che si potrebbero attendere dalla coltivazione in grande: ma per quanto l’area compresa da tali eccezioni possa essere realmente estesa, non crediamo si possa valutare a più di un quarto di quella che utilmente potrebbe trasformarsi colla progressiva e graduale introduzione del contratto di mezzadrìa.

Abbiamo già detto quali sono le condizioni che debbono accompagnare la mezzadrìa, perchè essa possa veramente dare utili risultati sociali, come forma di distribuzione della ricchezza prodotta dal suolo. Di quelle condizioni, la maggior parte dipende dalla volontà dei proprietari, come, per esempio, quella della partecipazione eguale del contadino a tutti quanti i prodotti, e l’altra che i patti accessori non siano mai tali da aprire il varco ad una progressiva diminuzione della parte del lavoro nella repartizione del prodotto comune.

Vi sono però due condizioni capitali tra quelle avvertite, le quali talvolta non dipendono che in piccola parte dalla volontà dei proprietari o di chicchessia, e sono — quella di una varietà di colture sullo stesso podere, e che le colture arborescenti vi si uniscano a quelle dei cereali o delle leguminose; e l’altra, che vien quasi come conseguenza della prima, che vi sia lavoro continuo in tutto l’anno sul podere, onde possa pure esservi la fissità del colono sullo stesso appezzamento di terra.

Orbene, la Sicilia si presta in modo tutto particolare nella maggior parte del suo territorio a soddisfare a queste condizioni. La varietà delle colture è resa facile da un clima e da un suolo in cui crescono rigogliosi, secondo i vari terreni e le diverse esposizioni, l’olivo, l’agrume (limone, arancio, mandarino), il mandorlo, il frassino mannifero, il gelso, il fico d’India, il carrubbio, il nocciuolo, il pistacchio, e quasi ogni varietà di albero da frutta, la vite, la canna; e come piante industriali, il sommacco, il riscolo sodifero, la canapa, il lino, il tabacco; ogni sorta di biade e di civaie, tra cui specialmente i grani di ogni qualità, le fave, i piselli, i ceci, ecc.; e come foraggi l’orzo, l’avena, la sùlla, il trifoglio, l’erba medica; senza parlare del riso, del cotone, del granoturco, ecc. ecc. Non vi è pezzetto o qualità di terreno che non sia utilizzabile con più insieme di queste colture, tutte ricchissime ed appropriate alle condizioni generali dell’Isola; onde certamente quanto alla varietà delle colture, la Sicilia nulla ha da invidiare a nessun’altra regione d’Italia, per non dire del mondo intiero.

Molte però di queste colture, ci si osserverà, e specialmente di quelle legnose, non esistono attualmente nell’interno dell’Isola, e ci vogliono capitali e un lasso di anni perchè si possano attivare, e perchè se ne possa ritrarre un qualche frutto. Quest’obiezione avrebbe un gran peso contro chi credesse di poter introdurre nel termine di un anno la mezzadrìa in tutto il paese, e se ne attendesse subito grandi risultati; ma non prova nulla contro la possibilità di un’introduzione graduale della mezzeria nelle campagne ora deserte, con un movimento progressivo che partendosi, come da base di operazione, dalle città e dai grossi villaggi, andasse allargandosi in circoli eccentrici, fino a coprire di case e di ricche piantagioni l’intiero paese.

perciò si richiederebbero grandi capitali. Bastano a dimostrare il contrario le colonìe perpetue introdotte in passato dai conventi e dai monasteri, e per cui terre prima incolte si ricoprirono subito per opera dei poveri villani, e quasi per incanto, di rigogliose piantagioni di alberi d’ogni specie. Lo dimostrano pure i contratti a migliorìa della costa settentrionale, di quella orientale, e del Siracusano, dove vediamo poveri villani creare vigne, oliveti, mandorleti e carrubbeti, soltanto perchè il prodotto delle loro fatiche è assicurato loro per un certo numero di anni. Essi debbono talvolta, è vero, prendere qualche anticipazione dal proprietario, affin di mantenersi in vita durante i lavori di preparazione del terreno e di piantagione, ma ciò accade specialmente nei contratti a termine meno lungo, poichè negli altri, se qualcosa prendono a mutuo lo restituiscono via via e con usura. E citeremo pure come prova del nostro assunto, i terreni dati a censo nelle vicinanze delle città, dove pure sono state introdotte piantagioni di ogni specie da poveri contadini, soltanto perchè erano sicuri della durata del godimento che avrebbero potuto ritrarre dai resultati delle loro fatiche. Anzi in alcuni luoghi i censuari, e in altri i coloni perpetui, hanno potuto costruire per di più le case coloniche.

