§ 111. — Obiezioni alla
introduzione della mezzadrìa.
Ci resta ancora da esaminare talune delle
principali difficoltà pratiche che secondo il parere di alcuni si oppongono
invincibilmente all’introduzione della mezzadrìa nella maggior parte della
Sicilia. Esse sono: lo stato della pubblica sicurezza, la mancanza di acqua
potabile, la malaria, e, per alcune provincie, la vicinanza delle zolfare, dove
i gas che emanano dai calcaroni nella fusione dello zolfo, nuocciono
entro una certa cerchia ad ogni coltura, e specialmente a quella di piante
arborescenti.
Diremo innanzi tutto di quest’ultima circostanza.
In primo luogo si potrebbe studiare il modo di evitare l’attuale sprigionamento
dei gas durante la fusione degli zolfi, o almeno di diminuirlo di molto, con
non piccolo risparmio del minerale. Inoltre la cerchia di terreno resa
attualmente in parte improduttiva per siffatta ragione non è di una grande
estensione, e tutti i campi posti in tali condizioni speciali si potrebbero
anche comprendere nella categoria di quelle terre dove l’introduzione della
forma di mezzerìa non è da consigliarsi, senza che perciò si dovessero
attendere effetti generali minori dalla riforma proposta per la maggior parte dell’Isola.
In
risposta alle altre obiezioni relative alle condizioni della sicurezza
pubblica, alla mancanza di acqua, e alla malaria, riprodurremo qui per comodo
del lettore l’argomentazione del Rubieri, giacchè non sapremmo esprimere meglio
gli stessi concetti con parole diverse292. «Si dice prima di tutto che
la mezzerìa non può stabilirsi in Sicilia per la mancanza di pubblica
sicurezza. Ma lasciando da banda che tal mancanza deriva appunto, almeno in
parte, da quella campestre solitudine che non esisterebbe se esistesse la
mezzerìa, io voglio concedere che sarebbe imprudente il cominciare dallo
stabilirla in luoghi affatto remoti dall’abitato: potrebbesi bensì senza
rischio cominciare dallo stabilirla a contatto di quella zona adiacente alle città
dove il sistema delle case sparse e de’ piccoli poderi già vige, e passare ad
estenderla di mano in mano, serbando sempre una congiunzione non interrotta tra
i poderi già istituiti e quelli da istituirsi....
«Si dice che anche la mancanza di acqua potabile
fornirebbe un impedimento. Ma anche su questo punto ritengo che l’acqua vi sia,
che la mancanza si riscontri piuttosto ne’ lavori atti ad assicurarne l’uso, e
che la mezzerìa facendo sentire il bisogno di tali lavori ne farebbe cessare la
mancanza. Infatti ricordo ottimamente che nel percorrere la Sicilia trovai
nelle campagne difetto di pozzi perchè difetto di case, ma abbondanza
grandissima di corsi d’acqua». E qui il Rubieri cita a sostegno degli scritti
del professore Inzenga e del professore Spagna, e quindi seguita: «Pare infatti
che quel che in Sicilia più si deplori sia il non aver sempre abbastanza comoda
e copiosa l’acqua di fontana, e che vi si consideri come un peso il dover
cercare talora un succedaneo nella costruzione dei pozzi.... In tal caso i
Siciliani sono molto più fortunati di noi Toscani che, se vogliamo acqua,
dobbiamo costruire il proprio pozzo in ciascuna delle case nostre e de’ nostri
mezzaiuoli, e talora siamo costretti a invocar quella del cielo, perchè non v’è
pozzo che basti a farcene trovare una goccia sotterra». Non sono molti difatti
i luoghi in Sicilia dove escavando a qualche metro sotterra, non si trovi
acqua; e ciò diciamo sull’autorità delle risposte dateci da un numero
grandissimo di proprietari, gabellotti, e agricoltori di ogni parte dell’Isola.
