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Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino
La Sicilia nel 1876

IntraText CT - Lettura del testo

  • LIBRO SECONDO   I CONTADINI
    • PARTE TERZA                       RIMEDI E PROPOSTE
      • Capitolo II.   L’AZIONE DEI PROPRIETARI
        • § 115. — Partecipazione agli utili.
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§ 115. — Partecipazione agli utili.

Ma è questo forse tutto? Non vi sarebbe modo di valersi anche nella grande industria agricola dei vantaggi morali, economici e sociali dell’elemento di partecipazione del lavorante ai risultati dell’impresa? — Sappiamo che la partecipazione agli utili è stata più volte introdotta utilmente nelle industrie manifatturiere, e anche in quelle estrattive: non sarebbe forse questa la forma che potrebbe pure applicarsi con speranza di buoni effetti alla grande industria agricola? —

Noi crediamo fermamente di sì. La cosa del resto è già stata provata in Germania, e a quanto ci dicono quegli scrittori, i risultati ottenuti sono stati soddisfacenti298. Qui, si noti bene, non si tratta più affatto, come quando si parlava di piccola coltura, della partecipazione del lavorante al prodotto lordo dell’azienda, come forma di retribuzione ordinaria al suo lavoro, ossia in altre parole di una forma qualunque di mezzadrìa, in cui due soci, il lavorante e il proprietario, mettono in comune rispettivamente il lavoro e la terra coi relativi capitali, per dividersi poi il prodotto in determinate proporzioni: si tratta invece di una partecipazione concessa al lavorante salariato, come un di più aggiunto al suo salario, in quegli utili dell’impresa che si suppongono prodotti dal maggior zelo e dalla maggiore operosità del lavorante stesso; zelo e operosità che hanno per stimolo e per motivo la speranza appunto del lavorante di partecipare al guadagno che ne risulterà.

Il principio su cui riposa la partecipazione industriale, ossia la partecipazione agli utili, è, come si esprime il Thornton, «che i lavoranti possono, colla promessa condizionale di una maggiore rimunerazione, essere stimolati ad una maggiore attività e attenzione, i prodotti materiali e gli accompagnamenti morali delle quali saranno un compenso del tutto equivalente alla maggiore rimunerazione promessa»299. Onde «se per amor di un premio eventuale gli operai vorranno lavorare in modo da lasciare i profitti del loro principale, dopo levato il premio, altrettanto alti quanto sarebbero stati senza il sistema dei premi, o anche se, senza elevar assolutamente di tanto i suoi profitti, essi lo compensano della diminuzione delle sue entrate in moneta col miglioramento della loro condotta generale, può non esservi alcuna ragione perchè un impiegante che ha una volta adottato il sistema abbia poi ad abbandonarlo. E se gli operai vanno più oltre, e nel loro desiderio di un premio aumentato creano con l’attività maggiore un fondo d’avanzo maggiore, grande abbastanza perchè il loro padrone vi partecipi non meno che essi, vi sarà un’eccellente ragione perchè l’esempio del loro principale sia seguito da altri principali, ed eventualmente da tutti coloro che si trovino in tali circostanze da essere in grado di applicare il medesimo principio con la prospettiva di un simile effetto»300.

Il Thornton parla qui in generale, ma le condizioni ch’egli suppone necessarie alla riuscita della partecipazione industriale, si verificheranno tanto più nell’industria agricola, dove l’innalzamento del livello morale del lavorante, e le condizioni di reciproca benevolenza e di solidarietà d’interessi tra lui e il proprietario, hanno per quest’ultimo ben altra importanza che non le condizioni morali e i sentimenti degli operai per un industriale manifatturiero.

