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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE TERZA                       RIMEDI E PROPOSTE
      • Capitolo II.   L’AZIONE DEI PROPRIETARI
        • § 111. — Obiezioni alla introduzione della mezzadrìa.
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§ 111. — Obiezioni alla introduzione della mezzadrìa.

Ci resta ancora da esaminare talune delle principali difficoltà pratiche che secondo il parere di alcuni si oppongono invincibilmente all’introduzione della mezzadrìa nella maggior parte della Sicilia. Esse sono: lo stato della pubblica sicurezza, la mancanza di acqua potabile, la malaria, e, per alcune provincie, la vicinanza delle zolfare, dove i gas che emanano dai calcaroni nella fusione dello zolfo, nuocciono entro una certa cerchia ad ogni coltura, e specialmente a quella di piante arborescenti.

Diremo innanzi tutto di quest’ultima circostanza. In primo luogo si potrebbe studiare il modo di evitare l’attuale sprigionamento dei gas durante la fusione degli zolfi, o almeno di diminuirlo di molto, con non piccolo risparmio del minerale. Inoltre la cerchia di terreno resa attualmente in parte improduttiva per siffatta ragione non è di una grande estensione, e tutti i campi posti in tali condizioni speciali si potrebbero anche comprendere nella categoria di quelle terre dove l’introduzione della forma di mezzerìa non è da consigliarsi, senza che perciò si dovessero attendere effetti generali minori dalla riforma proposta per la maggior parte dell’Isola.

In risposta alle altre obiezioni relative alle condizioni della sicurezza pubblica, alla mancanza di acqua, e alla malaria, riprodurremo qui per comodo del lettore l’argomentazione del Rubieri, giacchè non sapremmo esprimere meglio gli stessi concetti con parole diverse292. «Si dice prima di tutto che la mezzerìa non può stabilirsi in Sicilia per la mancanza di pubblica sicurezza. Ma lasciando da banda che tal mancanza deriva appunto, almeno in parte, da quella campestre solitudine che non esisterebbe se esistesse la mezzerìa, io voglio concedere che sarebbe imprudente il cominciare dallo stabilirla in luoghi affatto remoti dall’abitato: potrebbesi bensì senza rischio cominciare dallo stabilirla a contatto di quella zona adiacente alle città dove il sistema delle case sparse e de’ piccoli poderi già vige, e passare ad estenderla di mano in mano, serbando sempre una congiunzione non interrotta tra i poderi già istituiti e quelli da istituirsi....

«Si dice che anche la mancanza di acqua potabile fornirebbe un impedimento. Ma anche su questo punto ritengo che l’acqua vi sia, che la mancanza si riscontri piuttosto ne’ lavori atti ad assicurarne l’uso, e che la mezzerìa facendo sentire il bisogno di tali lavori ne farebbe cessare la mancanza. Infatti ricordo ottimamente che nel percorrere la Sicilia trovai nelle campagne difetto di pozzi perchè difetto di case, ma abbondanza grandissima di corsi d’acqua». E qui il Rubieri cita a sostegno degli scritti del professore Inzenga e del professore Spagna, e quindi seguita: «Pare infatti che quel che in Sicilia più si deplori sia il non aver sempre abbastanza comoda e copiosa l’acqua di fontana, e che vi si consideri come un peso il dover cercare talora un succedaneo nella costruzione dei pozzi.... In tal caso i Siciliani sono molto più fortunati di noi Toscani che, se vogliamo acqua, dobbiamo costruire il proprio pozzo in ciascuna delle case nostre e de’ nostri mezzaiuoli, e talora siamo costretti a invocar quella del cielo, perchè non v’è pozzo che basti a farcene trovare una goccia sotterra». Non sono molti difatti i luoghi in Sicilia dove escavando a qualche metro sotterra, non si trovi acqua; e ciò diciamo sull’autorità delle risposte dateci da un numero grandissimo di proprietari, gabellotti, e agricoltori di ogni parte dell’Isola.

