§ 110. — Introduzione della
mezzadrìa.
Già da molti è stata proposta l’introduzione
nell’interno della Sicilia del contratto di mezzadrìa, colla conseguente
divisione dei poderi e delle colture, come rimedio ai mali economici, morali,
politici e sociali che affliggono quel paese. Il Rubieri, il Villari, e molti
altri minori, ne hanno fatto argomento principale dei loro studi diligenti e
coscienziosi. D’altra parte vi sono pure molti e non di poco valore, che
oppongono che le condizioni telluriche e climatologiche della Sicilia
contrastano all’utile introduzione di questa forma di contratto, e che la
coltura piccola e la mezzana dovrebbero là considerarsi piuttosto come un
pericolo da evitarsi, anzichè un ideale cui tendere con tutte le forze. Fu il
dubbio che in noi destarono opinioni così discordi, il motivo principale che ci
spinse a imprendere un viaggio in Sicilia, affin di poter studiare la questione
sui luoghi, con quanta più diligenza ci fosse possibile. Molte cose ci pare di
avervi imparate, e tra le altre quella di meglio apprezzare quanto sia naturale
l’irritazione che nell’animo di molti Siciliani, uomini di mente e di cuore,
desta la leggerezza con cui senza punto studiare le condizioni dell’Isola,
«ogni villan che parteggiando viene» pretende, valendosi delle solite frasi e
dei luoghi comuni triti e ritriti, di dettare sentenze, e regalar consigli
sulle questioni più ardue e più complesse che vi si agitano. Avversi ai
preconcetti, e diffidando delle impressioni che potevamo aver portate con noi
dagli studi fatti sulla mezzerìa toscana, abbiamo cercato di vagliare ogni
dubbio, e di esaminare minutamente le molte difficoltà pratiche che in Sicilia
come dappertutto si oppongono a qualunque riforma radicale. Ma dopo tutto ciò,
dichiariamo schiettamente che parteggiamo col Rubieri e col Villari
nell’invocare l’introduzione, come regola generale, del contratto di mezzerìa,
secondo il tipo dell’Italia centrale, nei latifondi dell’interno della Sicilia.
Abbiamo detto «come regola generale», perchè ammettiamo che in molti luoghi,
sia per deficienza di acqua, sia per la malaria persistente e generale, sia per
la immediata vicinanza delle zolfare, ogni coltura media o piccola darebbe
risultati molto inferiori a quelli che si potrebbero attendere dalla
coltivazione in grande: ma per quanto l’area compresa da tali eccezioni possa
essere realmente estesa, non crediamo si possa valutare a più di un quarto di
quella che utilmente potrebbe trasformarsi colla progressiva e graduale
introduzione del contratto di mezzadrìa.
Abbiamo già detto quali sono le condizioni che
debbono accompagnare la mezzadrìa, perchè essa possa veramente dare utili risultati
sociali, come forma di distribuzione della ricchezza prodotta dal suolo. Di
quelle condizioni, la maggior parte dipende dalla volontà dei proprietari,
come, per esempio, quella della partecipazione eguale del contadino a tutti
quanti i prodotti, e l’altra che i patti accessori non siano mai tali da aprire
il varco ad una progressiva diminuzione della parte del lavoro nella
repartizione del prodotto comune.
Vi sono però due condizioni capitali tra quelle
avvertite, le quali talvolta non dipendono che in piccola parte dalla volontà
dei proprietari o di chicchessia, e sono — quella di una varietà di colture
sullo stesso podere, e che le colture arborescenti vi si uniscano a quelle dei
cereali o delle leguminose; e l’altra, che vien quasi come conseguenza della
prima, che vi sia lavoro continuo in tutto l’anno sul podere, onde possa pure
esservi la fissità del colono sullo stesso appezzamento di terra.
Orbene, la Sicilia si presta in modo tutto
particolare nella maggior parte del suo territorio a soddisfare a queste
condizioni. La varietà delle colture è resa facile da un clima e da un suolo in
cui crescono rigogliosi, secondo i vari terreni e le diverse esposizioni,
l’olivo, l’agrume (limone, arancio, mandarino), il mandorlo, il frassino
mannifero, il gelso, il fico d’India, il carrubbio, il nocciuolo, il
pistacchio, e quasi ogni varietà di albero da frutta, la vite, la canna; e come
piante industriali, il sommacco, il riscolo sodifero, la canapa, il lino, il
tabacco; ogni sorta di biade e di civaie, tra cui specialmente i grani di ogni
qualità, le fave, i piselli, i ceci, ecc.; e come foraggi l’orzo, l’avena, la
sùlla, il trifoglio, l’erba medica; senza parlare del riso, del cotone, del
granoturco, ecc. ecc. Non vi è pezzetto o qualità di terreno che non sia
utilizzabile con più insieme di queste colture, tutte ricchissime ed
appropriate alle condizioni generali dell’Isola; onde certamente quanto alla
varietà delle colture, la Sicilia nulla ha da invidiare a nessun’altra regione
d’Italia, per non dire del mondo intiero.