«Ma
si dice finalmente, (seguita il Rubieri) che la malsanìa è quella che le fa
paura (alla mezzeria). È infatti assiomatico esser la scarsità della
popolazione che produce il difetto di coltura, e questo che produce la insalubrità
del clima. In pochissimi casi la malsanìa può esser tanto predominante e
incorreggibile da impedir tali effetti. Uno di tali casi è certamente quello
delle toscane maremme. Eppure anche in queste la malsanìa è andata
restringendosi in ragione diretta dello estendersi della coltura e della
popolazione, e si è arrivati al punto che.... ha già potuto in buona parte
stabilirvisi anche la mezzerìa, la quale, non vi ha dubbio, coadiuverà molto e
presto l’opera del sanicamento. E in Sicilia non vi son casi identici a quello
delle maremme toscane. I soli luoghi che un poco ad esse somigliano sono le
lagune di Mondello presso Palermo e le saline di Trapani. Ma il loro terreno è
limitatissimo e facilmente bonificabile, come già si è sperimentato. Gli altri
luoghi infetti da malsanìa sono tutti entro terra, e perciò le cagioni della
loro infezione hanno radice non fissa nella mischianza di acque marine, ma
precaria nel difetto di popolazione e di coltura. Basta infatti consultare gli
agronomi siciliani a persuadersene. Essi sono i primi a riconoscere che quella
stessa cattiva giurisprudenza la quale mal provvede al regolare corso delle
acque, necessariamente contribuisce anche alla malsanìa per lo impaludamento di
quelle293; che causa della infezione dell’aria è la incuria nel porre a
profitto le acque294, che eguali effetti sono prodotti dalla viziosa
coltivazione, la quale non preparando idonei scoli alle acque produce il loro
ristagno295.... Ora, immaginate che la Sicilia invece di essere, com’è,
una irregolare distesa di campi su cui si spande un contadiname nomade e
venturiere a far semente e ricolte e poi sparire, fosse una regolare
spartizione di poderi muniti de’ rispettivi fossetti di scolo, e continuamente
vegliati da coloni che avessero un interesse a mantenerli sani ed asciutti, e
ad astenersi perciò dagli abusi e dalle imprevidenze proprie, e ad impedire
quelle de’ vicini: ciò basterebbe perchè le prime cagioni della malsanìa si
dileguassero. La fissa popolazione e la buona coltura farebbero il resto». E
alle cause della malaria enumerate dal Rubieri aggiungeremmo quella assai grave
nell’Isola, della macerazione del lino durante i mesi caldi nelle pozzanghere
d’acqua lasciate dai torrenti, al che si potrebbe provvedere, come già fecero
altre nazioni, con disposizioni di legge, o almeno con rigorose prescrizioni
nei regolamenti municipali, o con la introduzione dei processi chimici e
industriali per la macerazione tanto del lino come della canapa, o con la
costruzione di maceratoi a vasche presso il mare sul modello di quello di
Acireale.
Osserviamo in ultimo che le case coloniche
dovrebbero, come si usa anche in Toscana, costruirsi sempre di preferenza nei
punti più alti e più ariosi della campagna. In un paese di superficie ineguale,
tutto colline, poggi, o montagne, come la Sicilia, la divisione dei poderi in
modo che in ognuno vi fosse un punto elevato su cui poter costruire la casa
colonica, non presenterebbe generalmente alcuna difficoltà. La malaria in
Sicilia domina specialmente nei bassi, e nel fondo delle vallate; onde le case
in vetta alle colline, o sul pendìo dei poggi più alti si troverebbero quasi
sempre in un’atmosfera più sana. Anche dal punto di vista della necessaria
sorveglianza del colono sul proprio podere, conviene collocarne la casa, per
quanto sia possibile, sopra punti elevati del terreno, da cui egli possa
dominare collo sguardo sopra un’ampia estensione di campagna, e specialmente
sui campi affidati alle sue cure.
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