§ 116. — I giornalieri.
Quanto abbiamo fin qui detto riguardo ai salariati
fissi di una fattoria non può applicarsi ai giornalieri che vi
vengano impiegati. Si potrà bensì dar loro in natura una parte del salario
giornaliero o settimanale, ma soltanto sotto la forma del vitto somministrato
loro direttamente dal padrone. Ciò diventa anzi indispensabile per tutto quanto
il nutrimento del giornaliero, là dove la sua abitazione disti talmente dal
luogo del lavoro da dover egli trattenersi nella fattoria più giorni di
seguito, senza tornare a casa. Dove invece egli possa tornarvi ogni sera, sarà
meglio che il padrone gli dia in natura non più di quanto sia necessario per
quei pasti che deve prendere durante le ore del suo lavoro, e che il resto del
salario gli sia pagato in denaro: si evitano così molte questioni, e molto
scontento.
Per questi giornalieri non può più essere
questione di introdurre alcuna forma di partecipazione ai risultati complessivi
dell’azienda. Per la condizione loro però, come in genere per quella di tutti i
contadini, molto potrebbe farsi dai proprietari, col facilitare ai loro
lavoranti l’acquisto di una piccola proprietà di terra. I grandi proprietari
siciliani potrebbero, ove il volessero, operare una vera rivoluzione nelle
condizioni economiche e sociali della popolazione agricola, col promuovere
spontaneamente la formazione di una classe di giornalieri proprietari, con
abitazioni sparse nelle campagne, sui limiti dei latifondi. Già ora esiste qua
e là una classe siffatta, che possiede, per lo più nelle vicinanze delle città,
qualche piccolissimo terreno a censo, su cui impiega il proprio lavoro quando
non trova da locare fuori la giornata: attualmente però questi giornalieri
censuari abitano tutti nelle città, dove possiedono spesso una casuccia. Si
tratterebbe invece nella nostra proposta del seguente progetto:
I
grandi proprietari di latifondi, prefiggendosi di ottenere nella prossimità
delle loro tenute lo stabilimento fisso di un certo numero di lavoranti
agricoli, e di togliere così tutti i danni che vengono all’agricoltura
dall’attuale agglomeramento della popolazione rurale nelle città, procurano la
formazione sui limiti dei loro latifondi di un numero di piccole proprietà
nelle mani dei contadini, proprietà di cui ognuna non sia tanto grande da
bastare da sè al sostentamento di una famiglia, ma nemmeno tanto piccola da non
avere un’influenza sensibile sulla condizione generale del lavorante che la
possiede. Il metodo da seguirsi potrebbe essere il seguente302: A tutti
quei lavoranti aventi famiglia, che vengono impiegati usualmente in una
fattoria — e vi si potrebbero comprendere anche alcuni dei salariati fissi — e
che hanno sempre dato prova di operosità e di buoni costumi, si concedono a
fitto con canone bassissimo, per lo spazio di quattro anni, o di altra epoca da
fissarsi, ma con facoltà nel padrone di disdire ogni anno, tanti appezzamenti
di terreno di buona qualità, di circa un ettaro ognuno, da scegliersi di
preferenza sui lembi del latifondo. I vari appezzamenti saranno contigui, in
modo da poter formare in seguito colla riunione di più abitazioni tanti piccoli
casali sparsi qua e là nella campagna. Su questi piccoli poderi gli affittuari
dovranno costruire le loro case, aiutati in ciò dal proprietario, il quale si
obbliga a rimborsare all’affittuario l’intiero valore delle opere fatte, nel
caso che entro i quattro anni, o alla fine di questo termine, lo mandasse via
dal podere. I proprietari debbono pure vigilare a che queste case si
costruiscano sopra un modello decente, e non su quello ordinario delle attuali
case coloniche in Sicilia. Annesso a queste case deve costruirsi il porcile, e,
dove sia possibile, la stalletta per il vitello o per la mucca. Se durante i
quattro anni il lavorante non dà mai motivo di lamento al proprietario, e
dimostra di essere in grado di profittare della nuova posizione che gli verrà
fatta, al termine di quell’epoca il piccolo podere da lui lavorato gli vien
concesso a enfiteusi perpetua, con modico canone, e col diritto di affrancarsi
a rate. Quest’affrancazione dovrebbe anzi essere resa più facile, col
determinare che il lavorante possa volendo liberarsi entro un certo numero di
anni, mediante il pagamento annuo di una piccolissima somma da aggiungersi al
canone enfiteutico a titolo di ammortizzazione del capitale. E a facilitare
sempre più ai contadini l’affrancazione di questi censi, potrebbe giovare
moltissimo l’aiuto degl’istituti di credito fondiario e agricolo di qualunque
specie.