Molte però di queste colture, ci si osserverà, e
specialmente di quelle legnose, non esistono attualmente nell’interno
dell’Isola, e ci vogliono capitali e un lasso di anni perchè si possano
attivare, e perchè se ne possa ritrarre un qualche frutto. Quest’obiezione
avrebbe un gran peso contro chi credesse di poter introdurre nel termine di un
anno la mezzadrìa in tutto il paese, e se ne attendesse subito grandi
risultati; ma non prova nulla contro la possibilità di un’introduzione graduale
della mezzeria nelle campagne ora deserte, con un movimento progressivo che
partendosi, come da base di operazione, dalle città e dai grossi villaggi,
andasse allargandosi in circoli eccentrici, fino a coprire di case e di ricche
piantagioni l’intiero paese.
Nè perciò si richiederebbero grandi capitali.
Bastano a dimostrare il contrario le colonìe perpetue introdotte in passato dai
conventi e dai monasteri, e per cui terre prima incolte si ricoprirono subito
per opera dei poveri villani, e quasi per incanto, di rigogliose piantagioni di
alberi d’ogni specie. Lo dimostrano pure i contratti a migliorìa della
costa settentrionale, di quella orientale, e del Siracusano, dove vediamo
poveri villani creare vigne, oliveti, mandorleti e carrubbeti, soltanto perchè
il prodotto delle loro fatiche è assicurato loro per un certo numero di anni.
Essi debbono talvolta, è vero, prendere qualche anticipazione dal proprietario,
affin di mantenersi in vita durante i lavori di preparazione del terreno e di
piantagione, ma ciò accade specialmente nei contratti a termine meno lungo,
poichè negli altri, se qualcosa prendono a mutuo lo restituiscono via via e con
usura. E citeremo pure come prova del nostro assunto, i terreni dati a censo
nelle vicinanze delle città, dove pure sono state introdotte piantagioni di
ogni specie da poveri contadini, soltanto perchè erano sicuri della durata del
godimento che avrebbero potuto ritrarre dai resultati delle loro fatiche. Anzi
in alcuni luoghi i censuari, e in altri i coloni perpetui, hanno potuto
costruire per di più le case coloniche.
Ci sembra che tali fatti servano a dimostrare
praticamente come sarebbe facile per i proprietari, ove veramente volessero
introdurre la mezzerìa nelle loro terre, di ridurle con pochi sacrifizi a
quelle condizioni di coltura che abbiamo supposto necessarie per la completa
riuscita di quella forma di contratto. Basterebbe a questo intento che
stipulassero coi coloni dei contratti lunghi in modo da assicurar loro il
giusto frutto dei loro sforzi; che concedessero loro per i primi anni alcune
condizioni più larghe di repartizione dei prodotti; e di più che li aiutassero
nella costruzione delle case, e nel provvedersi di qualche strumento agricolo
un po’ meno primitivo di quelli attuali; e li sovvenissero con qualche soccorso
senza interessi, o a un frutto modico, e col dar loro possibilmente qualche
capo di bestiame a soccida, perchè possano meglio lavorare e concimare i
poderi, e ritrarre qualche guadagno dall’allevamento.
Sappiamo invero che molti proprietari non sono in
condizioni da poter far subito nemmeno questo, ma d’altra parte ve ne sono pure
tanti altri per cui la formazione ogni anno di uno o due nuovi poderi muniti di
tutta la dote occorrente per l’attivazione di una mezzadrìa, sarebbe cosa
facilissima, e che non implicherebbe altro sagrifizio che quello di voler
prendere una decisione; ovvero per alcuni la rinuzia a un cavallo di lusso, o a
un palco al teatro, o a qualche giorno di più di visita alle bagnature
dell’estero: e, diciamo il vero, il pensiero di tali sagrifizi non ci commuove,
e tanto meno se pensiamo che essi non rappresentano altro che la rinunzia a un
godimento immediato in vista di un vantaggio avvenire; che equivalgono insomma
a mettere danari a frutto.
Quanto
alla questione della coltura grande e di quella piccola, non ci è dato di qui
discuterla in tutti i suoi aspetti, chè non basterebbe un volume apposito; ma
osserveremo a tal riguardo che tutte le ragioni che sono state addotte in
teoria, e che si sono dimostrate valide in pratica, per consigliare la piccola
coltura nella maggior parte della Francia, e specialmente nelle provincie sue
meridionali, valgono a fortiori per la Sicilia, dove è maggiore la
varietà delle colture, e maggiore il profitto di quelle colture legnose, che,
come l’olivo, la vite, ecc., richiedono maggior cura, e in genere di tutte
quelle coltivazioni in cui la qualità del lavoro ha un’importanza non
minore della sua quantità. Il Leslie poi osserva con ragione che «quelle
precise produzioni per cui la piccola coltura è specialmente adatta, sono le
cose che acquistano nuovi mercati ad ogni nuova ferrovia, strada, manifattura o
miniera, o ad ogni nuovo aumento della ricchezza nazionale»289; e
cotesta acuta osservazione viene confermata dal fatto della graduale estensione
della piccola coltura in Francia coll’aumento del numero dei contadini
proprietari. E la mezzadrìa nel suo tipo toscano raggiunge in gran parte i
vantaggi del sistema francese del contadino proprietario, poichè eleva
egualmente il morale del contadino, esercitandone l’intelligenza nella
direzione della coltura del podere; lo affeziona al suolo; gli fornisce lavoro
in tutti i mesi dell’anno; assicura alle colture più delicate, lo zelo e le
cure assidue di chi ha interesse diretto nella prosperità del fondo; e per di
più unisce le varie classi sociali in relazioni di mutua benevolenza, per
gl’interessi che dà loro in comune; ed assicura il contadino coi capitali del
proprietario — e ciò non fa la piccola proprietà — dopo una serie non
interrotta di annate cattive, dalla perdita di ogni capitale d’industria
necessario per il mantenimento del fondo.
