§ 115. — Partecipazione
agli utili.
Ma è questo forse tutto? Non vi sarebbe modo di
valersi anche nella grande industria agricola dei vantaggi morali, economici e
sociali dell’elemento di partecipazione del lavorante ai risultati
dell’impresa? — Sappiamo che la partecipazione agli utili è stata più volte
introdotta utilmente nelle industrie manifatturiere, e anche in quelle
estrattive: non sarebbe forse questa la forma che potrebbe pure applicarsi con
speranza di buoni effetti alla grande industria agricola? —
Noi
crediamo fermamente di sì. La cosa del resto è già stata provata in Germania, e
a quanto ci dicono quegli scrittori, i risultati ottenuti sono stati
soddisfacenti298. Qui, si noti bene, non si tratta più affatto, come
quando si parlava di piccola coltura, della partecipazione del lavorante al
prodotto lordo dell’azienda, come forma di retribuzione ordinaria al suo
lavoro, ossia in altre parole di una forma qualunque di mezzadrìa, in cui due
soci, il lavorante e il proprietario, mettono in comune rispettivamente il
lavoro e la terra coi relativi capitali, per dividersi poi il prodotto in
determinate proporzioni: si tratta invece di una partecipazione concessa al
lavorante salariato, come un di più aggiunto al suo salario, in quegli utili
dell’impresa che si suppongono prodotti dal maggior zelo e dalla maggiore
operosità del lavorante stesso; zelo e operosità che hanno per stimolo e per
motivo la speranza appunto del lavorante di partecipare al guadagno che ne
risulterà.
Il
principio su cui riposa la partecipazione industriale, ossia la partecipazione
agli utili, è, come si esprime il Thornton, «che i lavoranti possono, colla
promessa condizionale di una maggiore rimunerazione, essere stimolati ad una
maggiore attività e attenzione, i prodotti materiali e gli accompagnamenti
morali delle quali saranno un compenso del tutto equivalente alla maggiore
rimunerazione promessa»299. Onde «se per amor di un premio eventuale
gli operai vorranno lavorare in modo da lasciare i profitti del loro
principale, dopo levato il premio, altrettanto alti quanto sarebbero stati
senza il sistema dei premi, o anche se, senza elevar assolutamente di tanto i
suoi profitti, essi lo compensano della diminuzione delle sue entrate in moneta
col miglioramento della loro condotta generale, può non esservi alcuna ragione
perchè un impiegante che ha una volta adottato il sistema abbia poi ad
abbandonarlo. E se gli operai vanno più oltre, e nel loro desiderio di un
premio aumentato creano con l’attività maggiore un fondo d’avanzo maggiore,
grande abbastanza perchè il loro padrone vi partecipi non meno che essi, vi
sarà un’eccellente ragione perchè l’esempio del loro principale sia seguito da
altri principali, ed eventualmente da tutti coloro che si trovino in tali
circostanze da essere in grado di applicare il medesimo principio con la
prospettiva di un simile effetto»300.
Il Thornton parla qui in generale, ma le
condizioni ch’egli suppone necessarie alla riuscita della partecipazione
industriale, si verificheranno tanto più nell’industria agricola, dove
l’innalzamento del livello morale del lavorante, e le condizioni di reciproca
benevolenza e di solidarietà d’interessi tra lui e il proprietario, hanno per
quest’ultimo ben altra importanza che non le condizioni morali e i sentimenti
degli operai per un industriale manifatturiero.
Le
perdite poi di cui sono attualmente cagione nelle imprese agricole l’ignoranza,
la trascuranza, la infingardaggine, e anche il malvolere dei lavoranti, sono
molto maggiori di quanto si concederebbe mai ai lavoranti come partecipazione
al prodotto netto. Colla partecipazione agli utili dell’impresa, il lavorante
agricolo viene a toccar con mano di quanto vantaggio possono essere per lui,
oltrechè pel padrone, la sua operosità e diligenza: e si creano inoltre
degl’interessi in comune tra salariato e proprietario, giacchè l’uno e l’altro
saranno animati dagli stessi timori e dalle stesse speranze pei resultati
generali dell’azienda agricola. «E ciò che poi serve di più, è l’essere ogni
individuo non meno interessato a vigilare che le virtù industriali siano
praticate dai suoi compagni, che a praticarle egli stesso. L’efficacia
dell’occhio del padrone è proverbiale.... Ma l’occhio del padrone non può
essere dappertutto.... Quando il capitale si associa al lavoro, ogni lavorante
nel diventare socio, diventa anche partecipe dei motivi che ha il padrone per
esercitare la vigilanza»301. E in Sicilia è ingente nelle grandi
aziende rurali lo spreco di capitale e di lavoro, che si fa attualmente per la
sola sorveglianza.
La partecipazione agli utili nell’industria
agricola dovrebbe regolarsi in modo, che dal prodotto complessivo debbano prima
essere pagati e i salari per intiero di tutti i lavoranti, e un tanto per cento
sul capitale impiegato nell’azienda; e quindi ogni di più debba dividersi tra i
lavoranti e il proprietario, in certe proporzioni definite anticipatamente e
che resterebbero sempre fisse. Il determinare queste proporzioni dipende, è
vero, dal beneplacito dei proprietari, sulla cui buona fede riposa pure ogni
giusta liquidazione a fin d’anno; ma sarebbe ben cattivo consiglio nei
proprietari di voler ingannare i loro dipendenti sia col prometter loro
partecipazioni minime in benefizi irrealizzabili, sia con falsi regolamenti di
conti. Perchè la partecipazione possa dare i suoi frutti, deve esser tale da
ispirare al lavorante la ragionevole speranza in un aumento effettivo dei suoi
guadagni, meno il caso di anni eccezionalmente cattivi, come pure è necessario
ch’egli sia convinto della buona fede del suo padrone nel regolamento dei loro
reciproci rapporti.
L’introduzione poi della partecipazione agli
utili ha, di fronte a qualunque altra forma di aumento di salario, questo
precipuo vantaggio per il proprietario, di non aggravarlo di alcun nuovo peso,
e di non obbligarlo a metter fuori nuovi capitali, giacchè l’aumento di
guadagno che viene al lavorante dalla partecipazione è tolto unicamente dai
maggiori guadagni straordinari di tutta l’azienda, e previa deduzione del
profitto ordinario pel capitale in essa impiegato. I proprietari potrebbero non
sborsare subito al lavorante tutto quanto l’ammontare della sua parte negli
utili dell’azienda, ma invece depositarne una quota fissa, la metà o i due
terzi, in una Cassa di risparmio a benefizio dello stesso lavorante, il quale
dovrebbe obbligarsi per patto espresso a non ritirare quelle somme prima di un
certo tempo. La partecipazione di ogni singolo lavorante di fronte agli altri
suoi compagni, dovrebbe esser regolata in proporzione del salario che riscuote;
ma la partecipazione complessiva del lavoro agli utili dell’azienda dovrebbe
esser sempre una quota fissa.
Fin qui abbiamo inteso parlare della
partecipazione di tutti i salariati fissi agli utili complessivi dell’azienda
agricola; la cosa poi è ancora più semplice quando si tratti di partecipazione
agli utili di una particolare industria, concessa ai lavoranti che sono ad essa
specialmente addetti; come per esempio della partecipazione dei pastori ai
guadagni del gregge.
Non pretendiamo del resto di aver fatto più che
accennare qui alla questione della partecipazione agli utili applicata alla
grande industria agricola, nella speranza di attirarvi sopra l’attenzione di
altri più competenti di noi.
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