«Ma si dice finalmente, (seguita il Rubieri) che la malsanìa è quella che le fa paura (alla mezzeria). È infatti assiomatico esser la scarsità della popolazione che produce il difetto di coltura, e questo che produce la insalubrità del clima. In pochissimi casi la malsanìa può esser tanto predominante e incorreggibile da impedir tali effetti. Uno di tali casi è certamente quello delle toscane maremme. Eppure anche in queste la malsanìa è andata restringendosi in ragione diretta dello estendersi della coltura e della popolazione, e si è arrivati al punto che.... ha già potuto in buona parte stabilirvisi anche la mezzerìa, la quale, non vi ha dubbio, coadiuverà molto e presto l’opera del sanicamento. E in Sicilia non vi son casi identici a quello delle maremme toscane. I soli luoghi che un poco ad esse somigliano sono le lagune di Mondello presso Palermo e le saline di Trapani. Ma il loro terreno è limitatissimo e facilmente bonificabile, come già si è sperimentato. Gli altri luoghi infetti da malsanìa sono tutti entro terra, e perciò le cagioni della loro infezione hanno radice non fissa nella mischianza di acque marine, ma precaria nel difetto di popolazione e di coltura. Basta infatti consultare gli agronomi siciliani a persuadersene. Essi sono i primi a riconoscere che quella stessa cattiva giurisprudenza la quale mal provvede al regolare corso delle acque, necessariamente contribuisce anche alla malsanìa per lo impaludamento di quelle293; che causa della infezione dell’aria è la incuria nel porre a profitto le acque294, che eguali effetti sono prodotti dalla viziosa coltivazione, la quale non preparando idonei scoli alle acque produce il loro ristagno295.... Ora, immaginate che la Sicilia invece di essere, com’è, una irregolare distesa di campi su cui si spande un contadiname nomade e venturiere a far semente e ricolte e poi sparire, fosse una regolare spartizione di poderi muniti de’ rispettivi fossetti di scolo, e continuamente vegliati da coloni che avessero un interesse a mantenerli sani ed asciutti, e ad astenersi perciò dagli abusi e dalle imprevidenze proprie, e ad impedire quelle de’ vicini: ciò basterebbe perchè le prime cagioni della malsanìa si dileguassero. La fissa popolazione e la buona coltura farebbero il resto». E alle cause della malaria enumerate dal Rubieri aggiungeremmo quella assai grave nell’Isola, della macerazione del lino durante i mesi caldi nelle pozzanghere d’acqua lasciate dai torrenti, al che si potrebbe provvedere, come già fecero altre nazioni, con disposizioni di legge, o almeno con rigorose prescrizioni nei regolamenti municipali, o con la introduzione dei processi chimici e industriali per la macerazione tanto del lino come della canapa, o con la costruzione di maceratoi a vasche presso il mare sul modello di quello di Acireale.

Osserviamo in ultimo che le case coloniche dovrebbero, come si usa anche in Toscana, costruirsi sempre di preferenza nei punti più alti e più ariosi della campagna. In un paese di superficie ineguale, tutto colline, poggi, o montagne, come la Sicilia, la divisione dei poderi in modo che in ognuno vi fosse un punto elevato su cui poter costruire la casa colonica, non presenterebbe generalmente alcuna difficoltà. La malaria in Sicilia domina specialmente nei bassi, e nel fondo delle vallate; onde le case in vetta alle colline, o sul pendìo dei poggi più alti si troverebbero quasi sempre in un’atmosfera più sana. Anche dal punto di vista della necessaria sorveglianza del colono sul proprio podere, conviene collocarne la casa, per quanto sia possibile, sopra punti elevati del terreno, da cui egli possa dominare collo sguardo sopra un’ampia estensione di campagna, e specialmente sui campi affidati alle sue cure.

 

 




292 Vedi: Ermolao Rubieri, Sulle condizioni economiche e sociali della Sicilia e della Maremma Pisana. Firenze, 1868, pag. 16 e seguenti.



293 Spagna: Studi sulla economia delle acque in Sicilia negli Annali di Agricoltura Siciliana, seconda serie, anno X, pag. 236.



294 Ivi pag. 234.



295 Ivi, anno XI, pag. 108.






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