Ci sembra che tali fatti servano a dimostrare praticamente come sarebbe facile per i proprietari, ove veramente volessero introdurre la mezzerìa nelle loro terre, di ridurle con pochi sacrifizi a quelle condizioni di coltura che abbiamo supposto necessarie per la completa riuscita di quella forma di contratto. Basterebbe a questo intento che stipulassero coi coloni dei contratti lunghi in modo da assicurar loro il giusto frutto dei loro sforzi; che concedessero loro per i primi anni alcune condizioni più larghe di repartizione dei prodotti; e di più che li aiutassero nella costruzione delle case, e nel provvedersi di qualche strumento agricolo un po’ meno primitivo di quelli attuali; e li sovvenissero con qualche soccorso senza interessi, o a un frutto modico, e col dar loro possibilmente qualche capo di bestiame a soccida, perchè possano meglio lavorare e concimare i poderi, e ritrarre qualche guadagno dall’allevamento.

Sappiamo invero che molti proprietari non sono in condizioni da poter far subito nemmeno questo, ma d’altra parte ve ne sono pure tanti altri per cui la formazione ogni anno di uno o due nuovi poderi muniti di tutta la dote occorrente per l’attivazione di una mezzadrìa, sarebbe cosa facilissima, e che non implicherebbe altro sagrifizio che quello di voler prendere una decisione; ovvero per alcuni la rinuzia a un cavallo di lusso, o a un palco al teatro, o a qualche giorno di più di visita alle bagnature dell’estero: e, diciamo il vero, il pensiero di tali sagrifizi non ci commuove, e tanto meno se pensiamo che essi non rappresentano altro che la rinunzia a un godimento immediato in vista di un vantaggio avvenire; che equivalgono insomma a mettere danari a frutto.

Quanto alla questione della coltura grande e di quella piccola, non ci è dato di qui discuterla in tutti i suoi aspetti, chè non basterebbe un volume apposito; ma osserveremo a tal riguardo che tutte le ragioni che sono state addotte in teoria, e che si sono dimostrate valide in pratica, per consigliare la piccola coltura nella maggior parte della Francia, e specialmente nelle provincie sue meridionali, valgono a fortiori per la Sicilia, dove è maggiore la varietà delle colture, e maggiore il profitto di quelle colture legnose, che, come l’olivo, la vite, ecc., richiedono maggior cura, e in genere di tutte quelle coltivazioni in cui la qualità del lavoro ha un’importanza non minore della sua quantità. Il Leslie poi osserva con ragione che «quelle precise produzioni per cui la piccola coltura è specialmente adatta, sono le cose che acquistano nuovi mercati ad ogni nuova ferrovia, strada, manifattura o miniera, o ad ogni nuovo aumento della ricchezza nazionale»289; e cotesta acuta osservazione viene confermata dal fatto della graduale estensione della piccola coltura in Francia coll’aumento del numero dei contadini proprietari. E la mezzadrìa nel suo tipo toscano raggiunge in gran parte i vantaggi del sistema francese del contadino proprietario, poichè eleva egualmente il morale del contadino, esercitandone l’intelligenza nella direzione della coltura del podere; lo affeziona al suolo; gli fornisce lavoro in tutti i mesi dell’anno; assicura alle colture più delicate, lo zelo e le cure assidue di chi ha interesse diretto nella prosperità del fondo; e per di più unisce le varie classi sociali in relazioni di mutua benevolenza, per gl’interessi che loro in comune; ed assicura il contadino coi capitali del proprietario — e ciò non fa la piccola proprietà — dopo una serie non interrotta di annate cattive, dalla perdita di ogni capitale d’industria necessario per il mantenimento del fondo.