Col detto sistema, di cui ci basta di aver qui
tracciato i contorni generali, si potrebbe, ove venisse generalmente adottato,
trasformare affatto in poco tempo e senza che alcuno abbia da fare grandi
sacrifizi, l’aspetto di gran parte delle campagne siciliane; si sparpaglierebbe
la popolazione agricola nelle campagne, collocandola vicino ai campi che
lavora: si renderebbero più facili, più continue e più cordiali le relazioni
tra i proprietari e i lavoranti; e colla creazione di una numerosa classe di
piccoli proprietari si toglierebbe ogni carattere acuto alla questione agraria,
facendo sì che il contadino difenda come propria la causa della proprietà
privata del suolo. Lo stesso spirito animerebbe pure quei lavoranti che
rimanessero esclusi dalla proprietà, giacchè ognuno avrebbe la speranza di
poter un giorno col lavoro e col risparmio, entrare nella schiera dei
privilegiati: tutti sappiamo come un soldato si esponga più volentieri alla
morte, quando abbia la segreta speranza di un giorno diventare maresciallo. Gli
effetti inoltre sulla stessa condizione morale ed intellettuale dei lavoranti
sarebbero grandissimi; e tutto ci fa credere che il contadino-proprietario
siciliano non resterebbe affatto indietro nè al francese, nè allo svizzero, nè
al fiammingo.
L’agricoltura, come ben osserva il Von der Goltz,
ha questo di speciale di fronte alle altre industrie, che in essa la piccola
industria può esistere utilmente a lato della grande, nè ha da temerne la
concorrenza; e ciò specialmente in un paese come la Sicilia, nel quale la
coltura piccola, laddove è stata applicata, ha dimostrato di avere dei grandi
vantaggi in suo favore; come accade generalmente dovunque prosperano le colture
arborescenti. Anche riguardo ai buoni costumi le conseguenze di una riforma
come quella in discorso, non potrebbero essere che altamente benefiche, giacchè
si toglierebbe la necessità attuale delle lunghe separazioni degli uomini dalle
loro famiglie.
Economicamente poi i proprietari e i lavoranti
guadagnerebbero insieme di netto il valore di quella giornata circa per
settimana che attualmente va perduta nel percorso che deve fare il lavorante
dalla sua abitazione al luogo del lavoro e viceversa, sia che ciò avvenga
soltanto ogni lunedì e ogni sabato, sia ogni mattina e sera. Pei proprietari
riescirebbe pure di vantaggio il minor bisogno che ci sarebbe di aumentare il
numero dei salariati fissi della fattoria, giacchè avrebbero sempre sottomano
un certo numero di lavoranti a loro disposizione. Le minute cure della coltura
intensiva di un piccolo podere rimedierebbero pure in gran parte alle
temporanee deficienze di lavori agricoli nelle grandi aziende vicine; e il
lavorante con la sua famiglia potrebbero trovarvi un modo come impiegare
utilmente ogni momento di libertà, o di sciopero involontario. L’introduzione
pure in queste piccole aziende di qualche industria domestica, potrebbe
contribuire a dare occupazione costante durante tutto l’anno alle forze dei
vari membri della famiglia, e ad aggiungere ai loro guadagni complessivi un non
piccolo elemento di agiatezza. I nuovi vincoli poi che legherebbero il
lavorante al suolo, presenterebbero una sicura garanzia contro ogni pericolo
avvenire di una soverchia corrente di emigrazione oltremare, corrente che nelle
attuali condizioni migratorie e instabili del contadino siciliano, può
facilmente cominciare da un momento all’altro, e che una volta avviata potrebbe
anche assumere in poco tempo proporzioni molto maggiori di quanto ora si creda
generalmente possibile.
Naturalmente
non ci è dato di esaminare qui in tutti i suoi particolari la questione
dell’applicazione pratica di un tale sistema; ma ci sembra che esso non debba
presentare nulla di molto nuovo, di difficile, o di pericoloso alla mente dei
grandi proprietari siciliani, visto che non si propone loro che di imitare in piccolo
quello che fecero ripetutamente su più vasta scala i loro antenati, i baroni
feudali dei secoli scorsi. Essi difatti nell’intento di attirare una maggiore
popolazione sulle loro terre, sia per promuoverne la produzione e accrescere
così le proprie rendite, sia per aumentare col numero dei vassalli la propria
potenza, offrivano concessioni di terre a enfiteusi a chi stabilisse la propria
dimora in alcuni punti determinati della loro giurisdizione; e con questo mezzo
poterono ripopolare alcuni distretti, dissodare ampi territori incolti, e
creare un gran numero di nuove città e villaggi303. Si tratterebbe
dunque ora soltanto di ripetere lo stesso fenomeno più in piccolo, ma con
maggiore diffusione, onde disseminare di più la popolazione sul territorio, e
formare allo stesso tempo una nuova classe di piccoli proprietari, interessata
all’ordine, e valido sostegno degli attuali ordinamenti sociali.
Affitti dei latifondi a
società di contadini.
Oltre i già detti, vi è ancora un altro mezzo pei
proprietari siciliani di giovare alla condizione dei coltivatori dei latifondi,
mezzo che potrebbe tentarsi almeno in via provvisoria da quella persone più
timide, che temono di nulla innovare nei punti più essenziali dei sistemi ora
usati. Intendiamo accennare agli affitti dei feudi fatti direttamente dai
proprietari, e secondo le forme attuali, ai contadini riuniti in associazioni.
Ma di questo argomento parleremo più qua, quando tratteremo specialmente delle
varie associazioni di contadini; accennando pure allora al concorso che possono
prestare i proprietari ad ogni forma utile di siffatte società.
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