Le perdite poi di cui sono attualmente cagione nelle imprese agricole l’ignoranza, la trascuranza, la infingardaggine, e anche il malvolere dei lavoranti, sono molto maggiori di quanto si concederebbe mai ai lavoranti come partecipazione al prodotto netto. Colla partecipazione agli utili dell’impresa, il lavorante agricolo viene a toccar con mano di quanto vantaggio possono essere per lui, oltrechè pel padrone, la sua operosità e diligenza: e si creano inoltre degl’interessi in comune tra salariato e proprietario, giacchè l’uno e l’altro saranno animati dagli stessi timori e dalle stesse speranze pei resultati generali dell’azienda agricola. «E ciò che poi serve di più, è l’essere ogni individuo non meno interessato a vigilare che le virtù industriali siano praticate dai suoi compagni, che a praticarle egli stesso. L’efficacia dell’occhio del padrone è proverbiale.... Ma l’occhio del padrone non può essere dappertutto.... Quando il capitale si associa al lavoro, ogni lavorante nel diventare socio, diventa anche partecipe dei motivi che ha il padrone per esercitare la vigilanza»301. E in Sicilia è ingente nelle grandi aziende rurali lo spreco di capitale e di lavoro, che si fa attualmente per la sola sorveglianza.

La partecipazione agli utili nell’industria agricola dovrebbe regolarsi in modo, che dal prodotto complessivo debbano prima essere pagati e i salari per intiero di tutti i lavoranti, e un tanto per cento sul capitale impiegato nell’azienda; e quindi ogni di più debba dividersi tra i lavoranti e il proprietario, in certe proporzioni definite anticipatamente e che resterebbero sempre fisse. Il determinare queste proporzioni dipende, è vero, dal beneplacito dei proprietari, sulla cui buona fede riposa pure ogni giusta liquidazione a fin d’anno; ma sarebbe ben cattivo consiglio nei proprietari di voler ingannare i loro dipendenti sia col prometter loro partecipazioni minime in benefizi irrealizzabili, sia con falsi regolamenti di conti. Perchè la partecipazione possa dare i suoi frutti, deve esser tale da ispirare al lavorante la ragionevole speranza in un aumento effettivo dei suoi guadagni, meno il caso di anni eccezionalmente cattivi, come pure è necessario ch’egli sia convinto della buona fede del suo padrone nel regolamento dei loro reciproci rapporti.

L’introduzione poi della partecipazione agli utili ha, di fronte a qualunque altra forma di aumento di salario, questo precipuo vantaggio per il proprietario, di non aggravarlo di alcun nuovo peso, e di non obbligarlo a metter fuori nuovi capitali, giacchè l’aumento di guadagno che viene al lavorante dalla partecipazione è tolto unicamente dai maggiori guadagni straordinari di tutta l’azienda, e previa deduzione del profitto ordinario pel capitale in essa impiegato. I proprietari potrebbero non sborsare subito al lavorante tutto quanto l’ammontare della sua parte negli utili dell’azienda, ma invece depositarne una quota fissa, la metà o i due terzi, in una Cassa di risparmio a benefizio dello stesso lavorante, il quale dovrebbe obbligarsi per patto espresso a non ritirare quelle somme prima di un certo tempo. La partecipazione di ogni singolo lavorante di fronte agli altri suoi compagni, dovrebbe esser regolata in proporzione del salario che riscuote; ma la partecipazione complessiva del lavoro agli utili dell’azienda dovrebbe esser sempre una quota fissa.

Fin qui abbiamo inteso parlare della partecipazione di tutti i salariati fissi agli utili complessivi dell’azienda agricola; la cosa poi è ancora più semplice quando si tratti di partecipazione agli utili di una particolare industria, concessa ai lavoranti che sono ad essa specialmente addetti; come per esempio della partecipazione dei pastori ai guadagni del gregge.

Non pretendiamo del resto di aver fatto più che accennare qui alla questione della partecipazione agli utili applicata alla grande industria agricola, nella speranza di attirarvi sopra l’attenzione di altri più competenti di noi.

 

 




298 Vedi: Von der Goltz, op. cit., da pag. 250 a 277, e gli altri autori ivi riportati.



299 Vedi: Thornton, Del lavoro. — Versione italiana. Firenze, 1875, pag. 437.



300 Vedi: Thornton, op. cit., pag. 438.



301 Thornton, op. cit., pag. 440.






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