Vi è chi teme che l’introduzione della mezzadrìa possa essere un ostacolo invincibile al trar profitto dall’applicazione della meccanica all’agricoltura, ma l’esperienza dimostra che la piccola coltura non è per inconciliabile coll’uso delle macchine agricole. Si senta quel che ne dice il Cliffe Leslie, il cui giudizio in siffatti argomenti ha grande valore, avendo egli studiato attentamente e sui luoghi l’economia rurale dell’Inghilterra, della Francia e del Belgio. «Esempio notevole della tendenza della piccola coltura a prevalersi delle forze della meccanica è il fatto, che le più recenti statistiche agricole ci dimostrano l’esistenza di un maggior numero di macchine da mietere e da trebbiare nel Bas Rhin, dove la piccola coltura è spinta al massimo grado, che in nessun altro dipartimento. Chi abbia percorso i distretti rurali della Francia non può aver mancato di osservare che la piccola coltura ha creato in questi ultimi anni due nuove industrie sussidiarie, quella del costruttore di macchine da un lato, e dall’altro quella dell’entrepreneur, il quale fuori le macchine a nolo; ed ora uno s’imbatte costantemente, perfino in piccole città e villaggi, per ogni altro riguardo arretrati e apparentemente stagnanti, nella vista e nel romore di macchine, che lo stesso grande fittaiuolo non possiede che da poco tempo. Ammettendo quindi pienamente, (è sempre il Leslie che parla) una verità importante nell’osservazione di Wren Hoskyns, che “la dottrina delle macchine — maggior prodotto col minor lavoro — è, in quanto si applichi al suolo, la dottrina della fame per il lavorante e dello spossessamento per il piccolo proprietario; e invece di appartenere ad uno stadio avanzato della scienza, è un regresso verso il tempo medioevale, in cui il feudo di un cavaliere comprendeva il possesso di tutto un circondario, ed un conte era signore territoriale di una contea290; considerando, col Wran Hoskyns, le macchine come fatte per l’uomo, e non l’uomo per le macchine, e la felicità e la prosperità di una grande popolazione rurale come il vero oggetto dell’agricoltura e dei sistemi di occupazione (tenure) della terra, non vediamo alcuna ragione per credere che il progresso della meccanica sia incompatibile col mantenimento della piccola coltura, e tanto meno con quello della piccola proprietà in Francia»291.

Il Leslie, come si vede, si riferisce più specialmente alla piccola coltura come esercitata dai contadini-proprietari in Francia, ma il suo ragionamento vale tanto più per una piccola coltura condotta da mezzadri, giacchè in essa abbiamo un proprietario capitalista che può più facilmente fare l’ufficio dell’entrepreneur o locatore di macchine.

Nella maggior parte della Sicilia, anche supponendovi ridotta la viabilità alla maggior perfezione, la stessa conformazione del paese si oppone all’uso generale degli aratri a vapore, delle grandi macchine da mietere e delle potenti trebbiatrici a vapore, le quali macchine più utilmente si adopreranno per l’appunto in quei luoghi per i quali abbiamo escluso l’opportunità dell’introduzione della mezzadrìa; e all’incontro non vi è nulla nella forma della mezzadrìa che si opponga all’uso di buoni aratri, di macchine da seminare, e delle trebbiatrici di piccola mole, quali si adattano a un paese montuoso, e in cui le colture arborescenti dovranno predominare su quelle di piante annue.

Quanto alla questione dell’allevamento del bestiame, e di una maggiore coltivazione di foraggi, la piccola coltura non offre alcun ostacolo ad ogni progresso in questo senso, ed essa anzi si è mostrata in Francia, nelle Fiandre, in Svizzera, in Germania e in varie parti d’Italia, come la forma generalmente più atta ad accrescere il numero dei capi di bestiame per ogni ettaro di terreno, col conseguente vantaggio di tutte le colture, per la maggiore concimazione resa possibile. L’incremento della coltura dei foraggi, che deve accompagnare ogni razionale coltura intensiva, dipende più che da ogni altra causa dalla diffusione dell’istruzione agricola; la quale non mancherà dovunque i proprietari abbiano interesse di promuoverla, e i contadini siano in condizioni tali da poterne profittare non solo nell’interesse altrui, ma anche nel proprio.

 

 




289 Vedi: Cliffe Leslie, The land system of France, pubblicato nel volume già citato del Cobden Club, pag. 296 della seconda ristampa.



290 Land in England, Land in Ireland, and Land in other Lands, di Chandos Wren Hoskyns, M. P.



291 Vedi op. cit., pag. 303. — Il Leslie si appoggia pure in questi apprezzamenti sull’opinione della prima autorità francese in fatto di economia rurale, M. Léonce de Lavergne, e sui resultati dell’ultima Inchiesta agricola in Francia.






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