Vi
è chi teme che l’introduzione della mezzadrìa possa essere un ostacolo
invincibile al trar profitto dall’applicazione della meccanica all’agricoltura,
ma l’esperienza dimostra che la piccola coltura non è per sè inconciliabile
coll’uso delle macchine agricole. Si senta quel che ne dice il Cliffe Leslie,
il cui giudizio in siffatti argomenti ha grande valore, avendo egli studiato
attentamente e sui luoghi l’economia rurale dell’Inghilterra, della Francia e
del Belgio. «Esempio notevole della tendenza della piccola coltura a prevalersi
delle forze della meccanica è il fatto, che le più recenti statistiche agricole
ci dimostrano l’esistenza di un maggior numero di macchine da mietere e da
trebbiare nel Bas Rhin, dove la piccola coltura è spinta al massimo grado, che
in nessun altro dipartimento. Chi abbia percorso i distretti rurali della
Francia non può aver mancato di osservare che la piccola coltura ha creato in questi
ultimi anni due nuove industrie sussidiarie, quella del costruttore di macchine
da un lato, e dall’altro quella dell’entrepreneur, il quale dà fuori le
macchine a nolo; ed ora uno s’imbatte costantemente, perfino in piccole città e
villaggi, per ogni altro riguardo arretrati e apparentemente stagnanti, nella
vista e nel romore di macchine, che lo stesso grande fittaiuolo non possiede
che da poco tempo. Ammettendo quindi pienamente, (è sempre il Leslie che parla)
una verità importante nell’osservazione di Wren Hoskyns, che “la dottrina delle
macchine — maggior prodotto col minor lavoro — è, in quanto si applichi al
suolo, la dottrina della fame per il lavorante e dello spossessamento per il
piccolo proprietario; e invece di appartenere ad uno stadio avanzato della
scienza, è un regresso verso il tempo medioevale, in cui il feudo di un
cavaliere comprendeva il possesso di tutto un circondario, ed un conte era
signore territoriale di una contea”290; considerando, col Wran Hoskyns,
le macchine come fatte per l’uomo, e non l’uomo per le macchine, e la felicità
e la prosperità di una grande popolazione rurale come il vero oggetto
dell’agricoltura e dei sistemi di occupazione (tenure) della terra, non
vediamo alcuna ragione per credere che il progresso della meccanica sia
incompatibile col mantenimento della piccola coltura, e tanto meno con quello
della piccola proprietà in Francia»291.
Il Leslie, come si vede, si riferisce più
specialmente alla piccola coltura come esercitata dai contadini-proprietari in
Francia, ma il suo ragionamento vale tanto più per una piccola coltura condotta
da mezzadri, giacchè in essa abbiamo un proprietario capitalista che può più
facilmente fare l’ufficio dell’entrepreneur o locatore di macchine.
Nella maggior parte della Sicilia, anche
supponendovi ridotta la viabilità alla maggior perfezione, la stessa
conformazione del paese si oppone all’uso generale degli aratri a vapore, delle
grandi macchine da mietere e delle potenti trebbiatrici a vapore, le quali
macchine più utilmente si adopreranno per l’appunto in quei luoghi per i quali
abbiamo escluso l’opportunità dell’introduzione della mezzadrìa; e all’incontro
non vi è nulla nella forma della mezzadrìa che si opponga all’uso di buoni
aratri, di macchine da seminare, e delle trebbiatrici di piccola mole, quali si
adattano a un paese montuoso, e in cui le colture arborescenti dovranno
predominare su quelle di piante annue.
Quanto alla questione dell’allevamento del bestiame,
e di una maggiore coltivazione di foraggi, la piccola coltura non offre alcun
ostacolo ad ogni progresso in questo senso, ed essa anzi si è mostrata in
Francia, nelle Fiandre, in Svizzera, in Germania e in varie parti d’Italia,
come la forma generalmente più atta ad accrescere il numero dei capi di
bestiame per ogni ettaro di terreno, col conseguente vantaggio di tutte le
colture, per la maggiore concimazione resa possibile. L’incremento della
coltura dei foraggi, che deve accompagnare ogni razionale coltura intensiva,
dipende più che da ogni altra causa dalla diffusione dell’istruzione agricola;
la quale non mancherà dovunque i proprietari abbiano interesse di promuoverla,
e i contadini siano in condizioni tali da poterne profittare non solo nell’interesse
altrui, ma anche nel proprio.
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